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Sud

Il Sud non piu come perimetro ma base dell’esplorazione

Se per anni le tre lettere Sud, letterarie e suggestive, avevano fornito una precisa identità a questo ristorante e alla sua Chef, quella di una terra opulenta a tavola ma misurata e diffidente nella ricerca delle diversità e quasi obbligata al rimando di una qualche forma di tradizione, ecco che una nuova consapevolezza dell’aver sintetizzato questo DNA consente oggi, unitamente alla voglia di sperimentare, un nuovo viaggio a tratti spiazzante con incursioni nel mondo amaro, acido e bruciato meno confortevole ma di maggiore complessità al palato e grande personalità. Marianna Vitale sembra dunque liberare ulteriormente il suo indiscusso talento, sfidando la difficoltà dell’utilizzo di molti elementi nei piatti, delle divagazioni geografiche e degli abbinamenti poco accademici. Meno pancia più pensiero. Manifesto di queste intenzioni, miglior piatto della cena e non a caso creazione recentissima, è sicuramente la sorprendente alchimia di Uova affumicate di merluzzo selvaggio condite con furikake di stoccafisso e alghe con l’arrosto di peperone spagnolo piquillo a regalare un boccone di forte impatto che si rivela poi suadente e concluso.  

La nuova linfa di Marianna Vitale

Si inizia allora presentando le radici con il gioco del Ragù, con le ore a variarne colori e densità, si prosegue con la “Sabbia di olive nere” a ricordare l’incubo delle vongole, e si sparigliano subito le carte con l’Ostrica, prudentemente lasciata al naturale, qui coraggiosamente adagiata su un fondo di crema di cavolo al tartufo, fava di cacao, noci e pomodoro per un piatto dirompente e certamente divisivo. Ci si riconcilia immediatamente con lo Spaghettone cotto in un consommé di orzo tostato, di grande equilibrio, dove si riesce a dare voce alla lievità del gambero crudo anche in presenza di una voluttuosa crema di zabaione all’angostura e con la ormai classica Minestra di mare, piatto rivisitato continuamente alla ricerca della perfezione nei suoi volumi barocchi. Infine una interpretazione di Risotto, volutamente lontano dall’accademia, che spinge davvero all’estremo, anche per la presenza del curry, l’acidità del limone, tratto distintivo della Chef sin dagli esordi. Dessert, sebbene di buona fattura, ancora poco allineati all’estremo dinamismo delle portate che meriterebbero magari una conclusione più leggera e affilata. Insomma, una cucina che, rispetto alle nostre visite pregresse, sembra aver acquisito una marcia in più e che abbiamo deciso di premiare.

Si beve sempre molto bene e a costi giusti con una offerta marcata sul territorio con qualche bella profondità, sulle bollicine e l’accenno ai vini naturali, sempre con il piacere di trovare cantine piccole e poco conosciute  con le quali stupirsi. Due soli menù degustazione di 7 e 12 portate con possibilità (consigliata) di wine pairing  ma encomiabile la disponibilità di tutta la brigata a derogare in caso di necessità.   

IL PIATTO MIGLIORE: Uova di merluzzo skrei, peperone arrosto del piquillo, aglio fresco e furikake di stoccafisso e alghe.

La Galleria Fotografica:

A nord di Napoli, il regno di Marianna Vitale

È passato qualche anno ormai da quando Marianna Vitale, giovane cuoca di talento e dal carattere di ferro, decise di sparigliare le carte in quel di Quarto, non troppo amena località immediatamente a nord di Napoli, dove imperversava una gastronomia fatta di “banchettifici”, realtà difficile per un ristorante come voleva essere Sud.

Piccolo e grazioso, conviviale e non pretenzioso, ma con l’intenzione di proporre qualcosa di completamente diverso per la zona. Scommessa difficile, ma che può dirsi vinta, ormai, grazie anche all’aiuto di Pino Esposito che si occupa, con professionalità, della sala, al servizio di una cucina di buona tecnica, sincera e modernamente in grado di applicare una buona dose di creatività ai sapori del territorio.

Mancavamo da un po’ e abbiamo trovato tutto come ricordavamo. La piccola cucina a vista dove Marianna e i suoi ragazzi si muovono vorticosamente, il bravo Pino che coordina la sala con garbo e grande padronanza. Il ristorante ha un buon successo, è sano e vitale come si evince dalla clientela, per lo più abituale, che già conosce i piatti della chef e torna con la voglia precisa di assaggiare questa o quella preparazione. Il ristorante ha trovato una sua dimensione, insomma, per cui tanto di cappello, soprattutto considerato il contesto non facilissimo.

Sud: cucina generosa e di sostanza

Verremmo però meno al nostro lavoro se ci facessimo condizionare da elementi esogeni rispetto al piatto. E, dunque, non possiamo negare che dalla cucina di Sud sarebbe lecito aspettarsi qualcosa di più: una crescita, un’evoluzione rispetto al passato, che non abbiamo riscontrato. Restiamo convinti che la chef abbia del talento e buone qualità ma la sua proposta ci è sembrata un po’ immobile e, peraltro, indecisa ancora su quale campionato intenda giocare.

Le Alici in purgatorio sono alici ma potrebbero essere qualsiasi altra cosa in quanto risultano gustativamente seppellite da una generosa dose di crema olandese, alla fine, unica protagonista del piatto. La Minestra di mare con frutta e verdura di stagione – una sorta di rilettura in chiave marinara di un antico classico napoletano, la Minestra Maritata – non ci ha entusiasmato, ci è parsa una mera accumulazione di (tanti) ingredienti senza che dall’insieme emergesse alcun valore aggiunto.

Certo, Anemoni resta un grande piatto di pasta e il Baccalà si fa apprezzare, nella sua semplicità, per la qualità della materia prima e la pulizia dell’esecuzione, ma il Risotto con latte, pesce spada affumicato, anice e melanzane risulta ridondante e di gusto un po’ monocorde. L’impressione è che ci sia difficoltà da parte della chef a concepire, in questa fase, una formula trasversale che possa piacere tanto ai gourmet dai palati più esigenti quanto ai clienti comuni. Una cucina in cui prevalgono toni rustici, che difetta un filo di eleganza e che è figlia, forse, di un approccio non troppo libero da “condizionamenti ambientali” derivanti dal tipo di clientela. A tal proposito è emblematica la risposta del personale di sala al nostro appunto circa le (davvero!) eccessive porzioni del percorso di degustazione: “È uno dei nostri punti di forza – viene ammesso – i clienti sono contenti.”

E, quindi, a noi non resta che ritirarci in buon ordine, facendo nostra l’espressione perplessa dell’ispettore Zenigata, che giganteggia sulla sala.

La Galleria Fotografica:

Nel 1961, Raffaele La Capria scriveva di un palazzo magico, dove il tufo si unisce all’azzurro e dove, al mattino, i raggi di sole penetrano nei corridoi per annunciare l’arrivo della “bella giornata”.
La nuova sede di Palazzo Petrucci è proprio lì, a qualche remo dal celebre Palazzo Donn’Anna raccontato in “Ferito a morte”. A Napoli direbbero che la vista del Golfo da quelle parti è quasi scostumata, per quanto bella.

Da gennaio 2016, la più durevole stella Michelin del capoluogo campano si è spostata dall’eleganza decadente del centro storico in uno dei luoghi più noti e affascinanti della città. Lino Scarallo e il suo socio Edoardo Trotta azzeccano la scelta e colmano un vuoto inspiegabile, portando finalmente l’alta ristorazione sulla collina di Posillipo, il luogo che i greci credevano potesse “alleviare il dolore”.

Proporre cucina ricercata a Napoli è difficile, le mamme e le nonne abituano troppo bene i propri figli e nipoti. A Lino Scarallo va riconosciuto il merito di aver intrapreso un percorso di crescita che, da anni, propone una cucina tradizionale spinta in avanti da accenni di modernità e sostenuta dalla qualità della materia prima, l’anima di ogni piatto. Non è avanguardia, non ci sono i guizzi d’estro dell’allieva Marianna Vitale e siamo lontani dalle sinfonie degli chef pluristellati della costiera amalfitana.

Lino Scarallo cucina bene, cucina cose buone, con ottimi ingredienti, è un eccellente artigiano. Non ci si alza da tavola con un palato stravolto e sorpreso, ma sicuramente appagato e sereno. Come una passeggiata sul lungomare.

Tutto coerente insomma, anche se qualche accorgimento in più si potrebbe avere, soprattutto in termini di sensibilità. Come in passato, i primi restano il fiore all’occhiello dello chef, ma è proprio da questi che abbiamo riscontrato i maggiori tentennamenti. Da rivedere le zuppe, che forse andrebbero riproposte in chiave estiva data l’alta temperatura di luglio. Lo Spaghettone Gerardo di Nola, crema di zucchine, sgombro affumicato e zest di arancia mostra una cottura e mantecatura esemplare, che però viene vanificata dall’affumicatura esasperata dello sgombro -molto potente già da fresco- con effetto “bomba” palatale. L’equilibrio ne risente, e l’arancia non basta a smorzare i toni accesi.

Il servizio gentile e paziente, una carta dei vini aggiornata e finalmente ricca. La sala è elegante, ben allestita, a un passo dalla spiaggia e a pochi dal mare.

Palazzo Petrucci conferma le aspettative: è un buon ristorante. La nuova splendida location meriterebbe un racconto forse più ardito, più spinto. Le possibilità e le capacità dello chef ci sono, si spera che anche il pubblico sia pronto.

Palazzo Petrucci, Chef Lino Scarallo, Napoli
Iniziamo. Taralli “sugna e pepe” portentosi, fragranti e leggermente piccanti. Grissini nella norma. taralli, Palazzo Petrucci, Chef Lino Scarallo, Napoli
Alcuni pani.
pane, Palazzo Petrucci, Chef Lino Scarallo, Napoli
Salmone affumicato, buono. Ultimamente lo chef sta usando molto questa tecnica. Poi il classico di Palazzo Petrucci, mozzarella e gambero di Sicilia, matrimonio felice e duraturo tra freschezza minerale e grasso. Infine una parmigiana “invertita”: mozzarella fuori, melanzane dentro. Gesto tecnico che omaggia Rosanna Marziale, equilibrato e piacevole.
salmone, Palazzo Petrucci, Chef Lino Scarallo, Napoli
Insalata di mare. Cotture perfette, salse golose e giustamente acide. Da segnalare la presenza dei murici, freschissimi. Divertente per i tanti ingredienti nel piatto. Ottima esecuzione.
insalata di mare, Palazzo Petrucci, Chef Lino Scarallo, Napoli
Zuppa di patate bruciate, calamari e caviale di aringa (foto purtroppo non presente). Qui forse un primo errore: la zuppa è leggermente calda, la temperatura esterna non aiuta e l’assenza di acidità si fa sentire. L’amido è eccessivo, ci si aggrappa al sollievo dell’origano fresco ma è un palliativo. Una versione fresca, estiva, con note più aspre darebbe più onore all’idea e più equilibrio al palato.

Spaghettone Gerardo di Nola, crema di zucchine, sgombro affumicato e zest di arancia.

spaghetto, Palazzo Petrucci, Chef Lino Scarallo, Napoli

Eccellente ombrina al profumo di brace. La cottura è da manuale, le erbe aromatiche mai eccessive. Il cabis rosso marinato offre un piacevole gioco di consistenze e aggiunge freschezza al piatto. La salsa al limone chiude il cerchio con la giusta dose di acidità. Il piatto migliore della serata.

ombrina, Palazzo Petrucci, Chef Lino Scarallo, Napoli

Pastiera al bicchiere, un’altra proposta nota di Lino Scarallo, ottima. Forse manca qualche nota di profumo in più, su tutti l’acqua di millefiori e l’arancia.

pastiera, Palazzo Petrucci, Chef Lino Scarallo, Napoli

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Recensione ristorante.

Una bella novità.
Marianna Vitale è timida, con ritrosia esce dalla cucina a vista per salutare i clienti, ma è caparbia. Aprire il Sud a Quarto è impresa coraggiosa. E’ vero che Pozzuoli è lì ad un passo, ma lo è anche il più depresso hinterland napoletano.
Certo il menu degustazione di 6 portate a 35 euro (!!) aiuta, ma la sala, il giorno della nostra visita, era piena.

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