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L’Argine a Vencò ovvero dell’arte di sedurre a tavola

È un grande privilegio accogliere Chiara Agostinelli, amica di lunga data di Passione Gourmet e donna immersa nella cultura gastronomica del nostro tempo come poche altre, capace di una passione contagiosa. In questa occasione abbiamo il piacere di leggere le sue riflessioni su una cuoca straordinaria: Antonia Klugmann.

Sé ducere, condurre a sé: usato in questo contesto, il verbo assume un’accezione indubbiamente positiva, e sta a indicare la raffinata capacità di suscitare un’attrazione viva, un fascino particolare, un quid pluris che fa sentire ognuno di noi destinatario di un privilegio. Ma, dove ci porta Antonia Klugmann? Ci vuole accompagnare nella sua stanza dei giochi per farci conoscere il suo mondo pieno di emozioni e vibrazioni che lei, prima, ha percepito, testato, interiorizzato e, solo dopo questo processo, è pronta a regalarlo a chi si siede alla sua tavola. È qui che si vede l’arte di esaltare non solo il gusto, ma altresì l’olfatto, la vista, l’udito per un’esperienza a tutto tondo, che coinvolge i sensi e i sentimenti ed è  atta a sollecitare nello spettatore sensazioni, ricordi, corrispondenze. L’aspetto peculiare e meraviglioso di ciò è che l’esito, il risultato del percorso esperienziale compiuto da Antonia è percepito in maniera del tutto personale, soggettiva e intima da parte del singolo ospite, perché ognuno ha la sua chiave di lettura e dà la sua versione.

Parlando delle caratteristiche salienti della cucina di Antonia Klugmann occorre dire che, innanzi tutto, si tratta di una cucina di materia: la matericità è un’attitudine che accarezza tutti i sensi; l’uso della materia infatti può spesso diventare un gesto espressivo del cuoco che evidenzia la capacità di leggere il prodotto e di interpretarlo, esaltandone le virtù. Molta importanza, poi, viene attribuita alla masticazione a cui si dà il ruolo che merita, regalando, sovente, gradevoli giochi che coinvolgono udito, olfatto e gusto e che evidenziano una spiccata attenzione alle consistenze, alle texture degli ingredienti, alla loro grana e densità. Ancora, è d’obbligo citare la grande cura nel rendere le preparazioni leggere e immediate, in maniera che i vari protagonisti conservino il più possibile intatte le loro caratteristiche peculiari, poco o nulla intervenendo a coprire il gusto primigenio. I piatti sono di una pulizia disarmante per l’essenzialità del gesto e l’assenza di manierismo: ciò, nondimeno, colpiscono per l’intensità e la profondità dei sapori. Altro aspetto degno di nota e che ci piace mettere in evidenza è che la cucina di Antonia è tutto fuorché monotona e monocorde, ed è altresi molto attenta all’aspetto cromatico delle preparazioni allo scopo di tenere i sensi dell’ospite attenti, vivaci, pronti.

Essenzialità del gesto e  assenza di manierismo

Che dire del Pane piatto, un incipit che ammalia per l’originalità e la perfezione della realizzazione: una doppia mezzaluna che emana un profumo inebriante di parmigiano, giocata sul contrasto delle temperature degli elementi impiegati e che dà vita a un rincorrersi continuo tra il mais bianco e il mais giallo, messi a punto in due consistenze completamente diverse, completato, qua e là, da un leggero tocco di burro nocciola: quello che si dice possedere un talento tale da rendere nobile ed elegante una preparazione intrinsecamente povera dei tempi andati. Gustata con le mani, poi, enfatizza all’ennesima potenza il piacere di scomodare un gesto atavico che, ognuno di noi, ama profondamente. Come si può commentare poi il Crudo di caco, granita di caco, origano e olio al ginepro dove il contrasto delle temperature è portato all’estremo, la masticazione del caco al naturale addirittura “si ascolta” con un leggero crepitio in bocca e  l’aspetto cromatico riveste un ruolo di primissimo piano dato che questo arancione vivo,  colore caldo per eccellenza,  infonde una sferzata di energia, positività e gioia per la vista. Ancora, Cavolfiore, nocciole e castagne: un piatto di masticazione importante, in cui l’ingrediente principale, cotto molto sapientemente, è volutamente nudo, circondato da fettine di castagna appena scottate, castagna che si rivela soda nella sua croccante ruvidità: sopra tutto questo una colata di crema di castagne e salsa di nocciole e, alla base, a dare la componente erbacea, foglie di cavolo frullate. E che dire di Arancia al vapore, purè di bacche di rosa canina e capperi dove l’ agrume e la bacca assumono un’acidità simile in partenza, ma che si biforca nell’allungo: l’arancia, rilasciando una nota dolce, le bacche di rosa virando verso un tono amaricante; in questo caso, i capperi rappresentano un tocco di sapidità. Non possiamo infine non commentare i Ravioli alle erbe amare, salsa di rapa bianca e rondelle crude della stessa rapa: alla vista, i ravioli sembrano soffici come dei cuscini, alla masticazione, la sfoglia di giusto spessore e consistenza, si apre ad un’autentica esplosione di note amare date dalla miscellanea di rucola e cime di rapa del ripieno, esplosione volutamente solo un po’ mediata dalla nota dolce della salsa di rapa bianca. Nulla da eccepire sulla preparazione dei dessert che rappresentano un continuum del pensiero della cuoca: conoscenza delle tecniche che vuole essere ancillare rispetto al protagonismo degli ingredienti che devono brillare di luce propria.

La cantina regala delle chicche a chi ama, soprattutto, i prodotti del territorio limitrofo. La sala, da subito, regala un’atmosfera di armonia e leggerezza, pur essendo professionale e preparata. La presenza di Vittoria Klugmann in sala, sorella simile e diversa di Antonia, ci fa sentire accolti e coccolati. Al suo fianco, il bravo sommelier Roberto Stella, la valente e poliedrica Veronica Kriznic e la soave Jessica. Due i menù, il più lungo a 130 euro, il più corto a 100 euro.

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L’Argine a Vencò o “della coerenza”

La cucina de L’Argine a Vencò è sicuramente legata al territorio, tant’è che il termine “prossimità”, in questo caso, potrebbe quasi sembrare riduttivo. Tuttavia, la simbiosi con il contesto non si riduce a semplificazione, a passiva celebrazione e riproposizione statica della materia: al contrario, la grandezza di Antonia Klugmann sta proprio nella capacità di creare un “altrove” – uno stile personale e riconoscibile come pochi – che sia, nel contempo, una nitida rappresentazione di ciò che si ammira dalle vetrate del ristorante. La cucina dell’Argine è la lampante dimostrazione di come, nella gran parte dei casi, indagare l’ingrediente e superare la soglia dell’immediatezza sia il miglior modo per valorizzarlo e restarvi fedele (cosa vuol dire, allora, “cucina di territorio” e qual è il ruolo del cuoco?).

Ciò che ci circonda non è una verità univoca e statica, bensì, ineluttabilmente, il frutto della sensibilità di ciascuno: quella della cuoca triestina emerge sempre, chiara. La frequentazione regolare di questo luogo consente altresì di apprezzare l’ossessiva attenzione dedicata alle sfumature – anche l’appassionato più incallito troverà utile (se non indispensabile) tornare sullo stesso piatto più volte -, la capacità di dare vita a bocconi che hanno una vera e propria evoluzione nel corso dell’assaggio e di rifuggire le scorciatoie senza cadere nel manierismo. Lo stile della sala – Vittoria Klugmann, Veronica Kriznic e Roberto Stella sono irrinunciabili – è estremamente coerente con l’approccio gastronomico: una calorosa essenzialità, nessuno spazio alla narrazione fine a sé stessa – o tesa a compensare mancanze – e la perfetta spiegazione del piatto, giacché a quest’ultimo è affidato il compito di creare un legame tra il visitatore ed il luogo (una sorta di “prova del nove” che conferma la potenza di questa cucina).

Assonometria di un territorio

Il percorso “Territorio: vita in movimento” si conferma innanzitutto – l’evoluzione nel tempo è stata costante – come uno dei migliori in assoluto in termini di costruzione della sequenza che, in quest’occasione, si apre con Papavero, fave e formaggio di capra, un benvenuto chiaro e diretto: la cucina dell’Argine si fonda sui frutti della natura e sul sapere artigiano. Gamberetti grigi della laguna di Marano, bisque, olio al ginepro, abete e acetosa è capace di coniugare due volti del territorio – entroterra e mare – con un utilizzo sottilissimo delle note balsamiche mentre, in Spaghetto verde alla chitarra, il mare e lo iodio – che pure si percepiscono così intensamente – sono solo una suggestione data dall’utilizzo sapiente del vegetale. Patata al dente, maionese fiori di pruno, mandorla amara e piselli crudi colpisce per la riflessione sul confine tra crudo e cotto e le conseguenze in termini di testura, quest’ultima decisiva – insieme all’ennesimo brodo prodigioso (come quello di pollo e limone di qualche tempo fa) – altresì in Ravioli ripieni di fegato di agnello in brodo di agnello e whiskey, in cui la pasta sottilissima racchiude una “pomata” di fegato, così liscia da sembrare liquida. Cervo cotto in riduzione di vino rosso, cime di rapa, melissa, foglie di carota e mostarda conferma invece l’approccio originale di Antonia Klugmann alle carni, sempre rispettoso nei confronti della materia – quasi a silenziare la componente “istintiva” o “animale” che solitamente caratterizza il genere  -, mediante metodi di cottura che non mirano mai alla golosità (non ho ricordo di maillard, fondi, etc.) quanto, piuttosto, a valorizzare la parte proteica in compenetrazione con il vegetale, così da abbattere la diade proteina/contorno (curiosamente, proprio in occasione di questa visita, era presente in carta un’animella fritta, una rarità).

In conclusione, L’Argine a Vencò si conferma come un luogo di cucina autenticamente autoriale, mai incline al facile compiacimento dell’ospite, di ricerca – ma distante dalle tendenze – e, come tale, meritevole di grandissima attenzione.

IL PIATTO MIGLIORE: Spaghetto verde alla chitarra (aglio orsino), borragine, lattuga, borragine essiccata, erba sale e the matcha.

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Eleganza e identità, una cucina di confine

Dopo alcune esperienze a Venezia, tra le vigne del Collio, in una piccola località di frontiera, ha trovato casa a L’Argine a Vencò, dal 2014, Antonia Klugmann, chef di indiscusso talento e sensibilità. Un progetto maturato nel tempo, partendo dall’acquisto di un semplice terreno in campagna fino alla costruzione dell’edificio in cui trova collocazione il ristorante, il cui ambiente, con le sue ampie vetrate, suggerisce una unione, una simbiosi tra la cucina e il rigoglioso paesaggio circostante che si sostanzia in un sapiente utilizzo delle erbe, delle verdure e dei frutti raccolti giornalmente, offrendo una personale visione del territorio e della sua identità. Quella di Antonia è infatti una cucina sussurrata, di grande eleganza, in cui l’elemento vegetale riveste sempre un ruolo cruciale e centrale, mai di semplice accompagnamento e orpello.

Territorio: vita in movimento

È il titolo stesso del menu più ampio presente in carta (10 portate) ad evidenziare questa centralità della territorialità, la quale tuttavia qui non si manifesta attraverso un recupero delle ricette tradizionali quanto piuttosto nella valorizzazione dei prodotti locali, spesso dimenticati e inusuali, nel segno di una cucina in continuo divenire. Il risultato prodotto è una delle più vivide ed eleganti cucine dell’intera Penisola. Il bilanciamento delle note amare, presenti ma mai prevaricanti, è elemento fondante che si manifesta nel delicato crudo di merluzzo in guazzetto di carciofo e riduzione di merluzzo, in cui è il pepe a fare da contrappunto, nelle cozze con bieta, elicrisio, finocchietto e lupini di mare e nei cannelloni (con pasta senza uova, per garantire massima leggerezza e digeribilità) ripieni di cicoria e glassati all’ortica. Freschezza e acidità sono magistralmente presenti nella panzanella del nord-est, con centrifuga di erbe e kiwi giallo e nell’insalata di caco mela, radicchio, bacca di rosa canina e nocciola. I secondi piatti di carne non mancano anch’essi di leggerezza con note balsamiche e amaricanti: la pancia di maiale è accompagnata da radicchio e liquirizia, per stemperarne la grassezza, il cappello del prete, cotto a bassa temperatura, da cardo ed erbe dell’orto nonché dal suo fondo cottura in purezza, senza farina o altri addensanti. Ottima infine la proposta vini in abbinamento di piccoli produttori locali, in perfetta armonia con la filosofia della cucina e del ristorante.

L’Argine a Vencò, in conclusione, ribadisce la centralità del confine, che interpreta mediante una cucina definita ed elegante, dove ritrovare i temi fondanti della gastronomia contemporanea: la territorialità e la stagionalità del mondo vegetale, per cogliere la direzione presente e futura della cucina, italiana e non.

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L’argine a Vencò: una trasposizione del panta rei

Tutto scorre come un fiume, come ne L’Argine a Vencò. E come l’uomo non può mai fare la stessa esperienza di vita per due volte di seguito, perché sottoposto alla legge inesorabile del mutamento, così il cuoco non può trattare mai allo stesso modo un ingrediente, se non in un’ottica di continuo divenire.

“La carriera di un cuoco non è cristallizzata, è un’interazione continua tra te, l’ingrediente, chi sei, le esperienze che fai, la tua sensibilità, in un processo di dialogo; perché il pomodoro rimane sempre lo stesso per una carriera e in realtà chi si muove sei tu”.

Antonia Klugmann

Territorio: Vita in movimento”: così Antonia Klugmann ha deciso di intitolare il nuovo menù. Un’esecuzione in perfetta linea con il suo pensiero e in perfetta armonia con la scelta di presentare piatti nuovi e inediti. Questo perché, mai come in questo periodo, l’emotività dell’uomo e la percettibilità della natura che ci circonda sono state sollecitate.

E benché ultimamente il concetto di “territorio” in ambito enogastronomico sia troppo spesso usato e talvolta abusato, ciò di certo non accade a L’Argine a Vencó.

Territorio: vita in movimento

Lo scenario, che fa da cornice alla bellissima struttura in pietra abbracciata da piante rampicanti che ospita il ristorante, già di per sé lascia presagire la cucina che il commensale andrà ad assaporare. Infinite distese di prati dalle quali la cuoca attinge per procurarsi gli ingredienti necessari per i suoi piatti, visto il largo uso di elementi naturali e prodotti selvatici che, naturalmente, anche in questo nuovo menù estivo sono protagonisti. Componente vegetale preponderante, certo, ma smussata nei sapori dalla sensibilità di Antonia che riesce ad amplificare le proprietà organolettiche di erbe e piante diffusamente utilizzate senza mai alterare il rapporto con le altre componenti del piatto, che convivono in perfetta connessione e simbiosi. È così che l’intensità della borragine si confonde con la freschezza di melone e cetriolo ma al tempo stessa si esalta con la nota del burro al tartufo; che la spiccata acidità del pomodoro stempera la grassezza dei nervetti bolliti donando al boccone un’affascinante consistenza callosa e un’avvolgente concentrazione di sapori; come pure il mix tanto inedito quanto esplosivo di acetosa, papavero e bruscandoli regala alla pasta fredda una sapidità inaspettata che, in uno con la texture croccante dei pinoli, attiva una bramosa salivazione.

Antonia Klugmann, del resto, sa bene come restituire ai prodotti (prettamente friulani come, in particolare, le carni) l’integrità perduta, cucinando senza sprechi in un’ottica di sostenibilità ambientale di cui la sua cucina è paradigma reale e concreto. Una cucina d’autore che sorprende per il contrasto visivo/gustativo con piatti che, all’apparenza, si presentano semplici e senza soverchie sovrastrutture ma che, una volta in bocca, sprigionano concentrazioni di sapori da capogiro e profondità gustative senza eguali.

Se mai ce ne fosse stato bisogno, con questo nuovo menù L’Argine a Vencò si conferma ai vertici della gastronomia italiana; e noi di Passione Gourmet saremo sempre pronti a seguirne le evoluzioni per vedere quale nuova forma, consistenza e sapore assumerà la prossima volta questa cucina.

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L’intima natura di una cucina di campagna e di confine

Non è esattamente in una località di passaggio il “posto” di Antonia Klugmann, questo angolo del cuore in cui la chef ha saputo creare un magnifico ristorante e qualche comoda camera dove regalarsi una fuga dal quotidiano.

Un progetto partito da lontano, accelerato dalla notorietà televisiva che non ha tuttavia deviato la natura della sua più intima ragion d’essere: quella di proporre una cucina personale in cui si dia spazio – nel ruolo di protagonisti – a ingredienti spesso dimenticati, curati quasi sempre dalle mani della stessa chef (la quale, se dormite lì, troverete probabilmente già al mattino, nell’orto, di fronte alla vostra stanza).

I due menù a disposizione, più una piccola offerta alla carta, consentono di scegliere a seconda del proprio appetito, fermo restando la soavità complessiva della proposta che suggerisce di lanciarsi sul più ampio “Territorio: vita in movimento”.

I titoli sono molto sintetici e centrati sull’ingrediente principale (Orata, Fregola, Animella ecc.) che è, in effetti, sempre il fulcro di piatti in cui viene valorizzato tramite l’accompagnamento di altre note, solitamente vegetali, che aggiungono sfumature inedite e ne esaltano e prolungano il gusto.

Il cuore dell’esperienza si coglie in una sequenza davvero strabiliante che parte dalla zucchina alla brace con burro alla camomilla e zafferano, tè verde e acetosa, un capolavoro di eleganza che valorizza un ortaggio solitamente negletto per l’alta cucina, e prosegue con le straordinarie consistenze del raviolo di patate e carciofi con salsa di uovo di lompo e timo al limone per chiudersi con l’ardita animella con ciliegia al vermouth, piantaggine, nasturzio e noce moscata.

Qualche episodio convince meno (il cervo marinato alla lavanda, semi di papavero, bruscandoli e farinello, un po’ slegato) ma si eleva nuovamente sui dolci, dove la mano è quella di un’interprete di sensibilità rara, che a un delizioso pre-dessert, il sorbetto di albicocca e coriandolo, fa seguire il melone ed erbe amare, un semifreddo di ispirazione “classica” e meridionale (la chef è una cittadina del mondo che ha qualche radice anche lì oltre che nella Mitteleuropa) reso modernissimo dall’uso sapiente delle erbe, dosate alla perfezione.

In sala regna sornione Romano De Feo, dall’ironia inconfondibile, che con il suo team saprà proporvi un accompagnamento su e giù per le vigne friulane e slovene pensato con grande amore e competenza.

Non fatevi spaventare dalla distanza e fate un salto da queste parti; difficile che non diventi, poi, un appuntamento fisso.

P.S. Se dormite lì, prenotate anche la fantastica colazione, viatico verso una giornata felice.

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