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Quintessenza

Quintessenza: il gusto al centro

I fratelli Di Gennaro hanno cambiato finalmente casa. Dopo lunghi e impegnativi interventi di recupero e consolidamento, il loro ristorante, Quintessenza, ha conquistato la sede che meritava: storia, bellezza e memoria fuse in un’apoteosi verticale (l’immobile si sviluppa su tre piani) col valore aggiunto dell’affaccio sul Castello Svevo di Trani e la sua austera maestosità.

Il rigore geometrico che lo contraddistingue, unito all’eleganza della pietra bianca locale, sembra riecheggiare anche nei piatti, che dopo qualche tentennamento, forse dovuto alle distrazioni e alle preoccupazioni che ogni trasloco inevitabilmente comporta, tornano a essere centrati, senza distrazioni, senz’altra ambizione se non quella di tirare fuori dai meravigliosi prodotti pugliesi di terra e di mare la loro migliore espressione gustativa.

È sempre stata questa, del resto, la missione dello chef Stefano Di Gennaro, il maggiore dei fratelli, affiancato in cucina, per la pasticceria, da Alessandro, il più giovane, l’ultimo arrivato e, in sala, da Domenico e Saverio: portare in tavola una Puglia contemporanea, elegante ed essenziale, luminosa ma non abbagliante, fatta di sapori intensi ma mai aggressivi, di bellezza e bontà facilmente intellegibili, senza filtri o sovrastrutture.  

Trasversalità e orizzontalità alla base di un successo ininterrotto

S’inizia con amuse bouche che non sono mai banali o incomprensibili (come sempre più accade nel fine dining), ci si sorprende e poi ci si lascia sedurre senza riserve dalla perfetta commistione terracquea della ricciola marinata, pomodoro e rapa, dei tortelli ripieni di ostriche, porri e patate e da un risotto alla marinara che dietro a una definizione semplicistica cela un grande e paziente lavoro di cotture e di esaltazione dei differenti molluschi e crostacei utilizzati, cui il riso – aggiunto alla fine con servizio al tavolo – fa da complice vettore. 

Si veleggia lievi verso il dessert con il rombo con salsa alla mandorla e tartufo scorzone estivo e si ormeggia felici nella pura goduria della panna cotta allo yogurt e mousse al passion fruit. 

Piace sempre a tutti, da sempre, la loro cucina. E continua a piacere. Dall’avventore casuale all’addetto ai lavori, dal cliente abitudinario alle famiglie in cerca di un porto sicuro per le loro ricorrenze fino al turista in transito per Trani, il peana del gradimento, al Quintessenza, è trasversale. Merito dell’orizzontalità del rapporto in sala instaurata sin dal primo giorno da Domenico e Saverio, due formazioni e due stili che non potrebbero essere più diversi, ma che giungono a tavola con il medesimo approccio: sollevare il cliente da ogni esitazione e diffidenza e accompagnarlo con naturalezza in un percorso in cui il vino, il cibo e le loro interazioni con il territorio diventano esperienza.

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Zaccardi e la sua visione, green, della Puglia

Antonio Zaccardi, abruzzese di origine, dopo tanti anni passati con Enrico Crippa come suo sous chef, si è trasferito, in Puglia, accompagnato dalla moglie, Angelica Giannuzzi, pastry chef sempre da Crippa. Sono stati accolti nella casa di Antonello Magistà, il Pashà, nei bellissimi spazi del Seminario Vescovile, in quel di Conversano. L’imprinting di Crippa per il mondo vegetale, così come la pulizia, sia estetica sia dei sapori nei piatti, sono ormai nel DNA di Zaccardi, che propone una cucina identitaria, elegante, raffinata e precisa, che valorizza i fantastici prodotti che la Puglia offre. C’è una aggraziata leggerezza, così come una bella complessità di fondo, per una visione e impostazione dei menù assolutamente green.

A Zaccardi non manca certo la creatività, tanto che numerosi e diversi sono i piatti presenti nei tre diversi menù degustazione. “Movimento” è il titolo del menù degustazione più completo, a sorpresa, di dieci portate, senza contare i numerosi amuse bouche e la piccola pasticceria finale. Di sicuro c’è movimento, sia di ispirazione regionale, con rimandi al Piemonte e, ovviamente, alla Puglia, sia nel toccare varie tonalità e sfumature, dolce, sapido, iodio, amaro, acido, sia nell’uso dei colori nei bellissimi piatti.

Un menù-movimento

Sorprendenti, per l’incredibile armonia degli elementi, il riccio con caffè e gelato di mandorle, così come la panna cotta al limone con gambero rosso, due piatti assolutamente memorabili. Molto interessante è l’uso della componente dolce nelle portate salate tanto che un piatto intrigante per i contrasti è la cipolla con il polpo, salsa bernese e frutto della passione. Sull’acidità e sull’amaricante, invece, c’è una bella spinta con l’agnello, limone e cicoria. Il vegetale è sempre importante e assoluto protagonista in tanti piatti, ripescando e sublimando la tradizione come accade in fave, peperoni cornaletti, cipolla e nella melanzana alla parmigiana.

Non possiamo non citare la parte dessert, dove Angelica si destreggia fra proposte più classiche e decisamente più particolari, come la già citata panna cotta con gamberi e “una sera al cinema” con un bel gioco di contrasti fra il pop corn, mais, frutto della passione e caramello salato.

Volendo trovare un appunto, nella batteria iniziale del percorso, abbiamo trovato una deriva eccessiva sulla componente dolce: la sequenza di elementi come gelato di mandorla, cornaletti, salsa teriyaki, albicocca e ricotta di mandorle può risultare alla fine un po’ stancante. Stiamo parlando, però, di un dettaglio più di sequenza che di impostazione perché, poi, nel percorso complessivo, si percepiscono chiaramente tutti i colori e le gradazioni.

In conclusione l’esperienza, ottima, trova compimento anche grazie alla bella gestione della sala. Antonello Magistà definisce, correttamente il Pashà come “la casa ristorante“, di cui lui ne è il perfetto padrone, ma senza dimenticare di citare anche la bravura e l’entusiasmo del sommelier, Riccardo Giliberti.

Qui siamo decisamente sul podio della ristorazione pugliese.

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Gli “antichi sapori” di una grande tavola della tradizione pugliese

Tra i pionieri della gastronomia tradizionale pugliese, Pietro Zito è riuscito negli anni a fare di Antichi Sapori sia una delle soste obbligate per i turisti che visitano la regione, sia come meta imprescindibile della clientela locale. Un successo di pubblico incredibile, e sebbene di recente i coperti siano leggermente aumentati, grazie ad un piccolo ampliamento del locale, resta sempre difficile riuscire ad accaparrarsi uno dei tavoli a Montegrosso.

La cucina è quella di una moderna trattoria dove la vera differenza è fatta dalla materia prima, che veicola sapori antichi. La maggior parte dei vegetali è coltivata dallo stesso chef (con l’aiuto del padre) a poche centinaia di metri dal ristorante, qui trovano anche spazio gli allevamenti di animali da cortile. Si mangia quindi secondo stagionalità, quello che la terra offre, oltre ad interessanti portate di carne, anch’essa sapientemente selezionata.

Alla riscoperta degli antichi sapori d’un tempo

Appena accomodati degli straordinari taralli accompagnano la scelta del vino attraverso una lista curata con intelligenza che contiene numerose referenze regionali affatto scontate. La degustazione inizia con un carosello di antipasti, tra cui le imperdibili cipolle di Margherita di Savoia arraganate, il crostino con ricotta e rucola e un saporito capocollo di Venosa.

Anche i primi piatti raccontano il territorio e sono a base di pasta fresca auto-prodotta; buone le mezze maniche di grano arso con piselli e salsiccia, dal gusto deciso invece i fusilli con cipollotto e pomodorino al forno. I secondi sono all’insegna della carne alla brace accompagnate da una strepitosa insalata fatta con erbe spontanee e mela. Da provare il capocollo di maiale “cotto con pazienza”, una sorta di cottura a bassa temperatura ante litteram. Si chiude con una carrellata di dolci tra cui spiccano le mandorle caramellate da abbinare al limoncello o al nocino fatto in casa.

Una grande tavola pugliese, sosta obbligata per chi volesse conoscere a fondo questo territorio meraviglioso.

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Un ristorante sul mare

La tradizionale cucina marinara pugliese, negli ultimi anni, è stata riscoperta ed esportata in tutta la Penisola con alterni risultati. Anche in Puglia, purtroppo, i locali in cui si può assaggiare un’autentica cucina di pesce che rispetti la materia prima sono davvero pochi; tra questi c’è il ristorante Lido Bianco, storico avamposto gourmand a Monopoli, gestito dalla famiglia Bini.

La location è di estremo pregio, una terrazza affacciata sul mare, a pochi passi dal centro storico; le ampie vetrate offrono una vista suggestiva in tutte le stagioni, anche con la burrasca. Protagonista della tavola è il mare in tutte le sue forme, con i prodotti ittici proposti sia al naturale che leggermente rivisitati. Immancabile il classico crudo e il pescato del giorno, da scegliere direttamente al banco pescheria. Nel menù, invece, oltre alle tradizionali preparazioni, fanno capolino alcune interessanti creazioni dove il pesce è abbinato a vegetali e legumi del territorio.

Lido Bianco: mare e territorio nel piatto

Ottima la selezione di mitili e crostacei serviti al naturale dove è il commensale a scegliere se e come condirli, con olio, limone o una spruzzata di gin. Da non perdere, oltre ai ricci di mare, le ostriche San Michele, una eccellenza pugliese allevata nella laguna di Varano.

Azzeccatissimo l’abbinamento dello sgombro con lo zabaione di moscato e le fave fritte così come la seppia dove il rimando fumé della brace ben si abbina alle cime di rapa. Nei primi sono i sapori tradizionali a farla da padrona, lo storico tubettino affogato al sugo di zuppa di pesce risulta un piatto goloso e appagante, oltre che dalla sapidità bilanciata. I secondi piatti sono meno estrosi, si nota tuttavia una straordinaria tecnica sia nel fritto, asciutto e croccante, che nella cottura sulle braci.

Il servizio è premuroso sebbene vada in affanno a locale pieno. Singolare, invece, la carta dei vini, con referenze pugliesi dai ricarichi importanti e interessanti etichette extra-regionali, a prezzi da enoteca.

Nel complesso una buona tavola pugliese che riesce ad accontentare sia la nutrita clientela locale che l’avventore più sofisticato, soprattutto con le pietanze cotte, in cui alcune preparazioni si distaccano dal solco puramente tradizionale con pregevoli risultati. La valutazione è arrotondata per eccesso e vuole premiare questa voglia di mettersi in gioco e con l’auspicio di trovare nuove conferme alle prossime visite.

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Una divertente realtà nel cuore della Puglia

Carovigno è una città di confine: essa si trova infatti nel bel mezzo di due tra le mete pugliesi più frequentate: il Salento e il Sud Barese. Inoltre, si tratta di un territorio particolarmente votato all’enogastronomia, con molti locali e cantine interessanti: tutti meritevoli di essere visitati.

Tra questi vi è sicuramente Dissapore, aperto da circa tre anni, nel centro storico della cittadina. Qui officia Andrea Catalano, figlio d’arte nato e cresciuto in una famiglia di ristoratori. Dopo esser stato iniziato alla cucina dal papà, Andrea va in giro per esplorare nuove cucine e apprenderne le tecniche e, nei suoi piatti, si ritrova un concentrato di tutto questo unito a una scrupolosa ricerca delle materie prime e una buona tecnica, con risultati, in alcuni casi, davvero pregevoli.

Il menu prevede una serie di percorsi degustazione consigliati (anche troppo…) dal personale di sala ed una carta in cui spicca la sezione “risotti e spaghettoni allo stesso gusto” dove, in sostanza, si può scegliere se avere un riso o una pasta come base per gli stessi ingredienti.

Prodotti locali reinterpretati con originalità

Si inizia con degli sfiziosi appetizer tra cui una croccante pelle di pollo fritta e dei simpatici e gustosi croccanti di caciocavallo e nocciola. Vari e di ottima fattura i pani e i grissini, con le chiacchiere (sfoglie croccanti) alla barbabietola che possono creare dipendenza.

La prima portata è un inno all’estate, una zuppetta di pomodoro di Torre Guaceto con anguria e sgombro, dove l’incredibile intensità del vegetale relega a ruolo di comprimari l’anguria (poco croccante nonostante l’osmosi) e uno sgombro fin troppo delicato. Solo apparentemente semplice l’insalata di polpo, invero una delle migliori versioni assaggiate quest’anno, dove il cefalopode è arrostito (perfettamente) e adagiato su un letto di ortaggi croccanti con un delicato brodo di cipolla rossa di Acquaviva, capace di apportare una nota fresca e acidula al piatto.

Ben eseguito il risotto – millimetrica cottura del chicco! – ma purtroppo il sentore del limone monopolizzava il palato coprendo il delicato sapore del crudo di triglia e tonno. Divertentissima, invece, l’insalata di spaghetti, unico passaggio “estremo” del percorso, in cui l’azzardo dello chef ripaga: la pasta fredda, condita con una crema di mozzarella e pomodoro fiaschetto, si bea di un bel gioco di consistenze e lascia la bocca rinfrescata e pulita in vista delle successive portate.

Il baccalà, dalla cottura tecnicamente perfetta, abbinato ai piselli (non proprio di stagione) e all’amaro della cicoria, risulta monocorde e non riesce a incidere come gli altri passaggi. Sottotono il reparto dei dessert, la mousse con mango e croccante al sesamo resta una portata semplice in cui gli ingredienti non si armonizzano.

Volenteroso e premuroso il servizio, bravo a farsi perdonare alcune piccole sbavature. La carta dei vini è essenziale e focalizzata in larga parte su etichette regionali.

Nel complesso una bella realtà, in cui si sta bene, e con ampi margini di crescita, che vorremmo premiare esortando lo chef a osare di più, superando alcune preparazioni già viste altrove e dal facile ritorno gustativo.

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