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Marco Polo

Diego Pani: cuoco di frontiera tra scuola francese e anima ligure

Il Marco Polo è più che un semplice ristorante. È un pezzo importante della storia gastronomica della Riviera Ligure di Ponente. Una storia che risale al 1960 quando nonna Maria e nonno Oreste costruirono quella che, allora, era solo una palafitta sulla spiaggia di Ventimiglia. Si iniziò con un bar e uno stabilimento balneare, poi, negli anni ’70, il ristorante che, nel giro di un decennio, grazie al lavoro e alle capacità del compianto Marco Pani si afferma come una delle tavole più rinomate della riviera ligure. Oggi il testimone è passato alla terza generazione dei Pani: al vulcanico Diego Pani, Chef con una solida formazione francese iniziata con esperienze da Robuchon e Guy Savoy e culminata nei tre anni trascorsi al Louis XV di Alain Ducasse passando per Marina che, con modi garbati e solida professionalità, costituisce l’anima della sala, e senza dimenticare Vittorio, che si occupa della parte amministrativa.

La Maison Pani, nel tempo, è cresciuta e, oggi, oltre al Marco Polo conta anche la Trattoria dei Pani, di impostazione rigorosamente tradizionale, e la Trattoria dei Marinai, a Bordighera alta. Per quest’autunno è in programma, poi, un’ulteriore apertura a Ventimiglia alta in collaborazione con Paolo Boeri dell’oleificio Roi. Come si sarà capito, Diego Pani è un vulcano di idee e iniziative: costantemente in movimento come la sua cucina, che difatti abbiamo trovato divertente e molto vivace. Una cucina di confine tra Italia e Francia, tra olio extravergine e burro, tra classicità e innovazione. Tecniche di cottura tradizionali, niente roner ma un uso sapiente di fondi di carne e di pesce.

Cucina classica e moderna fatta di tradizione e di nuovi contrasti

Iconici i Tagliolini ai 30 tuorli e zuppa di pesce – la pasta fresca viene preparata ogni giorno dalla Signora Rosa, con la famiglia Pani da ormai 30 anni – una ricetta che esprime magnificamente il calore della cucina mediterranea. L’estratto della zuppa viene realizzato al tavolo utilizzando un’antica pressa di quelle che venivano usate per i canards. Un piatto intenso e suadente. E poi Ragout di lenticchie e frutti di mare in salsa al foie gras per scoprire che frutti di mare e foie gras si combinano perfettamente e, ancora, il Condiglione con testa di tonno alla brace: piatto equilibratissimo e fresco, omaggio all’insalata “povera” della tradizione ligure – che spostandosi un po’ più ad ovest diventa la più famosa insalata “nicoise” – reso più intenso nel gusto dall’aggiunta della testa di tonno cotta alla brace.

Diego Pani è un cuoco dotato di sapienza tecnica e attenzione nelle cotture e di quel tocco d’estro che fa la differenza. La valutazione è prudente, le potenzialità per crescere ancora, a nostro giudizio, ci sono tutte.

IL PIATTO MIGLIORE: Condiglione con testa di tonno alla brace.

La Galleria Fotografica:

La rinascita di un grande nome della ristorazione, ligure e non solo

Il ristorante Balzi Rossi e la famiglia Beglia. Una storia di successo nata nel 1982 e che, in breve tempo, vide il ristorante salire nell’empireo della ristorazione italiana. Due stelle Michelin, un grande successo di pubblico e la consacrazione, ai fornelli, della bravissima Pina Beglia.
Poi le difficoltà, il disimpegno dei Beglia che ne abbandonano la gestione, l’oblio, fino alla chiusura.
Quindi il cambio di proprietà -che oggi parla russo- che ne ha permesso un anno fa la riapertura.
Il tempo di un’integrale ristrutturazione ed il Balzi Rossi ha riaperto con uno staff nuovo ma, intelligentemente, senza rinunciare all’esperienza dei Beglia che questo posto lo amano e lo conoscono come nessun altro.

Sotto la supervisione dell’inossidabile Pina Beglia, la sala è il regno della figlia Rita e del marito, l’estroso e simpaticissimo Franco Baracca, che gestisce con padronanza una carta dei vini interessante.
In cucina, si è deciso di puntare sul trentenne Enrico Marmo: cuoco langarolo, con importanti esperienze da Cracco (periodo Baronetto) e soprattutto da Davide Palluda, di cui è stato per cinque anni sous-chef. E così il cerchio si chiude, dal momento che lo stesso Palluda era stato a sua volta allievo di Pina Beglia.
La location è da sogno. Una terrazza a picco sul mare, a pochi metri dal confine francese. Di fronte, lo splendore di Mentone e Cap Martin. Si mangia in un’atmosfera magica -ed estremamente romantica- cullati dal suono delle onde che si infrangono sulla scogliera.

In Carta, qualche omaggio al glorioso tempo che fu in piatti come “I classici plin della Pina” e “La retata di mare”, l’immortale insalata di mare creata da Pina; per il resto carta bianca al giovane Marmo ed alla sua idea di cucina. Cucina di mercato, che guarda al territorio e si rifornisce dai piccoli produttori della zona. Moderna e classica al tempo stesso, attenta a non strafare.

Elogio del prodotto stagionale, verso una lettura sempre più audace e identitaria

Cucina essenzialmente di ortaggi e prodotti ittici, di profumi di mare e di orto. Materica, pulita, minimalista ma che non rinuncia affatto al gusto. Piatti freschi, materie prime eccellenti e sapori mai forti, anzi a volte fin troppo sussurrati. Interessante la consistenza del branzino, susine, salicornia, rucola e citronette ai semi di senape e la freschezza del carpaccio di pomodoro marmanda, bottarga, maionese al limone e cereali, piatto anche esteticamente molto accattivante, ma dal quale ti aspetteresti maggiore concentrazione di sapori.

La galleria fotografica della prima visita

 

Lo chef, dopo un inizio più lento, doveroso per ritornare ai fasti di un tempo, sta a poco a poco definendo la sua linea di cucina. Fatta di estrema immediatezza, di frigoriferi vuoti ad ogni fine servizio, di improvvisazione ragionata. Da un talento così cristallino, racchiuso in un corpo da uomo fatto e finito, con una sensibilità e sottigliezza così elegante a far da contrasto nel suo io più profondo. E i piatti rispecchiano questa dicotomia: belli, avvincenti, profondi ma sottili, esili, eleganti.

A questo punto, per spiccare il volo definitivo, ci aspettiamo qualche colpo di classe maggiore, qualche spinta verso sapori più decisi e intensi. Il piatto scampo cotto nel sugo di crostacei, cavolo viola all’aceto di mele e oxalis è paradigmatico in tal senso. Scampi lievemente ripassati nel burro (quando ci vuole ci vuole!) che vengono con classe avvolti da cavolo viola e oxalis. Qui l’equilibrio è tutto, come in tantissimi altri piatti di Marmo. Magari il lavoro di spinta e rifinitura può essere fatto nel suo menù a mano libera, recentemente introdotto. Lasciando alla clientela internazionale e non, a questo punto, i piatti più rassicuranti, rotondi e orizzontali, seppur ugualmente e incontestabilmente buoni.
Abbiamo pochi dubbi sul fatto che Enrico Marmo prospetticamente possa fare molto di più, ragione per cui Balzi Rossi è, già oggi, uno dei ristoranti italiani da seguire con particolare attenzione.

La galleria fotografica della seconda visita

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Recensione ristorante.

La Pria Margunaira e i Giardini Hanbury .
Il mito di Alcione e quello di Hanbury , commerciante di té ed appassionato di botanica.
Non sono tanto sicuro che queste storie possano appassionare i gastronomi italiani.
Però un intera mattinata passata negli straordinari Giardini, integri e ridondanti di fioritura primaverile, ed una successiva pausa nel piccolo golfo della Marina di San Giuseppe dove però il suggestivo gruppo di scogli è stato ridimensionato dal tempo e dalla forza del mare farebbe comunque bene più di ogni pomeriggio passato davanti ad un televisore.
Il profumo dei fiori, il profumo del mare, le erbe aromatiche, i sentori balsamici e quelli salmastri.

E così, giocando con i cassetti dei ricordi, alcuni momenti gastronomici sono riuscito a trovarli anche dentro i Giardini Handbury , perché alcuni arditi passaggi tra piante native di ogni parte del mondo e messe a convivere qui, qualunque sia stata la loro fede o il loro clima di origine, hanno dato vita ad alcuni concentrati di sentori che mi hanno fatto viaggiare con la mente tra Annecy e Malaga , tra Cancale e Albufeira, tra Baden Baden e Castrovillari.

Tra gli altri, ho rimangiato con il pensiero e con il naso almeno quattro piatti di Marc Veyrat, e ho speso solo 9 euro per l’ingresso. Belìn, sembrava caro il biglietto, invece …

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