Situato tra Sorrento e Piano di Sorrento, Sant’Agnello è il più piccolo dei comuni della Costiera. Pieno di fascino, si estende tra mare e collina e dal suo lungomare (la famosa Marinella) è possibile godere del panorama di tutto il golfo.
Qui, all’interno dell’Hotel Majestic Palace circondato dagli aranceti, si trova il Don Geppi che, da un paio d’anni, si è aggiunto al più tradizionale ristorante riservato ai clienti dell’albergo.
Ristorante minuscolo, una petite salle à manger di soli dodici coperti, nella quale la prima cosa che colpisce è la qualità dell’accoglienza e l’efficienza del servizio.
Una squadra perfetta che si muove all’unisono, attentissima a qualsiasi esigenza del cliente.
Ad orchestrare il tutto una coppia di illuminati imprenditori: l’architetto Giulia Rossano (figlia di Don Geppi Rossano) ed il suo compagno di vita, il bravissimo Lucio D’Orsi, food manager e preparatissimo sommelier; artefice tra l’altro di una carta dei vini attenta al territorio campano, non ampissima ma piena di etichette interessanti e di bollicine di gran pregio, che sa andare ben oltre i soliti nomi.
Basta poco per capire che alla base ci sono tanto studio, tanta passione, tanto impegno e non semplicemente l’esigenza di ammaliare la ricca clientela straniera che qui di certo non manca.
La cucina è affidata al casertano Mario Affinita, 35 anni, già executive Chef del ristorante dell’hotel dal 2010. Nato come pasticcere, ha nel curriculum uno stage dai fratelli Roca ed esperienze italiane di prestigio con, tra gli altri, Enrico Bartolini e Pino Cuttaia.
Dotato di buona tecnica, nella sua cucina è in primo luogo essenziale e rimarcato il legame con il territorio ed i piatti della tradizione. Reinterpretati ma mai stravolti nel gusto. E così, lo spaghetto alla Nerano -il piatto feticcio della Costiera- diventa Tortelli alla Nerano, e poi il richiamo alla Genovese, le Zucchine alla Scapece. Ma non solo.
Altro elemento degno di nota e fil rouge dell’intera cena è la pulizia e la leggerezza delle preparazioni. Anche quando si cimenta nella preparazione di piatti essenzialmente rustici, lo chef riesce a non essere mai greve. Come dimostrano gli gnocchetti con il baccalà che al netto dell’aggiunta della pelle del baccalà (parte croccante ma inutile) si rivelano di straordinaria leggerezza.
Sì, al netto di qualche ingenuità (leggasi chips di funghi sul risotto) probabilmente dettata dalla voglia di stupire e/o dalla ricerca di rispettare canoni ormai a nostro avviso logori, al Don Geppi ci si può divertire.
Grazie anche al fatto che c’è la capacità di alternare stili di cucina diversi e diverse tipologie di cottura, basate su una grande varietà di ingredienti (nell’arco della cena ma mai nello stesso piatto).
In tema di ingredienti, peraltro, ci piace rimarcare la non comune qualità degli ortaggi e delle verdure provenienti dal bellissimo orto di proprietà del ristorante.
Si sta bene e si mangia bene al Don Geppi. Affinita ha entusiasmo, voglia di fare, tante cose in testa, un’energia che siamo certi alla fine riuscirà a tradurre in uno stile più personale ed in una linea di cucina più definita. Questo è il salto di qualità che ci aspettiamo in un futuro che siamo certi non sarà troppo lontano.
In generale ottimi e ben congegnati gli appetizers:
Caesar Salad, boccone dotato di notevole concentrazione gustativa: pollo uber alles!
Pane, Burro e Alici.
Finto pomodoro: all’interno tartare di fassona.
Brioche croccante alla genovese (ingentilita dal cipollotto che sostituisce la cipolla donando al boccone un’inaspettata eleganza).
Il pane e il burro (griffato Jean-Yves Bordier): al naturale, al sale affumicato (sensazionale!) e al finocchietto.
Tortelli alla Nerano: all’interno zucchine e cipollotto, sul piano crema di provolone del monaco e pepe verde. Piatto dolciastro, non equilibratissimo, in cui prevale il gusto del cipollotto.
Melanzana perlina o polpetta? Le piccolissime melanzane perline ripiene della stessa melanzana e provola affumicata: piatto molto semplice, molto campano.
Risotto con infuso di gamberi grigliati, spugnole e trombette. Risotto eccellente dai sapori nitidi e intensi con una gradevolissima nota agrumata (limone). Resta da capire la necessità di ricoprirlo di una sorta di chips di trombette dalla consistenza cartonata.
Gnocchetti di patate (senza farina) con trippa di baccalà e bottarga di tonno affumicata. Gnocchetti che si sciolgono letteralmente in bocca. Ma anche qui dobbiamo rimarcare la ricerca un po’ didascalica della parte croccante nel piatto, qui rappresentata dalla pelle del baccalà che a nostro giudizio nel caso di specie contribuisce inutilmente ad appesantire un piatto per il resto di estrema leggerezza.
Sandwich di sogliola alla mugnaia con zucchine alla “ex Apicio”. Piatto molto buono con la salsa à la meunière a costituire la base acida, che si sposa perfettamente anche con le zucchine alla “scapece”.
Filetto di vitello e tartufo nero.
Noci, fichi e culatello: sorbetto di fichi, biscotto alle noci, meringa sbriciolata e culatello.
Piña Colada: buona, fresca e divertente.
Petit Four.
Il nome è magico: pare che la parola Abracadabra non sarebbe altro che una particolare trascrizione dell’originale Abraxàs.
Il luogo è, se possibile, ancora più magico: Campi Flegrei.
La zona che si estende a ovest di Napoli, oltre la collina di Posillipo e arriva fino a Capo Miseno. Luoghi di grande fascino, assolutamente poco sfruttati dal punto di vista turistico e di conseguenza poco conosciuti dal grande pubblico, eppure vi assicuriamo meritano di essere scoperti.
Territori sulfurei, vibranti, scolpiti da moti tellurici ed eruzioni vulcaniche. Qui, circondato da tre laghi, il lago di Fusaro, il lago d’Averno (dove secondo Omero e Virgilio si trovava l’ingresso agli Inferi) e il lago di Lucrino, troverete Abraxas.
Il patron, l’artefice di questo angolo di buon gusto, è Nando Salemme, appassionato gourmet e grande conoscitore dei prodotti del territorio. E’ lui che, più di dieci anni fa ormai, in una zona piena di discoteche e mega-locali da cerimonie, ha deciso di scommettere su qualcosa di radicalmente diverso.
Il locale si articola su due piani e gode di una suggestiva terrazza con affaccio sui laghi, davvero imperdibile nella bella stagione. L’atmosfera piacevolmente conviviale, i tavoli ben distanziati e il servizio rapido e informale contribuiscono a fare di Abraxas un posto dove si sta molto bene e si finisce sempre per tornare.
La cucina non è di mare, è cucina di terra. Più precisamente è cucina della terra. Di questa terra vulcanica, unica, i cui orti sono capaci di regalare prodotti che hanno pochi uguali in Italia.
Sarà sufficiente assaggiare la bruschetta con i pomodori del Piennolo per capire di cosa stiamo parlando. Pane cafone, olio extravergine, origano e i pomodorini più buoni del mondo. Semplicemente.
Ma qui sono imperdibili tutti gli antipasti serviti in numerose portate all’inizio del pasto, come è di usanza in zona. Una sequenza non banale con zucchine, melanzane, ortaggi fantastici a farla da padrone, e poi un favoloso casatiello.
Altro punto di forza della cucina sono i primi, perfettamente eseguiti, ricchissimi di sapore ma non per questo pesanti, e le carni alla brace della cui frollatura si occupa il patron in persona.
Non male i secondi “cucinati” (li definiamo così per distinguerli dalle ottime proposte alla brace) che però si rivelano un filo inferiori rispetto al resto.
Carta dei vini sufficientemente ampia in relazione alla tipologia di locale, con particolare attenzione ai vini del sud. Unica pecca è che più di un vino tra quelli in carta non era disponibile.
Abraxas si conferma una bella realtà ormai consolidata e di successo in una zona bellissima ma non facile. Complimenti a Nando Salemme e a tutta la sua squadra.
Fragranti Polpettine di zucchine in salsa Bernese.
Vitello tonnato con panzanella di verdurine.
La favolosa Bruschetta con i pomodori del piennolo.
Stracciata di melanzane.
Primosale di capra.
Notevole il casatiello.
Ottimi i Campotti di Gragnano (Pastificio Dei Campi) con pesce serra e fiori di zucca. Ad arricchire e ad ingentilire il piatto una chicca assoluta, fiocchi di Fabula, lo straordinario formaggio fresco di bufala del caseificio Il Casolare di Alvignano in provincia di Caserta.
Lussurioso e conditissimo il Sartù di riso con zucchine, provola e salsiccia su salsa al parmigiano. Riuscita rielaborazione di un grande classico.
Spezzatino di marchigiana brasato all’aglianico con purè di patate.
Polpette di scottona con mozzarella di bufala su foglia di limone.
Di ottimo livello la millefoglie scomposta alle fragoline che conclude il pasto.
Il nostro compagno di viaggio, uno dei più interessanti rossi campani da uve Pallagrello in prevalenza con piccole aggiunte di Casavecchia e Aglianico.
Nel cuore delle colline del Prosecco, tra Conegliano e Valdobbiadene, oggi una delle principali wine valley italiane, in un bel palazzetto del XVII secolo (poco distante dall’Abbazia di Follina), troverete questo ristorante di composta e sobria eleganza. Ambiente caldo, perfino romantico, a lume di candela, un servizio letteralmente in guanti bianchi ma mai ingessato, orchestrato con sapienza.
Da subito ci si sente a proprio agio, qui tutto sembra diretto ad esaltare il bello e il buono.
Ad iniziare dal buon bere, di cui si occupa il bravo Giovanni Zanon, profondo conoscitore dei vini del territorio e non solo. Da vero padrone di casa saprà consigliare la bottiglia giusta per ogni esigenza, partendo da una carta in cui, in oltre 700 etichette, c’è il territorio -con grande attenzione a giovani produttori biodinamici- ma anche molto altro. Tutto quello che deve esserci in un ristorante di lusso che serve una clientela in buona parte internazionale e d’elite. Per cui le grandi etichette italiane non possono non essere presenti e con ricarichi che, tutto sommato, non sono eccessivi.
Ambiente elegante, servizio curato, carta dei vini di livello.
La cucina è affidata a Donato Episcopo, salentino, allievo di Heinz Beck, con cui ha lavorato per ben sei anni prima di contribuire al successo di due ottime realtà campane quali Marennà e Casa del Nonno 13. Poi la guida delle Quattro Spezierie, qualche anno fa a Lecce, e oggi lo ritroviamo in ottima forma al timone di questa prestigiosa struttura, nel cuore della Marca Trevigiana.
Lineare, alquanto elegante, senza eccessi. Così in estrema sintesi definiremmo la cucina de La Corte di Follina oggi. Piatti puliti, estremamente riconoscibili che pescano un po’ ovunque nella tradizione italiana da Nord a Sud. Dall’omaggio di Episcopo al suo Salento, con una rilettura del “Ciceri e tria” (qui con i fagioli al posto dei ceci) al quasi Km0 del Riso carnaroli al Cartizze, la carta è tutta un rimando a quanto di meglio il bel paese può offrire come biglietto da visita in tavola: dai ceci di Zollino, alla colatura di Cetara, dalla semola senatore Cappelli alla composta di cipolle di Tropea, quasi a voler tracciare un fil rouge della gastronomia italiana. Le presentazioni dei piatti sono eleganti come il contesto richiede.
Una cucina senza eccessi, priva di accostamenti arditi, più che altro attenta a non perdere l’equilibrio tra le varie componenti del piatto. Missione che ad un cuoco esperto e bravo come Episcopo riesce perfettamente. L’esecuzione dei piatti si è rivelata, infatti, di ottimo livello, fatta eccezione a nostro avviso per il Carrè di maialino -presentatoci all’atto del servizio come cotto sotto vuoto, circostanza poi negata dallo chef- che abbiamo trovato un po’ secco.
La Corte non sarà mai il ristorante preferito dalla clientela gourmet più spinta o in cerca di forti emozioni, ma è senza dubbio un bel posto, in cui si mangia bene e nel complesso si sta molto bene.
Omaggio iniziale della cucina goloso e alquanto impegnativo: Spuma di pecorino, granatina di agnello con nocciole, asparagi selvatici.
Ravioli di fassona piemontese: la carne come texture racchiude un ripieno composto da finocchietto selvatico e patè di olive celline (che donano la nota amara che caratterizza il piatto); completano la preparazione croccante di scamorza, rafano, carciofo arrosto e cipolla di Montoro. Piatto nel complesso discreto, anche se qui Episcopo sembra un po’ procedere con eccesso di ingredienti…
Laganelle di semola rimacinata “Senatore Cappelli”, cacio e pepe, zuppetta di fagioli di Zollino, ricci di mare. Episcopo omaggia il suo Salento e come da tradizione le lagane sono in parte cotte in acqua, in parte fritte. La parte croccante dovuta alla pasta fritta a nostro giudizio soffre un po’ il matrimonio con la zuppetta che è molto liquida e perde un po’ in fragranza.
Risotto di primavera, mantecato al Cartizze e mascarpone di Malga con gamberi rossi di Sicilia, vincotto, purea di piselli. Un risotto come deve essere, davvero rende la stagione.
Carrè di maialino in rosa, composta di cipolla di tropea, mele: piatto didascalico che non ha convinto nella esecuzione, carne un po’ secca, priva della necessaria umidità.
Molto buono il pre-dessert: Croccante di meringa, gelato al fior di latte, ciliegie di Marostica sotto spirito.
La mandorla di Toritto, composta di fichi bianchi Paradiso, spugna all’alloro, gelato “moka”.
Piccola pasticceria.
Si racconta che Carlo Magno, dopo essere stato incoronato Imperatore da papa Leone III, nel suo viaggio di ritorno verso Acquisgrana, avendo trovato distrutto il ponte sul fiume Mella, seguì la strada sulla collina tra Cellatica e Collebeato, ove pose il suo accampamento. Allietato dall’ottima cucina locale, fece costruire un palazzo proprio dove adesso sorge il bel ristorante che, appunto, porta il suo nome.
Davvero suggestiva la location, una dimora storica a Collebeato sulle colline che guardano Brescia. Gli ambienti ampi e di charme si prestano perfettamente per l’organizzazione di banchetti e cerimonie che, infatti, costituiscono la principale attività della struttura.
Ammettiamo, quindi di esserci avvicinati al Carlo Magno non aspettandoci grandi cose, consapevoli di quanto sia difficile conciliare l’attività di ristorante alla carta con l’organizzazione di grandi eventi. Far andare d’accordo buona cucina e grandi numeri.
Difficile, molto, molto difficile, ma non impossibile.
E la cucina del Carlo Magno si è rivelata una bella sorpresa..
Merito di Beppe Maffioli cuoco dalle solide basi e dalla grande passione e del suo staff.
La sua è una cucina classica, di impronta marcatamente mediterranea, molto attenta alla stagionalità e caratterizzata da un uso sapiente dell’elemento vegetale, così come della frutta.
I piatti, molto curati esteticamente, non sono mai troppo complessi e ruotano per lo più intorno ad un solo ingrediente principale. Senza rinunciare mai ad un tocco di freschezza ed acidità che abbiamo apprezzato in più di una preparazione.
In particolare un gran piatto si è rivelato il Tataki di tonno rosso con spinacelle novelle e frutti di bosco, sorretto da un formidabile nerbo acido, così come il Risotto mantecato al limone, eseguito davvero a regola.
Ma, in generale, nessun piatto ha deluso e l’esperienza si è rilevata di livello davvero buono fino ai dessert inclusi.
Da lodare il servizio efficiente e cortese e la bella scelta di vini al bicchiere anche se troppe bottiglie in carta non erano disponibili.
Un posto in cui si sta bene e con una politica dei prezzi da lodare con un menu di 6 portate a 50 Euro.
Da provare.
Ad Majora
L’elegante sala.
Crema di zucca, tartare di astice, salsa di soja.
Polpo arrostito allo zenzero, salsa di limoncedro. Interessante la croccantezza del polpo ed intelligente l’uso dello zenzero che arricchisce senza monopolizzare il gusto del piatto.
Terrina di foie gras, fassona e composta di cipolla di Tropea.
Salmone Loch-Fyne in oliocottura e pan brioche.
Ottimo Risotto mantecato al limone con gambero crudo e salsa di pesto gentile.
Tataki di tonno rosso con spinacelle novelle e frutti di bosco.
Un classico: Filetto, foie gras, salsa al vino rosso.
Molto buona la Cialda di parmigiano, gelatina di peperoni, mousse di limone e mascarpone, pomodorino caramellato.
Un fresco sorbetto.
2012: la fine del mondo. La sfera viene fatta implodere sotto una cascata di cioccolato fuso.
Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui
Recensione Ristorante
Sul lungomare di Senigallia, in posizione felicissima tra il porto e la spiaggia, c’è il regno di uno dei grandi cuochi italiani: Mauro Uliassi. Anche se è inverno, la location mantiene tutto il suo fascino. L’ambiente è molto chic, in un sobrio stile marinaro in cui predomina il bianco. Ampie finestre danno direttamente sulla spiaggia e la vista suggestiva del mare d’inverno ci ha gradevolmente accompagnato durante il pranzo. C’è anche una terrazza utilizzata nel periodo estivo. Ma soprattutto c’è lui Mauro Uliassi, uno dei protagonisti della rinascita dell’alta cucina italiana, grande cuoco e persona di notevole simpatia ed intelligenza. Aria sorniona e una solida gavetta alle spalle con esperienze in Francia e Spagna. (altro…)