Passione Gourmet Leroy Archivi - Passione Gourmet

Locanda San Lorenzo

Una famiglia che lavora bene: con testa, entusiasmo e cuore.
Che fa le cose che sa fare, e le fa nel miglior modo possibile.
Che ama i ristoranti tanto quanto li amiamo noi.
Ecco in tre righe la Locanda San Lorenzo.
Lo percepisci subito quando un ristoratore non ama stare solo dalla parte “calda” del pass, ma adora il vino e il cibo anche come cliente e tutte le volte che ne ha la possibilità va in cerca di grandi tavole da amare e bottiglie da stappare.
Lo capisci dalle bottiglie che accumula in cantina, dalla lacrimuccia che gli scende quando gli ordini una etichetta importante, che è sì un incasso sicuro ma anche un piccolo pezzetto di “tuo” che se ne va. Appassionati che hanno scelto un mestiere per sguazzare in questa passione.
Allora il calore, il piacere di rivedersi dopo tempo, la chiacchierata dopo cena, non sono più necessità dettate dal lavoro, ma le cose più spontanee e naturali possibili.
Non abbiamo sentito mai nessuno parlare male di questo posto, e un motivo ci sarà.
Un motivo potrebbe essere la cantina: una carta dei vini splendida, piena di chicche a prezzi estremamente ragionevoli. Non sarebbe ridicolo salire fin quassù solo per stappare qualcosa di importante.
Ma la cucina non è da meno, in particolare quella legata al mondo carnivoro.
Il consiglio è proprio quello di by-passare i piatti di pesce e gettarsi a capofitto su selvaggina, agnello e affini.
C’è una ricerca incredibile, fatta di piccolissimi fornitori e lontana anni luce dalle catene del gusto. La differenza si vede e sente. Una beccaccia così, la si mangia qua e in pochissimi altri posti.
O ancora l’agnello: una variazione che ha pochi uguali in Italia per gusto e qualità della carne.
È cucina concreta, fatta di cotture attente, tantissima solidità e pochi slanci fuori misura.
Cucina classica italiana, di cui tanto c’è bisogno perché è merce sempre più rara.
La cucina ideale per accompagnare quella bottiglia importante che tanto avete sognato.
E magari proprio qui potrete urlare: “si può fare!”

Amuse bouche
amuse bouche, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Lumache croccanti, salsa all’aglio e erbe
Unico piatto non troppo convincente, per una lumaca che manca di intensità di sapore.
lumache croccanti e salsa all'aglio, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Sandwich di cervo e foie gras, salsa ai lamponi, mostarda di cipolla
sandwich di cervo, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
sandwich di cervo, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Risotto alla beccaccia
Capolavoro assoluto, grandissima beccaccia.
risotto alla  beccaccia, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Cervo, castagne, zucca e succo di melograno
cervo, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Degustazione di agnello. Sempre imperdibile a questa tavola.
Stracotto con polenta
degustazione di agnello, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Pancia arrotolata
pancia arrotolata, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Frattaglie
frattaglie, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Cervello e carrè fritti
cervello e carro fritti, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Filetto
filetto, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Crumble salato e cremoso al pistacchio con gelée al limone, gelato di ricotta e yogurt e biscotto all’olio extravergine di oliva
crumble salato e cremoso, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Arancia, mascarpone e zenzero
arancia mascarpone e zenzero, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Piccola pasticceria
piccola pasticceria, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
piccola pasticceria, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
I colpi sparati per l’occasione:
Meursault Les Tessons, Clos de Mon Plaisir 2006 – Roulot
meursalt, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Clos de Vougeot 2001 – Domaine Leroy. Un vino incredibile, capace di evolvere nel bicchiere all’infinito. Una sottile nota di cacao si nasconde tra mille sfumature fruttate. Mostruoso.
Clos de vougeot, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Un rapido sguardo in cantina
cantina, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
cantina, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
cantina, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Cantina, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
La sala del ristorante (ma noi vi consigliamo il più familiare tavolo “lato bar”, di fianco al camino e vista cucina, altresì conosciuto come “tavolo del notaio”)
sala del ristorante, Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago
Locanda San Lorenzo, Chef Renzo Dal Farra, Puos D'Alpago

390

La potenza di un luogo, la forza degli ingredienti: è straripante la sensazione che può lasciare una visita alla Capanna di Eraclio.
Come un viaggio senza tempo, lontani dall’oppressione della routine quotidiana.
La Capanna accumula storia, giorno dopo giorno, e poi si fa guardare con ammirazione da quelli che hanno ancora gli occhi per vedere.
Pesce o selvaggina: non sapremmo dire cosa è meglio, perché percorrere questa strada in un nebbioso novembre e poi tuffarsi nel risotto alla folaga ha il suo perché.
Ma godere dei primi caldi, sfogliando la carta comodamente seduti in giardino prima di accomodarsi a tavola, riappacifica con il mondo.
Soprattutto se ne esce il migliore pasto da quando frequentiamo questo indirizzo.
Parlavamo di ingredienti e qui c’è n’è motivo come in pochi altri posti: ai canestrelli che potete vedere poco più sotto mancava solo la parola. Parliamo noi per loro: “unici”.
Ma la mano del cuoco, pardon, della cuoca, c’è ed è una grande mano. Sono piatti indiscutibilmente della tradizione, ma non quella statica di cui poco ci interessa, ma quella viva e piena di energia, quotidianamente in movimento verso un posto al sole. La tradizione che sa continuamente rinnovarsi.
Ecco il piatto di capellini con i giotoli, pieni certamente di materia ma anche di tanta finezza ed eleganza di preparazione.
O l’anguilla, prima scottata sulla griglia al calore di pioppi, sarmenti di vite e carbone, poi passata in forno a cuocere nel suo grasso: il risultato è meglio di un compendio di storia delle Valli. Questo significa guardare al passato con i piedi ben piantati nel presente.
O ancora una maionese che merita il viaggio: che qui venga fatta con il mestolo di legno forse è solo una nota di romanticismo, però è tanto, tanto buona proprio così.
La sala non è da meno: della grande atmosfera abbiamo già scritto, ma anche quando si tratta di servire il cliente tutto si incasella al posto giusto. Cordialità, sorrisi, disponibilità: tutte cose che non si vendono a peso.
Che dobbiamo dire di più?

Una bollicina nel giardino prima di accomodarsi al tavolo…
390
Attrezzi del mestiere
390
Il benvenuto: giotoli fritti con polenta
390
Ostriche e canestrelli: il lusso della semplicità
390
Dategli la parola…
390
Con i crudi, alla Capanna non si scherza: scampi di Goro, tonno, ombrina. Da urlo.
Geniale la leggera incisione sulle chele degli scampi in modo da poterli succhiare con grande godimento.
390
390
La seppia con la crema di patate: un cappucino Alajmo al contrario.
390
Questa vi consigliamo di ordinarla: pulire una grancevola in questo modo richiede un lavoro immane. Un gusto unico, per di più in abbinamento a una maionese home made che merita il viaggio da lontano e di cui è impossibile non chiedere il bis.
390
390
Un grande piatto: capellini con i giotoli. Ancora migliorato rispetto alla precedente visita.
390
Le Moeche fritte: altro must.
390
Ci sono tre cose a Ferrara su cui non si scherza: la Salamina, la Spal e l’Anguilla.
Questa viene dalla Sacca di Gorino, dove l’acqua del Po si mescola al mare, quindi è corrente e pulita; i pesci si muovono molto e hanno una livrea grigio azzurra, per mimetizzarsi sul fondale. Molto diversa dall’anguilla del canale che ha un gusto palustre e una colorazione più scura.
L’anguilla subisce una doppia cottura: prima sulla griglia per indurire la pelle e per raccogliere i succhi all’interno; poi in forno, dove il pesce cuoce nel suo stesso grasso.
Sporzionata al tavolo e servita nature.
Imperdibile. Punto.
390
390
Chiusura con dolci semplici ma ben fatti.
Il gelato al pistacchio
390
La Tenerina al cioccolato
390
Oppure i più temerari possono ricominciare da capo: cameriere, ancora canestrelli.
390
Le bottiglie da casa sono accettate con un sorriso: ma lasciate un assaggio al proprietario!
Qui si è consumata una degna tripletta…
390
390
390

“Se della virtù ti farai un modello e ti pregerai delle azioni eccellenti, non avrai invidia dei principi e dei signori: perché il sangue si eredita e la virtù si acquista: e questa basta da per sé sola, ciò che non può dirsi della nobiltà.”

 Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, 1605/15

Conosciamo Luigi Taglienti dal 2008. Poco più che trentenne prese in mano le cucine dello stellato Antiche Contrade di Cuneo, dopo la parentesi al Rosmarino di Garlenda, arrivando con la sfida difficile di mantenere la stella presa dal precedente chef, Marc Lanteri.
Ricordiamo un giovane già sicuro di sé, determinato, con esperienze importanti alle spalle. Proponeva una cucina azzardata, forse non completamente dominata da quelle mani ancora inesperte. Alcuni piatti di pregevole fattura e tecnica, però con qualche impeto di troppo. Superava quasi sempre, come oggi d’altra parte, la fatidica regola dei 3 elementi del piatto. Una regola non scritta ma spesso raccontata e decantata da miriadi di chef e di appassionati gourmet, che ne hanno fatto il sinonimo di eleganza, finezza e, al contempo, di non eccessiva dose di rischiosità di un piatto.
Tutto vero. Il quarto, o anche il quinto elemento, è difficilissimo da gestire. Eppure l’unico ricordo che serbiamo di quel primo pranzo firmato Taglienti è proprio un piatto che invece era basato su 3 elementi: crostacei marinati nel Campari, salsa di Sciacchetrà e zucchina trombetta. Un mezzo disastro alcolico-amaro che mortificava quei poveri gamberi, di una qualità sublime.

Luigi, nel frattempo, ne ha percorsa di strada. La sua tecnica si è molto raffinata, così come la sua esperienza nell’uso e nell’abbinamento degli ingredienti. Ha lavorato duramente, ha costruito un percorso di crescita che oggi, più adulto e maturo, lo porta a dominare il quarto e finanche il quinto elemento con classe, sicurezza, padronanza. Sarà la vicinanza spirituale del duo Cracco-Baronetto ? Può essere. Certo che il merito del risultato è tutto suo.
Seduti al suo tavolo nella piazza scaligera ecco un’esperienza talmente frizzante, elettrizzante e affascinante da farci emozionare con gioia come da tempo non ci accadeva. Abbiamo vissuto quella passione, quel pathos che sempre ricerchiamo nel girovagare per ristoranti, ma che poche, rarissime volte, riusciamo a trovare.

Una sera di un incerto prologo primaverile Luigi ci ha regalato sensazioni intense, abbiamo apprezzato una cucina di chiara impronta personale, che non strizza l’occhio a questo o a quello, ma che è costruita seguendo un percorso intimo e originale. E’ stato un susseguirsi di emozioni palatali veramente formidabili, con alcune citazioni, tanta scuola e tecnica mai fine a se stessa.
Conoscenza profonda della materia, delle sue forme e delle sue migliori elaborazioni. Un trattato di cucina classica su tagli, lavorazione, frollatura delle carni, lavorazioni del mondo ittico e vegetale, salse e condimenti tirati alla perfezione. E una giusta dose di estro creativo di Luigi Taglienti che rende la sua cucina una delle più interessanti, autentiche e intriganti che si possano oggi trovare nello stivale.

Ora aspettiamo Luigi al varco, alla consacrazione, al mantenimento costante di questo picco qualitativo. Molti altri, anche del nostro gruppo, hanno trovato questa cucina in forma smagliante. Ciò che ci auguriamo per Luigi, per la sua squadra, per Milano e per l’Italia intera è che continui su questa strada… con virtù, impegno e dedizione.
Di seguito un percorso a mano libera in cui abbiamo, io e i miei commensali, lasciato libero sfogo allo chef. Sia per il numero (eclatante) di portate che per la scelta delle stesse. Ne è uscito un percorso a dir poco entusiasmante, efficace, convincente. Strepitoso, in poche parole.

Sfoglia di riso alla milanese
Una intrigante e post-moderna rivisitazione di un classico. La sfoglia di riso aromatizzata con crema di vitello, ragù di vitello, midollo e capperi. Accompagna il tutto un elegante, e citrico, brodo di pollo concentrato al lemongrass.

Acqua, liquirizia, limone, olio
Un gioco per aprire le danze. Acqua aromatizzata al limone, polvere di liquirizia, pasta d’olio. La temperatura della pasta d’olio e dell’acqua, decisamente basse, giocavano un ruolo fondamentale. Come apostrofato da un mio illustre commensale “il canarino del 2020”.

Asparago all’arancia
Un asparago bianco, cotto alla perfezione, letteralmente imbevuto in caramello all’arancia. Con un piccolo tocco di ganache al cacao. Un richiamo agli asparagi in salsa maltese decisamente riuscito. Di passardiana memoria.

Mazzancolla, tisana di succo di pesce
Un piatto da urlo. La mazzancolla, freschissima, appena scottata all’unilaterale. Impreziosita da polvere di patata viola ed alcune erbe. A fianco una bisque concentratissima ed impreziosita da un lieve tocco agrumato, di una carica iodata unica. Un succo in estrazione, crediamo quasi a freddo. Primo colpo d’ala.

I pani…

Bianco e Nero di Seppia
Una panna cotta ai ricci di mare, olio piccante, gel agli agrumi ricoperta da una pellicola di seppia e da un bollino al suo nero. Risultato sensazionale. Tecnica, sapori, persistenze che si mischiavano in un unicum davvero fantastico. Qui altro che 3 elementi, ma evidentemente ben dosati ed utilizzati. Padronanza di tecnica e gusto invidiabili.

Primo accompagnamento…

Taglio di Fassona del grande Martini di Boves, crema di riso montata con midollo fresco (quasi una maionese), alici alla ligure, limone confit e timo selvatico. Anche qui ottima rilettura di una tartare, se così si può chiamare.

Pansotto al sugo di noci
Salsa di noci impeccabile per consistenza e sapore. Il pansotto con un concentrato di vegetale entusiasmante ed amaro. L’insieme perfetto. Il risultato? Come quello che ci seguirà: un boccone che ha dato l’impressione, per concentrazione gustativa, di averne mangiato un bilico.

Burro e salvia.
Spuma di latte concentrato alla salvia, limone, sfoglia di pasta. Una bomba!

Torta pasqualina
Idem come sopra

Risotto alla milanese secondo Taglienti
Risotto alla curcuma fresca, acqua di pepe nero di sarawak, capperi

Secondo accompagnamento…

Trippa di vitello, astice, fagioli di pigna
Piccolo passaggio sottotono. La trippa, di per sè fantastica, a cui l’astice non aggiunge nulla. Vano tentativo di textura.

Zuppa di cipolle e coratella
Un’altra grandissima interpretazione. Una spuma di zuppa di cipolle che ricopre una coratella da urlo, il tutto accompagnato da un gelato al porto rosso. Moderate acidità, suadenti dolcezze ma mai invasive. Colpo di classe.

Scampo, pancetta di maiale, verza brasata
Tre pietanze, ognuna andava per conto suo. Meno male che qualche piatto si sbaglia sennò …

Germano reale da caccia, salsa peverada, marmellata di sorbe amare, arancio, mitili e alghe
Un piatto in cui la deriva salmastra, accentuata da una frollatura del germano veramente strong, veniva ampiamente compensata dalle sorbe e dall’arancia, al posto giusto! Chapeau …piatto di alta scuola e grandissima classe.

Lièvre à la royale
Semplicemente una delle migliori mai mangiate. Alla richiesta di alcuni appunti provocatori da parte nostra, in merito a cotture e tiraggio della salsa, Luigi ha elegantemente risposto : “Perché migliorare un piatto già perfetto?”. Bravo, anche per questo.

Nostra Signora del Pinot Noir

Burrida di Stocafisso.
Lo stocco ragno trattato divinamente, altro passaggio di sostanza ma al contempo elegante e ben lavorato.

Confini
Olive, salsa di fragole, rape e rapanelli. Un pre dessert semplicemente sensazionale!

Zuppa inglese
Con un tocco di curcuma e zafferano. Una zuppa inglese migliorata e con la proporzione degli ingredienti spettacolare, ben pensata e ben dosata. Cremosità interessanti.


Blu e Alta Cucina: un gioco a due senza soluzione di continuità.
Le variazioni di blu sono però infinite.
Perché quando parliamo di classico, apriamo un libro dalle mille e più pagine.
Blu come la cucina senza tempo dell’Ambroisie: inarrivabile eleganza firmata Pacaud, finezza cittadina della capitale del mio cuore.
Blu come Vonnas, la campagna, la vigna, la terra, la gente che rende vivo questo posto. Blu come la rustica potenza di Georges Blanc, l’uomo di Vonnas, il riferimento.
Immutabile Blanc: la sua Volaille in Salsa è tra i 20 piatti da non perdere nella vita di un nomade della forchetta.
Frequentatori abituali di questa tavola narrano della millimetrica immutabilità di questo piatto: semplicemente perfetto, ieri, oggi, domani.
No Signori, questa cucina non è ancora morta. Questa cucina non può morire perché non ha un tempo.
Potrei travestirmi da matematico, e magari fare medie improbabili tra antipasti, portate principali e dessert. Ma non avrebbe senso. Non ha senso qui.

Come non ha senso, mai, buttare il naso solo nel piatto. Ma questo non è né lo stile né l’idea di comportamento del nostro gruppo.
Date a Blanc il voto che volete, ma venite almeno una volta a Vonnas. E’ una necessità.
Lui rende omaggio alla sua gente con piatti dalla semplice decifrabilità, e la sua gente rende omaggio a lui, facendo girare questa maestosa macchina del cibo.
E’ giusto così, i 90 coperti giornalieri richiedono questo.
Ma niente sconti sulla materia prima! No, no, solo il meglio a queste tavole.
Perché non gioire di cotanta tavola? La tradizione ha forse bandiere?
Lo ha capito anche il nostro Massimo Nazionale: le tagliatelle perfette, i tortellini direttamente dalla pentola. Sono omaggi alla propria terra che tanti grandi cuochi sentono il dovere di fare.
Noi godiamo di queste nostre perle, godiamo dell’alta cucina che sublima la trattoria.
Qui è uguale, la trattoria Giorgio Bianco è al vostro servizio, per regalarvi qualche ora di puro piacere. Gourmand? Gourmet? Non so. Ma so che è piacere.
Uno sguardo alla carta dei vini per sognare, e pazienza se alcune delle etichette da sogno non sono più disponibili in cantina. Pazienza perché il sogno è ancora possibile, si chiama Clos de Vougeot Leroy e spegne 46 candeline. La storia di un territorio in 750 ml di emozioni: questa è vita, quella che mette la pelle d’oca al solo ricordo.
Tutto questo è possibile da Georges Blanc, inestimabile valore aggiunto di questo scampolo di mondo.

Il benvenuto della cucina

Astice confit al Vin Jaune, ravioli all’acetosella, spugnole e punte di asparagi

La Volaille de Bresse con salsa al foie gras e champagne, royale di fegato al carciofo, wafer d’aglio dolce e Crepes Vonnassiennes


Formaggi


Capriccio esotico: intorno al mango e all’ananas confit, un cremoso di erbe e sorbetto 4 fiori


Clos de Vougeot 1966 Leroy

Qual è il valore di un sogno?
Che misura dare a quell’impalpabile sensazione che è lo stare bene a tavola?
Le sentite ancora le farfalle nello stomaco quando progettate la visita ad un grande ristorante?
Quella sana emozione, come bambini al primo giorno di scuola, quello scintillio che ti scuote dentro in attesa di mettere le gambe sotto a quel sospirato tavolo. Fino alle ore che scorrono più rapide di tutte, che ti fanno sentire vivo come mai e ti sbattono in faccia la fortuna che questo giro di ruota ti ha voluto regalare. Le sentite? Spero di sì, perché sono la linfa vitale della nostra passione.
L’Enoteca Pinchiorri può tutto questo. E’ e deve essere un orgoglio per noi italiani. Una bandiera, come la Nazionale di calcio (quando vince) o la Ferrari (sempre).
Non dimenticate la prima parola: Enoteca, con la E maiuscola.
Il mondo del vino qui ha trovato casa, non esiste tavola al mondo più didattica di questa per chi voglia avvicinarsi ai più grandi vigneti e produttori di tutti tempi.
Qualsiasi appassionato di cucina, prima o poi, portafoglio permettendo, si appassiona al complicatissimo e affascinante mondo del vino. E il percorso vale anche in senso contrario.
Eppure lo scontro gourmet-appassionato di vino è a tratti esilarante: le accuse sono reciproche, come se gli interessi non fossero comuni. “Quello ci capisce di cibo ma sul vino è una capra.” “Quello conosce anche i moscerini del cros parantoux ma il suo livello alcolico è talmente elevato che troverà soddisfazione solo nell’acidità di una leccata di limone.”
All’Enoteca no, qui c’è spazio per tutti e due: abbracciamoci forte e vogliamoci tanto bene, perché stiamo per entrare nel Tempio.
Siamo vicini ai 40 anni di attività e il nome di questo posto in via Ghibellina non è mai cambiato: Giorgio Pinchiorri è il Signore del Vino.
La cucina corteggia questa personalità primaria: accompagna, non sovrasta; porge, non impone.
Attenzione: se lo volesse potrebbe tranquillamente primeggiare da sola, ne è la prova il magnifico risotto scampi e nervetti di vitello. Ma non è la sua natura, non è quello che vuole.
A volte sa pungere di fioretto, altre colpisce di sciabola, ora più rustica nel tentativo (riuscito) di ingentilire i grandi sapori toscani, ora più fine proponendo piatti da grande scuola.
Ma sempre al servizio di quello scrigno che avrete sotto i piedi, come un cavaliere che porta a braccetto la sua dama.
Le degustazioni vino sono infinite, di scelta e di prezzo. Dai 200 euro a quello che volete.
Questo è Il Ristorante, quello dal servizio perfetto, dall’ambiente affascinante, il modello “lampada di Aladino”: chiedi e ogni tua richiesta sarà esaudita. E’ l’emblema del lusso.
C’è Sara, c’è Giorgio, c’è Annie, ci sono Italo e Riccardo, c’è il nuovo pasticcere Luca, ci sono sommelier uno più bravo dell’altro. L’Enoteca Pinchiorri è viva come non mai.
Non c’è niente di tale caratura internazionale sul suolo italico. Siamo al livello delle grandi Maison Parigine.
Ma siamo a Firenze, stringiamoci, mano al cuore e cantiamo l’inno.
Sì, costa.
Ma, almeno una volta nella vita, è una tappa imperdibile per qualunque appassionato.
Di vino e di cibo.

Insalata di granchio reale con gelatina di crostacei, caviale, maionese di patate e salsa al cetriolo.

Tartare di ricciola, con agrumi, petali di cipolla marinati in succo di barbabietola, riso soffiato allo zafferano.

Capesante alla plancia con patate al limone, frangette e sfoglia di ceci croccante.

Coda di rospo farcita di fegato grasso, con funghi porcini alla nepitella e salsa al nero di seppia.

Astice gratinato alle olive taggiasche con passato di peperoni e granfarro.

Tagliolini con calamaretti alla salvia e fiori di zucca.

Risotto con scampi, nervetti di vitello e liquirizia.

Mezzi paccheri con ragù di piccione al timo e ricotta al miele.

Maialino di razza “Mora Romagnola” con cipolla rossa caramellata, patate e salsa alla senape.

Pernice con salsa al vino rosso e foie gras, polenta incatenata al cavolo nero.

Granita al frutto della passione con crema di arancia e vaniglia.

Lampone, cocco, sesamo nero: sorbetto e lamponi freschi in gelatina, meringa secca di sesamo nero, crema montata al cocco con un tocco di pepe Giamaica.

Fichi al vino rosso e Porto, gelato bianco alla vaniglia con pan di spezie croccante.

2 assaggi di capra per finire il vino…

“Piccola” Pasticceria.


Il confratello Cauzzi in versione scolaretto, a studiare tra i libroni dell’Enoteca.

Eh si, se poi ti capita di poter allungare una tripletta di degustazione come questa, in cui il Bienvenue Batard di Ramonet è tutt’altro che Batard, suadente, sottile, elegante ma raffinato e persistenze, incredibilmente lungo e profondo. Certo, quel village di Nostra signora del Pinot Nero, Maria Vergine di Chardonnay ha battuto tutti. Certamente quel simpatico ruffiano Château Leoville Las Cases, nella sua annata, dicono, del secolo scorso. Che ci è piaciuto tanto, nella sua austera profondità e tutto sommato elegante e sottile polposità. Però quel village di Vosne, ehmbè… con la sua liquerizia nobile, la violetta, elegante, raffinato. Come una sciarpa di seta, delicata, sfuggente, ma penetrante ed elegante.