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Sentaku Ramen Bar

Un piccolo angolo metropolitano a Bologna

Siamo a Bologna, nella centrale e un po’ grigia via Lame, ma potremmo essere a Londra, o a Berlino, o al Meatpacking District di New York; Sentaku Ramen Bar ci ha sedotto lo ammettiamo, e ci ha “costretto” a visitarlo per due volte in quattro giorni. Ne è valso a scoraggiarci la lunga fila di più di trenta minuti, che per entrambe le visite abbiamo dovuto affrontare (il locale non accetta prenotazioni) per conquistare uno dei venti sgabelli del minuscolo locale.

Le nostre aspettative erano elevate, poiché già conoscevamo l’offerta del “cugino” Gyoza bar, e puntualmente non sono state disattese. Una volta entrati si è ripagati della fatica, l’atmosfera è stilosa e metropolitana, la musica adeguata, un bancone sulla cucina a vista domina il locale, l’aria è pervasa da un avvolgente profumo di brodo.

Il paradiso del Ramen: materie prime di qualità e tecniche di cottura

Dal semplice menù di carta che viene fatto compilare al cliente, abbiamo spuntato a matita la casella relativa ai piatti scelti, in un’offerta che prevede complessivamente quattro tipi di ramen (tra cui uno vegetariano) e qualche snack a completamento. Le nostre scelte: un ramen Hakata Tonkotsu, sul brodo di maiale cotto venti ore galleggiano gli immancabili noodles, pancia di maiale arrosto, cipollotti, germogli di soia, funghi, uovo e un ramen Shio Chashu, con brodo di pollo e bovino, noodles, pancia di maiale, senape, bamboo marinato, cipollotto, uovo.

In un battibaleno le ciotole fumanti sono arrivate alla nostra postazione, ed entrambe le proposte ci hanno conquistato. Più corposo, ma al tempo stesso di disarmante eleganza il brodo del primo ramen, più delicato seppur saporito e dal sentore affumicato il secondo, in entrambi la pancia di maiale si caratterizza per la qualità della materia prima, la notevole morbidezza e la scioglievolezza al boccone, mentre la perfetta marinatura dell’uovo alla soia denota una mano in cucina che padroneggia le tecniche contemporanee. A testa china sulle ciotole, in pochi minuti abbiamo gustato i golosi noodles accompagnati da due birre niponniche, Kirin Ichiban e Sapporo.

Ben eseguiti anche i due snack che abbiamo assaggiato: Karage double-dip, bocconi di pollo fritto da intingere nella delicata maionese allo yuzu servita in accompagnamento, e Sweet&spicy ribs, costine di maiale perfettamente caramellizzate, scioglievoli al palato, declinate, insieme alla loro salsa e il sesamo, sui toni del dolce e del piccante (forse un pizzico troppo).

In conclusione, seppur da poco aperto Sentaku merita sicuramente il massimo della nostra valutazione, per qualità e originalità della proposta. Il nostro consiglio è di correre a Bologna, armarvi di pazienza, mettervi in fila: conquistata la postazione e servito il vostro ramen fumante, alzerete il capo solamente quando non ne rimarrà neppure una goccia, statene certi!

La galleria fotografica:

Il miglior ramen del mondo?

Accreditare qualcosa come la migliore possibile richiede doti che non fanno parte del bagaglio di chi vuol descrivere con onestà e soprattutto distacco le esperienze gastronomiche fatte.
Tutto può essere relativizzato e tacciare qualcosa di assoluto può essere facilmente considerato come estemporaneo ed emotivo.
Alcuni casi, però, come questo piccolo locale della “ramen street”, il piccolo agglomerato di ristoranti che propongono quasi esclusivamente il popolare piatto a base di noodles sotto la fermata della stazione centrale di Tokio, rendono questo nobile intento quanto mai precario e vacillante.
La domanda che ci siamo posti sia durante che dopo l’assaggio è stata: “Può esistere un ramen migliore?“.
Siamo giunti alla salomonica conclusione di non poterlo affermare ma al tempo stesso non possiamo esimerci dal raccomandare molto caldamente una venuta qui mettendosi pazientemente in fila (viste le prenotazioni rigorosamente non possibili) insieme alla gente che dal primo mattino ordinatamente attende la propria razione di bontà.
Saggia idea quella di venire fuori dalle ore di punta cioè prima delle 12, come abbiamo fatto noi, o nel primo pomeriggio.
La fila scorre relativamente veloce e in attesa di essere chiamati a fare il biglietto alla macchinetta che permette di accedere all’agognato pasto, non sarà una perdita di tempo osservare la variopinta clientela che in disciplinato ordine aspetta il proprio turno.
La varietà di ramen offerta è lo tsukemen, cioè quello in cui i noodles e il brodo sono serviti in ciotole separate con pochissime variazioni sul tema, essendo possibile l’aggiunta di uova bollite, spezie o la scelta di varie quantità dei noodles stessi.
Alla fine dell’attesa e conseguito il prezioso tagliando, per una spesa che oscilla tra i 630 e i 1060 yen (tra i 5 e i 10 euro), sarà possibile accedere allo spartano bancone.
La consistenza dei noodles, resistente e meravigliosamente nodosa, e il brodo, fatto con maiale, pollo e katsuobushi, per intensità e densità restano profondamente e felicemente impressi nella memoria, rendendo l’attesa per assaggiare tale imperdibile leccornia un tributo del tutto accettabile

Al nostro ennesimo viaggio in terra del Sol Levante abbiamo deciso di fare un esperimento. Perché è facile prenotare i ristoranti pluridecorati, di cui tutti parlano, e mangiare bene, anzi in maniera eccellente. A dire il vero non è ciò più neanche tanto scontato, ma per capire il Giappone culinario più profondo, quello vero, abbiamo deciso di muoverci come si muoverebbe un turista qualsiasi, a nostro rischio e pericolo.

Abbiamo cercato sul web e scelto il ristorante più allettante -all’interno di due tipologie ben distinte- nel nostro stesso quartiere di residenza, proprio come farebbe appunto un turista qualsiasi. Che cercherebbe di cenare vicino all’albergo, in un posto caratteristico e senza spendere molto.

Non sobbarcandosi decine di chilometri per la città e lanciando milioni di improperi perché non trova il luogo tanto desiderato. Senza parlare della prenotazione, effettuata come minimo 4 mesi prima. E quindi la scelta ricade sul miglior tonkatsu e il miglior udon della zona.

Risultato? Semplicemente strepitoso!

Shin Udon“, luogo con la coda perenne al suo esterno -già un ottimo segnale- vi condurrà nel fatato mondo degli udon, immersi in un brodo dashi ancestrale e di una bontà e consistenza unica. Preparati rigorosamente al momento, cotti all’ordinazione, corredati da guarnizioni con materia prima di grandissima qualità. A prezzi da encomio, non spenderete più di 10/15 euro a testa.

Tonkatsu Hamakatsu Nishi-shinjuku” invece, come recita il nome, è la patria del tonkatsu, la cotoletta di pollo giapponese impanata nel panko, pane cassetta tipico giapponese, che dona una morbidezza e al contempo una croccantezza davvero invidiabili. Non un filo di unto, non un filo di grasso in eccesso. E accompagnamenti di grande qualità ne fanno una tappa irrinunciabile per conoscere la vera cucina giapponese, fatta non solo di nigiri e maki.

Secondo voi perché in Italia, o più genericamente in Europa, provando a fare lo stesso esperimento non si ottiene lo stesso risultato? A voi l’ardua risposta… ehm… sentenza.

Tonkatsu Hamakatsu Nishi-shinjuku

Shin Udon

Cambio di sede e rinnovata conferma. Nuova location dal medesimo valore per il tempio dei ramen e della cucina casalinga giapponese a Roma

“Le cose sono più buone quando si bevono e si mangiano nel luogo da cui provengono, questo è naturale, però il fatto che i sapori restino legati al corpo come ricordi ha dell’incredibile”
(Banana Yoshimoto – “Un viaggio chiamato vita”)

L’importanza di onorare i sapori autentici, anche di una cultura distante e complessa.
Rintracciare rigore tecnico, varietà dell’offerta e impiego di ingredienti etnici, fedeli alla tradizione nipponica, non è mai stato facile nella Capitale.
Anche in validi indirizzi giapponesi, assecondando di default i gusti “romani”, si tende ad inseguire un’indotta contaminazione occidentale, che non rende merito alla profondità gastronomica del Sol Levante.
Maurizio Di Stefano, insieme alla moglie Miwako, è riuscito nell’impresa, confezionando un format tanto folkloristico quanto coerente e centrato in ogni aspetto. Il primo Waraku, aperto all’interno di una palestra in una via decentrata dalla movida del Pigneto, ha riscosso un successo clamoroso sulla piazza romana, guadagnandosi uno status di luogo di culto e costringendo gli appassionati a prenotare con largo anticipo ad ogni visita. La formula vincente prevedeva schiettezza, semplicità, rispetto cultural-gastronomico e soprattutto un’offerta che metteva al bando sushi, sashimi o tempura, concedendo il ruolo di protagonista alla cucina “casalinga” di una vera trattoria giapponese.
La richiesta impellente, sommata ai coperti ridotti della sede originale, hanno spinto Maurizio & Co. a traslocare in una nuova location, affacciata su via Prenestina.
Il rischio di “deformare” lo spirito e l’unicità del locale poteva manifestarsi in varie forme: ampliando eccessivamente l’offerta o stravolgendo banalmente il format iniziale.
Nonostante la nuova insegna reciti “Bistrot giapponese”, l’intelligenza della proprietà è riuscita ad ingrandire gli spazi senza intaccare l’animo e le proposte che ci hanno fatto apprezzare Waraku fin dagli esordi.
Bancone con due sedute all’ingresso, corridoio stretto con tavolini affollati, un piccolo dehors e inesauribile solidità culinaria. Tutto è rimasto devoto al concept primigenio, migliorando fruibilità del servizio in un’atmosfera ancor più genuina e pittoresca.
L’inserto di pochi piatti fuori carta, proietta il cliente in un rinnovato viaggio di sapori “made in Japan”. Prenotate sempre con discreto anticipo, accomodatevi in questo raro angolo di quiete e godete a suon di ramen, udon, soba e piatti simbolo di una cultura tremendamente affascinante. Solo a pranzo, troverete anche gli strepitosi Takoyaki: palline di pastella e polpo con salsa agrodolce otafuku, alga nori, maionese e katsuobushi.
Noi siamo rimasti piacevolmente colpiti dalla golosità leggiadra dell’Okonomiyaki realizzata a mestiere (frittella condita in vari modi, con verdura e salsa agrodolce); dalle sfumature poliedriche del Tofu pastellato in brodo di miso e wasabi; o dall’evoluta Pancia di maiale in agro saltata con verza fermentata e con un sottile, aromatico allungo piccante.
Sempre impeccabili e appaganti i Gyoza, di carne o verdure, oltre alla vasta scelta di ramen (vegetariani o special). Su tutti citiamo la complessità equilibrata e saporosa del Kimchi miso ramen e l’eleganza voluttuosa dei Soba freddi al tè verde con zuppa di soia e alghe. I dolci ricalcano l’impronta da “ramen bar”, con l’ottimo tiramisù homemade al tè verde e azuki o caratteristici dorayaki e mochi a pasta di riso (realizzati da un laboratorio artigianale esterno). Dimenticate il vino per una sera e affidatevi al garbato e scattante servizio, per accompagnare il pasto con sakè, tè alla ciliegia o ritempranti liquori giapponesi.

Da Casa Ramen fanno tutto in casa. Dai noodles ai brodi, dalle salse a quei mini paninetti cinesi cotti al vapore chiamati “bao”.
Fanno anche una settantina di coperti in media ogni sera, con code fisse all’ingresso dalle 19:30 alle 23:30. Tutto ciò avendo a disposizione un risicatissimo spazio di non più di venti metri quadri. Un fenomeno gastro-imprenditoriale e di tendenza.
L’uomo dietro questo gioiellino si chiama Luca Catalfamo e fino a quattro anni fa non sapeva nemmeno cosa fosse un ramen. Poi, dopo un viaggio in Giappone, la folgorazione. Le esperienze tra Londra, New York e l’Australia tra variegate cucine etniche, la sua attitudine alla perfezione da vero giapponese, la voglia di proporre un cibo ancora poco popolare in città ed economicamente alla portata di tutti, hanno compiuto l’opera.
Circa tre anni fa, allora, nel cuore del movimentato quartiere di Isola, ad un centinaio di metri dallo storico Blue Note, è nato un piccolo angolo di cucina asiatica, a metà strada tra un izakaya e un noodle bar newyorkese. Casa Ramen, a differenza di molti ristoranti asiatici sul territorio italiano, offre pochissime cose, ma cucinate con rigore, passione ed utilizzando buoni e ricercati ingredienti.

C’è tantissima confusione dentro e fuori, le particelle di fritto nell’etere impregnano i vestiti dei commensali, gli spazi sono più che angusti e ci si muove a fatica.
Ma quello che possono riservare i piatti ha del sorprendente, a cominciare proprio da quello principale, semplicemente eccezionale, con noodles e brodi tanto buoni quanto quelli che ci è capitato di assaggiare in giro per il mondo.

Sicuramente si sta parlando dei ramen tra i migliori di Milano -dove l’offerta di qualità sul tema non manca- e sappiamo che i giapponesi ne vanno matti. Non a caso lo stesso apprezzatissimo ramen lo si trova all’interno del Museo del Ramen a Yokohama, dove Catalfamo, unico straniero tra altri sette ristoratori nipponici, ha aperto Casa Luca Milano, su invito di una delegazione giapponese che rimase letteralmente folgorata dopo aver assaggiato i noodles in incognito a Milano.
La specialità è il tonkotsu, originario della città di Fukuoka, nel sud del Giappone, e consiste in un brodo ricavato facendo bollire ossa e grasso di maiale per ore. La versione di Casa Ramen è rivisitata in chiave leggerezza. Viene preservata la densità ed il profumo del maiale ma, scremando il grasso quando affiora, il brodo risulta più leggero della ricetta originale. Vengono quindi aggiunti ingredienti come il māyu, ossia un olio nero molto aromatico ricavato da aglio bruciato e semi di sesamo, il chasu e/o il kakuni (maiale stufato o brasato), bamboo, cipollotti, un uovo marinato e le immancabili tagliatelle fatte in casa. Le istruzioni per l’uso sono semplici: si parte dai noodles, da mangiare il prima possibile per evitare la perdita della callosità, e da accompagnare con ciascun ingrediente nel piatto, in alternanza e senza mescolare l’insieme; si chiude godendosi il corroborante ed intenso brodo.
Se ci si fermasse qui, sarebbe tutto molto bello. E invece si va oltre, con alcune chicche gourmet da far ingolosire il più esigente tra i foodies. Il Kim Karage è un pollo disossato e fritto, croccantissimo e senza la minima traccia di unto, ed è servito con coriandolo, basilico e menta (non ci si stanca mai tra un assaggio e l’altro) ed una intensa maionese al tè matcha. I “bao” vengono farciti con maiale arrosto, verdure in agro e arachidi o con una eccellente tartare di manzo, scalogno e spinaci. E poi, durante la settimana, non mancano le specialità del giorno, con tante varianti sul tema. Queste sono solo alcuni delle goloserie che questo piccolo luogo di culto offre. E, scusate se è poco, il tutto ad un prezzo davvero conveniente rispetto all’offerta etnico-fusion di Milano.
A breve ci sarà una nuova apertura non lontano da questa insegna. Per ora, fidatevi, vale la pena mettersi in coda.

Casa Ramen, Milano

Birra nipponica.
birra, Casa Ramen, Milano
I piattini di accompagnamento: bao con tartare di manzo, scalogno e spinaci novelli.

bao, Casa Ramen, Milano

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Bao con maiale arrosto, verdure in agro, salsa kakuni e arachidi.
bao, Casa Ramen, Milano
Bao del giorno: lingua di manzo, salsa verde orientale e daikon.
bao, Casa Ramen, Milano
Kim pollo karage: pollo marinato e fritto, menta, coriandolo, basilico…
pollo, Casa Ramen, Milano
…servito con una delicata maionese al matcha.
maionese, Casa Ramen, Milano
The King Tonkotsu Ramen: tradizionale brodo tonkotsu, noodles, maiale, cipollotto, bamboo e mayu. Buonissimo sotto tutti gli aspetti.
ramen, Casa Ramen, Milano
Immancabile proposta vegetariana, Veggy Miso: brodo vegetale, noodles, zucca arrosto, cipollotto, funghi shitake, bamboo, spinaci novelli e olio al limone. Ottimo anche questo.
noodles, Casa Ramen, Milano
noodles vegetariani, Casa Ramen, Milano
Per chi lo gradisse, è possibile ordinare un uovo marinato, cotto perfettamente, da mangiare con il brodo.
uovo marinato, Casa Ramen, Milano
Unico dessert del giorno, un tiramisù al tè matcha. Una fusion perfetta tra Italia e Giappone. Buono anche questo.
tiramisù, Casa Ramen, Milano
The man.
Casa Ramen, Milano
Dettagli.
Casa Ramen, Milano
Scorcio del quartiere Isola.
Isola, Casa Ramen, Milano
L’ingresso con la inevitabile coda.
ingresso, Casa Ramen, Milano