Passione Gourmet L’Arcade - Passione Gourmet

L’Arcade

Ristorante
lungomare Antonio Gramsci 315, 63822, Porto San Giorgio (FM)
Chef Nikita Sergeev
Recensito da Leila Salimbeni

Valutazione

16.5/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

  • La bellezza e la funzionalità del Grande aperitivo della casa.

Difetti

  • Non tutti i piatti sono allo stesso livello di libertà espressiva.
Visitato il 07-2023

L’arcadia di Nikita

L’arcadia, d’accordo, e poco importa che ogni lavoro sia gabbia, purché dorata. Quella di Nikita Sergeev, cuoco russo autodidatta che dopo la formazione accademica all’Alma e senza alcuno stage di grido in curriculum apre il suo ristorante a Porto San Giorgio, è oggi una gabbia di vetro, legno, e tessuti, aperta a sfioro sull’estate adriatica italiana. E in Italia, anzi in un’arci-Italia, per meglio dire, è ubicata e incarnata la sua cultura, culinaria e non: perché se e è vero, com’è vero, che “ogni identità si forgia dall’incontro e lo scontro tra le differenze, nessun’altra dialettica è mai stata così determinante e feconda di felici contaminazioni, aspre contrapposizioni e cicliche rappacificazioni come quella tra il mondo occidentale e quello russo. Una tensione che unisce e divide, come in un gioco di specchi tra due entità mosse da un magnetismo che a volte attrae e a volte respinge, ma che nutre e informa entrambe le parti.

Prendiamo a piè pari questo piccolo estratto di un monumentale articolo di Vincenzo Pisani per dire che, ecco, la cucina di Nikita è tanto più riuscita quanto più precisamente accoglie il suddetto agone, mentre invece pare perdere qualcosa, ancorché solo leggermente, quando la introietta in toto, la cultura ospitante, obbedendo senza contraddittorio ai suoi stilemi e ai suoi stereotipi.

La predilezione per l’attore non protagonista

E difatti, quando si sente libero di spaziare Nikita vola alto, con mano leggera, italianissima, ma precisione siderale, sovietica, tra consistenze, ingredienti, registri stilistici e citazioni: perché la tecnica, e sarebbe assurdo il contrario, è presenta al punto da permettergli qualunque cosa, come accade sempre presso ogni sistematizzazione della conoscenza made in Russia (pensiamo tipo al balletto classico). Ma si cadrebbe in errore a pensare che questa tecnica consegni e condanni uno Chef così giovane e così autodidatta, per giunta, a una sorta di effetto Zelig, che è forse l’unica vera insidia per un cuoco come Nikita che, invece, mostra anche una solida necessità di coerenza, e di controllo: nulla mai appare sopra le righe nemmeno di fronte alle repentine virate stilistiche e ai cambi di registro che tengono altissimo il ritmo, oltre che il pensiero, durante il Grande aperitivo della casa: un carillon dove si alternano crudi (Gambero rosso marinato e barbabietola) e cotti (il Tacos) di grande bellezza, mentre gelati, sorbetti e granite stemperano e rinfrescano ogni morso, e la tavola completamente imbandita è altresì perfettamente leggibile: a ogni assaggio corrisponde una posata, a ogni posata un ordine di fruizione.

Ora, a proposito di posate e utensili, bisogna dire che Nikita non indulge affatto: anzi, sono proprio questi, spesso, a parlare di quel gusto squisitamente rococò quando non kitsch di tutta l’estetica balcanica, e che diventa un vero e proprio trionfo nel piatto di servizio dell’Ostrica pochè con caviale e pomodoro verde, che la gelatina cubica del pomodoro verde, oltre al caviale, richiama esplicitamente, allungando peraltro la percezione del gusto in maniera estremamente edotta, oltre che fresca, tanto da spodestare parzialmente sia l’ostrica che il caviale stesso. E qui si consuma un’altra peculiarità della cucina di Nikita: ovvero la predilezione per l’attore non protagonista quando, addirittura, antagonista, nella sintassi del piatto. Accade nella Capasanta alla Rossini in cui, per dire, ci si chiede se essa sia in grado di reggere il confronto col foie gras: risposta affermativa, visto che proprio in virtù di questo confronto la capasanta brilla in tutta la sua beata, virginale delicatezza. E stessa cosa ancora accade coi Ravioli ripieni di ricotta, ruta e geranio odoroso: dove l’antagonista neutro, ovvero la ricotta, così come l’impasto del raviolo appena sfogliato, uscivano esaltatissimi dall’incontro con l’amaro (amarissimo) della ruta, in un gioco dove appunto è l’elemento debole a vincere sempre, come a svelare la recondita passione dello Chef per le cause perse. Quelle vinte in partenza come, invece, sono le Linguine ai cipollotti e peperoni cruschi o l’Agnello, whisky e coriandolo, che obbediscono alla propria gerarchia di “primo” e “secondo”, invece, lo stimolano meno, col risultato che stimolano meno anche chi assaggia. Troviamo conferma di questo assunto nella carota che accompagna l’agnello, appunto, impreziosita da tutto un gioco di foglie e ornamenti minuziosi che la elevano a vera protagonista del piatto, e senza ombra di dubbio nel Soffritto all’italiana, piatto storico, dove un condimento o, meglio, una tecnica di cottura diventa protagonista di un boccone-sineddoche, visto che trasforma una parte nel tutto: uno schiaffo in pieno viso, e ottimamente assestato, per giunta, di italianità, che solo un non-italiano avrebbe potuto concepire oltre centrare con tale precisione e profondità.

Ottimo tutto il reparto pasticceria, comunque, così come l’abbinamento territoriale con una rosa di interpreti, annate e tipologie di Verdicchio.

IL PIATTO MIGLIORE: Il soffritto all’italiana. 

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