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Ottavi Mare

Il mare visto dalla campagna

L’Umbria cuore verde d’Italia. L’Umbria dal fascino medievale. L’Umbria dal sapore marino? Chimera? Non in questo nuovo caso, almeno per le forchette curiose che hanno potuto sperimentare la cucina di Ottavi Mare, dell’omonimo chef Vittorio Ottavi. Il luogo è il grazioso borgo di Bevagna conosciuto ai grandi appassionati di rievocazioni storiche per il celebre Mercato delle Gaite, pallio in cui i diversi quartieri si sfidano. Nel nostro caso in una di queste gaite trova spazio questo ristorante quasi un unicum gastronomico nel panorama della cosiddetta “ciccia umbra” proprio alle pendici dei monti Martani. È bene notare come la cucina di Ottavi, non poggi su pretenziose velleità di stupire con una cucina totalmente diversa dal luogo che la ospita, bensì la prospettiva offerta è quella di un mare visto però dalla campagna umbra, preservando forme e sfaccettature, in particolar modo vegetali, che queste terre sono in grado di offrire. Il mare scelto è quello è Adriatico, indagato nelle sue diverse latitudini della Penisola. Dalle cozze dell’alto Adriatico alle seppie e ai calamaretti dei piccoli pescherecci pugliesi. Tuttavia il versante ittico dell’Umbria è rappresentato dal pesce d’acqua dolce approvvigionato dal vicino fiume Nera da cui provengono le sue preziose trote. Sul versante enoico, particolare la scelta di mantenere una carta totalmente incentrata sia su vitigni a bacca bianca locali sia, è il caso di dirlo anche extra moenia internazionale, con vantaggioso rapporto di etichetta-prezzo.

Diverse latitudini della Penisola

Venendo all’analisi del nostro percorso sicuramente tre sono gli assaggi degni di grande interesse di questo menù, indicativi del fatto che questa struttura, nel futuro, saprà sempre più far parlare di sé. Ostrica, sedano rapa e porcino fermentato è forse il piatto che meglio delinea quel mare visto dalla campagna, con la dolcezza terragna del sedano rapa e del porcino (con note quasi torrefatte grazie alla fermentazione) maritati alla bilanciata carnosità sontuosa dell’ostrica Gillardeau. Da non perdere il Calamaretto alla brace, fegato di seppia, cappero e peperone dove questi ultimi due elementi spesso troppo vigorosi sono domati dalla dolcezza della seppia e dalla ficcante nota iodata del fegato di seppia. D’obbligo la scarpetta con la spugna al peperone. Infine la Terrina di trota Fario, salsa al trebbiano spoletino, caviale di trota, patata mantecata al tartufo e misticanza di Bevagna distilla chiaramente elementi tecnici che dimostrano il giovane valore di Vittorio Ottavi, come nel caso della salsa come antologica sorella della transalpina sauce au beurre blanc o nell’esecuzione della terrina stessa.

Unica nota, auspicando in un miglioramento, allineandosi così alla parte salata è dedicato al capitolo della pasticceria, ancora troppo distaccato considerando il trascorso felice che ci ha condotto fino al dessert. Il tempo e le prossime visite ci daranno sicuramente modo di valutarlo, nel frattempo godremo ancora di quest’angolo di mare tra merlature e castelli da sogno.

IL PIATTO MIGLIORE: Ostrica, sedano rapa e porcino fermentato.

La Galleria Fotografica:

Minimal e fine dining convivono a L’Acciuga, in quel di Perugia

Un incontro decisamente vincente quello avvenuto fra due coppie, una di imprenditori nella ristorazione e l’altra, quella di Marco Lagrimino e Nadia Moller, lui in cucina e lei in sala. Marco è uno chef che vanta esperienze importanti a Londra, Nobu, Pierre Gagnaire allo Sketch, Blumenthal al Mandarin, torna poi in Italia per aprire un ristorante in quel di Firenze e poi passare all’Osteria di Volpaia. In pieno periodo COVID, a Perugia, si sono trovati appunto con un’altra coppia che voleva rinnovare la proposta culinaria di uno dei loro locali: L’Acciuga.

In una zona decisamente fuori dal centro, defilata e abbastanza anonima, c’è L’Acciuga, un locale che sorprende, invece, per la cura degli interni, con tante opere di modernariato provenienti da tutta Italia , minimal e di raffinata personalità, esattamente come l’impostazione di cucina, aggraziata, dello chef. L’Acciuga, nel nome, si presta anche perfettamente ad identificare l’offerta gastronomica, per analogia con la dimensione piccola e asciutta e quella del gusto e del sapore.

Un percorso nella semplicità del gusto

Il percorso degustazione è di solo cinque portate, a parte gli amuse bouche e la piccola pasticceria, e ha un prezzo decisamente competitivo, esprimendo la volontà di far conoscere una proposta di fine dining ad una clientela più ampia possibile. Gli ingredienti usati in ogni piatto sono scelti con attenzione e mai ridondanti, essenziali alla riuscita del piatto. Ci sono piatti decisamente più riusciti rispetto ad altri, con un risotto che spicca in assoluto per intensità e profondità: cottura perfetta, terminata con centrifuga di sedano, mantecato poi con burro affumicato e rafano, con polvere di levistico a chiudere. Altro piatto decisamente riuscito è la rana pescatrice, grazie a una pregevole laccatura con mosto cotto e l’accompagnamento del peperone sia in crema, con vermouth, che intero e grigliato, e la senape in grani, messa in ammollo con aceto.

Gustosi e piacevolissimi anche gli altri primi assaggiati, mentre la parte iniziale non è altrettanto forte: la lingua di manzo con le lumache, piatto concettualmente interessante, pecca di una slegatura di fondo fra i due elementi e con le lumache decisamente sciape. Sulla capasanta si sarebbe potuto spingere maggiormente sui contrasti fra il dolce della pesca e l’amaro della mandorla, anche qui non particolarmente amalgamati.

Sul comparto dolci, piacevoli soprattutto quelli meno dolci grazie alla componente vegetale che porta originalità e freschezza: è il caso del sedano nella torta di noci farcita con ricotta di pecora e spuma di miele, così come della spuma di latte e Aglione della Chiana e il gelato ai fiori di finocchio, in accompagnamento al biscotto. Il Paris Brest invece un po’ troppo pesante, con il pistacchio fin troppo pastoso.

In conclusione una cucina con una chiara personalità, che esce dai percorsi già visti, e che fa un uso interessante del vegetale a livello trasversale, con grazia ed eleganza di fondo unita ad una mano decisamente valida. L’alter ego di Lagrimino, Nadia Moller, in sala, si destreggia con abilità, spontaneità e professionalità. Una proposta quindi interessante e consigliabile, con possibilità concrete di arrivare a punteggi più elevati a breve, innalzando ogni portata del menù degustazione allo stesso livello raggiunto dai piatti più interessanti.

La galleria fotografica:

La speranza è l’ultima a morire

È proprio vero quel che si dice, che senza un sogno un uomo non possa andare molto lontano. Tanto vero da diventare un assioma, da rendere la ricerca mai vana, la speranza sempre viva, in grado di far resistere il credo nell’evoluzione, costante e migliorativa. Così dopo anni di peregrinazioni in terra umbra, abbiamo scorto all’orizzonte un piccolo movimento, un segnale di riscossa che ci ha fatto balzare dalla sedia, accomodare sul sedile della nostra macchina e dirigere verso questa nuova insegna nella prima periferia perugina. Il locale in questione è L’Acciuga, capitanato in cucina dal giovane Giulio Ciliani, che con un coraggio quanto mai apprezzato ha deciso di portare una porzione di mare in Umbria. E tutto riecheggia di tramonti in spiaggia e  passeggiate sul bagnasciuga: un locale pensato per trasportare il cliente (da queste parti decisamente poco avvezzo alle novità in chiave gastronomica)  lontano dalla città, magari con un pizzico di malizia così da rendere più facile il suo coinvolgimento emotivo. 

Il mare d’Oriente

Ma di tutta questa supposta strategia psicologica alla luce dei fatti non c’è alcun bisogno. Dalla cucina, ad accompagnare una cantina spassionatamente naturale e un servizio di sala puntuale e sorridente, arriva una materia prima di primissimo ordine, lavorata con tatto e impreziosita da note orientali profonde e centrate. Capelli d’angelo, aglio nero, brodo speziato e umeboshi in polvere è il colpo più alto sferrato dallo chef che con una conturbante suggestione che galleggia tra la cannella e il piccante fermentato dell’aglio nero, alza l’asticella del percorso proposto e apre la pista a preparazioni coinvolgenti nella loro semplicità. Cappellaccio, caprino, melanzana, acciuga e acqua di melanzana è la sintesi dell’italianità racchiusa in una sfoglia da manuale. Ma è quando ci si potrebbe aspettare uno scivolone che invece subentra la sorpresa. Quindi oltre a un pescato, come già detto di qualità eccelsa, non da meno è la carne che nulla fa rimpiangere ma anzi aumenta il grado di godimento e completa la proposta di un ristorante che si prende di diritto il merito di essere una delle insegne più interessanti della regione. 

Se a tutto questo aggiungiamo il rapporto qualità prezzo, praticamente unico nel suo genere con un menù da otto portate a 45€, allora ci sentiamo di sbilanciarci nel dire che L’Acciuga è una realtà che farà parlare di sé, e non solo all’interno dei confini regionali.

La galleria fotografica:

Quella di Marco Gubbiotti è una storia particolare. Dopo aver girovagato all’inizio della sua carriera tra i templi del classicismo culinario come Villa Roncalli di Foligno o il ristorante Da Arnolfo di Colle Val d’Elsa ed aver anche messo piede a l’Astrance di Parigi, diventa lo chef della Bastiglia di Spoleto, riuscendo a conquistare l’ambito riconoscimento della stella Michelin.
Dopo qualche anno di grandi soddisfazioni e riconoscimenti decide, improvvisamente, di cambiare rotta, forse annoiato dalla staticità del classico ristorante, del rapporto distaccato tra chef e clienti, della formalità che un locale stellato ha insita in sé stesso.
Apre così, in collaborazione con i soci e compagni di lavoro di una vita Ivan Pizzoni e Andrea Santilli, un bar/gastronomia/enoteca/ristorante. Lo chiama Cucinaa, con la doppia vocale nel finale, come a voler ampliare il concetto e l’idea che evoca la parola stessa.
Aperto dalle 7 del mattino alle 9 di sera, Cucinaa trova la sua forza nell’offrire prodotti scelti di altissima qualità lavorati con cura e sapienza da un team che segue lo chef fin dai tempi della Bastiglia.
Locale informale ma raffinato, si rivolge ad un pubblico estremamente eterogeneo, rendendosi poliedrico, in grado di mutare in base alle fasi della giornata e alla clientela che le caratterizza. Colazioni, pause pranzo ed aperitivi, fino a proporre cene alla carta durante il fine settimana. Ma non solo. Cucinaa è anche gastronomia e food shop che esalta e fa riferimento a produttori locali di salumi e formaggi, che offre il pane lievitato naturalmente del forno Pizzoni, che sfoggia una cantina ricercata e di pregio, e che sa mettere a proprio agio tanto l’avventore abituale quanto quello curioso in cerca di peculiarità regionali.
L’offerta di Cucinaa prosegue proponendo corsi di cucina e continui eventi con importanti ospiti del mondo enogastronomico.
Il continuo via vai di clienti che entrano per bere un bicchiere di vino, mangiare un piatto al volo, prendere un caffè o anche solo per salutare il patron Marco, ripaga pienamente la coraggiosa scelta dello chef, confermando ancora una volta come spesso la strada nuova possa essere migliore di quella vecchia. Gubbiotti può andar fiero del locale che è riuscito a creare, moderno, vivo e assolutamente accessibile.

La lavagna che indica i diversi tagli di carne.
lavagna tagli carne, Cucinaa, Foligno, Perugia
Il Banco dei formaggi e dei salumi.
banco dei formaggi, Cucinaa, Foligno, Perugia
Reparto gastronomia.
gastronomia, Cucinaa, Foligno, Perugia
Ancora gastronomia.
gastronomia, Cucinaa, Foligno, Perugia
La selezione di conserve.
la selezione di conserve, Cucinaa, Foligno, Perugia
Omaggio all’azienda San Pietro a Pettine, produttrice di tartufi e suoi derivati.
san pietro, Cucinaa, Foligno, Perugia
Il pane del forno Pizzoni.
Pizzoni, Cucinaa, Foligno, Perugia
Un altro scaffale di leccornie regionali.
leccornie regionali, Cucinaa, Foligno, Perugia
Distillati, birre artigianali e vino.
Distillati, Cucinaa, Foligno, Perugia

Nel mare in burrasca che caratterizza il mondo della ristorazione, tra mode passeggere, chef trasformati d’un tratto in divi televisivi, con la reinterpretazione dei classici della cucina italiana a farla da padrone, fortunatamente ci sono ancora, sparsi qua e là, degli scogli, appiglio sicuro e robusto, ancora di salvataggio per il gourmet disorientato, sperduto, confuso. Villa Roncalli è uno di quei locali che si impegna a dar conforto quotidianamente alle anime perse, smarrite, in cerca di rassicurazioni culinarie.
Maria Luisa Scolastra, la chef, purtroppo fa parte di una specie in via d’estinzione. É la cuoca per antonomasia, capace di accogliere, coccolare, cucinare e rassicurare i suoi clienti in una maniera tanto spontanea da farla sembrare scontata.
Sotto l’imponente lampadario di bronzo, attorno al quale ruotano eleganti tavoli, decorati con argenti e tovaglie in lino, bicchieri di cristallo e sedie in paglia di Vienna, la sala principale della villa si mostra accogliente, sobria e raffinata. Adiacente ad essa la cucina, che pare venire fuori dal XIX secolo, con i suoi taglieri consunti, le pentole “incurvate” arse dalla fiamma dei fornelli, il forno a legna, ed una cuoca, sorridente e piacevole, che sembra cucinare non solo per lavoro, ma per una vocazione divenuta nel tempo una missione. Si sentono le fruste che sbattono le uova, dalla sala, la mannaia che sporziona l’agnello, il soffritto che sfrigola, quasi a voler richiamare l’attenzione dei cuochi.
Una carta dei vini praticamente inesistente e la ferma volontà di Maria Luisa di proporre alla clientela ciò che lei preferisce, fa capire, anche all’avventore più insensibile, di essere al cospetto di qualcosa di unico, fuori dalla realtà. Ad un certo punto della serata, non ha importanza che ore siano, i piatti cominciano ad uscire dalla cucina, uguali per tutti i commensali. É un ritorno alle origini, a quei pranzi domenicali passati in famiglia, al termine dei quali ci si alzava tanto sazi quanto felici.
Direttamente dalle uova delle galline del pollaio, e dalle verdure colte nell’orto arriva la frittatina con pomodorini, cipolle, menta ed erbe amare che nella sua semplicità nobilita le materie in maniera semplicemente perfetta. La passatina di cicerchia decorticata con San Pietro è un’altra dimostrazione di come Maria Luisa sia una cuoca esperta, dalla mano sicura e rassicurante.
Le tempistiche eufemisticamente non perfette lasciano il tempo per immergersi in un’atmosfera fuori dal tempo, che risulterebbe anacronistica pressoché ovunque, eccezion fatta per l’Umbria.
La cucina di Villa Roncalli è da ringraziare, oltre che da stimare, per essere un punto di riferimento di un movimento culinario regionale che forse ha troppo spesso disatteso i suoi insegnamenti. Un ristorante/casa che ha il profumo dei bei tempi che furono e che allo stesso tempo fa ritornare con i piedi ben piantati per terra, perché, volenti o nolenti, Villa Roncalli e la sua cuoca fanno parte del presente, e ci stanno ancora molto bene.

L’elegante mise en place.
mise en place, Villa Roncalli, Chef Luisa Scolastra, Foligno, Perugia
La frittatina con pomodorini, menta, cipolle ed erbe amare. Semplicemente straordinaria. L’abbondante olio che circonda la frittata è una sorta di marchio di fabbrica della cuoca.
Frittatina, Villa Roncalli, Chef Luisa Scolastra, Foligno, Perugia
Passatina di cicerchia decorticata con San Pietro. La cicerchia colta nell’orto regala una nota croccante alla passatina che rende appetitoso ogni boccone. L’abbinamento con il San Pietro, cotto perfettamente, è azzeccato e goloso.
Passatina di cicerchia, Villa Roncalli, Chef Luisa Scolastra, Foligno, Perugia
Lasagnetta aperta con zucchine e scampi. Buon passaggio anche se gli scampi svolgono un ruolo da comprimari anziché essere i protagonisti assoluti come ci si sarebbe aspettati. L’immancabile giro d’olio rende il tutto squisitamente umbro.
Lasagnetta,Villa Roncalli, Chef Luisa Scolastra, Foligno, Perugia
Risotto con porcini, radicchio, filetto di maiale e riduzione di Rosso Montefalco Riserva. Nonostante l’Umbria non sia terra propriamente votata alla lavorazione del riso, Maria Luisa Scolastra dimostra di essere cuoca vera e completa. Buon piatto.
Risotto, Villa Roncalli, Chef Luisa Scolastra, Foligno, Perugia
Agnello cotto nel forno a legna con gnocchi farciti di ricotta. Ottimo l’agnello, perfetti gli gnocchi. La nota verde data dalla bieta è gradita e necessaria.
Agnello al forno, Villa Roncalli, Chef Luisa Scolastra, Foligno, Perugia
Sorbetto con limone ed anice
Sorbetto al limone ed anice, Villa Roncalli, Chef Luisa Scolastra, Foligno, Perugia
La bella sala di Villa Roncalli
Sala, Villa Roncalli, Chef Luisa Scolastra, Foligno, Perugia
Un dettaglio della sala
Dettaglio sala, Villa Roncalli, Chef Luisa Scolastra, Foligno, Perugia