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Tempura Matsu

La selezione maniacale della materia prima

Se, messi alle strette, dovessimo consigliare un solo ristorante da provare in Giappone tra le decine visitati e, probabilmente, le migliaia che da soli valgono il viaggio, pensiamo che Tempura Matsu a Kyoto potrebbe essere il nostro favorito.

La casa del giovane Toshio Matsuno, oggi alle redini dell’attività familiare, è difficilmente classificabile. Se il nome e il locale fanno pensare a un ristorante di tempura dalla storica conduzione familiare (con lo chef ai comandi ci sono la simpaticissima mamma e l’abile sorella), l’esperienza gastronomica che viene proposta è un kaiseki contemporaneo, originalissimo e al tempo stesso rispettoso delle tradizioni: nella scansione del menu, nella bellezza inarrivabile delle preparazioni e delle stoviglie in cui sono presentate, nella selezione maniacale di una materia prima d’eccezione trattata con sapienza e rispetto.

Lo segnaleremmo, quindi, perché permette di avere un’idea di quanto grande possa essere la cucina nipponica e di quanto rosee siano le sue prospettive e anche perché, dettaglio meno alato ma rilevante, consente di farlo a prezzi molto ragionevoli.
Toshio-san non è lì per caso: oltre a essere erede dell’attività di famiglia ha pensato bene di studiare l’alta cucina internazionale lavorando da Beige di Alain Ducasse a Tokyo. Però, contrariamente a quanto accade spesso, questa apertura alla Francia non va nel senso di snaturare le preparazioni proposte, semmai di poter sapientemente introdurre stimoli nuovi in una tradizione ancora formidabilmente vivace.

Fuochi d’artificio al banco

La scelta si limita a 3 possibili omakase dal prezzo diverso, non in base al numero di preparazioni, ma al tipo d’ingredienti presenti (nel nostro mancava la straordinaria aragosta che abbiamo visto sfilare, sostituita da tonno e polpo altrettanto eccezionali).

La successione è un insieme di fuochi d’artificio, talvolta per la spettacolarità anche tecnica delle preparazioni, altre volte per l’eleganza indicibile delle stesse e la qualità degli ingredienti che le compongono. Si può parlare delle Seppioline cotte direttamente a tavola in una piastra rovente con ginger e riso o del doppio colpo del riso in abbinamento a Polpo e fiori di sansho (il “pepe giapponese” che per 2-3 settimane l’anno allieta i palati da queste parti con la sua aromaticità unica) o al Tonno e sesamo. O, soprattutto, si può citare la Zuppa dolce di miso con gambero e bambù, che possiamo annoverare tra i piatti più straordinari mai provati negli ultimi anni.

Anche quelli che sembrano divertissement all’occidentale, come i famosi Udon serviti in un cubo di ghiaccio scavato, con un brodo soavemente profumato ai fiori di ciliegio, sono non meno che eccezionali (la consistenza e il “morso” li collocano tra i migliori mai provati anche in Giappone) e mostrano che la voglia di giocare della giovane età non è mai gratuita o inconsapevole.

Anche la proposta di tempura, rispettosa della storia del locale e limitata a 4-5 assaggi tra il vegetale e il pesce, è inappuntabile, con la gioia di osservare i gesti, ripetuti sempre uguali un’infinità di volte, da un sapiente, anziano aiutante.
La passione per la cucina si alimenta, sempre più difficilmente, nel tempo, grazie a esperienze come questa, capaci di sorprendere, emozionare e aprire la mente. Un passaggio da queste parti è una gioia e la nota è solo lievemente arrotondata per eccesso, perché siamo certi che questa sia destinata a essere e restare a lungo una delle grandi tavole del mondo.

La galleria fotografica:

L’autodidatta impeccabile e fuori dall’ordinario

Non è facile incasellare il ristorante di Tsutomu Ito, chef 43enne di Kyoto, proprietario di questa insegna nel cuore dell’affascinante Gion, Miyoshi.
Sarebbe assolutamente riduttivo classificarlo come “steakhouse” così come non sarebbe corretto indicare la sua come una classica cucina kaiseki (pur richiamandola in molti aspetti).
La cucina di Ito San è semplicemente fuori dall’ordinario, una esperienza da fare una volta nella vita per capire a quale punto ci si può spingere nella ricerca dell’ingrediente assoluto, in particolare se hai una clientela disposta a spendere il giusto per assaggiarla.

La vita di questo chef autodidatta è letteralmente dedicata alla ricerca dei migliori fornitori. La Kobe-gyu è fornita dalla Kawagishi Wagyu Farm, che alleva solo 180 capi di bestiame Tajima-gyu tra le montagne e le correnti del fiume Kakogawa, nella prefettura di Hyogo. L’Omi-gyu proviene dalla fattoria Nakagawa nella prefettura di Shiga, che ha più di 160 anni di storia nell’allevamento del bestiame. Gli ortaggi vengono acquistati nel mercato centrale di Kyoto.

La carne regina del menu di Tsutomu Ito

In questo piccolo locale (dove è caldamente consigliato prenotare al bancone) ogni piatto servito vede protagonista la carne, ma l’abbinamento con ingredienti stagionali di altissima qualità ne trasformano ed evolvono il gusto. Dunque, parliamo di un ristorante decisamente al di fuori della classicità, che sa innovare e stupire, pur utilizzando sempre un canovaccio comune. Si passa da preparazioni (solo) apparentemente molto semplici e dirette, come appunto il Filetto grigliato, ad altre molto più complesse e costruite. Tutto viene portato al massimo livello possibile.

E allora potrà capitare di rimanere a bocca aperta anche per un Sorbetto di acqua di pomodoro servito assieme a del pomodoro fresco: la semplicità assoluta, eppure da tempo non sentivamo un gusto di pomodoro così intenso.

La cena è una continua epifania del gusto che solo questa carne può raggiungere. Semplicemente incredibile il signature dish di Ito San, la Lingua di manzo con cui si apre il pasto: per questa preparazione viene utilizzata una tecnica chiamata kobujimé, normalmente utilizzata per il pesce e che consiste nel porre le fette di carne per 3-4 ore tra 2 fogli di alga kombu. Il taglio la rende poi di una consistenza sublime. Davvero un piatto da imperatori. Non meno entusiasmante la terrina che viene servita ancora in bollore, sormontata da una generosa dose di japanese green pepper (prodotto tipico di aprile e dal sapore incredibile): il fondo di carne è qualcosa che ricorderemo a lungo.
Così come lo Shabu Shabu: la manualità dello chef è uno spettacolo nello spettacolo. Un solo passo falso, proprio nel piatto in cui vengono utilizzati a profusione ingredienti di lusso non giapponesi, come tartufo nero e caviale: il risultato è solo sufficiente, per una preparazione che sembra rivolgere il suo interesse più all’utilizzo di questi ingredienti che non al finale gustativo.

Ci si riprende alla grande con il protagonista assoluto: il Filetto di Kobe A5 grado 9, cucinato su carbone e servito semplicemente con sale e pepe. Cottura e gusto in grado di spostare i riferimenti sul tema.
C’è anche la possibilità di bere grandi bottiglie di vino (Ito San è in particolare innamorato di grandi rossi di Borgogna) e, cosa non banale in Sol Levante, lo chef parla un buon inglese ed è molto amichevole, rendendo la serata ancora più gradevole e lontana dai rigidi standard di altri locali giapponesi di questo tipo.
Prezzo, come ovvio, estremamente importante, ma credeteci, non ve ne pentirete.

 

Kichisen: quando la forma diventa sostanza.

Ogni volta che si visita un ristorante kaiseki è sempre percepibile, inevitabilmente, la sensazione di essere sospesi tra sacro e profano; sensazione che, probabilmente, contribuisce ad aumentare l’irresistibile fascino dei ristoranti che preservano con inflessibile grazia e inossidabile compostezza il culto per questa secolare espressione culinaria.

Il sacro, incarnato dal profondissimo rispetto per una forma che trova nell’estetica e nella qualità assoluta delle materie prime prescelte la sua più profonda essenza.

Il profano, associato all’inevitabile caducità di quanto proposto che, pur animato da bagliori di assoluta grandezza, esprime qualcosa di passeggero e temporaneo.

Il riferimento all’estetica non è mai casuale, quando si parla di kaiseki, perché le regole che lo animano sono legate a doppio filo alla bellezza dal primo all’ultimo momento del pasto, vera e propria cerimonia legata al fluido avvicendamento degli ingredienti.
Bellezza sia come sinonimo di bontà e rispetto degli ingredienti, rigorosamente selezionati ed esaltati da presentazioni capaci di appagare occhio e spirito, sia, in senso più ampio, come sacralità dell’ospite, giammai considerato come un banale cliente bensì come un referente degno di massimo rispetto e reverenza.
Il ristorante di Yoshimi Tanigawa, celebre chef giapponese, situato nei pressi dello splendido santuario di Shimogamo-Jinjia nella sacra foresta di Tadasu-no-mori, sposa in modo encomiabile questo modo di intendere il cibo.
In una villa immersa nel verde che, a parte quattro-cinque sedute al bancone, sviluppa tutto il ristorante in sale private, la liturgia del pasto kaiseki è celebrata in modo impeccabile e aggraziato.

Estetica certo, ma anche moltissima sostanza

Le pietanze vengono esaltate attraverso presentazioni leggere, anzi leggerissime, in cui condimenti e sapidità sono affidati quasi esclusivamente alle peculiarità degli ingredienti utilizzati, valorizzati da metodi di cottura che ne custodiscono sapientemente sapori, umori e consistenze, e a pochissimi elementi di contorno.

I sottaceti di squisita fattura che accompagnano l’abalone, graziosamente presentati in una mela apparentemente intonsa, un eccellente tofu all’uovo adagiato in un brodo dashi di bontà pari alla propria limpidezza, la qualità del sashimi di orata e calamaro o dei ricci di mare, l’ananas che esalta la cottura del beef arricchendolo di note acide e la gelatina di mele con schiuma di miele con la meravigliosa frutta (il Giappone ci ha abituato a vette di qualità indescrivibili) che completano il pasto, sono corredo di una filosofia culinaria che ogni volta è capace di stupirci.
Non si raggiungono da Kichisen le vette sublimi di Kitcho, suo illustre e insuperato concittadino, per noi un autentico benchmark, ma una cena in questa oasi ovattata all’interno della meravigliosa Kyoto rappresenta comunque un regalo e un passaggio doveroso per chiunque voglia accedere a una cucina che i canoni occidentali non ci hanno abituato a conoscere.

La galleria fotografica:

Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto

Il Kaiseki è l’espressione più alta della cucina giapponese contemporanea.
Trae origine, in forma semplificata, dall’honzen ryori, il pasto di alta cucina dell’era Momoyama/Edo (tra il 16° e il 19° secolo) e la sua storia è strettamente connessa alla cerimonia del tè, perché nelle sue prime versioni il kaiseki era proprio il frugale accompagnamento (una ciotola di riso, una zuppa e tre contorni) destinato a placare l’appetito per apprezzare al meglio la degustazione del tè verde.
Nel tempo, il tipico pranzo kaiseki si è evoluto nella quantità (nelle sue forme più estese si arriva a quattordici portate) e negli ingredienti (ad esempio il pesce, inizialmente salato per la conservazione, oggi può essere gustato crudo), ma ha mantenuto intatto un aspetto primigenio: il rapporto con la natura. E’ indispensabile prediligere ingredienti stagionali e locali e vanno privilegiati i metodi di preparazione locali con l’obiettivo di mettere il prodotto nella massima evidenza possibile.
Questi ingredienti straordinari devono essere presentati in maniera altrettanto straordinaria, attraverso la loro combinazione in funzione non solo gustativa ma anche estetica con l’utilizzo, per servirli, di stoviglie preziose la cui forma e colore saprà esaltarli ulteriormente insieme alla disposizione degli ingredienti stessi e all’abbinamento con altri elementi naturali (foglie, fiori).
Il tutto con un obiettivo fondamentale: far sì che ogni piatto sia un’immagine di bellezza che si fissi nella memoria.
L’esperienza di un grande kaiseki è uno di quei momenti di epifania rari nella vita di un gourmet, quei momenti che permettono di ridefinire la qualità e il valore della propria esperienza gastronomica e di allargarla con la visione di quali standard possa raggiungere l’arte culinaria.
Da Kitcho nella sua sede storica di Arashiyama, splendido sobborgo di Kyoto, abbiamo avuto modo di passare tre ore di autentico piacere e di godere di un’esperienza reputata anche dai gourmet locali (Michelin inclusa) tra le più sublimi.
Descrivere a parole la bellezza della location è impresa ardua, che sintetizzeremmo con la formula “il sogno di Giappone di ogni occidentale”: una sala privata arredata nella semplice eleganza della casa tradizionale nipponica, affacciata su un giardino zen e posta su una collinetta sovrastante un fiume. Un incanto.
Ogni gruppo di commensali ha la sua saletta, servita da due deliziose signore in abiti tradizionali. Anche il concetto di livello di servizio viene ridefinito da serate come quella passata, perché mai, nemmeno nelle migliori maison provate in millanta peregrinazioni occidentali, è stato possibile incontrare un mix così toccante di sapienza e gentilezza, una cura dell’ospite così radicata da cambiare la disposizione d’animo dell’ospite stesso, permettendogli di godere appieno dell’esperienza.
Il menù è presentato su un foglio di carta impreziosito da schegge di argento e oro e la qualità della cucina proposta non è inferiore al resto dell’insieme.
Lo chef, Kunio Tokuoka, è il nipote del fondatore dello stabilimento, Teiichi Yuki, e lo dirige dal 1995.
La sua idea è di proporre una cucina kaiseki pienamente rispettosa della tradizione ma capace di “armonizzarsi” (come recita nel suo sito) col presente. Compito che gli riesce pienamente.
La sequenza è impressionante per bellezza e bontà, la qualità di ciascun ingrediente è sopraffina ed esaltata da cotture e abbinamenti di rara riuscita.
Colpisce la perfezione di ogni cosa comprese le temperature, nonostante la complessità delle architetture di alcuni piatti e le necessità di servizio connesse.
E’ esemplificativo il piatto di “delicatezze assortite”, momento centrale del menù: la bellezza di questa vera e propria scultura rischia di offuscare la fantastica qualità delle singole componenti del “piatto”, servite ai singoli commensali dopo la presentazione del piatto stesso che viene sporzionato in diretta dalle due signore che si prendono cura del tavolo.
Le uova di salmone fanno giustizia delle palline colorate ammanniteci negli anni dalle nostre parti; l’abalone, per una volta, non è solo lì per la consistenza; il pollo ai semi di cipresso è un gioco di sapori e consistenze indimenticabile; gli scampi, di freschezza commovente, sono esaltati dal moromi miso; le ginkgo nuts, per cui ammettiamo un debole, sono fritte alla perfezione e la “torta” di pesce e uova è la sublimazione di tutte le frittate (tamagoyaki) che usualmente chiudono i pasti a base di sushi.
Viaggiamo nell’incredibile anche sulla parte dolce, soprattutto grazie a un piatto di frutta di qualità inesistente dalle nostre parti (i prezzi di queste meraviglie, vendute nelle città giapponesi in negozi paragonabili senza esagerazioni a gioiellerie, sono altrettanto fuori dal comune); uva (un chicco, rigorosamente sbucciato), pera, melone e fico, sublime, accompagnati da una sorta di zabaione etereo.
A seguire dolci d’impronta giapponese stagionale (con castagne e l’onnipresente composta di azuki) che mettono d’accordo anche chi non apprezza particolarmente questo tipo di pasticceria.
Il pasto è accompagnato dal saké della casa, di qualità altissima.
Un’esperienza formativa, che permette di spalancare un mondo ai fortunati che riescono a prenotare un posto da queste parti. Un mondo che sarà bellissimo continuare a esplorare, nella consapevolezza che una meraviglia come questa esiste davvero.

Granchio blu con vegetali e gelatina d’aceto.
Granchi blu, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Brodo di luccio grongo con fungo matsutake.
Brodo di luccio, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Il primo sashimi: orata.
sashimi, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Il secondo sashimi: buccino grigliato e tonno grasso arrostito.
sashimi, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Piatto di contorno: crema salata con tartaruga dal guscio morbido.
crema salata con tartaruga, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Delicatezze assortite.
delicatezze assortite, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Dettagli delle delicatezze.
dettagli e delicatezze, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Il piatto per il singolo commensale.

Piatto grigliato: tile gibboso grigliato, castagna e funghi shiitake. Paradigmatica espressione di sapienza nella cottura.
piatto grigliato, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Piatto al vapore: palla di tofu fritto, zucca, taro (colocasia esculenta) e taccole.
palla di tofu, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Il riso: riso Koshihikari con funghi matsutake e carne grigliata.
riso, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Sottaceti: rapa con salsa di prugna e bonito essiccato; foglie di senape giapponese (mibuna) con sesamo e peperoncini.
rapa con salsa di prugna, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Il dessert: melone, pera giapponese, fico e uva.
melone, pera giapponese, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Il dolce: pure di castagna con composta di azuki; noce in crosta di zucchero.
dolce, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Tè matcha.
tè matcha, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
Tè finale con i suoi accompagnamenti.
Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto
L’aggiunta che abbiamo chiesto allo chef a suo piacere (provocando comunque un sussulto perché stravolgevamo il percorso): pollo e funghi. La cottura del pollo avvolto da una strisciolina di pelle sottilissima e croccante come mai abbiamo provato resterà indelebile nella memoria.
pollo e funghi, Kitcho, Chef Kunio Tokuoka, Cucina Kaiseki, Kyoto

Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan

Mangiare e bere sono il nutrimento della vita. Mangia cibo semplice. La carne dovrebbe essere consumata in piccole quantità. Scegli alimenti che nutrano il corpo.
Smetti di mangiare prima che il tuo appetito sia del tutto soddisfatto.
Cinque cose da tenere a mente quando ci si nutre:
1) pensa a chi ti dà il cibo
2) pensa alle fatiche di chi l’ha prodotto
3) ricorda che sei fortunato a godere di un buon pasto senza avere fatto nulla per meritarlo
4) ricorda che ci sono tanti esseri umani ben più poveri di te
5) pensa ai tempi antichi in cui gli uomini mangiavano frutta, radici e semi senza conoscere la cottura.
Astieniti dal mangiare troppo. Sii moderato nel cibo e nelle bevande.
Così prescriveva nel 1713 lo Yojokun, un trattato in cui venivano formulate regole di vita per una buona salute fisica e spirituale.
L’arte della cucina è da secoli tenuta in grande considerazione in Giappone.
Chiunque sia stato nel Sol Levante avrà apprezzato l’estrema eleganza e la squisita delicatezza dei piatti anche più semplici. La cucina giapponese è la più “spirituale” del mondo: regola vuole che gli ingredienti mantengano la propria natura, il colore, la consistenza, che i colori del vasellame armonizzino con il cibo e con la stagione del momento, che i sapori siano leggeri ma non insipidi, che non vi sia ostentazione ma che ogni cosa sia perfetta nella sua austera, raffinata semplicità.
L’estetica dell’ospitalità giapponese è essenzialmente rappresentata dalla cucina kaiseki, che di solito viene servita prima della cerimonia del tè e nella quale si raggiungono vette di delicata, “povera” eleganza. L’abbondanza è bandita: lo scopo del pranzo non è quello di riempirsi, ma di godere insieme agli ospiti del piacere della reciproca compagnia, in armoniosa pace e tranquillità. Aeree composizioni vegetali ornano rustici piatti di ceramica e leggere ciotole di legno laccato creano sottili contrasti; i freschi colori dei vegetali armonizzano con il contenitore in cui sono deposti.
La cucina kaiseki è intrisa di profumi e sapori della stagione, segue i ritmi della natura.
Kyoto ne è la patria, un po’ come Napoli lo è della pizza in Italia e Tokyo del sushi.
Gli ingredienti utilizzati sono sempre freschissimi e, nei locali migliori, di qualità eccezionale.
Le varie portate vengono servite in sequenza, non necessariamente in un crescendo di sapori e odori, e vanno assaporate come le pagine di un racconto. Mangiare seguendo la filosofia kaiseki significa entrare in un mondo quasi onirico, in cui si devono scoprire i dettagli lentamente, senza fretta di conoscere il finale.
Passeggiando per il centro di Kyoto vi capiterà di imbattervi in centinaia di porticine dischiuse di ristoranti, tutte simili tra loro, che renderà oltremodo ardua la vostra scelta soprattutto se non avete le idee già chiare.
E dietro alcuni di quegli anonimi ingressi si celano i migliori ristoranti dell’intero Paese.
Il Kikunoi Roan, fratello minore (ma non troppo), del celebre Kikunoi, è uno di essi.
Due stellette della Rossa brillano sul bancone, dove sarete accolti da sinceri sorrisi e, finalmente (non parlare l’idioma locale può essere a volte frustrante), da un menu scritto in lingua inglese.
La cura della presentazione dei piatti è maniacale, bellissime composizioni prevalentemente vegetali ci fanno comprendere quanto sia importante l’estetica per i giapponesi.
Il cibo si assapora prima con gli occhi sembrano volerci insegnare.
Nessuna sbavatura in un percorso di complessiva grande piacevolezza. Sapori netti, riconoscibili, cotture brevi che tendono ad esaltare ingredienti rari ed ineccepibili.
Si vola alti con il sashimi, l’abalone cotto sotto sale con ricci di mare ed una perfetta zuppa di melanzane, peperone e ravioli di gamberi fritti.
Di impatto l’insalata servita in un cubo di ghiaccio e semplici ma buoni, come sovente accade, i dolci, con le gelatine a farla da padrone.
Il godimento ha un prezzo, neanche tanto elevato questa volta.
La nostalgia per il Giappone aumenta, ogni scheda di più.

Mise en place .. nipponica.
mise en place, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Fico in crema di miso bianco, bonito essicato.
fico in crema, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Appetizer “nascosti” in bellissimi fiori rossi (lanterne cinesi).
appetizers, lanterne cinesi, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Ricci e gelatina d’uovo.
ricci e gelatina d'uovo, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Fagiolini di Kyoto con salsa di sesamo nero.
fagiolini di kyoto, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Poached bayberry.
poached bayberry, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Terrina di uova di pike conger.
terrina di uova, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Pike conger in roll di cetriolo.
roll di cetriolo, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Sashimi di pike conger.
sashimi di pike conger, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Pike conger con salsa acetata di prugne e wasabi.
Pike Conger, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Sashimi: red sea bream, cutlass fish con geltina di ponzu, porri gialli, melanzane.
sashimi, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Sashimi close up.
sashimi close up, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Zuppa di melanzana in una ciotola a forma di… melanzana.
zuppa di melanzana, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Zuppa di melanzana, peperone verde, e dumpling di gamberi fritti.
520
Cottura sotto sale e…
520
…verdure per…
verdure, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
…un magnifico abalone con ricci di mare.
ricci di mare, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Insalata: Glass noodles, funghi shiitake, cetrioli, zenzero e fiori di shiso.
glas noodles, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Master at work.
master, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Manzo con salsa di miso e cetrioli. Neanche a dirlo fantastica.
manzo con salsa, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Riso con ayu fish, cetrioli sottaceto, peperone dolce, ravioli di radici di loto.
Riso con ayu fish, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Immancabili sottaceti e riso in bianco.
sottaceti e riso bianco, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Sorbetto di ananas e pudding di mango.
sorbetto di ananas, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Gelatina di sesamo nero, gelato allo zucchero di canna.
gelatina di sesamo, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Bancone.
bancone, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan