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Florian Maison

Giovani forchette alla riscossa. In questo spazio di PG, raccogliamo dunque testimonianze, racconti, itinerari e segnalazioni di giovani penne dall’attitudine ‘buongustaia’, che autonomamente hanno trovato affinità con il nostro approccio. Non sarà consentito loro, per ora, di esprimere un voto, ma solo commenti e descrizioni della loro esperienza. Il canale ‘Young Forks’: ai giovani parole e forchette, a voi la lettura”.

I classici alla mediterranea

Su un’altura con vista sulle montagne bergamasche, la Florian Maison dello chef De Martino propone una cucina in equilibrio tra i freschi sapori mediterranei e piatti sinonimo di golosità in un locale elegante e curato in ogni dettaglio.

La cena si alterna tra portate di pesce di eccellente qualità, come lo scampo arrosto con bufala, ricci di mare e limone candito, davvero rotondo e dalla tecnica encomiabile, o il risotto con astice, lime e menta, in cui il crostaceo in cruditè viene sublimato e completato nel suo sapore genuino dagli altri ingredienti, a piatti che conquistano già per la voglia di giocare, come gli gnocchi all’arancia con ragù d’anatra che declinano in chiave originale la più classica anatra all’arancia o il filetto crudo e cotto con fonduta di provolone, pere e pinoli, che convince nel contrasto tra le carni e a cui, tuttavia, avrebbe giovato qualche pinolo in più per approfondire il sapore tostato che rende il piatto unico. Goloso anche il foie gras con pere, il cui sapore viene impreziosito dal cacao, ma, mentre lo mangiamo, come per gli altri piatti di carne, non possiamo non ripensare al livello d’eccellenza raggiunto con le portate di pesce e augurarci che anche la terra arrivi sullo stesso piano.

Menzione speciale per il pane e i grissini, vari, stuzzicanti, leggeri e tutti perfettamente eseguiti. Il personale è professionale anche se non esente da piccole imperfezioni, soprattutto nel servizio del vino.

Insomma, un’esperienza sincera e raffinata ad un prezzo più che corretto.

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La cucina bruta

Poco lontano da Bergamo va in scena una cucina che si definisce “bruta”, nella sua accezione più materica, essenziale, raw. Si punta alla valorizzazione della materia prima e cotture antiche, senza roner o sifoni. L’approccio del Ru.sti.kal è eticamente sostenibile, c’è grande attenzione agli sprechi. Le metodologie di conservazione sono a lungo termine e naturali come lacto-fermentazioni, essiccature, salamoie e frollature delle carni, fatte in loco. Lo chef Federico Colombini, pur giovane, vanta esperienze da Norbert Niederkofler, AGA, un anno al Mugaritz e un breve periodo da Heston Blumenthal. Da ogni esperienza ha preso qualcosa e ora lavora sulla sua idea di cucina, che ha una forte identità, sapori forti e decisi. Coraggiosa la scelta di non avere menù alla carta, ma tre menù degustazione a 30, 50 e 70 euro.

Il menù del Paese delle Meraviglie

L’impostazione “brutale” iniziale lascia poi il passo ad una vena ludica, da illusionista. Il piatto intitolato Il tè del Bianconiglio viene messo in scena dallo chef stesso che, indossando con un cappello a cilindro, diventa protagonista di  una gag divertente. Il tè, servito con un pan brioche e un jus che sembra cioccolato, è una reinterpretazione della lepre in salmì con brodo di coniglio chiarificato con il sangue, poi utilizzato per la crema. Il gioco di illusione c’è anche nel Brasato, che, al posto della carne, usa il topinambur.

Continuando con il gioco, il menù recita Lasagne ma, motivandolo come un errore dello chef, arrivano al tavolo dei ravioli gustosissimi con un ripieno di capocollo e diaframma, che riprende una antica ricetta. Si spinge molto sulla sapidità, talvolta anche borderline, nella maggior parte dei piatti. C’è qualche pausa di delicatezza: la tartare di trota affumicata con salsa al beurre blanc con le interiora del pesce ed edera è deliziosamente equilibrata. Poco convenzionale la scelta di non servire il pane per le prime portate e farlo diventare una portata, in veste di scarpetta, per “pulire” un piatto con un dripping di salsa di susine fermentate e fondo di osso buco.

Molto interessanti tutti i piatti di carne, a partire dalla lingua con una idea di salsa al brasato, che in realtà è ricavata da un fondo fatto con tuberi e mirtilli in salamoia. Il collo di agnello con un fondo di latticello di capra, gioca concettualmente con l’alimentazione dell’animale. I fondi e le salse sono sicuramente un punto di forza e danno sempre una bella spinta ai piatti, tutti estremamente promettenti benché in alcuni casi la corrispondenza fra il concetto creativo e l’esecuzione possa affinarsi ulteriormente.

Interessante anche  la parte dolce: il pre-dessert consiste in una grattugiata di castagne in conserva che copre un cuore di siero caramellato di ricotta di capra. Si finisce con un omaggio allo Scottish Tea con pera e gelato al tè, coperti da un velo ricavato da tè e whiskey.

L’esperienza, nel suo complesso, è decisamente da consigliare.

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Wanderlust, il microcosmo gastronomico di Filippo Cammarata

A pochi minuti dall’uscita di Dalmine, in una zona industriale e commerciale, un capannone è stato trasformato in un edificio di design: al piano terra c’è uno showroom e al piano di sopra la sala del ristorante, dal design elegantemente moderno. In cucina il team è coordinato da Filippo Cammarata, un giovane e colto chef con la passione per i viaggi e per l’arte. Il suo menù degustazione più completo si chiama “Wanderlust”, termine tedesco che si riferisce al desiderio di viaggiare e non stupisce, a questo proposito, che tanti piatti siano stati influenzati dai ricordi di viaggio. Il risultato è una cucina armoniosa, rotonda e gustosa, con alcuni spunti di estrosità.

Una cucina contemporanea e cosmopolita

Il menù parte dagli amuse bouche che hanno chiari riferimenti alle origini dello chef, bergamasco di nascita ma siciliano di origine: si inizia quindi con pane cunzato, una crema di taleggio con tarassaco e un Rocher con caponata all’interno. Si procede sulla scia del gusto con un casoncello e con una insalata con tonno crudo, la sua maionese, cipolla di Tropea e gelato al tuorlo d’uovo, ispirato dal ritorno dal cammino di Santiago. C’è poi il Giappone con un delicato chawanmushi con gambero in varie consistenze: crudo, testa fritta e in dashi. Si osa, in Francia, con un’insalata di riso fritto, crema di pomodoro, coscia di anatra confit, incenso e coriandolo, piatto dalle molte sfaccettature spinto dall’uso delle erbe e avente un unico difetto, l’eccessiva quantità di riso, di difficile masticazione.

Si percorre poi il tratto Napoli-Roma coi paccheri con estratto di coda alla vaccinara e sedano croccante, goduriosamente piacioni. C’è il Perù, con una sogliola in ceviche caldo, un’interessante crema di limone, polvere di amaranto soffiato e foglie di fico. Si torna in Italia con un piccione cotto alla perfezione e servito in due tempi, il petto e filetto prima e poi una deliziosa coscia farcita con Royale di fegatini e fegato appena scottato e il cuore laccato al rosmarino.

Nota di merito ai dessert, col finale ispirato agli Achrome di Piero Manzoni, uno studio sull’assenza di colore che prevedeva la realizzazione di effetti particolari giocando con le superfici. Da qui nasce un piatto rigorosamente monocromatico con una meringa a ricoprire dei cubetti di finocchio, Mozzarella di Bufala e un semifreddo al cioccolato bianco: molto interessante per le diverse consistenze e la piacevole dolcezza della mozzarella.

Per chi, poi, non volesse cimentarsi in questo viaggio attorno al mondo, anche interiore, dello chef ci sono altri due menu, uno di carne e uno di pesce, oppure la carta.

In sala il servizio è giovane ma molto attento e preciso: non è da tutti passare con il raccogli briciole durante il pasto. Una carta dei vini interessante, con alcune chicche in evoluzione, dato che il locale è aperto da luglio. La sala piena, con un tavolo grande di giovani clienti, denota la capacità dello chef di piacere intrigando la propria clientela.

Davvero un’esperienza di contemporary world cuisine in quel di Lallio, in provincia di Bergamo.

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“Giovani forchette alla riscossa. In questo spazio di PG, raccogliamo dunque testimonianze, racconti, itinerari e segnalazioni di giovani penne dall’attitudine ‘buongustaia’, che autonomamente hanno trovato affinità con il nostro approccio. Non sarà consentito loro, per ora, di esprimere un voto, ma solo commenti e descrizioni della loro esperienza. Il canale ‘Young Forks’: ai giovani parole e forchette, a voi la lettura”

Un viaggio nei sapori più profondi

Da un vecchio deposito di pullman si parte per un viaggio nel mondo, con alla guida lo chef Cristian Fagone, che conduce percorsi creativi dove è elevata l’attenzione per gli abbinamenti e le cotture. 

Di quest’esperienza rimane ben impresso il sapore acido e fresco del limone messicano, ricreato nella zuppetta di pesce, come la morbidezza del Jerk Chicken jamaicano e la piacevole nota amara delle cime di rapa. Nel raviolo alla norma si curva verso un gioco di temperature degli ingredienti, per salire fino alla scoperta dell’umami, il sesto gusto “saporito”, che emerge sapientemente dalla triglia caramellata.

Per chi vuole un viaggio dai sapori più vicini è possibile prendere un biglietto solo per l’Europa, con piatti tra la Francia e l’Italia. 

Locale minimal ma spazioso, con anche un dehor esterno, dove sgranchirsi le gambe durante questo viaggio tra fresche creazioni culinarie, alla (ri)scoperta dei sapori amari ed acidi. 

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Alle porte di Bergamo, una dinamica cucina a sei mani testimonia di un’antica amicizia

Cinzia Mismetti, Jonathan Signorelli, William Bertocchi: questi i nomi dei tre giovani amici che, dopo l’esperienza bergamasca del Degusto Birra e Cucina, hanno dato vita al progetto Nasturzio.

Un bel ristorante giovane e dinamico, in una location insolita: un antico complesso carmelitano, ad Albino, piccolo centro alle porte di Bergamo. Il locale, composto da un unico ambiente, custodisce un’atmosfera giovane e informale, enfatizzata da un arredamento minimalista: pochi arredi alle pareti, niente tovaglia, solidi tavoli in legno che trasmettono calore. Il locale è pieno: molti sono giovani, e questa è sempre una bella cosa. C’è anche un po’ di sano caos, si aspetta un po’ troppo prima di essere accolti e poi anche prima di poter ordinare, ma l’entusiasmo di Sara Carrara e Mattia Moroni, in sala, è tale da predisporre all’indulgenza.

Un ristorante giovane, rivolto ai giovani

Lo si capisce anche dai prezzi: il menu degustazione, di sette portate – caffè compreso – costa 42 euro. Alla carta si paga poco di più. Anche la cucina è moderna, dinamica, eseguita in modo più che corretto dai tre giovani cuochi, già compagni di classe all’Istituto alberghiero di Nembro e, anche, di lavoro, tra Londra e il Sudamerica.

La loro è una cucina di stampo fusion che unisce elementi tradizionali del territorio orobico a suggestioni che vengono da lontano. E così accanto agli Scarpinocc – gli antichi ravioli della Val Seriana – e ai formaggi “antichi”, come lo Striato del Colle Gallo che arricchisce l’uovo a bassa temperatura, trovi le ostriche di Grandcamp Maisy e il foie gras.

I piatti mantengono un buon indice di gradevolezza, non risultando mai impegnativi. La cucina dosa bene contrasti e consistenze in modo forse fin troppo didascalico, ma l’equilibrio di un piatto tendente  all’amaro come la Capasanta, emulsione di olive e carciofi fa capire che c’è buona tecnica e buon palato, nonché originalità anche nell’esecuzione di un piatto inflazionato come l’Uovo cotto a bassa temperatura, che si fa apprezzare per la bella croccantezza dell’amaretto e per la decisa nota aromatica dello Striato del Colle Gallo.

Semplice e minimalista, una cucina curata che alterna proposte di territorio a suggestioni internazionali

Qualche temperatura da calibrare meglio – un piatto come gli gnocchi ripieni di fontina deve essere servito più caldo – e un maialino a cui mancava la giusta umidità – e forse anche un po’ di intingolo – non influiscono sul nostro giudizio che resta positivo: al netto di qualche imperfezione, che con il tempo potrà certamente essere compresa e razionalizzata, la formula del Nasturzio ci sembra quella giusta.

Già una bella, e popolare, realtà!

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