Al Dinner i londoners più autentici si recano per placare i più disparati istinti conoscitivi.
In primis perché la cucina è quella di Heston Blumenthal, del tristellato The Fat Duck, e una lacuna simile, per un londinese, sarebbe certo inappropriata. Ma ivi si va anche, più edonisticamente, per godere di un’esperienza esclusiva all’interno di una location elegantissima: il Mandarin Oriental Hotel di Hyde Park, nel cuore pulsante del ricchissimo quartiere di Knightsbridge.
Tutto vero, certo, se non fosse che al Dinner si va anche, più prosaicamente, per sopire esigenze diciamo più accademiche, certamente filologiche se comprendiamo l’accademismo che permea il concept di un ristorante che lo stesso sito di Mandarin Oriental non esita a definire di tipo historic-inspired British.
Cosa significa? Semplicemente che quel cervellone di Blumenthal ha edificato una cucina che è come una macchina del tempo orientata, stavolta, verso il passato che scruta con approccio storicistico e ispeziona mediante le spesse lenti della filologia e dell’antropologia. Del resto, solo in questo angolo di old city poteva albergare cotanto accademismo il quale, tuttavia, ha restituito un pasto certamente impegnato ma anche impegnativo, e le cui virtù non sono risiedute propriamente in quella leggerezza che, in ogni epoca e a ogni latitudine, ovunque e sempre, ricerchiamo.
E così, dopo anni di equazioni sulle ricette tradizionali e decadi di proporzioni atte a svelare le possibili ottimizzazioni ricorrendo a espedienti di natura fisica e chimica, Blumenthal approda qui a un personalissimo porto esistenziale, che trova i suoi prodromi nel romanticismo tedesco e nell’avvenirismo tecnico della cucina professionale inglese delle origini.
Ecco l’incipit, l’inalienabile introduzione che contestualizza e ci dice dove siamo giacché, in un pasto come questo, il punto di partenza è importante: un cocktail a base di té al Mandarin bar tanto necessario, si diceva, quanto stordente. Quindi via, si parte dietro alle evoluzioni tecniche orchestrate dallo chef Ashley Palmer-Watts, originario del Dorset, con Blumenthal dal 1999. Per cominciare una Meat Fruit, ovvero un parfait di fegatini di pollo, gelatina al mandarino e pane tostato la cui prima attestazione si fa risalire, secondo il menu, nientemeno che al 1500.
Quindi, appena centodieci anni prima, il rinascimentale Rice&Flash composto da un cortigianissimo riso allo zafferano con coda di vitello e vino rosso, datato 1390.
Un salto di cinquecento anni in avanti, anche per via dei più agili commerci via mare, è quello rappresentato dal Roast Iberico Chop, ovvero un maialino iberico arrostito che si fa risalire all’anno 1820. Un boccone più avanti e siamo nel bel mezzo dell’entusiasmo di metà Secolo breve col Cod in Cider del 1940. È quindi la volta di un piatto della tradizione professionale tanto British quanto lo sono pipa e impermeabile grigio: le patatine fritte in quella tripla cottura che restituisce un morso eccezionale, che da’ dipendenza.
A chiudere la Tipsy Cake, ovvero una brioche calda bagnata con brandy e Sauternes servita con ananas arrosto caramellato la cui prima attestazione risale al 1810. Come chiusura, stavolta, un richiamo all’incipit: il cioccolato al tè Earl Grey.
Note: Per vivere un’esperienza a 360° con la cucina di Blumenthal, c’è anche la possibilità di prenotare il tavolo dello chef, per 4 persone, con un menù su misura al costo di 200£ a persona (150 a pranzo).
Aperitivo a base di té con effetti speciali al bar del Mandarin.
Mise en place senza tovaglia.
Dettaglio del menù.
Il pane di ottima qualità.
Meat Fruit: parfait di fegato di pollo, gelatina al mandarino e pane tostato (signature dish).
Rice&Flesh: riso allo zafferano, coda di vitello e vino rosso.
Roast Iberico Chop: maialino iberico arrosto.
Cod in Cider: merluzzo.
Le famose patatine fritte, le migliori mai mangiate.
Tipsy Cake: un dessert che metterà a dura prova la vostra resistenza; buonissimo ma impegnativo!
Post-dessert: cioccolato al té Earl Grey.
La bella cantina a vista all’ingresso del ristorante.
Un dettaglio della cantina.
L’imponente ingresso del Mandarin Oriental.
L’insegna del ristorante.
Oustau de Baumanière.
Ecco un’altra storia, tutta francese, che affonda le proprie radici nella genetica vocazione, pura e intensa e nella più genuina passione.
Nel dicembre del 1945 Raymond Thuilier, assicuratore prossimo alla cinquantina, decide di abbandonare la professione e dedicarsi al proprio interesse principale: la cucina.
Nipote di albergatori savoiardi e figlio di una ristoratrice (la madre gestiva un buffet in una stazione ferroviaria di provincia) il nostro risponde tardivamente al richiamo del dna e trasforma il proprio hobby in una delle pietre miliari dell’alta ristorazione francese.
Qui all’Oustau, divenuto in breve tempo punto di riferimento regionale, solo per fare un esempio, un giovanissimo Heston Blumenthal rimase folgorato sulla strada di Damasco dell’haute cuisine dopo una visita.
In meno di nove anni, nel 1954, L’Oustau raggiunge il massimo riconoscimento transalpino, le tre stelle, che deterrà fino al 1990 tre anni prima della morte del fondatore.
Le date e, più in generale, l’inquadramento storico non sono pedanti note fini a se stesse, piuttosto dettagli importanti per capire come i francesi creino e costruiscano nel tempo i loro monumenti gastronomici.
In un luogo del genere sono concentrati più di cento anni di esperienze, cui lo stesso Thuilier fa espresso riferimento quando, parlando dell’apertura del ristorante, afferma che essa è stata un passo logico e naturale.
Nel 1970 si è aggiunto il nipote Jean Andrè Charial, tutt’ora al comando della struttura, che ha diversificato l’offerta con investimenti in altre risorse alberghiere limitrofe, come La Cabre d’or, o poco distanti, e nella produzione di olii e vini.
Dal 2005 responsabile della cucina è Sylvestre Wahid, giovane pakistano arrivato in Francia col sacro fuoco dell’alta gastronomia.
Con un passato così denso alle spalle e così marcatamente radicato nel territorio, lo stile non può che essere classico, anche se la matrice provenzale delle pietanze si giova di nuances speziate e fruttate che ne vivacizzano piacevolmente la già notevole validità.
Una full immersion nella Provenza più profonda è così possibile e didatticamente raccomandabile a questa tavola.
Chiunque voglia avere un’introduzione gastronomica alla regione non può non passare da queste parti e godere di fondamentali impeccabilmente eseguiti, come una spigola cotta alla perfezione accompagnata dalla sua salsa al vin Jeaune di impressionante incisività o ancora il piccione il cui salmì alla lavanda e miele conferisce una golosità d’altri tempi.
Golosità ripresa nel magnifico soufflèe all’arancia e Grand Marnier che chiude brillantemente un pasto in questo silenzioso Relais immerso nel verde di una vallata alle pendici di Baux de Provence.
Non si può non fare un doveroso riferimento all’immane cantina ricca di ben 60.000 bottiglie che coprono un intervallo di tempo a cavallo di tre secoli in un vero e proprio tesoro nazionale, frutto di un certosino e paziente lavoro che rende la possibilità di bere all’Oustau un autentico viaggio nel viaggio.
Mise en place
Madeleine, olive nere e pesto, panna cotta di capra e peperoni, cannolo al foie.
Pane squisito.
Olio, da queste parti assai popolare.
Molto buono il foie d’anatra con variazione di pesca speziata.
Veloutè di astice, gnocchi in gelatina di barbabietola, tartufo nero. Eccellente la bisque.
Spigola, girolle, gamberi della Camargue, divina salsa al vin Jeaune.
Piccione con patata arrosto e interiora, filetto con “marmellata” di olive, salmì alla lavanda, miele, olive.
Predessert saggiamente molto fresco: crema alla vaniglia, mandorle, kiwi, mango e sorbetto al mango.
Magnifica crèpe che racchiude un soufflée all’arancia e Grand Marnièr d’altissima scuola. La quintessenza della Francia in un dolce che è un dichiarato omaggio a Monsieur Thuilier.
Fresca variazione di albicocca con mango, meringa e cioccolato bianco.
Petit Fours
Dal carrello killer dei frutti caramellati…
…mandorle e fichi
Uno chenin blanc di gran valore
Particolare della sala.
L’Oustau.
Esterno.
L’Oustau dans le vallon…