Quando Alessandro Borgognone, titolare di questo ristorante, vide l’apprendista Daisuke Nakazawa piangere -nel film “Jiro l’arte del Sushi”- dopo essere stato ripreso dal Maestro per una “frittata” non perfetta, decise che quello doveva essere il suo Chef. Aprì nel 2013 con l’obiettivo di diventare il migliore ristorante di Sushi di New york.
E l’impresa gli è certamente riuscita.
Tanti sono i luoghi, nella Grande Mela, dove poter mangiare un buon -a tratti eccellente- sushi. Ma in nessuno di questi c’è la tendenza alla perfezione stilistica, unita ad una buona dose di sana creatività, che fa di sushi Nakazawa un punto di riferimento del genere. Merito indubbiamente di Nakazawa San, e di ciò che ha appreso alla corte del grande Maestro giapponese.
Questo affascinante gioiello, incastonato in una via del Greenwich Village, è un posto assai ambito, fully-booked per mesi, sia ai normali tavoli che, come potrete immaginare, all’ambitissimo bancone posizionato all’ingresso, in cui è possibile vedere all’opera direttamente il Maestro con tutta la sua stuola di adepti-aiutanti.
E’ intrigante il movimento sinuoso che si scorge da questo angolo di visuale, movimenti frenetici ma al contempo precisi e maniacalmente perfetti. Una vera e propria sinfonia, in cui l’opera portata in scena è la creazione di 21 atti unici che compongo il menù Omakase e che rasentano la perfezione, proiettando una serie infinita di ingredienti, provenienti da ogni parte del globo, in un caleidoscopico tripudio di sapori, odori e essenze.
Perchè Mr. Nakazawa ha evoluto la rigida tradizione del maestro Ono aggiungendo tocchi di creatività, come una salsa al miso fermentato o una pasta di yuzu al wasabi, e selezionando una serie di ingredienti -i migliori- tra quelli reperibili negli Stati Uniti, ma anche oltre confine, non dandosi limite alcuno. Obiettivo la massima soddisfazione dell’avventore, a qualsiasi prezzo.
Ecco quindi i ricci del Maine messi a fianco, in una variazione intrigante, a fantastici ricci provenienti direttamente dalla baia di Hokkaido. Così come lo sgombro spagnolo, affiancato allo sgombro del Pacifico. E poi un tripudio di capesante vive, gamberi blu praticamente uccisi sul banco, tonno in variazione, da magro a grasso, di qualità straordinaria.
Colpisce al cuore e allo stomaco questa esperienza unica, deflagrante, inaspettatamente voluttuosa e divertente. A differenza del suo maestro, Mr. Nakazawa scherza, ride e dialoga con gli ospiti. E così sono invitati a fare tutti i ragazzi dello staff.
Ci sono, dicevamo, altri grandi interpreti di cucina giapponese a New York, ma certamente Sushi Nakazawa può vantare il primato per il menù Omakase migliore della città. Il tutto accompagnato da un servizio di prim’ordine, anch’esso eccelso.
Ecco a voi lo spettacolo!
La mise en place, al super-esclusivo bancone.
L’ottimo e pregiato Tè Gyokuro, da noi scelto in accompagnamento.
Il primo atto unico: Ivory king Salmon (una qualità di salmone selvaggio preziosissima), fiocchi di sale Maldon e polvere di yuzu.
La preparazione del secondo pezzo.
Chum Salmon -letteralmente salmone all’esca- Copper River. Un altro particolare tipo di salmone selvaggio, qui leggermente affumicato al legno di faggio.
Preparazione del Wasabi fresco.
I fantastici ricci della baia di Okkaido.
Capasanta viva, si muoveva ancora.
Seppia, Sisho e marmellata di lime.
Kelp fish (pesce fuco) e composta di radice speziata di Daikon.
Il fantastico e freschissimo Red Cornetfish…
…con polvere di zeste di yuzu e soia fermentata.
I due sgombri a confronto: sgombro spagnolo e sgombro giapponese. Impressionano le differenze di texture, sapore e intensità. Indovinate a favore di chi?
La preparazione del granchio reale.
Granchio reale e polvere di pepe del Giappone.
Ricciola (yellowtail) giapponese.
… che accompagna un bonito affumicato, che ci ha ricordato lo stupendo bonito provato dal Maestro Jiro Ono.
Le tre differenti variazioni di tonno: magro, mediamente grasso e grasso.
Ecco qui la variazione, la nostra preferita l’intermedia.
Ricci di Hokkaido e del Maine.
Tamagoyaki e anguilla affumicata in salsa di soia e caramello.
Tra cui spicca anche una new entry: gambero della baia di San Francisco.
Intelligente e studiata operazione commerciale, o ennesima grande tavola firmata Adrià?
Non è poi così facile delineare il confine tra un aspetto e l’altro e, forse, nemmeno così importante. Perché se si raggiunge un livello di qualità come quello del Pakta, allora tutto il resto è chiacchiera da bar.
Certamente qui si ha avuto l’occhio lungo, aprendo in tempi non sospetti (nel 2013) un locale di cucina Nikkei.
Cosa c’è di più fashion, oggi, di una cucina che mischia il mondo giapponese con quello Sud Americano?
E infatti il locale va che è una meraviglia, grande successo di critica ma anche di pubblico, perché questa non è una enclave per appassionati, il bacino d’utenza può essere (ed è) decisamente più ampio.
E anche noi siamo tornati più volte a visitare questo locale.
Eppure non sono pochi i fattori che potrebbero smorzare gli entusiasmi: solo due menù degustazione, da scegliere possibilmente in anticipo, all’atto della conferma della prenotazione; prenotazioni non agevoli (online, due mesi prima della data di interesse, vengono aperte le prenotazioni: molto difficile trovare posto nell’orario preferito); una rigidità nel servizio dei piatti quasi esasperata (viene indicato l’ordine con cui mangiare gli ingredienti, con quale stoviglia e in che modo!).
Allora perché venire qui?
Perché, nonostante tutto, qui si fa una grande cucina fusion.
Forse una delle sue migliori espressioni europee, non possiamo che ribadire quanto già espresso nelle nostre precedenti visite.
Non c’è la profondità di sapori di un grande kaiseki di Kyoto, o la precisione di un sushi master di Tokyo, ma quella Nikkei è una cucina interessantissima (che speriamo di provare presto in Perù) e qui viene interpretata ad altissimi livelli.
Tecnica impressionante, mix di ingredienti riuscitissimo: la freschezza e la tecnica della cucina giapponese incontrano il carattere più speziato di quella peruviana; lime, mais, peperoni, patate, si uniscono a miso, alghe, tosazu, dashi, in un vortice di sapori sorprendente.
Non una sbavatura, non un tentennamento: difficile trovare qualcosa di meglio nel vecchio continente.
Allora l’unico interrogativo che ci sentiamo di porre non è legato alla cucina (splendida) ma alla modalità di offerta: menù fissi chilometrici, tempistiche registrate al secondo, fruizione dei piatti rigida… ha ancora senso tutto questo nel 2015? E’ questo il futuro della ristorazione che vogliamo?
Dove sta la carta? Dove sta la libertà di mangiare prima la salsa e poi il pesce se così ci va? Quanto avanti è stato portato (soprattutto nei grandi ristoranti spagnoli) il confine tra ristoratore e cliente? Quanto quest’ultimo deve sottostare a regole indicate dal primo?
Sono domande che lanciamo sul tavolo, per ragionare e ragionarci insieme, come già abbiamo fatto in passato.
E chissà se una risposta c’è davvero…
Per cominciare, un ottimo Pisco Sour e un Lurasnu.
Abbiamo scelto il menù Machu-Picchu.
Mangiando al bancone si possono vedere in diretta le preparazioni dei piatti.
Honzen Ryori.
Nigiri di calamaro con caviale.
Corn surinagashi (zuppa di mais con dashi).
Tamago-dofu (crema d’uovo), salsa tosazu (salsa a base di fumetto di tonno bonito, alga kombu, salsa di soia e hon mirin) con alga nori e uova di salmone.
Sugarello con cetriolo, gari (sottaceto) e salsa sumiso (salsa a base di miso, pasta di fagioli di soia fermentati e aceto).
Polpo con olluco (un tipo di tubero), edamame and kimchi (verdure fermentate con spezie).
Daikon (ravanello cinese) con “ají amarillo” (peperoncino)
Kumquats con gelatina “leche de tigre” (il succo del ceviche)
Un goccio di sake a ripulire il palato.
Shimesaba (sgombro e aceto) con alga wakame e salsa di soia bianca (shiro-shooyu).
Vegetariano abalone “tiradito”: un fungo, ma la consistenza è molto simile a quella dell’abalone.
Tomato ponzu “leche de tigre” con cozze bouchot (mais tostato e mais).
Usuzukuri di lampuga con yuzukosho (una pasta fermentata fatta con peperoncino, scorze di yuzu e sale).
The Nigiris.
Pauro con alga kombu.
Acciuga fresca con sedano, umeboshi e rocoto (un tipo di peperoncino).
Tartare di ventresca di tonno con chips di yucca.
Questa tipo di cucina si abbina benissimo a tea e infusi, molto buono questo allo zenzero e verbena.
Gambero grigliato.
Ceviche di spigola con “leche de tigre” e mandorle verdi.
The Causas.
Causa floral di tonno con maionese “acevichada” e wasabi kizami.
Causa fritta con pollo and huacatay (pianta della famiglia delle Asteraceae).
Ravioli Xiao Long Bao ripieni di maialino da latte con olio “ají limo” (peperoncini peruviani).
“Sanguchito” (sandwich) di guancia di maiale fritta con sottaceti.
Pesce pappagallo fritto con sale andino.
Soba Cancha chulpi (un tipo di mais) con “leche de tigre ají amarillo” e bottarga.
Per finire:
Lumaca di mare con brodo di pollo e huacatay.
Rock fish con salsa nikkei “escabeche”.
Aged rib eye steak con polvere all’aroma di griglia e salsa béarnaise con chincho (una erba aromatica).
La preprazione di…
…melanzana arrostita con miso e crema di fegato.
Sorbetto Huacatay.
Desserts Honzen Ryori.
Melone con frutto della passione.
Lime con pisco e miele di zucchero di canna.
Sashimi di mango con shiso verde (perilla).
Pesca con miso bruciato.
Insalata di cocco e daikon.
Patate dolci “picarones” con fichi secchi al miele.
Cioccolato Pakta.
Per la carriera e la fama di uno chef, qualsiasi cosa esso vi dica, tra le cose più importanti ci sono i riconoscimenti delle guide, il più rapido veicolo per “uscire dall’anonimato” e salire agli onori della cronaca, per raggiungere così una vasta platea di pubblico (pagante).
Nel suo ristorante a Tokio, Mitsuhiro Araki aveva raggiunto i massimi possibili, di riconoscimenti.
Protagonista del gotha mondiale della ristorazione, uno dei pesi massimi della gastronomia giapponese, specialista nel sushi in bella compagnia insieme a nomi del calibro di Jiro Ono, Haichiri Mizutani, Masahiro Yoshitake, Takashi Saito… non precisamente un gruppetto di sconosciuti, insomma.
Poi di punto in bianco, all’apice del successo, come un fulmine a ciel sereno il passaggio da Araki-San a Mister Araki: la chiusura del tristellato locale nella lussuosa Ginza, il trasferimento in pianta stabile con la famiglia a Londra, e la relativa apertura di “The Araki”, piccolo locale a cinquecento metri da Piccadilly Circus.
La motivazione ufficiale della scelta? Un molto british “motivi di studio della figlia”, e stop.
Quindi, cosa offre oggi Araki, a Londra? Semplicemente, rispettando a pieno le aspettative promesse, la più alta esperienza di edomae sushi europea, certamente tuttora accostabile ai big a livello mondiale, se non altro perché non si tratta di una consulenza, una seconda apertura o il ristorante di un pur bravo “…allievo di…” o “…secondo storico di…”, ma del vero e proprio sushi bar di un Master, con lo stesso al lavoro dietro al bancone ed il relativo inarrivabile background: una cosa davvero più unica che rara, mai avvenuta in precedenza.
Anche gli arredi del locale, da soli nove posti a sedere in fila di fronte al piano di lavoro, sono praticamente identici a quello di Ginza, tanto che dopo quasi tre ore di totalizzante esperienza, è straniante ritrovarsi su un Black Cab nella City, anziché sulla Tokyo Metro.
Ma non siamo a Tokyo, e Araki ben lo sa: intelligentemente, ha smussato parte dei rigidi spigoli della tradizione giapponese, per adattarli ad usi e consuetudini della clientela europea. Nonostante il rigore e l’intransigenza espressi sul sito, la cena si svolge senza fretta né apprensioni di alcun tipo, impegnando tutto il tempo necessario, senza la volontà di mantenere alcun distacco anzi cercando di coinvolgere al massimo i clienti, arrivando a ridere e scherzare con loro.
Sempre perché non si trova a Tokyo, perché complicarsi la vita con laboriose forniture di materia prima dal Giappone, con il rischio tra l’altro di vanificare lo sforzo compromettendo la freschezza, quando, con l’esperienza, è possibile selezionare e valorizzare al meglio il pescato dai mari europei?
La qualità media del pesce non è ancora paragonabile a quello del mercato di Tsukiji (per vari motivi, in primis la tecnica di pesca e conservazione), cosa che non permette di raggiungere le vette dei migliori indirizzi di Tokyo, ma stiamo parlando di dettagli davvero sottili.
Soltanto il riso è proveniente dal Giappone, il medesimo che veniva utilizzato in patria.
Per contrapposizione allora, per tentare di colmare questo gap, perché non utilizzare (lussuosi) ingredienti tipicamente occidentali, quali il caviale ed il tartufo, se non si tratta di una banale contaminazione ma tali ingredienti si riveleranno realmente migliorativi per l’insieme?
All’atto pratico, la ragione è sua, e la guadagna attraverso una sequenza meravigliosa tanto negli appetizer iniziali, dei veri e propri piccoli piatti di valore assoluto, che nel sushi, a cui è difficile trovare difetti: praticamente perfetto, dal chicco non tanto al dente sebbene ottimamente sgranato, lievemente acido e servito appena tiepido, in maniera da esaltare il neta, per una serie di bocconi profondi, persistenti, ampi, sempre assolutamente fini sebbene estremamente materici, dall’espressione preminentemente “ittica” o burrosa a seconda del taglio.
Una esperienza davvero illuminante, macchiata soltanto dall’unico reale difetto degno di essere segnalato come tale: il vertiginoso conto, vera e propria nota dolente di questo luogo, ancor prima che semplice difetto.
Anche in questo caso non siamo a Tokyo, e Araki lo sa. Volete provare un’esperienza di livello assoluto, unica in Europa? Il solo menù Omakase disponibile è prezzato a 300£ +15% di servizio, che tradotto significa, anche bevendo dell’acqua, che è impossibile varcare questa soglia senza spendere meno di 500€ a testa, grossomodo l’equivalente ad un volo A/R Milano-Tokyo.
In nessuno dei due casi sbaglierete, dovrete soltanto decidere quante ore di volo affrontare.
La rigorosa… “mise en place”.
Dopo i saluti, il maestro inizia l’opera di pulizia e porzionatura del tonno. Emozionante anche solo stare a guardare.
Il primo degli “appetizers”: Brodo di rombo, scampi, Yuzu e Kombu, da bere. Puro umami, rinvigorito dalla decisa nota agrumata dello yuzu.
Sashimi di rombo con caviale Almas, wasabi e salsa ponzu speziata.
La pura e lieve sapidità marina del rombo viene amplificata dallo splendido caviale, profondo ma anch’esso dalle nuance morbide e tenui. Molto più decisa la ponzu sul fondo, marcatamente citrica, che allunga la persistenza in maniera imbarazzante. Dettaglio, notevoli anche le porcellane ove verranno serviti i piatti.
Abalone cotto al vapore di sake, servito su capesante grigliate.
Elegantissimo e rigoroso l’abalone, nella sua splendida consistenza; le capesante invece, grigliate in maniera decisa, si rivelano di estrema golosità.
La preparazione della “maionese”, dalla notevole quantità di misteriosi ingredienti…
…per la Tartare di tonno (ove vengono utilizzati tutti e tre i tagli), con maionese, sesamo, tartufo nero e bianco, wasabi.
Per estrarre l’aromaticità dei tartufi ci viene chiesto di mescolare il tutto a lungo nel piatto, insieme al tonno, precedentemente lavorato con la salsa e la mayo, ed al wasabi, perfettamente dosato. La risultante è un piatto spettacolare, profondissimo ed estremamente sfaccettato. Attacco sapido, lievemente piccante ed aromatico, ma dalla base sempre morbida e vellutata, dalla quale alle volte emerge il sesamo, poi ancora la grassezza del tonno, per poi chiudere il tutto con una marcatissima nota di nocciola. Un piatto di valore in scala assoluta, in ogni angolo del globo.
Ricciola marinata nel Koji, soya e prugna con strisce di capesante essiccate: marcatissimo il contrasto di consistenze, più morbida la ricciola, molto più tenaci e gommose le scallops strings, una sorta di katsuobushi di capasanta.
Il servizio dello zenzero (splendido: croccante, aromatico e lievemente piccante) preannuncia l’arrivo del Sushi.
La minuziosa e ipnotizzante preparazione dei neta.
Akami.
Chu-Toro.
O-Toro.
Il wasabi è preparato istantaneamente dall’assistente, a seconda della necessità del Maestro.
Mackerel.
Seppia, con caviale Almas.
Salmone norvegese.
Guancia del tonno, marinata nella salsa di soia.
O-toro grigliato, un boccone da Re, dal gusto intenso e coinvolgente.
La preparazione dell’anago roll…
…servito direttamente nelle mani.
In chiusura, tamago.
Prenotare in un grande ristorante di Tokyo, si sa, è impresa ardua. Se poi l’ambizione è di trovare posto in uno dei più ambiti come Sushi Saito che, oltre a offrire (pare) una qualità straordinaria, richiede anche una spesa decisamente inferiore alla media, è indispensabile dotarsi di un “piano B”.
Ci abbiamo provato anche questa volta senza successo, da Saito, nonostante il prodigarsi del nostro referente in loco, ma mai scelta di un’exit strategy fu più felice, perché la serata da Sushi Yoshitake è stata formidabile.
Non avevamo dubbi che considerarlo un ripiego fosse un’esagerazione, vista la nostra visita precedente, ma dobbiamo dire che a fine serata l’impressione è quella di essere stati davvero in una tavola straordinaria. Per la grande perizia di Masahiro Yoshitake, un maestro con le lame; per la cordiale accoglienza sua e del suo team, capace ora anche di descrivere i piatti in un inglese comprensibile; per la qualità formidabile della materia utilizzata, selezionata con cura infinita nel meglio della produzione del paese intero.
Aggiungeremmo anche per la formula: da Sushi Yoshitake, infatti, oltre a poter gustare una serie di sushi tra i migliori della capitale nipponica (ergo, del pianeta), si ha la fortuna di godere, prima del sushi stesso, di alcuni magnifici piatti degni di un grande kaiseki, bocconi divini che giustificano in pieno riconoscimenti di pubblico e critica e conto conseguente.
Difficile trovare lo zenit, in una sequenza memorabile, ma si fa fatica a non citare il formidabile abalone con salsa del suo fegato: un inno allo iodio che fa letteralmente impazzire papille e cervello di chi ama i frutti di mare e che si completa in una “scarpetta” tutta nipponica con aggiunta di riso, offerto dal maestro, da intingere nella salsa rimasta. Sperando che non si crei a breve un movimento per la tutela dell’abalone, possiamo dire che ci siamo fatti un’idea di quale sia il fegato che preferiamo a tutti gli altri (che pure non disdegniamo).
La sequenza dei sushi è inappuntabile, esaustiva di ogni possibile preferenza (da un otoro opulento, alla delicatissima seppia, all’esplosivo riccio in doppio strato) e fedele all’impronta edomae segnata dalla presenza nel riso di aceto rosso, senza zucchero. Ogni assaggio è ricco e fine insieme, impossibile trovare non diciamo difetti , non previsti da queste parti, ma cose migliorabili. Il mancato voto top è solo per rispetto del benchmark assoluto del genere, il riverito Jiro-san.
Per non ingenerare equivoci: anche da queste parti, una prenotazione con largo anticipo è indispensabile per aggiudicarsi uno dei sette posti a sedere, così com’è più che opportuno prevedere un po’ di tempo alla ricerca del locale, al terzo piano di uno dei tre palazzi contrassegnati dallo stesso “indirizzo”, nell’accezione giapponese del termine (per praticità, lo abbiamo fotografato).
Vongola (praticamente un mostro marino, di inaudita bontà).
Scorfano leggermente affumicato.
Abalone. Il piatto col suo fegato lo abbiamo praticamente ingurgitato intero.
Seppia ripiena
Maccarello reale affumicato con salsa allo zenzero.
Il meraviglioso granchio con la sua gelatina.
Finalmente (per modo di dire) si parte con i sushi: seppia.
Sardina.
Ark shell.
Riccio di Hokkaido (sotto) e Miyake, un doppio strato di piacere puro.
Gamberone lievemente scottato.
Anguilla.
Inevitabile conclusione…
Il palazzo, non potete sbagliarvi.
Il cammino verso la perfezione.
Concezione, esecuzione, risultato: gesti ripetuti ossessivamente nella ricerca del miglioramento continuo. Giorno dopo giorno. Per tutta una vita.
Jiro Ono è un uomo di 88 anni, ancora al posto di comando nel suo minuscolo locale nella stazione della metropolitana di Ginza.
Jiro Ono è uno shokunin: è difficile tradurre in italiano un termine così lontano dalla nostra cultura. La traduzione in “artigiano” infatti non gli rende giustizia: è molto di più.
Comporta certamente avere competenze tecniche, ma implica anche una coscienza e un atteggiamento sociale. Lo shokunin ha l’obbligo sociale di lavorare al meglio per il benessere generale della popolazione. Obbligo che è sia spirituale che materiale. Una cosa enorme, ma è fondamentale averne chiarezza prima di mettere piede qui dentro.
“Dovete innamorarvi del vostro lavoro”: così dice Jiro nel famoso documentario di David Gelb, Jiro Dreams of Sushi.
Quanto è fortunato l’uomo che riesce a trovare nel proprio lavoro passione e forza innamorandosi di quello che giornalmente è chiamato a fare per la comunità! L’unione tra vita e lavoro diventa quindi vocazione.
Tutta la vita di quest’uomo non è stato che questo: un cammino verso una perfezione che non è raggiungibile perché non si sa quale sia il suo apice ma a cui bisogna continuamente tendere.
«Io continuerò a salire, cercando di raggiungere la vetta, anche se nessuno sa quale essa sia». (Jiro Ono)
Ma Sukiyabashi Jiro non è solo il contenitore della storia di un grande uomo: qui le storie da raccontare sono molteplici e si intrecciano come si mischiano le esistenze degli esseri umani.
C’è la storia di Yoshikazu, il figlio maggiore di Jiro San: al fianco del padre tutti i giorni. E’ un macigno da portare sulla schiena quella eredità che probabilmente lo relegherà ad eterno secondo.
E’ lui che tutti i giorni va al mercato a scegliere il pesce: solo il meglio per Jiro Ono. Possono essere aperti anche 40 tonnetti prima di trovare quello degno di essere servito da Jiro San.
C’è la storia del figlio minore Takashi, che ha aperto un suo locale a Roppongi Hills che è l’esatta copia a specchio del locale del padre ( Takashi è mancino). Fuga che può diventare salvezza e rinascita.
O quella dei tanti apprendisti in attesa di un segno di approvazione dal Maestro: chi ha il compito di strizzare gli asciugamani, chi per mesi e mesi non fa altro che frittate dolci, chi ancora massaggia i polpi (non meno di cinquanta minuti per renderli morbidi).
Non ci sono concessioni, non ci sono regali: qui ogni cosa è sudata e guadagnata sul campo.
Al giorno d’oggi i genitori dicono ai figli: “Se non funziona puoi tornare a casa”. Quando i genitori dicono stupidaggini come questa, i figli sono destinati a fallire nella vita. (Jiro Ono)
Due virtù caratterizzano la cultura giapponese: l’onore e la ricerca della purezza.
L’onore è parte integrante del proprio lavoro, nell’amore che si prova per esso e nella continua ricerca del miglioramento.
La purezza va invece ricercata nella semplicità.
Niente di più semplice dell’accoppiamento di riso e pesce in un vortice armonioso che porta alla fusione di questi due elementi.
Il riso: molti tendono a cuocerlo troppo. In quello di Jiro si sente l’aceto ed è servito a temperatura corporea. È cotto ad altissima pressione, il che lo rende soffice e vaporoso, ma allo stesso tempo ogni chicco mantiene la sua forma. E’ una rivelazione, un riso straordinario.
Il pesce: niente che sia meno di eccellente. La fornitura giornaliera al mercato di Tokyo è maniacale.
L’armonia: la perfetta unione tra i due elementi si rispecchia nel gusto, unico ed emozionante.
Il wasabi, modulato in quantità a seconda del pezzo: uno schiaffo iniziale che lascia il campo al gusto di questa incredibile radice che in Giappone tocca vertici qualitativi assoluti.
Una spennellata di salsa di soia. E subito in bocca in pochi secondi, perché la perfezione è fugace.
Il menu (19 portate fisse) si sviluppa come un’onda, in un crescendo di sapori.
Solo sushi preparato dal Maestro davanti ai vostri occhi: 30 minuti per i 240 euro meglio spesi della vostra vita.
Una composizione che rende terra e cielo più vicini, continui shock neurosensoriali che non si dimenticheranno facilmente.
Chissà se avremo ancora la possibilità di gustare il sushi preparato da questo monumento della gastronomia mondiale. Chissà se lo troveremo ancora lì, a perfezionare il suo riso, il suo pesce, il suo sushi. A costruire il suo destino partendo da se stesso, giorno dopo giorno.
Dopo giorno, dopo giorno…
Note pratiche: la prenotazione può essere fatta dal concierge dell’albergo, solo il primo giorno del mese precedente la visita (esempio, il primo settembre per il mese di ottobre).
Il ristorante si trova sotto alla fermata Ginza della metropolitana: per individuarlo cercate il cartello del ristorante Birdland che riporta la scritta in inglese ed entrate nel corridoio. Jiro si trova proprio di fronte.
Il menu è fisso ma a fine pasto è possibile richiedere dei bis dei pezzi che avete preferito.
Sono accettati solo contanti, quindi ricordate di fare il pieno prima di entrare.
I cartelli da seguire per l’ingresso
Karei: passera pianuzza
Sumi-ika: Calamaro
Shima-aji: caranx vinctus (striped jack)
Akami: tonno
Chu-toro: Tonno semi grasso
Kohada: alosa americana (gizzard shad)
Mushi-awabi: abalone al vapore
Aji: sugarello (jack mackerel)
Kurumaebi: gambero bollito
Katsuo: tonnetto (bonito). Leggermente affumicato, l’apice di tutto il pasto. Gusto e consistenze indescrivibili.
Shako: canocchia
Iwashi: sardina. Altro colpo da ko, di cui infatti abbiamo chiesto il bis.
Akagai: vongola rossa (ark shell)
Uni: riccio di mare
Kobashira: cappasanta
Ikura: uova di salmone
Anago: grongo
Tamago: frittata dolce di uovo. La consistenza di questa frittata è unica. Solo una frittata? Non scherziamo…
Musk Melon: non si può descrivere l’intensità gustativa di questi costosissimi meloni giapponesi (al mercato vengono venduti intorno ai 100 euro cadauno)
Mise en place essenziale