Gelinaz! è un parto deflagrante, innovativo, geniale nato dalle menti di Andrea Petrini e Fulvio Pierangelini. Cos’è, ma sopratutto cosa è diventato lo lascio spiegare alle parole usate dall’amico Nicolò Vecchia in questo articolo.
In sintesi 40 cuochi da tutto il mondo si scambiano, in segreto, le cucine per una serata fuori porta. Quest’anno l’evento, avvenuto il 10 novembre 2016, è partito in contemporanea in tutto il mondo. Ogni cuoco non sa che poco tempo prima dove dovrà andare, e per una settimana cercherà di conoscere a fondo la brigata, lo stile di cucina, i fornitori di ingredienti del suo collega, spesso ubicato dall’altra parte del mondo. Ecco quindi Bottura a Londra, Niko Romito in Perù e Riccardo Camanini a Copenhagen… e noi, al lido 84 di Gardone riviera ad accogliere Zaiyu Hasegawa del Jimbocho Den, ristorante kaiseki contemporaneo già visto su questi schermi.
L’iniziativa è coordinata in ogni luogo da un Ambassador, presente in ogni location, che nel nostro caso è il grandissimo solista jazz, un pò funky ma anche tremendamente rock Paolo Vizzari.
Una serata divertente, che Zaiyu ha interpretato nel migliore dei modi possibili:
Giorno 1: ci racconta il nostro Ambassador, interamente trascorso a degustare tutta, e ribadisco tutta, la carta di Riccardo Camanini al Lido 84.
Giorno 2: 14 ore ininterrotte a conoscere i fornitori e le loro storie.
Giorno 3: prima sperimentazione di menù contaminato.
Giorno 4: messa in onda dello shuffle
Hasegawa ci ha letteralmente sorpreso e sconvolto. Al rigore e alla pragmaticità tipica del suo popolo unisce un’anima profondamente artistico-genialoide, oltre che scanzonata e irriverente, che ha contaminato e contagiato tutti i commensali. Tanta tecnica, tanti passaggi raffinati, sopratutto di pensiero, ma anche di gusto.
Gli spaghettoni con quel lieve profumo di sake li ricorderemo a lungo, come difficilmente scorderemo una guancia in cui la salsa imperiosamente stagliava per la sua profondità e intensità. Divertentissimo il caffè-affogato al tartufo, vero colpo da maestro. Così come l’uso della vescica per cuocere dei tuberi, da aggiungere, con la loro salsa grassa e persistente, ad un insieme di foglie e di frutti della terra in diverse strutturazioni e cotture.
Ma lasciamo spazio alla geniale e scanzonata interpretazione della cucina del Lido 84 di Riccardo Camanini da parte di Mr. Zaye Hasegawa…
L’arredo originale, come del resto la cucina, di Casa Camanini… in sfondo si scorge la preghiera Zen dedicata all’evento da Zaiyu San.
Monaka, una tipica merendina pop giapponese fatta solitamente con ripieno di crema di azuki e castagna, qui in versione Haut de gamme… al foie gras e castagne.
Il pane, straordinaria prima contaminazione, prodotto con la ricetta di Riccardo Camanini. Unica aggiunta, invece dell’acqua per l’idratazione, un leggero dashi powered by Hasegawa.
Ravioli di funghi, brodo dashi di funghi e colatura di alici, polvere di funghi, yuzu.
Tartare di persico e gamberi gobbetti, cavolo cappuccio, wasabi. Notare la simpatica rievocazione della bandiera giapponese.
Spaghettoni come Riccardo: burro e bottarga di Zaiyu al sakè.
Marchesi del Lago: riso, stracchino, anguilla, sansho e unagi.
Coscia di pollo fritta ripiena di polenta taragna.
La fantastica Lido/Den salad con cacio e pepe in vescica… omaggio alle fattorie italiane.
Guancia marinata alla soia, mirin e sake…
Per la carriera e la fama di uno chef, qualsiasi cosa esso vi dica, tra le cose più importanti ci sono i riconoscimenti delle guide, il più rapido veicolo per “uscire dall’anonimato” e salire agli onori della cronaca, per raggiungere così una vasta platea di pubblico (pagante).
Nel suo ristorante a Tokio, Mitsuhiro Araki aveva raggiunto i massimi possibili, di riconoscimenti.
Protagonista del gotha mondiale della ristorazione, uno dei pesi massimi della gastronomia giapponese, specialista nel sushi in bella compagnia insieme a nomi del calibro di Jiro Ono, Haichiri Mizutani, Masahiro Yoshitake, Takashi Saito… non precisamente un gruppetto di sconosciuti, insomma.
Poi di punto in bianco, all’apice del successo, come un fulmine a ciel sereno il passaggio da Araki-San a Mister Araki: la chiusura del tristellato locale nella lussuosa Ginza, il trasferimento in pianta stabile con la famiglia a Londra, e la relativa apertura di “The Araki”, piccolo locale a cinquecento metri da Piccadilly Circus.
La motivazione ufficiale della scelta? Un molto british “motivi di studio della figlia”, e stop.
Quindi, cosa offre oggi Araki, a Londra? Semplicemente, rispettando a pieno le aspettative promesse, la più alta esperienza di edomae sushi europea, certamente tuttora accostabile ai big a livello mondiale, se non altro perché non si tratta di una consulenza, una seconda apertura o il ristorante di un pur bravo “…allievo di…” o “…secondo storico di…”, ma del vero e proprio sushi bar di un Master, con lo stesso al lavoro dietro al bancone ed il relativo inarrivabile background: una cosa davvero più unica che rara, mai avvenuta in precedenza.
Anche gli arredi del locale, da soli nove posti a sedere in fila di fronte al piano di lavoro, sono praticamente identici a quello di Ginza, tanto che dopo quasi tre ore di totalizzante esperienza, è straniante ritrovarsi su un Black Cab nella City, anziché sulla Tokyo Metro.
Ma non siamo a Tokyo, e Araki ben lo sa: intelligentemente, ha smussato parte dei rigidi spigoli della tradizione giapponese, per adattarli ad usi e consuetudini della clientela europea. Nonostante il rigore e l’intransigenza espressi sul sito, la cena si svolge senza fretta né apprensioni di alcun tipo, impegnando tutto il tempo necessario, senza la volontà di mantenere alcun distacco anzi cercando di coinvolgere al massimo i clienti, arrivando a ridere e scherzare con loro.
Sempre perché non si trova a Tokyo, perché complicarsi la vita con laboriose forniture di materia prima dal Giappone, con il rischio tra l’altro di vanificare lo sforzo compromettendo la freschezza, quando, con l’esperienza, è possibile selezionare e valorizzare al meglio il pescato dai mari europei?
La qualità media del pesce non è ancora paragonabile a quello del mercato di Tsukiji (per vari motivi, in primis la tecnica di pesca e conservazione), cosa che non permette di raggiungere le vette dei migliori indirizzi di Tokyo, ma stiamo parlando di dettagli davvero sottili.
Soltanto il riso è proveniente dal Giappone, il medesimo che veniva utilizzato in patria.
Per contrapposizione allora, per tentare di colmare questo gap, perché non utilizzare (lussuosi) ingredienti tipicamente occidentali, quali il caviale ed il tartufo, se non si tratta di una banale contaminazione ma tali ingredienti si riveleranno realmente migliorativi per l’insieme?
All’atto pratico, la ragione è sua, e la guadagna attraverso una sequenza meravigliosa tanto negli appetizer iniziali, dei veri e propri piccoli piatti di valore assoluto, che nel sushi, a cui è difficile trovare difetti: praticamente perfetto, dal chicco non tanto al dente sebbene ottimamente sgranato, lievemente acido e servito appena tiepido, in maniera da esaltare il neta, per una serie di bocconi profondi, persistenti, ampi, sempre assolutamente fini sebbene estremamente materici, dall’espressione preminentemente “ittica” o burrosa a seconda del taglio.
Una esperienza davvero illuminante, macchiata soltanto dall’unico reale difetto degno di essere segnalato come tale: il vertiginoso conto, vera e propria nota dolente di questo luogo, ancor prima che semplice difetto.
Anche in questo caso non siamo a Tokyo, e Araki lo sa. Volete provare un’esperienza di livello assoluto, unica in Europa? Il solo menù Omakase disponibile è prezzato a 300£ +15% di servizio, che tradotto significa, anche bevendo dell’acqua, che è impossibile varcare questa soglia senza spendere meno di 500€ a testa, grossomodo l’equivalente ad un volo A/R Milano-Tokyo.
In nessuno dei due casi sbaglierete, dovrete soltanto decidere quante ore di volo affrontare.
La rigorosa… “mise en place”.
Dopo i saluti, il maestro inizia l’opera di pulizia e porzionatura del tonno. Emozionante anche solo stare a guardare.
Il primo degli “appetizers”: Brodo di rombo, scampi, Yuzu e Kombu, da bere. Puro umami, rinvigorito dalla decisa nota agrumata dello yuzu.
Sashimi di rombo con caviale Almas, wasabi e salsa ponzu speziata.
La pura e lieve sapidità marina del rombo viene amplificata dallo splendido caviale, profondo ma anch’esso dalle nuance morbide e tenui. Molto più decisa la ponzu sul fondo, marcatamente citrica, che allunga la persistenza in maniera imbarazzante. Dettaglio, notevoli anche le porcellane ove verranno serviti i piatti.
Abalone cotto al vapore di sake, servito su capesante grigliate.
Elegantissimo e rigoroso l’abalone, nella sua splendida consistenza; le capesante invece, grigliate in maniera decisa, si rivelano di estrema golosità.
La preparazione della “maionese”, dalla notevole quantità di misteriosi ingredienti…
…per la Tartare di tonno (ove vengono utilizzati tutti e tre i tagli), con maionese, sesamo, tartufo nero e bianco, wasabi.
Per estrarre l’aromaticità dei tartufi ci viene chiesto di mescolare il tutto a lungo nel piatto, insieme al tonno, precedentemente lavorato con la salsa e la mayo, ed al wasabi, perfettamente dosato. La risultante è un piatto spettacolare, profondissimo ed estremamente sfaccettato. Attacco sapido, lievemente piccante ed aromatico, ma dalla base sempre morbida e vellutata, dalla quale alle volte emerge il sesamo, poi ancora la grassezza del tonno, per poi chiudere il tutto con una marcatissima nota di nocciola. Un piatto di valore in scala assoluta, in ogni angolo del globo.
Ricciola marinata nel Koji, soya e prugna con strisce di capesante essiccate: marcatissimo il contrasto di consistenze, più morbida la ricciola, molto più tenaci e gommose le scallops strings, una sorta di katsuobushi di capasanta.
Il servizio dello zenzero (splendido: croccante, aromatico e lievemente piccante) preannuncia l’arrivo del Sushi.
La minuziosa e ipnotizzante preparazione dei neta.
Akami.
Chu-Toro.
O-Toro.
Il wasabi è preparato istantaneamente dall’assistente, a seconda della necessità del Maestro.
Mackerel.
Seppia, con caviale Almas.
Salmone norvegese.
Guancia del tonno, marinata nella salsa di soia.
O-toro grigliato, un boccone da Re, dal gusto intenso e coinvolgente.
La preparazione dell’anago roll…
…servito direttamente nelle mani.
In chiusura, tamago.
Qual è il ristorante migliore del mondo? E’ la domanda che più spesso si sente rivolgere l’appassionato che da anni si svena in giro per il mondo alla ricerca del pranzo perfetto.
Ovviamente la risposta non esiste e se ne assume maggiore consapevolezza via via che le esperienze si succedono, che un piatto ti folgora, che una tecnica ti stupisce, che un ingrediente ti sorprende.
Di sicuro, però, ci sono posti che ti stregano al primo colpo, dove torni con l’emozione dell’innamorato, al contempo entusiasta e timoroso di non riprovare il brivido della prima volta.
Ryugin è una di queste tavole magiche e visitarlo a circa un anno e mezzo da una cena memorabile è stato, ancora, uno di quei piaceri la cui memoria faticherà a svanire.
In una stradina di Roppongi, elegante quartiere residenziale della metropoli nipponica, il regno di Seiji Yamamoto è un luogo di delizia in cui, come sempre da queste parti, non è semplice trovare posto (indispensabili: prenotazione con largo anticipo e più che congruo acconto da versare). Ne vale la pena, però, perché non è per niente facile provare due ore così gradevoli, circondati dalla bellezza (piatti e arredi della tavola sono tutti piccoli capolavori), dalla cortesia (un servizio superlativo, perfino in un italiano più che buono), dal buon gusto, non solo gastronomico.
Da Ryugin si prova un menù kaiseki d’impianto totalmente classico, in cui però le singole portate possono prevedere l’uso di tecniche anche d’avanguardia, purché funzionali a esprimere al meglio le qualità di una materia prima superlativa.
La degustazione, che in una sera d’inizio marzo era titolata “scenario invernale” è un succedersi di capolavori dai nomi romantici (“il gusto del vento che cattura l’attimo”; “la terra delle piante di riso”; “un messaggio dalla costa”) che sono il trionfo della stagione. Per tutti, è sapiente il gioco dei contrasti nelle consistenze, la padronanza delle temperature anche nella loro progressione (alla faccia di tante successioni casuali e disturbanti di gradazioni che ci tocca oggi subire, con shock termici che rendono le cene spesso intollerabili). Il piatto più folgorante è il kinki fish di Hokkaido ripieno di melanzana alla griglia, con germogli di Fuki e Taro Potato: un prodigio di cottura alla griglia a carbone che può rappresentare il paradigma di riferimento in materia.
A sforzarsi di trovare un limite (l’alibi per non toccare il fondo scala nella valutazione finale, nonostante la tentazione sia forte) si può dire che i dessert sono sempre gli stessi: la fragola calda e gelata (la scorsa volta fu la mela, ma l’idea è la medesima) e il caldo e freddo di saké: va precisato, però, che si tratta di due dei più alti risultati della pasticceria contemporanea, frutto di lavorazioni quasi maniacali (per i più curiosi, ecco la “semplicissima” preparazione del primo dei due).
Non un passaggio è casuale, non un dettaglio è trascurato. Aggiungiamo una carta dei vini di bellissima ampiezza a prezzi più che sensati, con offerta eccellente anche al bicchiere (Pouilly-Fumé di Dagueneau 2010 per noi), saké celestiali e il più buon tè Ooolong mai provato.
Quando a scriverne vengono i lucciconi ripensando alla serata, vuol dire, probabilmente, che si sta parlando dell’Olimpo della ristorazione mondiale: preparare i salvadanai.
La mise en place. Ogni piatto o posa bacchette qui avrebbe una lunga storia da raccontare.
Ricci di mare con crema all’uovo. Come recita il menù per questo piatto e il successivo: stagionalità, aroma, temperature e texture…
Sublime accoppiata di lattume di merluzzo grigliato e uova di merluzzo con wakatake.
“Il gusto del vento che cattura l’attimo”: l’enorme vongola di Hamaguri con dumpling di bamboo.
“Il messaggio dalla costa giapponese, la rcchezza del mare e dell’onda”. 7 piattini di sashimi di commovente bontà, tra i quali brilla il fegato di rana pescatrice.
“Il profumo della griglia”: kinki fish con melanzana e Taro Potato.
Rinfrescarsi la bocca…
“La grazia della città natale, eredità dell’ambasciatore di Kagawa”: Sanuki Olive Beef cotta su pietra in stile sukyaki con foie gras. Un piatto più “rustico” per appagare palato e stomaco e dare sostanza al pasto prima del gran finale.
Il magnifico té Oolong, proveniente da Taiwan e selezionato appositamente per lo chef.
“La terra delle piante di riso”: riso cotto in té di fiori di ciliegio con gamberetti Sakura della baia di Suragawan. Definire deliziosa questa chiusura, classica, della sequenza kaiseki prima del dolce è perfino riduttivo. I pickles abbinati sono sublimi anch’essi.
La fragola.
E il meraviglioso saké in versione gelato e soufflé.
Zaiyu Hasegawa è uno chef coraggioso. Non è né facile né comune, in Giappone, proporsi come innovatori della tradizione, e l’attenzione al ben fatto più che all’originale è innata in una clientela cui non manca di certo la possibilità di mangiare bene o benissimo.
Proporre, quindi, come fa lui un vero e proprio kaiseki contemporaneo, in cui sono introdotti elementi ludici e “pop” in un percorso tracciato da secoli di tradizione, è un’impresa rischiosa.
Fortunatamente, la scommessa è stata vinta perché poggia su basi solide e oggi trovare posto al Jimbocho Den è una delle imprese più complicate per il turista gourmet, complice oltretutto un conto meno stellare che in altre tavole di successo nella capitale.
La cornice è meno paludata rispetto ai grandi kaiseki classici: cucina a vista, ma meno ovattata del solito e –anatema- ben due donne oltre allo chef de cuisine e agli altri maschietti, una delle quali nel ruolo di sous chef. Anche gli avventori sono meno silenziosi del solito, contenti, divertiti dalle proposte talvolta spiazzanti del menù.
A ben guardare, però, il rispetto dei cardini della tradizione c’è tutto: stagionalità, ingredienti locali di gran pregio ricercati con cura maniacale, anche la sequenza dei piatti coerente con la tradizione fino al formidabile riso che precede i dessert. L’innovazione è tutta nella confezione, in alcuni trompe l’oeil che giocano con le cucine “altre” o con presentazioni inattese, per prendersi un po’ meno sul serio. Sinceramente, fosse solo per questo Den non spiccherebbe rispetto a ben più sfidanti provocazioni cui noi occidentali siamo abituati in cucina, ma fortunatamente c’è sostanza, c’è grande capacità tecnica, ci sono materie prime di livello eccelso che giustificano la visita.
Paradossalmente, quindi, il piatto più memorabile è un clamoroso spanish mackerel dalla texture di velluto, contrappuntato da un wasabi d’impareggiabile freschezza (maniacale la cura nel mescolare le parti grattugiate all’estremità e al centro della radice fino a bilanciarne le diverse caratteristiche per il risultato perfetto; lo chef assaggia e riprova infinite volte prima di essere soddisfatto).
Una nota a parte per i dolci: in cucina lavora un pasticcere francese ed entrambe le proposte, all’insegna del giocoso, sono davvero di ottimo livello: una rilettura “campestre” del tiramisù e un “caffè” in stile Den che possiamo annoverare tra le migliori esperienze recenti di dessert nella ristorazione.
Servizio molto presente ed entusiasta di raccontare i piatti in un inglese fluente (con un accento molto locale a cui ci si abitua presto); un ulteriore segnale della voglia di guardare al di fuori dai confini nazionali testimoniata anche dalla presenza dello chef a iniziative congiunte con colleghi di altri paesi.
Forse non LA tappa da non mancare oggi a Tokyo come speravamo, ma di sicuro una visita interessante e consigliabile.
Personalissima versione del “monaka” come benvenuto: ma anziché la pasta di azuki, nel ripieno c’è foie gras con miso, albicocca e cetriolo sott’aceto. Un gioco molto divertente con la tradizione, riuscitissimo anche nel gusto e nei giochi di consistenze del ripieno.
L’interessante saké in versione “sparkling” proposto in abbinamento.
Il brodo di tartaruga, con verdure e zenzero in coreografica presentazione. Buonissimo, leggero e corroborante.
Il Dentucky Fried Chichen: piatto simbolo, famosissimo è un pollo fritto ripieno di fagioli e carne dello stesso pollo, pare ispirato a un piatto brasiliano. Forse il passaggio meno convincente della serata, viste le aspettative.
Lo splendido spanish mackerel: indimenticabile, da fondo scala.
Maiale con cavoli e mais, impeccabile.
Spettacolare insalata di verdure cotte e crude.
Pregiatissima “neonata” che accompagna il riso finale, come da tradizione servito con “pickles” di pregevolissima fattura.
Il primo dessert: “muschio” realizzato con una mousse di formaggio ricoperta da té verde, té nero e foglie di té nero. Una pregevole rilettura del tiramisù in chiave nipponica.
Star comebacks: un pudding di crema e zucchero di canna cotto 8 ore fino a farne uno spesso caramello, a cui viene aggiunto tartufo nero. Un caffé ricostruito in versione dessert, di magnifica persistenza. Il gioco di parole, oltre ad alludere alla famosa catena americana, è relativo all’auspicio dello chef di recuperare la stella perduta.
Prenotare in un grande ristorante di Tokyo, si sa, è impresa ardua. Se poi l’ambizione è di trovare posto in uno dei più ambiti come Sushi Saito che, oltre a offrire (pare) una qualità straordinaria, richiede anche una spesa decisamente inferiore alla media, è indispensabile dotarsi di un “piano B”.
Ci abbiamo provato anche questa volta senza successo, da Saito, nonostante il prodigarsi del nostro referente in loco, ma mai scelta di un’exit strategy fu più felice, perché la serata da Sushi Yoshitake è stata formidabile.
Non avevamo dubbi che considerarlo un ripiego fosse un’esagerazione, vista la nostra visita precedente, ma dobbiamo dire che a fine serata l’impressione è quella di essere stati davvero in una tavola straordinaria. Per la grande perizia di Masahiro Yoshitake, un maestro con le lame; per la cordiale accoglienza sua e del suo team, capace ora anche di descrivere i piatti in un inglese comprensibile; per la qualità formidabile della materia utilizzata, selezionata con cura infinita nel meglio della produzione del paese intero.
Aggiungeremmo anche per la formula: da Sushi Yoshitake, infatti, oltre a poter gustare una serie di sushi tra i migliori della capitale nipponica (ergo, del pianeta), si ha la fortuna di godere, prima del sushi stesso, di alcuni magnifici piatti degni di un grande kaiseki, bocconi divini che giustificano in pieno riconoscimenti di pubblico e critica e conto conseguente.
Difficile trovare lo zenit, in una sequenza memorabile, ma si fa fatica a non citare il formidabile abalone con salsa del suo fegato: un inno allo iodio che fa letteralmente impazzire papille e cervello di chi ama i frutti di mare e che si completa in una “scarpetta” tutta nipponica con aggiunta di riso, offerto dal maestro, da intingere nella salsa rimasta. Sperando che non si crei a breve un movimento per la tutela dell’abalone, possiamo dire che ci siamo fatti un’idea di quale sia il fegato che preferiamo a tutti gli altri (che pure non disdegniamo).
La sequenza dei sushi è inappuntabile, esaustiva di ogni possibile preferenza (da un otoro opulento, alla delicatissima seppia, all’esplosivo riccio in doppio strato) e fedele all’impronta edomae segnata dalla presenza nel riso di aceto rosso, senza zucchero. Ogni assaggio è ricco e fine insieme, impossibile trovare non diciamo difetti , non previsti da queste parti, ma cose migliorabili. Il mancato voto top è solo per rispetto del benchmark assoluto del genere, il riverito Jiro-san.
Per non ingenerare equivoci: anche da queste parti, una prenotazione con largo anticipo è indispensabile per aggiudicarsi uno dei sette posti a sedere, così com’è più che opportuno prevedere un po’ di tempo alla ricerca del locale, al terzo piano di uno dei tre palazzi contrassegnati dallo stesso “indirizzo”, nell’accezione giapponese del termine (per praticità, lo abbiamo fotografato).
Vongola (praticamente un mostro marino, di inaudita bontà).
Scorfano leggermente affumicato.
Abalone. Il piatto col suo fegato lo abbiamo praticamente ingurgitato intero.
Seppia ripiena
Maccarello reale affumicato con salsa allo zenzero.
Il meraviglioso granchio con la sua gelatina.
Finalmente (per modo di dire) si parte con i sushi: seppia.
Sardina.
Ark shell.
Riccio di Hokkaido (sotto) e Miyake, un doppio strato di piacere puro.
Gamberone lievemente scottato.
Anguilla.
Inevitabile conclusione…
Il palazzo, non potete sbagliarvi.