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Trippa

Un must a Milano: Trippa, la trattoria del futuro di Diego Rossi e Pietro Caroli

Come deve essere una trattoria nel nuovo millennio?
Non sappiamo se sia stata questa domanda il punto di partenza del progetto, ma di sicuro Trippa è la risposta giusta al quesito, come testimonia la costante difficoltà di trovare un tavolo da queste parti.

Ripensare il concetto di ristorazione popolare e tradizionale è progetto ambizioso e spesso destinato a insuccessi o glorie effimere: da queste parti, però, tutto è stato pensato in maniera impeccabile e appare vero e sentito.
Il locale è caldo e sembra davvero lì da sempre; l’accoglienza è gentile ma informale, curata dal socio dello chef Pietro Caroli, con sorrisi che non sono mai di circostanza. La cantina non enorme, ma piena di referenze scelte con attenzione al gusto e al portafoglio.

La cucina, poi, è la protagonista principale di questo successo: piatti fatti per accontentare ogni palato ma eseguiti con la misura di uno chef che ha vissuto l’alta cucina e sa dosare piccoli azzardi, minime deviazioni del gusto fatte per alleggerire o rendere ancora più appetitose pietanze conosciute da sempre.

Antipasti e primi, soprattutto, sono eccellenti, con tartare di qualità sopraffina, sia nella carne sia nel pescato (da segnalare quella di cavallo, quando c’è) e paste fresche e secche sempre di grandissima golosità, con proposte del giorno che invogliano al frequente ritorno. Nel nostro caso degli gnocchi al ragù di coniglio che, pur proposti in quantità da trattoria, sono finiti in un attimo.

Ai secondi, in cui la tecnica di Diego Rossi emerge cristallina, potreste arrivare un po’ affaticati, se vi sarete fatti tentare da pane e scarpette: rischiereste così di non godere il pesce del giorno o alcune proposte più “hard” come i sanguigni spiedini di interiora di coniglio o le declinazioni di trippa e altri pezzi di quinto quarto sempre presenti. Dolci di impronta tradizionale, senza sbavature, magari da condividere viste anche in questo caso le porzioni generose.

Intorno a voi noterete un pubblico davvero eterogeneo, ma non vi sfuggirà che molti sono clienti abituali, come in ogni osteria che si rispetti: non temete, però, sarete trattati con la stessa simpatia e calore e, se riuscirete a prenotare, non mancherete di diventare voi stessi degli habitué.

C’era una volta una macelleria.
Una macelleria di famiglia, come molte tra quelle nate a cavallo degli anni sessanta nell’hinterland milanese, nata dai sacrifici di un padre, Giuseppe, e negli anni, un passo alla volta, elevata a macelleria d’alta qualità da uno dei figli, Sergio, che nonostante la vera e propria “fama” guadagnata nel tempo, ancora cura personalmente la catena nella totalità dei suoi anelli: dalla selezione delle bestie, di pregiata razza piemontese, fino alla loro vendita, la loro cottura…
Alt. Fermi tutti.
La cottura, un macellaio?

Nato per ottimizzare la vendita della bestia per intero e quindi proporre, tra i vari pregiati ma più “comuni” tagli, tutto ciò che in macelleria è di più difficile smercio (un esempio, il quinto quarto o il costato), in pochi anni il Ristorante Macelleria Motta è diventato un forte riferimento in zona, una sorta di tempio del camino, della griglia, della brace e di tutto ciò che, purché sia dotato di corna, può cuocervi sopra.
Se inizialmente la proposta era abbastanza essenziale, pressappoco del tipo “tu scegli il taglio che preferisci ed io te lo cuocio”, in un paio d’anni Motta ha man mano integrato ed ampliato l’offerta, arrivando oggi ad un passo da un vero e proprio ristorante, a tutti gli effetti. Unico neo, a nostro giudizio, restano i primi: in carta semplicissimi, certamente non all’altezza della sublime “ciccia”, e completamente assenti nel menù degustazione, senz’altro una lacuna in un luogo definibile come un “ristorante”, che porti o meno “macelleria” nell’insegna. A tal proposito però, da non più di un paio di settimane opera ai fornelli lo Chef Enzo Pettè, che con molta probabilità lavorerà in cucina in questa direzione.
Dove invece molto lavoro è già stato fatto, e dove più è visibile il salto di qualità nell’ultimo anno, è in sala, con la gestione della stessa affidata ad Oscar Mazzoleni, ex maitre del vicino Devero di Bartolini, che in breve tempo ha allestito una carta dei vini sensata e di tutto rispetto, ma soprattutto impostato un servizio giovane, sorridente e disteso, capace e brillante, in grado di raccontare un piatto con dovizia di particolari ed al contempo trovare la battuta giusta, con massime serietà e professionalità.

Ovviamente non è possibile, parlando della macelleria Motta, non menzionare la favolosa carne, qualunque essa sia, che vi arriverà nel piatto: oltre alla costante ricerca della qualità, propria della razza e degli allevamenti di provenienza, impagabile è il valore aggiunto dato dal bagaglio di macellaio che Sergio apporta, e che permette uno standard sempre notevole in ogni fase della vita della carne: dalla selezione, alla macellazione, alle frollature, vero fiore all’occhiello dei prodotti del Motta (splendida la cella a vista all’ingresso, con i quarti appesi, pronti a disposizione della cucina) fino alla preparazione, sia essa una cottura od una stagionatura, per i salumi che la richiedono.

Onnivori devoti a Maillard (ma soprattutto dotati di digestione da Uomini Veri, non da signorine, qui non si scherza) segnatevi questo indirizzo, certo non una novità sulla scena milanese ma un locale capace ogni volta di sorprendere, fiduciosi che si compia l’importante evoluzione verso il ristorante; ma con un caparbio capitano al timone ed una squadra vincente, possiamo stare certi che riusciranno e continueranno a stupirci, visita dopo visita…

Entrando, alla destra la cella (foto di apertura) e di fronte questo… giusto per mettere in chiaro le cose.

Il benvenuto.

Pane, grissini, focaccia.

Il nostro compagno di cena: Taurasi Radici Riserva ‘98 Mastroberardino.

Partiamo con il menù degustazione, le prime due portate arrivano insieme, nello stesso piatto: Finissima tartare di bue Piemontese ai tre sapori (naturale, con olio e sale, con crema di acciughe capperi e tuorlo d’uovo intero) e Cotechino allo champagne, coulis di pomodoro e zucchine pastellate.

Idem per il secondo piatto: Fiore di zucca con cervella e crema di ricotta leggera e Scaloppa di fegato di manzo saltata, paté in granella di nocciole e pane ai cereali.

Arrosto di pollo di Bresse farcito e glassato.

Da un’idea di Sergio Motta, il costato di bue Piemontese cotto alla brace.

I dessert, compresi nel menù degustazione, si scelgono però alla carta. Noi abbiamo scelto i gelati della gelateria “Cool” di Concorezzo…

…ed il Tiramisù su su.

I petit fours, con il caffé.

Il fondo della sala.