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Alta Quota Metodo Classico Serracavallo

La nobiltà calabrese

Sorride Demetrio Stancati. Uno di quei sorrisi veri, caldi, solari. Come la sua terra, la Calabria. Una terra fatta di sole, mare e agricoltura, tra cui spicca la vite dai tempi che furono. Già, perché la Calabria è la regione che vanta la più antica storia enologica d’Italia: si parla di allevamento dell’uva risalente a 3000 anni fa, quando nel bacino del Mediterraneo gli unici paesi a produrre il nettare divino erano per l’appunto Grecia e Calabria. Una delle regioni più antiche, quindi, con una grande tradizione vinicola che ora sta iniziando a raccogliere i suoi frutti.

Proprio in occasione del Vinitaly 2019 incrociammo questo sguardo solare tipico del sud Italia che attirò la nostra attenzione. E ci focalizzammo su quel particolare non molto comune laggiù nel sud: uno Spumante Metodo Classico. Quando si pensa al Metodo Classico, infatti, la mente ricollega questa tipologia di vini a territori ubicati nel nord Italia, nella Champagne o in generale a climi freddi. Ma bisogna uscire dai luoghi comuni come fece Demetrio – proprietario dell’azienda Serracavallo e presidente del consorzio di tutela Terre di Cosenza che dal 1995 ha iniziato a condurre sapientemente – passando da un pezzettino di vigna di poco più di un ettaro fino ad arrivare ai 30 circa odierni. Ci è riuscito realizzando questo capolavoro, Alta Quota. Si tratta di un metodo classico ottenuto da un “cru” particolare, un vigneto di un ettaro impiantato interamente a Chardonnay situato nel parco nazionale della Sila a 1300 mt. di altitudine, circondato da una zona boschiva su terreni granitici di fronte al mare e accarezzato dalla brezza salina.

Qui avviene la magia: questo altopiano è orientato verso sud-est con esposizione ottimale per l’uva, che gode di un irraggiamento solare permanente in tutto l’arco della giornata e di temperature fresche anche nel periodo estivo, con escursione termiche che arrivano a toccare i 20 gradi tra giorno e notte. Queste caratteristiche favoriscono l’accumulo di sostanze terpeniche e di conseguenza un ventaglio di profumi più ampio nel vino, una freschezza molto stabile e un ciclo vegetativo della pianta più prolungato laddove la vendemmia avviene non prima della metà di ottobre. Si perché se solitamente le basi spumante vengono vendemmiate tra la fine di agosto e la metà settembre –complice il surriscaldamento globale – per mantenere alte le acidità, questo altopiano regala un microclima completamente paradisiaco per le basi spumante, pur essendo collocato nel sud Italia. Un vino alpino in mezzo al mediterraneo.

 

E la magia si trasmette dal racconto al sorso, pieno di sapore e fresco come non mai. I profumi sono iodati e balsamici contornati da accenni di albicocca, ananas e pasta frolla. La maturità dell’uva si percepisce nella consistenza palatale che si accompagna a una cremosità dell’anidride carbonica molto setosa, risultato di una lunga evoluzione in bottiglia di 48 mesi. Netta è l’impronta al palato di macchia mediterranea, uva passa e un retrogusto che ricorda la torbatura dei classici whisky scozzesi. La persistenza? Lunga, esotica e avvolgente. Passione infinita.

Un progetto ad ampio respiro con la Calabria che ne fa da padrona. Non capita spesso di imbattersi in uno spumante che comunichi il territorio come lo riprende Alta Quota, esprimendo l’orgoglio di un legame come quello che concorre tra il suo popolo e la propria terra, i Calabresi e la Calabria. Il riscatto è ora. Salute.

La rivincita gastronomica di un’intera regione parte dalla nuova linfa dei giovanissimi

Se da qualche anno a questa parte giovani talenti già affermati, come Luca Abbruzzino e Caterina Ceraudo, hanno fatto accendere i riflettori sull’alta cucina calabrese, una serie di altrettanto bravi giovani cuochi sta pian piano asfaltando questo solco ben tracciato, con l’intento di risollevare le sorti gastronomiche di un’intera regione che si sta facendo scoprire dal grande pubblico (anche internazionale).
Dalla costa tirrenica a quella ionica, dal Pollino all’Aspromonte, passando per la Sila, c’è un grande fermento per cui varrebbe la pena fare qualche chilometro.
A distanza di due anni dall’ultima visita siamo ritornati a La Tavernetta, un faro della ristorazione calabrese, e ci siamo imbattuti nella cosiddetta fase del cambiamento. Quella in cui tutte le certezze della storia del locale vengono messe in discussione, con coraggio e consapevolezza, proiettando il presente, intriso di stimoli e voglia di sorprendere, verso un futuro che tende ad una messa a fuoco stabile tra innovazione, tradizione e personalizzazione.
Questi luoghi offrono tantissimo, soprattutto nei prodotti della terra (il tartufo lo si trova in tutte le stagioni, e quello nero estivo è un prodotto di eccellenza) e offrono la possibilità di lavorare a stretto contatto con produttori e artigiani, dai quali si può attingere una materia prima con pochi eguali.

Due proposte: una gourmet e una territoriale

La famiglia Lecce ha lasciato l’intera gestione della cucina al secondogenito Emanuele, venticinquenne, con esperienze recenti da Crippa e in partenza per le grandi cucine di Francia.
La voglia di far scoprire prodotti e piatti gourmet anche extraterritoriali è tanta e da queste parti – luoghi poco avvezzi ad arzigogoli gourmet – non guasta neanche tanto, al punto che una parte del menu è dedicata ad una cucina più globale. Ma la parte senz’altro più interessante della proposta resta quella che vede come protagonista l’espressione del territorio e l’utilizzo dei suoi prodotti.
Si parte dalla Sila, con il manzo podolico servito a battuta con erbe di campo, il Risotto mantecato con melanzana alla brace, porcini disidratati e anice silano, la generosa variazione di funghi locali e il Raviolo porcini e tartufo, per arrivare al resto della regione con gli Gnocchi di patate silane serviti con ‘nduja, crema di pecorino crotonese e cipolla di Tropea. Proprio quest’ultimo, che può sembrare un’accozzaglia forzata di banalità gastronomiche, si è rivelato invece un piatto equilibrato e gustosissimo nel suo insieme.

C’è ancora un gap da colmare tra reparto dolciario e tutto il resto, ma l’audace Namelaka al caffè, sorbetto d’anice e cialda al rosmarino lascia ben presagire per il futuro.

Al momento ci sentiamo di dare fiducia a questo locale ed arrotondare il giudizio per eccesso, ma di strada da percorrere ce n’è ancora.

La galleria fotografica:

Passione e caparbietà per la valorizzazione del territorio: l’atto d’amore della famiglia Ceraudo per la Calabria.

Quella della famiglia Ceraudo è una storia avvincente. In una zona di campagna della Calabria ionica, non proprio di passaggio e non comodissima da raggiungere, è nata un’azienda agricola, interamente biologica, dove madre natura bacia i suoi frutti più buoni dai quali vengono plasmati un ottimo vino e un eccellente olio. Fiore all’occhiello di questa piccola oasi naturale, tra vigna, ulivi e alberi di agrumi, è la cucina di Caterina, la più giovane di tre figli, una delle cuoche più brave dello stivale, la migliore secondo la Michelin.

Ambasciatrice per eccellenza del nuovo corso della cucina calabrese, Caterina Ceraudo, enologa, oltre che sommelier nel ristorante di famiglia quando ai fornelli c’era il compianto Frank Rizzuti, al tempo consulente dei Ceraudo, solo in un secondo momento ha effettuato una inversione di marcia percorrendo e approfondendo il mestiere di cuoca. Ha appreso le tecniche e la materia prima in quell’importante fucina che è la scuola di formazione di Niko Romito e dal genio abruzzese ha assorbito sicuramente savoir bien faire, stile e filosofia di cucina attraverso il quale, oggi,  porta in tavola il prodotto calabrese – sia esso di terra o di mare – scevro di orpelli superflui, preferendo estrazioni a salse elaborate, in modo da creare affinità tra i suoi piatti e i vini di papà Roberto.

Le linee guida della tavola di Caterina sono quelle apprese durante la formazione a Castel di Sangro, ma il temperamento è tutto calabrese, femminile e autorevole. Pochi ingredienti in ogni piatto, nessun gusto o retrogusto spigoloso, rievocazione dei sapori di casa, qualche nuovo innesto ed una leggerezza senza pari. Qui, all’ombra del casolare/frantoio seicentesco, ci si alza da tavola soddisfatti e, soprattutto, senza sentirsi per nulla appesantiti.

L’essenziale patata cotta sotto la cenere con estratto di peperoni bruciati e basilico riesce a stravolgere l’esecuzione della tipica ricetta regionale di patate e peperoni, eliminando grassi e soffritti, ma ad un tempo preservando il sapore della tradizione (incluso quello di bruciato che resta attaccato al fondo della padella). Dal minimale spaghetto cotto nel vino bianco escono in purezza la dolcezza dei fiori di zucca (ridotti a crema) e la perfetta sapidità delle acciughe, accostata a parmigiano e limone. L’elasticità della sfoglia completa il gioco di consistenze, tra acidità e dolcezze, nel raviolo farcito di melanzana ed estratto di pomodoro. Una mano sicura che riporta costante equilibrio tra tonalità sapide, speziate, dolci, amare e acide. Si termina con l’armonioso dessert al cioccolato bianco, frutti rossi, liquirizia e aceto di lamponi. Tutti omaggi lucidissimi alla filosofia del Reale.

La cucina di Caterina Ceraudo sta entrando nel vivo, quelli assaggiati sono grandi piatti che però presentano ancora quel pressoché identico costrutto concettuale ‘romitiano’: forse questo, allo stato attuale, è l’unico limite di questa brava cuoca. Una cucina brillante e identitaria, che con un ulteriore passo verso la maturità potrebbe certamente approdare ad uno stile più personale, già presente nel suo DNA. Caterina ha gli ingredienti e le basi culturali per crescere ancora, nella sua giovane ma già degna di nota carriera.

I tempi di servizio sono da ristorante importante, mentre sul personale di sala alcuni dei più giovani camerieri conservano a tratti un profilo troppo formale e poco disinvolto.

La carta dei vini è contenuta seppur con etichette che spaziano dalla regione alla nazione, dall’Europa al mondo, oltre ai vini dell’azienda vitivinicola di famiglia.

Dattilo è una esperienza imprescindibile per testare l’ormai elevato standard della grande cucina calabrese e un luogo ideale per assaporare alcuni grandi prodotti della regione. L’agriturismo offre inoltre anche camere per prolungare la sosta in estrema piacevolezza.

Un giovane talento nitido e cristallino che illumina la Calabria intera, passando per Catanzaro

Ricordiamo ancora la nostra prima visita nella periferia di Catanzaro. Arrivammo come ora in una sera d’estate e rimanemmo colpiti dal talento cristallino di Luca Abbruzzino, allora 25enne, che ci mise in tavola tanto cuore, anima e concentrazione. Era ancora il tempo di Antonio, suo padre, molto presente in cucina. La mano lunga di mamma Rosetta ad accudire entrambi in sala.

Ma come dicemmo allora, e lo ribadiamo fermamente, la più grande fortuna di Luca sono i suoi due straordinari genitori. Che non mancano mai di lasciare a lui i riflettori, di scansarsi, ma che continuano ancor oggi un duro e costante ma inesorabile lavoro per il loro gioiello. E lui non manca di ripagarli con dedizione, umiltà, voglia di fare, voglia ancora di imparare e, non ultimo con un talento e una capacità che continua, ca va sans dire, a perfezionarsi e a migliorare incredibilmente con il passare degli anni.

Quindi, dopo la recente ristrutturazione del locale, davvero molto riuscita, il ristorante ha cambiato nome. Non più Antonio Abbruzzino ma solo Abbruzzino. Un altro passo verso Luca. Che ci ha ammaliato e strabiliato con alcuni colpi da maestro davvero formidabili. Dopo la ruvida immaturità del 2014, ma che lasciava intravedere il talento, c’è stato il percorso verso le contaminazioni, ed ecco quindi gli anni successivi passati a sperimentare e a mettere in pratica ciò che aveva imparato dai grandi chef da cui era stato. Un passaggio doveroso, in cui si era un po persa l’identità. Ma la cucina continuava a migliorare e progredire.

Oggi, anno domini 2017, abbiamo trovato una cucina molto più matura e personale, molto più sua. Ancora qualche reiterazione stilistica delle sue esperienze pregresse c’è, ma col tempo lascerà il passo ad una straordinaria personalità, già oggi ben presente nei piatti. Che diventeranno ancor più curati nelle geometrie e nelle proporzioni, meno caotici, un pizzico più lineari e puliti, meno ridondanti. Tutti dettagli, infinitesimali e millimetrici, ma che ci sentiamo di annotare ad uno dei grandi talenti giovani italiani, senza ombra di dubbio. Uno strepitoso merluzzo, finito con una finta mugnaia di latte di merluzzo, in cui l’artemisia faceva volare la preparazione. Un riso mantecato al ristretto di calamaro, cipollotto e liquirizia, un gioco di equilibri in cui il talento ha vinto a mani basse. E poi che dire del pollo, stratosferico, e dei dessert, tutti strepitosi con un finale sulla lavorazione della Merendella da urlo. Il resto? solo strepitoso.

Un cuoco che farà sicuramente parlare di sé, umile ma molto dotato, intelligente e gran lavoratore, talentuoso ma al contempo sempre un pochino insoddisfatto. Con queste caratteristiche farà certamente una importante e lunga carriera. E noi saremo lì, presenti, perché questa è una delle tavole che al momento ci diverte e ci stimola di più.

Vocazione per un territorio e valorizzazione delle risorse dello stesso.
Il contrasto all’omologazione delle materie prime nelle grandi tavole deve partire da questo concetto.
Questa, considerata l’incisiva variabile della produzione agroalimentare di qualità, che non sempre riesce ad soddisfare i bisogni della domanda garantendo una distribuzione “costante”, ormai è impresa ardua. Senza inerpicarci in argomenti delicati sulle cause principali di questa situazione, crediamo che anche soltanto il tentativo di dare adito ad un simile concetto possa aprire le porte a quello che ci auguriamo sia il futuro della ristorazione, ossia l’integrazione a 360° di artigiani e agricoltori di un intero territorio.

Sostenibilità. Nient’altro che un ritorno al passato.
Utopia? Chi può dirlo.

Nel cuore della Sila, altopiano con una vegetazione tra le più belle d’Italia, c’è una rinomata famiglia di ristoratori calabresi che, eroicamente, si batte da sempre per valorizzare le ricchezze di questi luoghi.
Carni, formaggi, uova, patate e soprattutto funghi. I porcini, in primis, per i quali Pietro Lecce ha reso la sua Tavernetta un must, anche oltre le frontiere locali.
Si potranno apprezzare in tanti modi, dai più semplici ai più elaborati godendo sempre e comunque a pieno del viscerale gusto di un prodotto di altissima gamma.
Nelle diverse stagioni, poi, si trovano i profumatissimi tartufi del Pollino, da gustare con uno dei piatti più celebri di questa cucina: “l’uovo soffice” delle galline di Campo San Lorenzo, una piatto vecchia scuola, frutto di caparbietà, in cui vengono utilizzati soltanto il forno ed olio di gomito.
Ma sono tante le leccornie che si trovano una volta entrati, dal godurioso aperitivo nella fornitissima cantina, a base di bollicine locali, prosciutto di montagna e focaccia, il biglietto da visita della calorosa accoglienza, alla podolica transumante calabrese da mangiare cruda, a tartare, o a tagliata, dopo una cottura millimetrica al sangue.
La Tavernetta, quando aprì i battenti, negli anni ottanta, era uno di quegli approdi felici in Calabria, trattoria sincera e genuina, in cui si faceva incetta di teglie di capretto con patate, ravioloni ai porcini e funghi trifolati.
Circa un decennio fa, poi, ci fu la coraggiosa svolta gourmet, con una linea di cucina più curata e qualche preparazione più opulenta che, fortunatamente, ha continuato a riscuotere consensi tra i vecchi e i nuovi clienti che hanno decretato il successo di questa tavola identificandola come uno dei punti di riferimento gastronomici della regione.

Oggi si avvicina l’avvicendamento dinastico ai fornelli. Il giovanissimo Emanuele ha preso in consegna le chiavi della cucina e si mostra già prontissimo a ripagare la fiducia riposta dal vulcanico papà Pietro (già artefice di quest’ottima cucina di alta quota, che oggi fornisce consulenza anche fuori dall’Italia) e dalla mamma Denise, garbata ed accogliente padrona di casa.
Le idee in cantiere sono tante, le basi tecniche ci sono, così come entusiasmo e voglia di fare.
Abbiamo trovato qualche sovrastruttura lipidica in alcuni piatti ma le cotture delle carni sono pressappoco perfette ed il livello di golosità in tutte le preparazioni è elevato. Ci si aspetterebbe di più dal reparto dolciario, dove non manca concentrazione gustativa ma sarebbe auspicabile trovare maggiore complessità, anche soltanto in ambito classico-tradizionale.
Il nostro augurio per il giovane cuoco è quello di fare ancora qualche esperienza importante, se possibile all’estero, dove ci invidiano tanti prodotti (anche di montagna), per avere l’opportunità di fare quel necessario salto di qualità (e maturità) prima di dedicarsi anima, corpo e mente al ristorante di famiglia.

Crediti finali per un servizio di gran livello (una vera e propria macchina da guerra in termini di tempistica e cortesia), per la notevole cantina dalla quale attingere a ragionevoli prezzi bottiglie importanti e per le confortevoli camere dell’Albergo San Lorenzo, con annessa ricca ed elegante colazione.
La Tavernetta, oggi, è tutto questo. Una tappa da non perdere in Calabria.

Si parlava di funghi?
Funghi, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
E di tartufi. Provenienza monte Pollino.
tartufi, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Altri prodotti di bosco.
La Tavernetta,Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Bollicine locali.
vino, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Eccellenti focacce.
focacce, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Il tutto accompagnato dall’eccellente prosciutto locale tagliato al coltello direttamente in cantina.
prosciutto crudo, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Il pane (da menzionare quello con farina di castagne).
pane, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Un’entrata servita nella stagione estiva: melanzana locale alla brace con porcini arrostiti, pomodori secchi e menta.
La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Carpaccio di porcini, olio biancolilla e sale. E’ il caso di dire, il lusso della semplicità.
porcini, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Transumanze: sottili fette di vitello podolico cotto a bassa temperatura e finferli.
fettine di vitello, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Il classico della cucina: l’uovo soffice…
uovo soffice, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
…al tartufo.
uovo, tartufo, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Con colata del tuorlo in evidenza.
uovo, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Maccheroni al ferretto con ragù di cinghiale, cipolla di Tropea croccante e neve di ricotta affumicata.
maccheroni al ferretto, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Fusilli integrali, porcini, fiori di zucca, burrata e zafferano.
fusilli, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Tagliata di controfiletto di vitello podolico con radicchi tostati. Un piatto che crea dipendenza.
tagliata, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Sella di capriolo, ribes e melanzana alla brace.
sella di capriolo, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Costine di agnello al fumo, menta ed erbette saltate.
Costine di agnello, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Piccola divagazione extraterritoriale: coscia d’oca confit, patata schiacciata e scaloppa di fegato grasso. Già visto in giro ma eseguito impeccabilmente.
Coscia d'oca, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
coscia d'oca, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
L’imperdibile variazione di funghi: fritti, stufati e arrostiti. Peccato per la presentazione un po’ dismessa.
funghi, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Patate della Sila cotte sotto la cenere. Eccellenti.
patate, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Tra i dolci, crema di Yuzu (che lo chef si è portato dietro da una consulenza all’estero) e gelato al fiordilatte.
dolce, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Il più classico, ma non nel nome, “Tiratisu”.
dolce, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Un bel rosso locale.
vino, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
La cantina con caveau.
cantina, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria

cantina, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Interni.
Interni, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria
Orto della casa.
orto, La Tavernetta, Chef Pietro ed Emanuele Lecce, Camigliatello Silano, Calabria