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Dal Golfo di Napoli alla Laguna di Venezia

…il viaggio continua…

Riprendiamo il nostro pellegrinaggio goloso alla ricerca delle mille tentazioni e storie che possono offrire i cibi di strada lungo la Penisola.

Napoli

Luca Iaccarino ha giustamente sottolineato, in un suo bel volume dedicato a queste intriganti tematiche che, a Napoli, il cibo e la strada coincidono, per una radice storica che ha preso piede nel 1700 quando, per gran parte delle famiglie, in seguito alla notevole espansione demografica, si doveva far di necessità virtù. Non è un caso che alcuni tra i piatti simbolo della cucina italiana, pizza e pasta, siano nati proprio nei quartieri della Città del Vesuvio. “Tutte le strade della Napoli popolare erano una strepitosa osteria“, come ricorda Paolo Monelli nel suo Il Ghiottone errantela venditrice di frittelle le confeziona sotto gli occhi dei passanti e si intrattiene con la venditrice di cozze o dà una voce alla venditrice di limoni in fondo alla piazza“. Testimonial su tutte Sofia Loren che, ne “L’oro di Napoli“, di Vittorio De Sica, arringa i passanti con il suo celebre “scialate, venite a fare merenda e pagate tra otto giorni“. I maccaronari cominciarono a popolare i vicoli verso la fine del ‘600 con delle caldaie dove cuocevano la pasta e, a fianco, ampie scodelle colme di formaggio misto a pepe (il pomodoro sarebbe arrivato più tardi) tanto da colpire Alexandre Dumas il quale, nel suo viaggio in Italia del 1835, annotò con stupore “il mangiatore del volgo si fa forchetta di due dita, solleva i maccheroni mezzo palmo sopra la mano e poi, facendo un lieve momento di girazione a spirale, ve li caccia dentro senza scottarsi“. Una precisione quasi… chirurgica.

Grande classico il brodo di polpo. Un tempo il ricco si mangiava il polpo, il povero si sorbiva il brodo. Poi si è giunti a una via di mezzo e “servito nella tazza stracolma di brodo, il tentacolo (la “ranfetella”) spunta mentre si beve questo elisir di mare” come ha ben descritto Giuseppe Marotta, tanto che “il brodo così ottenuto si sorseggia proprio come fosse un vin brulè; un sugo di mare che sfida il palato per un gusto tutto marino“, parole di Annarita Costagliola cui si aggiunge Matilde Serao che, nel suo “ventre di Napoli”, ricorda come “questo commercio lo fanno le donne nella strada, con un focolaretto e una piccola pignatta“. Tradizione vuole che vada bevuto per strada la notte del 5 gennaio. Infinite comunque sono le mille tentazioni partenopee, tra cui vanno ricordate le frittatine di pasta, un disco un tempo composto con gli avanzi di tagli diversi ripieno di besciamella, piselli, prosciutto cotto e provola fritta nonché un piatto “non per tutti”, posto che Pulcinella si lamentava che lui non lo avesse mai assaggiato in quanto, a casa sua, non avanzava mai pasta. E che dire del cuoppo, un cono di carta paglia che si può trovare in versione di terra (con crocchè di patate, verdure pastellate, fori di zucca) o di pesce (con acciughe, totani, gamberi, baccalà) posto che, a Napoli, con un po’ di fantasia, si riesce a friggere di tutto. E tentatore per giunta se lo stesso Antonio De Curtis in “Totò a Parigi”, per conquistare la bella madame ebbe a dire “Miss, mia cara miss, ‘nu cuoppo io divento per te“. Prima di lasciare la città nel golfo non si può però non citare la mozzarella in carrozza, anche questa frutto della fantasia del riciclo, si dice sorta ai tempi di Federico II quando si prendevano due fette di pane raffermo, bagnate nell’uovo e poi fritte dopo aver avvolto la mozzarella avanzata, con acciuga.

L’Urbe e il centro Italia

Nella Roma papalina incontriamo il supplì, polpette di riso al ragù di carne, dalla forma particolare che fece scrivere, nel 1831, a un sornione Gioacchino Belli nel suo sonetto intitolato “il Papa” (rifacendosi alla forma del copricapo del pontefice, il triregno o tiara): “quel triregno, che poi pare un supplì, vuol dire che lui comanda“. Cambiano i tempi e, con la tecnologia, adesso abbiamo il “supplì al telefono” in quanto, con l’aggiunta della mozzarella, quando la crocchetta viene divisa con le mani, le due metà restano collegate tramite la mozzarella filante, come una cornetta al telefono. Risalendo la costiera adriatica troviamo diversi rimandi alla tradizione della transumanza, di ciò che mangiavano i pastori abruzzesi. Dagli arrosticini (spiedini con piccoli pezzi di carne ovina) alla ventricina, carne tagliata a punta di coltello messa a fermentare con sale, spezie e peperoncino, detta così perchè, un tempo, veniva preparata usando il ventre del maiale come contenitore ed era il cibo che si usava durante i giorni della mietitura, con pezzature anche di setto-otto chili, mentre adesso viene usata la vescica e quindi la confezione è di un chilo circa. Se dici Marche il rimando va alle olive ascolane, una preparazione nata nell’800 grazie ai cuochi delle case nobiliari per gestire il consumo della carne in eccesso e la necessità di ottimizzare anche il raccolto delle preziose olive. Vengono snocciolate, tagliate a spirale, farcite di carne (generalmente manzo, maiale e pollo) impanate e fritte. Tanto buone da stregare perfino Giuseppe Garibaldi che, dopo un suo passaggio ad Ascoli, nel 1849, se le portò in Sardegna per coltivarsele in santa pace. Altra delizia da gustarsi in riva al mare sono le crocette, molluschi da consuarsi “in porchetta”, cotte con pomodoro e finocchietto selvatico. Al contrario della lumachina di mare, che si pesca con lo stecchino, la crocetta si ciuccia, con un rito molto coinvolgente, così descritto dal poeta Eugenio Gioacchnile prendi tra due dita come un fiore/le baci come fosse il primo amore/le ciuci e riciuci con la scorza e le dita”.

Firenze è sinonimo di lampredotto, tema già trattato in altre puntate, ma tutta la regione Toscana è custode di storie e tradizioni, dal tortello alla lastra, cibo di pastori e montanari lungo gli apennini, al curioso “5e5”, tipico di Livorno, un panino farcito con una focaccia di farina di ceci e olio, nato negli anni ’30 del ‘900 quando, all’ambulante di turno, si chiedevano 5 centesimi di pane e 5 di torta. Ora è diventato un vero rito, con tanto di percorso gastronomico per le vie della Città. Anche l’Emilia è un crogiolo di tentazioni che hanno la loro sublimazione nel passeggio della riviera adriatica: dallo gnocco fritto alle tigelle per non parlare delle piadine, ma se ne racconterà con omaggio dedicato.

La Serenissima

Questo viaggio partito da Palermo, dopo lunga navigazione non poteva che approdare a Venezia. Qui regnano indiscussi i “cicheti“, che non sono bicchierini di liquore come nel resto d’Italia, ma variegati stuzzichini (dal latino “ciccus”, piccole quantità) che prendono origine dal crocevia di mercati, tradizioni che ha visto Venezia regina del mare e degli scambi con mondi lontani. Su tutte le sarde in saor (cioè in sapore), che si dice abbiano preso piede nel ‘300 quando, per conservare il pesce, fu ideata questa salsa agrodolce a base di cipolle cotte in padella a fuoco basso con aceto di vino, uvetta e pinoli. La cipolla abbondante serviva ad aggredire e uccidere i batteri, a togliere al pesce il sentore di vecchio. Tradizione consiglia di lasciarle frollare almeno 48 ore. “Cibo di marinai e scorta di terraferma” come ebbe felicemente a descriverle Bepo Maffioli, storico del cibo e della cultura veneta, poichè i marinai usavano consumare molte cipolle per scongiurare lo scorbuto da carenza vitaminica. L’aggiunta di uva passa e pinoli sembra essere retaggio ebraico posto che, a Venezia, storicamernte si è avuto il primo e più importante ghetto della penisola. Ma le sarde in saor sono ampiamente citate dallo stesso Carlo Goldoni nella sua opera “Donne di casa soa” che hanno il loro trionfo alla Festa del Redentore, la terza domenica di luglio poco dopo che la cipolla è venuta a maturare per i primi caldi e i branchi di sarde arrivano sotto costa. Aggirarsi per le calli e i bacari (osterie) veneziani è una vera “scienza” che non si può improvvisare dopo il primo cicheto. Se siete un veneziano vero (o aspirante tale) dovete avere la stoffa per affrontare il “Bacaro Tour”, ovvero aggirarvi in buona (e sempre più gaudente) compagnia per 12 bacari piluccandovi 12 cicheti da “mandar giù” con dodici ombre (calici di vino). Roba che neanche il miglior Ernest Hemingway. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Si va dai “mesi vovi“(mezze uova sode) con l’acciuga ai nervetti “coe segoe” (cipolle), ma anche le capesante gratinate, i folpetti, cotti in guazzetto con olio, pepe, sedano, ma anche i crostini con il baccalà mantecato, la polenta e soppressa o l’inarrivabile “museto“, cotechino che deve obbedire a una regola ferrea: “ch’el peta“, cioè giochi un po’ appiccicoso, tra lingua e palato, prima di prendere la via di degna sepoltura gastrica.

Insomma, che sia Palermo, Napoli, Venezia e le molte altre località che abbiamo solo accennato, l’Italia del cibo di strada è una miniera di tradizioni, colori, sapori, profumi che partono da lontano. Un patrimonio di inestimabile valore aggiunto che dà ulteriore fascino a questo Bel Paese già ricco di arte, paesaggio, storia come nessuno.

* In copertina, un fotogramma de L’Oro di Napoli, Vittorio De Sica (1954).

Un tour tra i Bacari veneziani può essere una ottima opportunità per mischiare cibo, vino e cultura. Anche il solo perdersi tra le calli del centro può rappresentare una esperienza totalizzante: è sufficiente avere occhio curioso per godere di ogni più piccolo angolo di questa meravigliosa città.
Ma per chi volesse intervallare “cicheti e vin” alla visita di qualche palazzo o mostra, c’è ovviamente solo l’imbarazzo della scelta.
Proprio in Piazza San Marco ha sede lo splendido museo Correr dove concedersi una immersione nella storia della pittura veneziana.
Superato il Ponte dei Sospiri, ci si può dirigere verso la Chiesa di San Zaccaria dove ammirare le opere di Bellini e Tintoretto.
Ritornando indietro e attraversando il Canal Grande, possiamo trovare lo splendido Palazzo Venier dei Leoni, dove Peggy Guggenheim abitò fino alla morte: qui è ospitata la sua collezione privata di arte europea ed americana del Novecento, da Picasso a Pollock, da Mondrian a Kandinsky.
Ma le possibilità sono davvero infinite a Venezia.
E ritornando a discorrere di ombre e cicheti…

Ai Promessi Sposi
Ai Promessi Sposi, Bacari, Venezia

Deve bastare una parola per convincervi a fermarvi qui: polpette. Come se piovessero, tra le più buone che si possano trovare in qualsiasi tour intra o extra-veneziano. Ma in generale è buona tutta la proposta di cicheti, dal polpo con le patate alle cozze gratinate. La proposta di vini è quella che è, ma signori, che polpette… #polpetta top

Il bancone dei cicheti
cicchetti, Ai Promessi Sposi, Bacari, Venezia
Le protagoniste
Ai Promessi Sposi, Bacari, Venezia

Enoiteca Mascareta
Enoiteca Mascareta, Bacari, Venezia

Non abbiamo potuto sperimentarlo in prima persona perché, parole dell’Oste Mauro Lorenzon, “xe tutto overbuking!!”. Ma due parole le spendiamo volentieri lo stesso e certamente torneremo per sederci a questi tavoli. In primis per la grande proposta di vini al calice. Ma anche per verificare di persona la contagiante simpatia dell’Oste raccontataci da palati fidati. #Sarà per la prossima
Enoiteca Mascareta, Bacari, Venezia

Scorci della Venezia notturna
 Bacari, Venezia

Aciugheta
Aciugheta, Ai Promessi Sposi, Bacari, Venezia

Sorella del più famoso ristorante “Ridotto”, è una sosta valida per sedersi a uno dei tanti tavolini e riposar le stanche membra gustando una pizzetta, ovviamente con l’acciuga. Buona selezione di vini (anche se la conservazione a temperatura di sala non è di certo l’ideale) e cicheti. Scambiate almeno due parole col proprietario, una persona che trasuda passione vera per il suo lavoro. Un grosso vantaggio: è aperto fino a tardi quindi può essere l’ultima tappa del vostro tour. #pizzetta di mezzanotte

La pizzetta con l’acciuga
Aciugheta, pizzetta con l'acciuga, Bacari, Venezia

Non contenti della serata appena trascorsa, al risveglio ci siamo rimessi in moto per provare un paio di cose che la sera prima ci erano sfuggite…
Non prima di una sosta al mercato di Rialto: lasciamo parlare le foto…
venezia
venezia
mercato, venezia, Ai Promessi Sposi, Bacari, Venezia
mercato, Ai Promessi Sposi, Bacari, Venezia
mercato del pesce, Ai Promessi Sposi, Bacari, Venezia
Rombi vivi, Ai Promessi Sposi, Bacari, Venezia
mercato del pesce venezia, Ai Promessi Sposi, Bacari, Venezia
Mercato, Venezia
mercato, Venezia
Schie, Venezia

All’Arco
all'arco, Bacari, Venezia

Dopo una visita al mercato, è d’obbligo la visita a uno dei migliori bacari di Venezia. E’ aperto solo fino alle 17, quindi programmate un aperitivo pre-pranzo. Altissima qualità dei cicheti, fatti con grande cura e con prodotti di alto livello. Un buon baccalà fritto o un crostino burro e alici da far resuscitare i morti: il lusso della semplicità. Ma i più arditi non si lasceranno scappare un panino col musetto…
Vino? Niente di blasonato, ma un prosecchino e passa la paura. #100% veneziano
All'Arco, Bacari, Venezia
All'Arco, bancari, Venezia
All'Arco, bancari, Venezia
All'Arco, bancari, Venezia

Harry’s Bar
harry's, venezia

Non si può parlare di Venezia senza parlare di Harry’s Bar. Luogo decadente, ma pieno di storia e ancora amatissimo dai tanti turisti stranieri. Dichiarato Patrimonio Nazionale nel 2001, l’Harry’s Bar ha visto passare tra i suoi tavoli una quantità innumerevole di grandi personaggi: da Charlie Chaplin a Orson Welles, da Truman Capote a Ernest Hemingway. Nel regno dei Cipriani sono nati Bellini, Carpaccio e Martini Cocktail, solo per citare le creazioni più famose.
I prezzi fanno tremare le ginocchia (17 euro per un cocktail martini) ma la qualità sui miscelati c’è: discutibile la scelta del bicchiere, ma sia il Bellini che il Martini Cocktail sono ben fatti. Il rapporto qualità prezzo è ovviamente improponibile, ma questi sono posti che non ha senso valutare con gli standard classici.
Qualche oliva verde, un paio di polpette così così… e l’istantanea di un mondo che non c’è più è scattata. #storico
Harry's, All'Arco, bancari, Venezia
Harry's Bar, bacari, Venezia
Acqua alta a San Marco
acqua alta, Venezia
Venezia

Continua…?

Venezia

E’ difficile trovare le parole per descrivere Venezia.
In quelle ore in cui il centro si svuota dei mille e più turisti, girando a casaccio tra calli e campi che sembrano usciti da un dipinto del ‘600, questa città sa regalare una esperienza unica, da concedersi almeno una volta nella vita.
Trovate una comoda sistemazione, lasciate le valige e poi uscite dimenticando le automobili e i canoni a cui la vostra routine vi ha abituato: semplicemente perdetevi nello stupore.
Non c’è modo migliore per scoprire Venezia che un bel giro di Bacari: basta scegliere una zona della città ed individuare le tappe più raccomandabili, oppure lasciarsi guidare dal “fiuto”. Pazienza se la strada per raggiungerli non è sempre la più breve, i giri a vuoto fanno assolutamente parte del programma (soprattutto all’aumentare del livello alcolico).
Ogni tappa, un’ombra di vino e qualche cicheto. E via verso il prossimo bacaro.
Che la parola derivi dal dio “Bacco” o dal “far bacara” veneziano poco cambia, i Bacari erano in sostanza dei vinai che all’epoca della Serenissima arrivavano in piazza San Marco per vendere il loro nettare assieme a semplici spuntini, i cicheti appunto.
Questi venditori seguivano l’ombra del campanile per proteggere il vino dal sole, da qui il termine “ombra” che fa parte della cultura e storia di tutto il Veneto.
Il tempo ha certamente portato all’evoluzione del concetto, ma ancora oggi i Bacari sono una ottima soluzione per mangiare e bere a Venezia ad un prezzo ragionevole.
Si incontreranno vini più o (molto più spesso) meno buoni, così come cicheti da dimenticare e altri invece indimenticabili, ma non sarà mai questo il punto nodale: il giro di Bacari è una attitudine mentale. Va goduto nella sua interezza: nello scambio di battute con un Oste, nello scorcio rubato da una finestra aperta che fa intravedere un soffitto dipinto da perderci il fiato, nel gusto e nella morbidezza di una semplice polpetta fritta di cui avevi perso il ricordo.
Fa tutto parte dello spettacolo e del biglietto, anche il doppio prezzo riservato a locali e turisti in una città che non fa assolutamente mistero di questo doppio trattamento: è Venezia, prendere o lasciare.
Ma, chissà com’ è, si prende sempre tanto volentieri. Con l’acqua alta, i suoi paradossi, la sua sfuggevolezza. Ma anche la magia, la classe, l’eleganza.
Anche questa è Italia, ricordiamoci della nostra fortuna.
Una città che ti scava nell’anima, soprattutto nelle ore notturne.
Una città dove “il lento procedere del vaporetto attraverso la notte è come il passaggio di un pensiero coerente attraverso il subconscio”. (Iosif Brodskij, “Fondamenta degli incurabili”)

Noi ci siamo concentrati sulla zona Rialto-San Marco, ma torneremo per esplorare anche le altre magnifiche zone di questa città-gioiello.

Osteria alla Ciurma Wine Bar
Osteria alla ciurma wine Bar, bacari, Venezia
Cominciamo dalla tappa che ci ha convinto meno, sia per la qualità del vino che per quella dei cicheti. Scelta limitata già alle 18.30 per un locale che sicuramente non indicheremmo tra le soste imperdibili. #anche no

La lavagna
lavagna, Osteria alla ciurma wine Bar, bacari, Venezia
L’esposizione di cicheti non proprio invogliante
cicheti, Osteria alla ciurma wine Bar, bacari, Venezia
L’ingresso
Ingresso, Osteria alla ciurma wine Bar, bacari, Venezia

Al Mercà
Al Mercà, bacari, Venezia
Un bacaro veramente minuscolo, letteralmente aperto sul campo antistante. Molto frequentato dal popolo studentesco, un locale certamente di buon successo. Il motivo è legato senza dubbio all’ottima proposta di vini al calice, superiore alla media: non sarà difficile trovare qualche etichetta meno convenzionale. Non male anche i cicheti, su tutti la polpetta di carne e quella di tonno. #modaiolo intelligente

La lavagna
Al Mercà, bacari, Venezia

Osteria Bancogiro
Osteria Bancogiro, bacari, Venezia
Prima di tutto un bel locale, dove potersi anche sedere e scambiare quattro chiacchiere con calma. Poi una proposta di cicheti interessante e non banale. Si gioca con delle basi di polenta al posto del solito pane, farcite nelle maniere più varie: la nostra scelta è caduta su polenta al rosmarino con melanzane, piovra e lardo e polenta al prezzemolo con baccalà al forno e ricotta al cren. Ma non scherza anche un semplice panino alla mortadella (e con la quantità di affettato non si lesina affatto).
Proposta di vino senza infamia e senza lode ma è un locale in cui si sta indiscutibilmente bene.
In estate ci si può anche sedere all’aperto con vista su Canal Grande, che non è poco.
#confortevole

Il banco dei cicheti
cicheti, Osteria Bancogiro, bacari, Venezia
cicheti, Osteria Bancogiro, bacari, Venezia
La lavagna dei vini al calice
lavagna, Osteria Bancogiro, bacari, Venezia
Interni
interni, Osteria Bancogiro, bacari, Venezia
La nostra scelta
cicheti, Osteria Bancogiro, bacari, Venezia
cicheti, Osteria Bancogiro, bacari, Venezia

Ai Rusteghi
Ai Rusteghi, bacari, Venezia
Ecco un bacaro davvero fuori dal coro. Come lo è il proprietario, Giovanni, personaggio che da solo vale il prezzo del biglietto. Entrate con tanta voglia di divertirvi e vi divertirete di sicuro, anche stuzzicandovi a vicenda con l’Oste che regge volentieri il gioco. Grandi bottiglie alla pareti (con prezzi altrettanto “grandi”), ottimi panini anche con abbinamenti non scontati (buono quello scelto da noi, al salmone affumicato). E poi tre prosciutti al taglio: Cormons (D’Osvaldo), Parma 36 mesi, Cinta senese 24 mesi. Ma qui è davvero l’Oste a fare la differenza. Consigliatissimo, ma occhio al conto.
#rustego vero

Le bottiglie alle pareti: c’è da divertirsi
Ai Rusteghi, bacari, Venezia
Ai Rusteghi, bacari, Venezia
Uno scorcio del bancone: il locale è piccolo, ma ci sono anche alcuni sgabelli e tavolini alti per una sosta confortevole
Bancone, Ai Rusteghi, bacari, Venezia
Il taglio al coltello del prosciutto
prosciutto taglio al coltello, Ai Rusteghi, bacari, Venezia
Prosciutto, Ai Rusteghi, bacari, Venezia
Chiedete uno spritz all’Oste Giovanni e poi fateci sapere cosa vi ha risposto.
Spritz, Ai Rusteghi, bacari, Venezia

Continua…