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Passione Gourmet Live – San Salvatore

Il live della terza degustazione

Continua anche quest’anno, con la decisiva complicità di Partesa for Wine, la nuova rubrica dedicata alle degustazioni che il direttore della Guida Vini di Passione Gourmet, Orazio Vagnozzi, realizza in lungo e in largo per l’Italia seguito da un video maker di fiducia, al secolo Stefano Forzoni.

Per questo ciclo di degustazioni erranti abbiamo così scelto una rosa di aziende che ci hanno colpito per la loro spiccata componente caratteriale, una caratteristica, questa, data loro da un fattore, quello umano, imprescindibile nel vino come in qualunque altra attività decisa ancora dall’esperienza e dall’intuito. Così come umano, del resto, è anche il rapporto con la fortuna, che nel vino è rappresentata dalla somma degli agenti e degli accidenti esterni, in particolare climatici, che ne determinano letteralmente il bello e il cattivo tempo.

A Paestum da San Salvatore 1988

In un momento storico dove l’imperativo è hic et nunc, una vita lenta assume sempre più l’accezione di privilegio. L’imprenditore vitivinicolo Giuseppe, Peppe per gli amici, Pagano, lo ha scritto a caratteri cubitali all’ingresso del suo sito aziendale. La sua è provocazione ad accogliere lo scorrere delle cose nel rispetto dei propri tempi che poi, è anche l’unico metodo e modo che il terreno conosce per dare i suoi frutti. 

Nel 2004 Peppe fonda la sua azienda a Paestum, più precisamente alle pendici del Monte Calpazio. Qui coltiva vitigni autoctoni seguendo quell’etica di coltivazione e produzione che molto spesso è ridotta a epiteto ma che tra i filari di San Salvatore 1988 si realizza con autentica genuinità. Ed è tutto lì, racchiuso in quel ciclo vitale che parte dalla terra fino alla bottiglia. 

Per approfondirne storia e stile, indugiando più scientemente sulle note di degustazione dei vini assaggiati in occasione della degustazione, rimandiamo all’articolo scritto qui.  Se invece preferite godervi in presa diretta (o quasi) quanto accaduto nel corso della degustazione tra Orazio e Giuseppe Pagano, cliccate sul video sottostante.

Un’ode al territorio del Cilento

Ci troviamo a Paestum, in Cilento, l’area più a sud della Campania, dove un personaggio carismatico, vulcanico e rivoluzionario ha dato il via a un’importante opera di valorizzazione del territorio. Stiamo parlando di Giuseppe Pagano, imprenditore eclettico nel mondo del vino, dell’accoglienza, della ristorazione e dei prodotti tipici del territorio, che a tutti gli effetti incarna la visione di un cambiamento positivo. L’essenza della sua filosofia è ben racchiusa nella parola a caratteri cubitali che accoglie l’utente sul sito web aziendale: “rallenta”. Un invito a percepire la bellezza della lentezza cilentana, un valore che, secondo Pagano, si traduce nella realizzazione di cose fatte con amore e secondo etica.

Nel 2004 Pagano ha creato un’azienda vitivinicola che fin da subito si è distinta per la cura della natura, il rispetto per la memoria agricola, l’innovazione, l’etica e la sostenibilità. Un’azienda che oggi si estende su 164 ettari nei territori di Paestum, Stio e Giungano, di cui 42 sono dedicati alla viticoltura e il resto del terreno è destinato ad ulivi, frutteti, boschi e all’allevamento di bufale.

Ma non è tutto. L’azienda di Pagano, infatti, è un esempio tangibile e ben riuscito di quel concetto di economia circolare e a ciclo integrato di cui tanto si parla in tempi recenti. Se da un lato le coltivazioni danno vita ai prodotti genuini e ai vini che riforniscono le cucine dei ristoranti di proprietà, dall’altro la moderna cantina con impianto fotovoltaico e le bufale, che con i loro liquami alimentano l’impianto a biogas, coprono interamente il fabbisogno energetico aziendale, rendendo San Salvatore 1988 a zero impatto ambientale.  

La gamma produttiva creata con la consulenza dell’enologo Riccardo Cotarella è ampia e diversificata e racconta di un territorio e della sua massima espressione. I vitigni, infatti, sono quelli autoctoni, importati in questa terra dall’Antica Grecia più di 3000 anni fa. Un ulteriore omaggio al territorio risiede nella scelta del nome di ogni vino, con un’etichetta che attraverso assonanze dialettali e giochi di parole richiama i nomi dei borghi del Cilento. Una scelta coerente con quello che è l’intento di Pagano: rendere i prodotti dell’azienda dei veri e propri ambasciatori di questa terra, in grado di raccontarne la bellezza e la bontà in giro per il mondo.

I vigneti sono due: il più esteso, vicino ai templi di Paestum, ai piedi del Monte Calpazio, è rivolto a sud-sud ovest, verso il mare, dove il sole scalda le giornate e la brezza marina accarezza le viti. Da queste terre nascono vini come l’Aglianico “Gillo Dorfles” 2017 IGP Paestum, dedicato a Gillo Dorfles, per il quale in etichetta si alternano ogni anno i sedici disegni regalati dall’artista friulano a Pagano.

Un’annata tosta la 2017, estremamente calda, tanto che si decise di anticipare la vendemmia a metà settembre. A discapito di tutte le difficoltà, però, nel calice si trova un grandissimo vino, che esprime una gestione del tannino magistrale e una persistenza olfattiva sconfinata.

L’altro vigneto, immerso tra i boschi e le montagne di Stio, nel cuore del Parco Nazionale del Cilento, tra i 500 e i 600 metri sul livello del mare, dà vita a uve di pregio come quelle che compongono il Fiano “Pian di Stio” 2022 IGP Paestum. Una grande espressione di Fiano già in questa giovane annata, che seduce l’olfatto con un intenso bouquet di fiori di campo, ma al palato si dimostra verticale e diretto, fresco e minerale.

* I vini dell’azienda San Salvatore 1988 sono distribuiti da Partesa.

Cosa si fa a Piazzetta Milù?

Nel locale stabiese della famiglia Izzo si gioca molto, quello che non si fa però è scherzare. Il gioco immaginifico di Maicol Izzo non conosce limiti e trasmuta ricette, tradizioni e ingredienti a cui tutti siamo abituati in modo da renderli irriconoscibili eppure così familiari al palato. L’insegna di Castellammare di Stabia, nata circa 20 anni fa come pizzeria, regala una delle cucine più vitali del momento e tramite un menù festivo in limited edition (solo per il mese di dicembre) dimostra una capacità d’adattamento e lampi di genio fuori dal comune.

Di cosa parliamo quando parliamo di Milù

Piazzetta Milù è uno dei più importanti ristoranti d’Italia in cui lo Chef non supera i 30 anni (appena compiuti nell’anno della seconda stella), in cui il sommelier, Emauele Izzo, è stato già riconosciuto come migliore dell’anno dall’Académie Internationale de la Gastronomie e dove ogni piatto dopo essere stato ritrovato nella tradizione e pensato in maniera emotiva e storica, viene rivoltato, ripensato e consegnato al piatto in veste del tutto nuova con un potere espressivo mai assaggiato prima. Nella cucina di Izzo un normale baccalà mantecato si trasforma in un assaggio di Takoyaki al baccalà servito con miele piccante allo jalapeno, il primo morso è stupefacente, il rivestimento croccante del takoyaki deflagra in mille pezzi, la dolcezza del baccalà prende il sopravvento sul palato finché le note aromatiche e piccanti del miele non lo raggiungono in quello che è probabilmente uno dei morsi più prelibati dell’anno. Il fondo della scodella del sautè di vongole, che durante le feste chiunque si è divertito a prosciugare dapprima col guscio degli stessi molluschi e in seguito (solo i più coraggiosi) con un cucchiaio, diventa un dashi da bere che riscalda il cuore; l’Insalata russa assume i connotati visivi di un bellissimo dolce pur mantenendo il suo sapido gusto.

Il menù vanta circa una ventina di portate che sarebbe ingiusto rivelare del tutto su queste pagine (la famiglia Izzo fa della sorpresa un punto forte dell’esperienza della sua insegna) si vogliono solo segnalare in questa sede i dolci, che hanno l’arduo compito di non sfigurare dinnanzi a un percorso così complesso, compito che non solo assolvono in pieno ma che eccedono regalandovi uno dei fine pasto più gioiosi che si possa.

IL PIATTO MIGLIORE: Takoyaki di baccalà con miele di jalapeno.

La Galleria Fotografica:

L’eleganza e il guizzo di Luigi Salomone

Il progetto di Re Santi e Leoni nasce intorno allo Chef Luigi Salomone e alla sua idea di cucina. L’architettura di questo luogo, nel centro di Nola, al centro della Campania, è la trasposizione esatta delle sue idee e della sua filosofia realizzata senza fornelli ma con luci, arredi e superfici. C’è il confort che sicuramente caratterizza la proposta gastronomica, centrata sull’ingrediente giusto senza troppe manipolazioni, qui mutuata nelle sedute di Gae Aulenti. C’è l’eleganza che percorre tutti gli impiattamenti, quella sobrietà per le proposte mai eccessive, mai urlate come i toni del bianconero della sala. C’è infine il guizzo, la scheggia di avanguardia proprio come quella boiserie in alluminio ad avvolgere e contaminare lo spazio severo della galleria in tufo, scandita dagli archi. Allora a tavola ci si potrà affidare alla squadra – già di grande spessore – per la scelta di un percorso che sarà ben accompagnato dalla intraprendenza del giovane sommelier Salvatore Matarazzo e dal mestiere di Silvana Di Domenico.

La semplicità diventa perfezione

Si comincia con il Gambero viola che non perde la sua ricchezza con l’orto stagionale tra l’amaro delle fave, i dolci piselli e l’acidulo del pomodoro verde, ma è con l’Uovo stravecchio, misura della sapienza di Luigi Salomone, che la semplicità diventa perfezione: bilanciamento perfetto con tartufo, retrogusto della birra ed erbe spontanee selezionate una ad una in maniera maniacale. Per i primi, leitmotiv rintracciabile spesso nelle scelte dello Chef è la riproposizione di piatti iconici della tradizione che qui si palesano con il Tubetto con polpo alla cacciatora e pomodoro infornato prima, e con l’Impe…pasta dopo, ovvero una rilettura delle cozze pepate con il limone in un piatto di grandissima intensità. L’Agnello, infine ripercorre il doppio binario tra il pop e la sua raffinata evoluzione nel doppio servizio tra kebab di strada e nell’impiattamento più audace, con acciughe e pecorino a donare carattere. Dolci curati e di base golosa con il Cioccolato al cucchiaio che alterna il dolce della barbabietola con l’acidità dei frutti rossi.

IL PIATTO MIGLIORE: Uovo stravecchio, erbe spontanee, birra e tartufo nero.

La Galleria Fotografica:

Terra mia!

Nella sua accezione classica, l’idillio è componimento poetico riconoscibile per brevità ma, soprattutto, per le percezioni proprie dell’individuo che lo compone. Storie e luoghi personali rappresentano punti di partenza per la comprensione stessa dei versi presentati e, così, l’Idylio tangibile di Francesco Apreda è collocato all’interno dell’altisonante Pantheon Iconic Rome Hotel, ma ricerca una propria dimensione intima dove declamare l’abile miscellanea gastronomica che lo abita. Una precisazione, però, è d’uopo: da qualche tempo i percorsi proposti da Apreda si prefiggono la cosiddetta sapidità essenziale, dove l’estrazione rappresenta il cambio gustativo con cui accelerare o rallentare la percezione di un piatto. Decisive le esperienze in Asia, di cui la vis speziata diventa esatta rappresentante, e si rivela utile anche per rileggere in chiave attuale le proprie origini. La cosiddetta “Terra Mia”, definita qui in cinque passaggi, è la visione offerta da Apreda per la sua Campania Felix, ed è la chiave con cui ci siamo approcciati in questa nostra visita.

Una tradizione atavica

Si comincia con una Caprese tiepida liquida e affumicata. Qui la mozzarella di bufala, nella sua stra-ordinaria semplicità, è servita alla temperatura dei 38°, la stessa della mungitura del latte, ed è velata dalla gelatina di latte di bufala fondente con il brodo di pomodoro piccatiello. Interlocutorio invece il fagiolo borlotto reidratato a donare masticazione, di difficile collocamento nell’ensemble del piatto, dove il pomodoro tende a sovrastare il latticino. I Moscardini alla Luciana sono una tra le effigi campane più conosciute, qui sublimati in una cottura millimetrica grazie alla forte arrostitura antecedente l’affogatura in umido. Tentacolo deliziosamente croccante e salsa all’Aglianico piacevolmente incentrata sulla forza del vino impiegato. Intelligente l’uso del sedano abbinato all’alga kombu, binomio tra freschezza e salinità.

I Maccheroni arruscati al ragù napoletano sono manifestazione balsamica dove il pepe della tradizione napoletana, trova una connotazione indiana con varietali aromatici tendenti alla liquirizia. Il maccherone nella sua duplice cottura però cede il passo alla plastica coriacità del passaggio eccessivo in padella. Il Baccalà alla genovese “rinforzata”, piatto principe della sequenza, è anche sintesi tecnico-locale. Il baccalà cotto nel grasso del vitello, preserva la sua morbida consistenza, al contempo l’estratto di genovese distilla il lato dolce della cipolla, rinforzato appunto per acidità e textura dalle verdure in agro accompagnamento. Infine il dolce Babà “Mille Culure”, alloro e mela annurca, opulento negli elementi presenti, panna all’alloro, sfera di gelato alla mela annurca come inserto del babà a sua volta aromatizzato allo speziato rhum nero Kraken. Un dessert esteticamente impattante ma difficilmente coeso.

Dalle mille sfaccettature, caleidoscopica nella forma ma anche nei contenuti, in alcuni casi di non facile comprensione, la cucina di Apreda, come un dialetto, anche nelle imperfezioni risulta affascinate e curiosa nella sua arcaica musicalità. La clientela dell’Idylio, del resto, è prettamente internazionale e sfoggia lingue, storie e culture che si mescolano tra loro anche nel linguaggio a tavola. Crediamo che la sfida di Apreda sarà anche quella di rendere intellegibile una tradizione atavica anche per chi arriverà dall’altra parte dell’oceano, preservandone autenticità e sapori. “A meglia parola è chella ca’ nun se dice” oggi qui aggiungeremmo “ma forse quella che si assaggia!”

IL PIATTO MIGLIORE: Baccalà alla genovese “rinforzata”.

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