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Tickets

Una delle massime espressioni di Albert Adrià 

Siamo nel quartiere di Sant Antoni, dove il genio di Albert Adrià ha dato vita a El Barrì: l’immaginario barrio che comprende i suoi sei ristoranti di cui Tickets, insieme a Enigma, costituisce la punta di diamante.
Sedersi qui richiede una notevole dose di fortuna: il ristorante è sempre sold-out e le prenotazioni, esclusivamente online, si esauriscono nel giro di pochi secondi. Tuttavia, se riuscirete a conquistare uno dei tickets che garantiscono l’accesso a una delle quaranta sedute di Avinguda del Parallel, la fatica sarà ripagata.

Più che un tapas bar, un eccellente ristorante gourmet

Ma diciamolo subito: la definizione di tapas bar non rende giustizia a Tickets, che è molto di più di quello che recita il nome. Vi è la dimensione onirico-ludica del circo che, appena varcata la porta, fa tornare bambini travolti da un’atmosfera piacevolmente kitch che va delle insegne luccicanti (coi motti la vida tapa, tapas es libertad), agli schermi al neon, alle locandine teatrali fino alle divise da domatori del personale di sala, mentre i camerieri addetti ai dolci sono abbigliati alla maniera degli sweet soldiers.

Un teatro che non offusca il livello della cucina, anzi di queste cucine, poiché in realtà sono quattro, e a vista, le postazioni in cui vengono effettuate le preparazioni. Ma è filologicamente corretto il concetto: perché la cucina si articola sul concetto spagnolo di tapas, qui nella sua versione più libera dallo schema canonico. L’avventore, poi, ha la libertà di scegliere la mezza porzione, per favorire più assaggi, o la porzione intera, da condividere senza imbarazzi. Eppure, benché la traccia sia quella delle tapas, appunto, qui le stesse sono sublimate e, con sovente ricorso alle più moderne tecniche, sono sempre golosissime, caratterizzandosi per perfette cotture, realizzate al millimetro, e l’assemblaggio di materie prime di altissima qualità.

Una sarabanda, salata e dolce, di circa quattro ore 

Mai come in questo caso il racconto del nostro pranzo non può ridursi all’elenco di una serie di pietanze: si è trattato di un travolgente baillamme gastronomico di circa quattro ore, in cui ci sono state servite quasi una trentina di tapas, tutte notevoli sotto ogni profilo. Sull’oliva sferificata iniziale, di bulliana memoria, stati spesi fiumi di parole. Proseguendo, portiamo ancora il ricordo della burrosa tartare di tonno con la sua bottarga, i cui sapori sono poi riepilogati alla perfezione nel crackers servito al lato, e dell’ostrica cotta al forno e servita con un brodo di funghi trompetas a allungare la nota iodata. Materia prima da urlo nel gambero ripieno di wagyu, assolo di tecnica il “paesaggio nordico”, giocato sul contrasto tra  dolcezza di cipolla e rubia gallega e acido di panna e neve di aceto. La ghiotta quaglia wellington ripiena delle sue uova, spinaci, funghi, che ha concluso la parte salata del menù, aveva mantenuti intatti i suoi succhi grazie alla perfetta cottura al forno sui carboni, con l’indimenticabile millefoglie in accompagnamento.

Dopo essere catapultati nel bel mezzo di un film con Willy Wonka a farci compagnia e giganteschi frutti di bosco e fragole che scendono dal soffitto, parte la kermesse dei dolci: tra quelli serviti, abbiamo apprezzato particolarmente una splendida  tartelletta ai mirtilli e un’originale cheese cake.

In conclusione: “venghino siori, venghino”, al circo di Tickets c’è da divertirsi!

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Un delizioso scrigno di bontà dall’atmosfera retrò

Delle sei creature gastronomiche degli Adrià, Bodega 1900 costituisce la linea prêt-à-porter ed è la testimonianza che una formula imprenditoriale di successo – il ristorante fa doppio servizio quasi continuato dal martedì al sabato, ed è sempre pieno – si può coniugare con un’offerta di ottima qualità, per livello del cibo e professionalità del servizio.

Bodega è una bottega, appunto, dai soffitti in legno chiaro, la cui atmosfera è rimasta quella originale di inizio ‘900, zeppa di cosa deliziose.

Appena varcata la soglia, si viene accolti da un trionfo di prosciutti, formaggi, e conserve d’autore, mentre gli indaffaratissimi ma sorridenti cuochi che lavorano a vista salutano calorosamente; da un angusto corridoio si giunge alla sala da pranzo, deliziosamente fané, e caratterizzata da foto storiche, tavoli in marmo e specchiere d’antan a dare profondità a un ambiente molto intimo, con la presenza di un’altra cucina a vista perimetrata da pesci e crostacei, oltre che da grappoli di pomodori e carciofi freschi.

Un’ottima offerta di tapas e materie prime di grande qualità, difficile fermarsi!

La carta, consultata sorseggiando un profumato vermouth Dorado, è divisa tra pesce, carne, verdure, salumi e formaggi: materie prime eccellenti e preparazioni tradizionali catalane, ma anche del resto della Spagna, riviste in chiave contemporanea. Scegliere è davvero difficile, ma ancora più difficile è fermarsi, tra prodotti selezionati, cotture perfette, concentrazioni di sapori, consistenze azzeccatissime.  

Dopo le iconiche olive sferificate e un piatto di rubia gallega alle spezie, abbiamo assaggiato l’insalata russa migliore di sempre, con una maionese al tonno che ancora ricordiamo, e un huevo frito alla perfezione dalla sontuosa cremosità, con jamon iberico. Il passaggio dei piselli (guisantes) con trippa di baccalà, maiale e menta, ha preceduto la mollete de calamares  – piatto della serata, ci ha costretti al bis –  uno stiloso e gustoso hot-dog di calamari, poi assaggiati anche ripieni di maiale, con una vellutata salsa al nero di seppia (calamarcito). La successiva portata vegetale, coca calzot, un cipollotto tipico catalano servito su una galletta croccantissima e accompagnato da pomodoro al sentore di aceto ha confermato le aspettative, mentre il ghiotto boccone della molletta de papada, una focaccia alla guancia di maiale, ha preceduto la chiusura delle tapas salate: polpette al pomodoro (albondigas) della tradizione.
Anche i dolci ci hanno conquistato: per eleganza, sviluppo orizzontale e verticale la Naranja, per cremosità la torta de queso e il flan. 

Lo splendido chupito di Ratafia “casera” offerto a fine pasto e le mini posate a misura di assaggio di tapas griffate Albert Adrià confermano l’attenzione a ogni dettaglio, per un’esperienza che merita da sola il viaggio a Barcellona.

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A Barcellona, un’esperienza gastronomica ancora inedita

Che cos’è l’avanguardia? Sicuramente qualcosa di difficile comprensione perché, per definizione, nuovo e inesplorato. Così, dopo aver stupito spaziando in lungo e in largo attraverso le frontiere della cucina contemporanea, Albert Adrià e il suo entourage alzano vertiginosamente l’asticella facendo tabula rasa di ogni sofisticazione e focalizzandosi sulla purezza dell’ingrediente isolandone sapori, combinazioni e consistenze enfatizzate attraverso lo spazio e il tempo della degustazione.

Nel piatto, si materializza una nuova concezione gastronomica che esaspera l’essenza naturale degli ingredienti attraverso salagioni e stagionature talvolta estreme che investono i pregiatissimi angulas e i percebes, conditi con salse iodatissime estratte da alghe o da viscere di pesci, mentre combina il fegato grasso con l’acciuga e del piccione fa una tartare irrorata di jus di selvaggina. E ancora, c’è l’aragosta stagionata in cera di grasso, le anemoni di mare, le uova di kalix, le banane ossidate e chi più ne ha più ne metta.

Ecco, un dato importante da sapere è che nessuna delle portate viene spiegata al momento del servizio, per cui la codifica del codice del piatto avviene, da parte del commensale, del tutto istintivamente. Come già accaduto al 41 grados, il cibo viene poi accompagnato da una bevanda, quasi sempre propedeutica alla comprensione del piatto, che è un testo la cui componente estetica viaggia in parallelo con quella gastronomica. È questo il metalinguaggio dell’avanguardia edificata da Albert Adrià.

Lo spazio è propedeutico alla fruizione e alla comprensione del piatto

Gli spazi interni sono enormi, tanto che sembra di trovarsi in una sorta di labirinto a metà strada tra una caverna di ghiaccio e un luogo senza tempo, con soffitti che ricreano una nebulosa, pareti di pietra sinterizzata – un materiale di ultima generazione – e cristallo, mentre una rete di metallo è adagiata sul soffitto in modo che tutto sembri studiato con l’intento di disorientare l’ospite e sconnetterlo col mondo esterno.

È difficilissimo raccontare l’esperienza  senza spoilerarla, ma ci proviamo: già all’atto della prenotazione si riceve una email con due codici che andranno digitati per accedere agli spazi interni del ristorante. Nessun’accoglienza all’ingresso e, nel corridoio che porta alla sala d’attesa, il benvenuto viene servito in piedi: si tratta di un succo caldo a base di semi di zucca e limone, corroborante, sapido e agrumato. È il ryokan: un concetto giapponese pensato per far rilassare l’ospite cui seguirà un altro spazio dedicato alla scelta del beverage e in cui vengono serviti eterei snacks e un cocktail di benvenuto: la cava. Ci si accomoda quindi ne la barra, spazio di approccio alla purezza degli elementi ittici pregiati, serviti nella loro essenza prima di passare, attraverso l’avveniristica cucina, alla sala principale dove, in un contesto di resina poliestere, si avvicendano alcuni piatti cucinati e, quindi, il teppanyaki – la famosa plancia giapponese – nello spazio della planxa, appunto. Le stoviglie, di finissima porcellana, sono disegnate appositamente da un artista belga.

Il menu come itinerario

In questo contesto itinerante e stordente, Enigma appare la consacrazione definitiva del genio di Albert Adrià e dei mille stimoli che attraverso la sua creatività giungono al palato e alla mente del commensale. Anche solo fermandosi all’approccio estetico delle cose, ci si accorge dell’evoluzione inarrestabile anche in termini di stile, ormai in gran parte ben distinto da quello del Bulli. Per questo Enigma costituisce un’esperienza totale e totalizzante, che merita sicuramente una visita, da dovunque voi vi troviate.

Tanto saprà portarvi, comunque, altrove.

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Siete a Barcellona, volete provare una vera taqueria messicana e non sapete dove andare? Nino Viejo è ciò che fa per voi.

Nella miriade di ristoranti pseudo-messicani questo tacos bar, il figlio minore di Hoja Santa, saprà regalarvi intensi colpi d’ala, grazie alla classe e al talento di Albert Adrià. No,qui non troverete tacos fumanti, inzuppati di salse brodose e grasse a base di carne, o filamentosi pastrocchi di formaggio fuso a profusione.

Da Nino Viejo troverete tanto Messico, quello più autentico e puro, rivisitato da una grande mano, che dona eleganza ed un pizzico di avanguardia alla tradizione. In un luogo peraltro informale, divertente, chiassoso e dissacrante ma sempre curato con classe, eleganza e attenzione ai minimi dettagli. Mai nulla, dall’accoglienza, all’apparecchiatura, al servizio, ai cocktail così come alla cucina è lasciato al caso. Un ottimo punto di riferimento per uno spuntino veloce, che poi la gola farà diventare tutt’altro che fast, per un aperitivo o per una cena defatigante. Il guacamole è paradigmantico: l’amalgama del nobile frutto con il resto degli ingredienti, l’equilibrio in bocca, la cremosità ci fanno comprendere a fondo la caratura di chi l’ha preparato.

E l’infinità di tacos, ognuno con un accompagnamento, salsa, ristretto, foglie e le stesse tortillas differenti e studiate nei minimi particolari. Ci ha colpito il tonno, decisamente al di sopra della media, e quelle fantastiche polpettine e il loro intingolo, davvero centrate e molto golose. Anche i dolci, semplici ma non banali, ci hanno davvero tanto divertito ed appagato. Abbiamo accompagnato il pranzo con alcune variazioni, tra le classiche e le più innovative, di Margarita, opera che chiude il cerchio gustativo nell’universo messicano, con anche qualche tocco esotico al Pisco, che non guasta.

L’unico appunto, leggero beninteso, è sull’uso smodato di coriandolo e lime: due ingredienti preziosi e ricchi di carattere, ma che potrebbero far storcere il naso a qualcuno per la loro presenza ripetitiva. Nino Viejo rimane comunque una tappa da non perdere nel vostro girovagare per la città catalana.

Tickets è la democratica espressione del grande laboratorio culinario che è stato El Bulli di Roses

Il Cibo, atto di vita, riserva tantissime sorprese. Una di queste è senza ombra di dubbio Tickets. Ferran Adrià, uno dei grandissimi protagonisti dell’alta cucina contemporanea, alla chiusura del Bulli dichiarò: “Abbiamo dovuto uccidere la bestia. Dopo tanti anni, avevamo paura che la passione morisse”.

Ed invece no, la bestia è viva come non mai. Come i grandi ed infiniti amori si è semplicemente trasformata. Ha adattato le sue forme, il suo piglio, la sua proposta ad una formula più attuale, più commerciale se volete, certamente molto più democratica. Il Tickets è l’emblema di come un grande, grandissimo patrimonio culturale -l’esperienza del Bulli- possa essere tradotto e reso visibile sotto una veste nuova, più semplice, ma comunque dal contenuto concreto e pregnante.

E tutto questo è merito di Albert Adrià, troppo spesso lasciato (ingiustamente) all’ombra di Ferran. Perchè Albert ha capacità, talento e ingegno pari a quello dell’illustre fratello. Pochi sanno come nelle cucine del Bulli fosse protagonista indiscusso di ciò che avveniva. Tecniche, studi, sperimentazioni, invenzioni erano frutto anche del suo prezioso contributo. E quando la bestia è stata uccisa, il suo talento è stato messo a disposizione di una collezione di locali che avevano, ed hanno, un obiettivo ben preciso. Spargere il verbo, la dottrina, ergo le sperimentazioni e gli anni  di studi, ad un pubblico molto più esteso. Facendo proliferare le tecniche e la cucine che il mago di Roses, anzi i maghi di Roses, avevano inventato.

Ecco quindi comparire, tra le tante proposte, un Tapas Bar, che recupera l’essenza di questa tipologia elevandola con l’estro, le tecniche e l’inventiva di questo patrimonio immenso. E non è un caso che sia quasi impossibile prenotare da Tikets, essenza del tapas bar contemporaneo, sempre pieno della migliore borghesia Barcellonese, di gruppi di giovani appassionati in jeans e maglietta, di coppiette alla ricerca del divertimento più sfrenato, della coppia di single che vivono una cena di eccellenza. In un clima informale, divertente, dissacrante.

Ma con una cucina e con delle preparazioni che vi catapultano a Roses in un battibaleno. Tecnica tanta, soddisfazione garantita, divertimento al massimo. La bellezza di questa formula è che il gruppo di giovani ragazzi di fianco a noi ha potuto provare cosa era e come si è evoluta la cucina di El Bulli, spendendo qualche decina di euro. E i borghesi panciuti come noi, invece, sono stati catapultati direttamente a fine anni ’90, lungo la carretera che portava a cala Montjoi, con un percorso lungo e tortuoso, sull’ottovolante dei sapori.

Troverete una collezione di tapas che strizzano l’occhio alla tradizione culinaria multiculturale che gli Adrià hanno tanto esplorato ed approfondito. Tocchi dal mondo, come il “passaggio nordico” appunto, cracker ricoperto di filetto di vacca frollata e marinata con polvere di aceto e crema di formaggio. O la strepitosa quaglia di Bresse cotta al Josper, alla brace, e trinciata al tavolo. O l’immenso foie gras ripieno di anguilla… e tanto, tanto altro. Non un passaggio men che curato, non un ingrediente fuori posto, non un dettaglio non gestito alla perfezione. Ingredienti tanti, mai nessuno senza un senso gustativo, una ricerca ancora al massimo di consistenze, di sapori che si intrecciano e si prolungano a vicenda. Il tutto accompagnato da una esigua carta dei vini ma da una sfilata di cocktail molto divertenti, bene eseguiti e in linea con la proposta. E da un servizio giovane, divertente e molto presente.

C’è tanta sostanza qui da Tickets, molto di più di quanto appaia. E c’è la mano di un cuoco a dirigere la baracca che, seppur svecchiando e semplificando il modello, riesce a regalare davvero emozioni uniche e inarrivabili.

Bravo Albert Adrià, per quello che ha donato alla scena gastronomica spagnola e per quello che continua a esprimere nel suo inimitabile format.
This is not a Tapas Bar“.