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Parigi di zucchero – Prima parte

Parigi di zucchero

Quando pensiamo a una grande capitale gastronomica, certamente Parigi sta nelle primissime posizioni. Perché Parigi non offre solamente una straordinaria offerta ristorativa: Parigi è anche botteghe di spezie, di formaggi, enoteche…E poi le vere perle per tutti gli amanti di zuccheri e affini: le pasticcerie.
Italia e Francia sono da sempre in contrapposizione su moltissimi aspetti e, in maniera anche goliardica, la gara al “chi lo fa meglio” è un leitmotiv del nostro rapporto con i cugini d’Oltralpe.
Probabilmente, se c’è un campo in cui i Francesi hanno da insegnare al mondo, questo è proprio la pasticceria. Non che in Italia manchino i grandissimi (Biasetto, Massari, Fabbri, Assenza e chi più ne ha più ne metta) ma il livello medio a Parigi è incredibilmente alto: in qualsiasi posto entriate, è molto difficile vi rifilino un dolce pessimo. Se poi puntiamo l’obiettivo verso i mostri sacri, allora il godimento sarà assoluto.
Da qualche anno anche i pasticceri giapponesi hanno aperto delle loro insegne a Parigi: la commistione tra scuola classica francese e sapori tipici giapponesi, dà forma a un connubio interessantissimo che già in Giappone abbiamo avuto modo di testare.
Ma il top si raggiunge con gli interpreti francesi, con quella generazione di pasticceri che è riuscita a svecchiare la maniera storica francese di intendere il dolce, diminuendo gli zuccheri e aumentando le concentrazioni dei sapori.
Mostri sacri come Jacques Genin, Philippe Conticini, Pierre Hermé, a cui si sono aggiunti e si stanno aggiungendo una lunga lista di nomi dalle capacità fuori dal comune: Claire Damon, Hugues Pouge o Carl Marletti solo per citarne alcuni.
Se poi anche un top chef come Jean François Piège decide di aprire la sua pasticceria, allora non ce n’è più per nessuno.
Un tour ad alto tasso glicemico da un capo all’altro del centro parigino.
E se è vero che l’amore per il gusto “dolce” sia l’effetto di un cordone ombelicale mai reciso con i sapori dell’infanzia, lasciateci tornare bambini, almeno in questo modo, almeno questa volta.

Parigi di zucchero

Des gâteaux et du pain

Des gâteaux et du pain, Parigi di zucchero

Cominciamo con la prima coppia della scena parigina: Claire Damon et David Granger.
Lei pasticcera: dagli esordi con Pierre Hermé nello storico Fauchon, passando dalle cucine del Bristol, fino al Plaza Athénée,
Lui fornaio: un maestro di impasti, lievitazioni, cotture.
I due si incontrano e decidono di dare vita a questa gioielleria del gusto.
Per una volta parliamo di pane e non di dolci, perché i prodotti di Granger fanno gridare al miracolo. E’ un pane straordinario, esposto sugli scaffali proprio con la stessa dignità dei più delicati gâteux: la spiccata nota acida dell’impasto, la crosta croccante e quasi caramellizzata dalla lunga cottura. E’ pane di personalità, fatto di amore e cura. Il consiglio è di farne larga scorta e portarvelo a casa. La boule de campagne dà dipendenza: farina biologica macinata a pietra, lievito madre, sale di Guérande. Tagliato a fette e messo in congelatore si conserva benissimo e potrete gustare a lungo questa meraviglia comodamente a casa vostra.
N.B. Croissant da primato

Hugo et Victor

Hugo et Victor, Parigi di zucchero

Ancora una coppia, questa volta al maschile: Hugues Pouge, un passato da Pastry chef di Guy Savoy, e Sylvain Blanc, ex-direttore generale dei Magazzini Printemps. Ci sono loro dietro il nome “Hugo et Victor”, insegna nata nel 2010.
Cioccolato, pralinato e caramello sono i tre elementi ricorrenti nelle preparazioni. Gli altri si diversificano seguendo il ritmo delle stagioni. Si predilige un maggior grado zuccherino rispetto alla tendenza generale della nouvelle vague parigina.
Da non perdere le semisfere al cioccolato ripiene di caramello: decisamente sopra la media.

Pain de sucre

Pain de sucre, Parigi di zucchero

Altro giro, altra coppia. Nathalie Robert and Didier Mathray: galeotta fu la cucina di Pierre Gagnaire per il loro incontro (entrambi ci hanno lavorato a lungo).
E’ la pasticceria meno coreografica tra quelle top, di solito molto vicine all’aspetto di una gioielleria. Qui si bada decisamente alla sostanza, nell’esposizione così come nella pasticceria.
Ne sono un esempio i macarons: tra i migliori di tutto il globo terracqueo. Molto distanti dalla finezza ed eleganza delle creazioni di Hermé, questi sono grossi, panciuti, un po’ rustici forse ma una esplosione di gusto all’ennesima potenza. Buonissima anche l’interpretazione del babà: lievitazione favolosa e bagna da dosare a piacere; sul fondo una crema alla vaniglia di disarmante bontà.

Nathalie Robert and Didier Mathray, parigi di zucchero

parigi di zucchero

Da segnalare la presenza di un piccolissimo tavolino per degustare in loco: non è facile trovarlo libero, ma è già qualcosa (la maggior parte delle pasticcerie ha solo la possibilità dell’asporto). A fianco c’è anche il negozio in “versione salata”, dove mangiare panini e lievitati di ottima qualità.

Gâteaux Thoumieux

Gâteaux Thoumieux, Parigi di zucchero

Jean-François Piège non ha bisogno di presentazioni. Questa è la sua ultima creatura, una boutique-pasticceria aperta proprio davanti al Thoumieux con la collaborazione dello chef pâtissier Ludovic Chaussard. Fiori freschi, teche di cristallo che proteggono meraviglie tanto belle quanto buone.
Imperdibile il Paris-Brest, soave e mai stucchevole. Ottima anche la millefoglie, giusto un gradino sotto il top cittadino di Genin.
Dimensioni dei dolci un po’ più contenute come anche i prezzi, considerando città e quartiere. Un’altra piccola perla per i fortunati parigini.

Gâteaux Thoumieux, Parigi di zucchero

Gâteaux Thoumieux, Parigi di zucchero

Gâteaux Thoumieux, Parigi di zucchero

Gâteaux Thoumieux, Parigi di zucchero

INTERVALLO

Epices Roellinger

Non si vive di sola pasticceria. Oppure, volendo continuare a parlare di dolci, sappiamo bene tutti che il segreto di una grande crema è una grande vaniglia. Qui troverete tutto quel che vi serve e ancor di più.
Olivier Roellinger a Cancale ha segnato un’epoca con la sua cucina dalle mille spezie. Il suo ristorante tristellato ha da tempo chiuso i battenti, ma le sue spezie continuano a raggiungere quanti hanno amato il suo modo di cucinare. Le sue “poudres d’epices” sono capaci di resuscitare qualunque piatto.

Epices Roellinger, Parigi di zucchero

Epices Roellinger, Parigi di zucchero

Ci sono Vaniglie da ogni parte del mondo: sono conservate in una antica cantina di affinamento posizionata sotto il negozio di Rue Saint Anne (l’unica altra cave à vanilles è a casa sua, a Cancale).
Anche solo fare un passaggio qui per annusare quanto possa essere diversa una varietà del Madagascar da una del Messico è una eperienza didattica.
Per non parlare del pepe, della cannella, del cardamomo, del peperoncino: tantissime varietà e un mondo mai troppo esplorato.

Restaurant Jean François Piège, Parigi

Al numero 79 di Rue Saint Dominique sta accadendo qualcosa di importante.
Che della sua generazione, quella dei quarantenni chef francesi, fosse il più moderno e, forse, il più talentuoso, già in tanti lo avevano scritto.
D’altra parte non si prendono tre stelle a trent’anni così per caso.
Ma il ristorante col suo nome e la possibilità piena di fare la sua cucina hanno rovesciato il banco, segnando una sterzata decisa nella sua carriera.
Jean François Piège sta dando una nuova chiave di lettura alla cucina francese e questa non è una cosa che si vede tutti i giorni.
Forse questo non sarà il ristorante migliore oggi in Francia, ma senza dubbio è uno dei più interessanti sotto vari aspetti.
Un percorso folgorante quello di Piège: dalla nascita a Valence nel 1970 (dove guarda caso ha sede uno dei più grandiosi ristoranti della storia gastronomica francese, la Maison Pic) all’incontro nel 1992 con Alain Ducasse, con cui rimarrà fino al 2004 raccogliendo tutti i premi che c’erano da raccogliere. Quindi i 5 anni all’Hotel de Crillon, dove con ragionata incoscienza sovverte gli standard della cucina di palazzo mischiandola con la cucina popolare.
Infine, nel 2009, la liason commerciale con Thierry Costes : Brasserie Thoumieux, Restaurant Piège e infine Hotel Thomieux, luoghi plasmati dalla eccentrica mente della designer India Mahdavi.
E’ di pochi mesi fa l’ultima perla della galassia JFP: Gâteaux Thomieux, paradiso zuccherino proprio di fronte all’Hotel Thoumieux.
Piège si è da subito posto come anello di congiunzione tra i neo-bistrot zero fronzoli e i grandi ristoranti parigini: prezzi calmierati (anche se, ultimamente, in deciso rialzo), personale in giacca e jeans come a spezzare le regole della grande Maison d’Oltralpe, ma anche lussi e comodità.
E poi la formula innovativa della scelta degli ingredienti: è in sostanza un carta bianca, ma la possibilità di scegliere i protagonisti con cui verranno costruite le portate principali lascia al cliente almeno l’illusione di avere deciso.
Grande carta dei vini, con ricarichi tutto sommato accettabili considerata la media parigina; sala particolare, da amore o odio, con la notevole pecca di una illuminazione quasi inesistente.
Ma passa tutto in secondo piano rispetto alla idea di cucina di Piège: rileggere i classici, mantenerne lo spirito più intimo ma dargli una nuova forma. E’ limitante definirla cucina neoclassica: Piège ha creato uno stile ed un modo personale di traghettare la cucina classica francese ai giorni d’oggi. Rivoluzionarla senza distaccarsene. Ogni piatto è intriso di classicità senza poter essere definito classico.
L’obiettivo dichiarato è quello di vivere la tradizione nell’epoca attuale e JFP ci riesce in maniera mirabile. L’ingrediente protagonista, che sia homard o riz de veau, è pregno di tradizione, ma tutto intorno si muove un universo di creatività.
Uno chef colto, che rovista con intelligenza nella storia della cucina francese cogliendo spunti e scintille, e poi li usa a suo vantaggio unendo personalità e tanto buon gusto.
Non è tutto impeccabile e in alcuni passaggi si può rimanere interdetti, ma quello che bisogna cogliere qui è il concetto, è l’originalità di un cuoco che sta facendo qualcosa di diverso e che, soprattutto, cucina in modo divino.
A livello concettuale siamo già nell’eccellenza, perché è stato creato uno stile.
Manca solo un piccolo passaggio per portare ai massimi livelli anche il risultato nel piatto.

La serie di antipasti freddi e caldi
Gelatina di Verjus, foie gras – Prosciutto, burro, cetriolino – Crocchetta di Brandade de morue – Cavolfiore marinato – Pizza soufflée, burrata, tartufo nero
amuse bouche, Restaurant Jean François Piège, Parigi
amuse bouche, Restaurant Jean François Piège, Parigi
amuse bouche, Restaurant Jean François Piège, Parigi
amuse bouche, Restaurant Jean François Piège, Parigi
Midollo, coda di bue essicata, estrazioni di erbe, tartufo nero: con un “pane-spugna” da intingere nelle salse
midollo, coda di bue, Restaurant Jean François Piège, Parigi
amuse bouche, Restaurant Jean François Piège, Parigi
Crostino di pane, Jus al Chateau d’Arlay, neve di prezzemolo: presentato come un french toast in versione moderna, a noi può tanto ricordare la versione elegante di una “scarpetta”. Semplicemente libidinoso, semplicemente geniale.
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Zuppa di crescione, aringa affumicata
zupap di crescione, Restaurant Jean François Piège, Parigi
Royale di fegato secondo Lucien Tendret 1892, gamberi
Richiamo a una ricetta contenuta nel libro “La Table au Pays de Briilat-Savarin”, scritto nel 1892 da Lucien Tendret, qui interpretata con mano e mente da grandissimo.
Royal di fegato, Restaurant Jean François Piège, Parigi
Astice blu, acqua di cocco, patè di peperoncino, coriandolo, lime: un viaggio nella cucina creola, mantenendo ben saldi i piedi in Francia. Classe.
Astice blu, Restaurant Jean François Piège, Parigi
Merluzzo di Saint Jean de Luz al burro demi-sel, patate croccanti, patate schiacciate, pasta di rafano, dragoncello e scalogno
Merluzzo di saint jean, Restaurant Jean François Piège, Parigi
Animelle, indivia, tartufo nero, nocciola: la cottura delle animelle è un compendio di tecnica culinaria.
animelle indivia, Restaurant Jean François Piège, Parigi
Capriolo di caccia cotto sulle castagne gigliate, riduzione di una poivrade: la poivrade è una preparazione già conosciuta ai tempi dell’Impero Romano. Qui viene alleggerita e interpretata.
Il capriolo viene cotto sulle castagne in una sorta di “bassa temperatura naturale”. Il risultato gustativo è memorabile, meno il sentore di bruciato che si avverte in sala ogni qual volta viene portato in visione il contenitore in cui è stata cotta la carne.
Discutibile l’abbinamento con zucca marinata ripiena di Fontainebleau e zucca cotta, che poco apporta alla riuscita del piatto.
capriolo, Restaurant Jean François Piège, Parigi
Mandarino della Corsica: la scorza confit, il sorbetto, gelatina, crema, babà, petali di rosa e zafferano. Grandissimo dessert che fa piazza pulita di tutte le variazioni del genere.
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Biancomangiare: ripieno di crema alla vaniglia. Tecnica e gusto.
bianco mangiare, Restaurant Jean François Piège, Parigi
J. Grivot Vosne Romanée « Les beaux monte » 2006
Restaurant Jean François Piège, Parigi
La cucina a vista
cucina a vista, Restaurant Jean François Piège, Parigi


Non c’è dubbio che il fenomeno Bistronomie, comparso a Parigi da poco più di un lustro, abbia avuto un effetto dirompente sulla ristorazione della Ville Lumière. Fino ad ora, però, si era creata una specie di frattura fra le grandi tavole, anacronisticamente fossilizzate sui soliti ingredienti e su conti a due-trecento euro, e bistrot dall’ottima cucina ma spesso fortemente limitanti sulle scelte oppure eccessivamente spartani nella proposta. Un dualismo insanabile, anche nella clientela? Non penso proprio, anzi credo che Jean-François Piège, da meno di due anni operativo al primo piano dell’hotel Thoumieux, sia l’ideale candidato a trait d’union fra queste due opposte tendenze.

Se da un lato infatti l’ex chef del Crillon propone, in un ambiente raffinato e raccolto, piatti che ruotano intorno ai capisaldi dell’alta cucina d’Oltralpe, lo fa d’altro canto evitando brigate oceaniche, inutili fasti (per dirne una, la divisa del personale di sala include i jeans) e proponendo al cliente non un menù vero ma un atto di fede in quella che è giustamente chiamata “la règle du je(u)”. Sono presenti solo tre formule, da una a tre portate (più entrata, formaggi e dessert), e all’avventore non viene chiesto di scegliere  piatti ma solo uno, due o tre ingredienti da una lista di sei, senza sapere in quali preparazioni verranno effettivamente serviti (ovviamente al netto di intolleranze o idiosincrasie).

La cucina di Piège, come le premesse annunciano chiaramente, è terribilmente personale, al limite dell’egocentrismo, spigolosa nel gioco degli accostamenti e nell’utilizzo delle spezie. Si muove, spesso sul tema del mare-terra, senza guardare troppo all’equilibrio ma sempre puntando su una grande nettezza, alzando la voce più volentieri di quanto non sussurri, forte di una consapevolezza nei propri mezzi che consente di non precludersi praticamente alcuna sfida. Ne è un esempio il piatto dedicato all’aragosta, accostata senza timore alcuno al fegato grasso. Nessuna paura neppure di annoiare, ed allora la volaglia di Bresse, pur in due servizi, è giocata in doppio misto con crostacei e con le loro bisque, con il gallinaceo dapprima in ravioli con gamberi e poi in suprema e royale con scampi (foto di copertina) con la freschezza dell’anice a moderare (ma direi più ad animare) il dibattito. Il piatto della serata è decisamente, e non per demeriti degli altri, il piccione ripieno di olive e fegato grasso con patate in doppia versione, la chips nasconde quella al forno. In mezzo, esecuzioni mai meno che ottime.

Il reparto dolce, totalmente a sorpresa, conferma il livello tecnico assoluto di questo chef ma non azzarda, puntando, pur con preparazioni dal grado glicemico calibratissimo, più sul carezzevole che sullo sferzante. Niente acidità prepotenti, ma preparazioni confortevoli ed appaganti, emotivamente meno intriganti rispetto al resto della cena. In questo senso mentre la parte salata ci è parsa più vicina al modello bistronomico, anche sul fronte delle presentazioni, certo non sciatte ma non certo studiate per stupire il cliente, i dessert così come il burro a tavola a corollario del fantastico pane (il migliore provato a Parigi) ci son parsi il legame più forte con il passato della grande ristorazione parigina.

L’arredamento in stile coloniale risulta dal vivo molto più fine ed elegante che visto sul sito dell’hotel. Sfortunatamente l’illuminazione è davvero ai minimi storici, tant’è vero che non è risultato possibile avere il minimo sindacale di luce non solo per fotografare i piatti, ma persino per distinguere gli ingredienti nel piatto. Inoltre ho dovuto ricorrere al servizio al calice, conteggiato nell’addizione in modo curioso, e non certo per difetto, semplicemente perché leggere la carta dei vini mi è risultato impossibile con i caratteri minuscoli e con un’ancor più esile candela a disposizione del mio angolo di oscurità. Per fortuna la cucina di Jean-François Piège rende tutti questi dettagli completamente secondari. Per molti Piège è già il miglior chef della città. Il tempo dirà se il pupillo di Ducasse sia destinato a questo trono. Per ora le premesse ci sono tutte

Grignotages, tra cui spiccano la rivisitazione del jambon à la parisienne, il salmone con aneto e wasabi e la crocchetta liquida di lumache alla borgognona.

Aragosta e fegato grasso.

Raviolo di pollo con gamberi e bisque di gamberi all’anice stellato.

Asparagi, granita di parmigiano, cagliata, senza lesinare sull’aglio.

Rombo, carote, cipollotti e crescione.

Piccione e fegato grasso.

Formaggi e cotognata.

A rinfrescare e chiudere con il salato, fromage blanc con fragole…

…per ricominciare con i dolci a parti invertite, vacherin con fragole.

biancomangiare di consistenza straordinaria ripieno di crema alla vaniglia.

crema al bergamotto e frutto della passione.

Lo straordinario pane….

….accompagnato da un burro che non gli è da meno.