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Tondo

Chissà se Simone Tondo, nel corso della sua esperienza con Petter Nilsson alla Gazzetta (uno dei locali cult del fenomeno “bistronomie”), immaginò mai che un giorno quel locale sarebbe stato suo.
Il destino sa riservare delle buffe sorprese…
Lo avevamo lasciato al suo Roseval, locale che aveva infiammato la scena parigina registrando un consenso di pubblico oltre ogni più rosea aspettativa: ceduto, alla ricerca di nuovi stimoli (ora Roseval è diventato Dilia, altro successo targato Italia in mano a Michele Farnesi).
Lo ritroviamo al 29 di Rue de Cotte, in questo locale mitico rinominato semplicemente “Tondo”.

E’ un periodo d’oro per i “nostri” cucinieri italiani a Parigi, con Passerini a rappresentare più di tutti l’immagine della cucina italiana moderna in grado di sfondare nella Ville Lumière.
Perché sanno innovare e rinnovarsi, anche nei momenti di grande successo non smettono mai di evolvere il loro concetto di cucina e di cercare nuove sfide.
Rilevare la Gazzetta è stato certamente un colpo di grande coraggio: un locale bello, più curato rispetto al Roseval (meraviglioso il pavimento e i tavoli in marmo), ma anche più grande, più impegnativo nella gestione.
La proposta è rimasta la stessa: menù fisso per tutto il ristorante, con solo due opzioni tra 4 portate a 45 euro e 7 a 60 euro. A pranzo una conveniente proposta a 25 euro.

La cucina invece presenta qualche evoluzione: la sensazione è che sia ancora in stato embrionale, che non si sia puntato perfettamente l’obiettivo. Eleganza o rusticità? Finezza o pienezza?
Ci si muove in maniera non sempre disinvolta tra piatti molto precisi, come l’anatra o lo strepitoso astice in crema di funghi, ad altri altrettanto buoni ma più da trattoria che da ristorante, vedi i ravioli, sormontati da molto pomodoro, piatto decisamente più gourmand che gourmet.
Un problema? Assolutamente no, l’appagamento può essere analogo, ma bisogna avere ben chiaro cosa si vuole fare. Altrettanto importante la concentrazione dei sapori, a volte sfuggenti, come nel caso del rombo e della sua salsa o del predessert, altre volte intensi (vedi i grandiosi dettagli dell’uva acetata o dell’ottimo cavolo nero nella portata principale di carne).

Insomma, si sta bene, molto bene, ma ancora si intuisce che non tutto sia perfettamente a fuoco.
Gli ingredienti per fare bene ci sono tutti: un cuoco di grande talento, un bel locale e una squadra di livello, con il reparto vino seguito da Jos Kjer, sommelier proveniente dall’altro locale mitico del fenomeno bistronomie, lo Chataubriand. Corsi e ricorsi storici.
Tempo al tempo.
Qui si faranno grandi cose.

Inizio con influssi orientali: brodo/dashi.
brodo, Tondo, Chef Simone Tondo, Parigi

Appetizer.
Sgombro, salsa verde e oxalis.
Focaccia.
Zuppa di crescione e calamari crudi.
appetizer, Tondo, Chef Simone Tondo, Parigi
appetizer, Tondo, Chef Simone Tondo, Parigi
Tondo, Chef Simone Tondo, Parigi
Arrosto di sottofiletto, cipolle marinate, foglie di mostarda e pepe nero.
Un buon piatto, il ricordo va agli arrosti delle Piole piemontesi.
arrosto, Tondo, Chef Simone Tondo, Parigi
Rombo liscio, rape marinate, salsa pil pil.
Qui manca proprio il gusto. Portata che scivola via anonima.
rombo, Tondo, Chef Simone Tondo, Parigi
Astice, funghi, crema di funghi, mizuna.
Primo colpo di alto livello. Abbinamento perfetto, grande eleganza, concentrazione di sapori. La strada è questa.
astice, Tondo, Chef Simone Tondo, Parigi
Ravioli di farina di riso con spinaci, ricotta e pomodoro.
Buoni, ma si fa a fatica a trovare un nesso con il resto del menù (se non nella voglia di riproporre un pezzo di Italia da cartolina). Se decidi di fare un piatto così nel corso di un menù di questo tipo, deve essere una cannonata tutto, dagli ingredienti all’effetto finale: risultato non raggiunto.
ravioli, Tondo, Chef Simone Tondo, Parigi
Anatra, purè di olive, uva acetata, cavolo nero.
Gran piatto in ogni dettaglio. L’apice della serata si tocca nel piatto più complesso e completo e questo è un ottimo segnale. Simone Tondo è indubbiamente un grande cuoco.
anatra, Tondo, Chef Simone Tondo, Parigi
Flan di yogurt di e mango: manca l’apporto del mango.
flan, Tondo, Chef Simone Tondo, Parigi
Torta cioccolato, pralinato e salsa al mandarino: torta semplicissima ma eseguita divinamente. Morbido/croccante, amaro/dolce, un pizzico di acidità. Ottimo.
torta, Tondo, Chef Simone Tondo, ParigiAnjou Mosse 2015.
vino, Tondo, Chef Simone Tondo, Parigi

La trattoria Epiro, sin dalla sua apertura uno dei più validi esempi di nouvelle vague bistrottiera romana, ha da poco acquisito una nuova veste, decisamente più glamour.
Il piccolo spazio dedicato allo street food all’ingresso è stato ora sostituito da una sala analoga a quella già presente all’interno, col risultato finale di un locale dall’estetica più uniforme e senz’altro più accattivante.
Permane invece piacevolmente immutato il dehors, assolutamente consigliabile nella bella stagione per trascorrere un paio d’ore godendo della frescura serale.
Il locale è pieno, e di questo ci compiacciamo, si deve prendere atto però che all’indubbio lavoro di ammodernamento architettonico non è seguita un’altrettanto significativa evoluzione gastronomica.
Il format adottato, che ha previsto fin dall’apertura un’offerta agile, pienamente nell’air du temps con piatti di facilissima lettura, preparati con discernimento e professionale accuratezza, rimane senz’altro la chiave di acceso alla cucina della Trattoria Epiro.
Non sembri una romantica proiezione dei nostri desiderata, ma in passato era sembrato intravedersi, all’interno di questo percorso tracciato, l’aspirazione a rappresentare qualcosa di più di un semplice bistrot di quartiere dove passare una piacevole serata.
I piatti assaggiati invece hanno dato l’impressione di essere formulati per badare ben più alla sostanza che alla voglia di fornire il benché minimo brivido emotivo. L’infuso di karkadè con zenzero e curcuma, di valenza più cromatica che gustativa, ne rappresenta un valido esempio: il baccalà è cotto perfettamente, ma resta al palato protagonista pressoché unico del piatto.
Allo stesso modo la salsa verde e l’agretto di pomodoro che appaiono come mero corredo privo di carattere alla buona ombrina cotta al vapore o i primi davvero golosi, che demandano alla soddisfazione degli istinti primari la loro ragion d’essere.
Piacevolmente invariata resta invece la carta dei vini, selezionata con passione e competenza dal bravo Francesco Romanazzi, cultore del biodinamico ma non solo, che permette scelte di assoluto interesse, come lo Chenin della nostra cena, davvero una sorpresa che ci ha accompagnato degnamente per tutto il pasto.
Parlando di numeri, confermiamo comunque la valutazione precedentemente espressa, auspicando per il futuro un po’ di verve nello stile gastronomico del ristorante.

Mise en place.
mise en place, Trattoria Epiro, Roma
Amuse bouche: formaggio di capra, misticanza e cialda di mais.
amuse bouche, Trattoria Epiro, Roma
Sashimi di palamita con ostrica, aceto di mele, cetriolo, spugna al prezzemolo.
sashimi, Trattoria Epiro, Roma
Baccalà bruciato con germogli, infuso di karkadè (fiore di ibisco), zenzero, curcuma e shiso.
baccalà bruciato, Trattoria Epiro, Roma
Gnocchi di patate, mandorle di mare, zucchine e fiori di zucca.
gnocchi, Trattoria Epiro, Roma
Tuffoli con palamita, pomodoro arrosto, cipolla rossa e olive taggiasche.
tuffoli,Trattoria Epiro, Roma
Ombrina al vapore con seppie e totani, salsa verde, shiso e agretto di pomodoro.
ombrina, Trattoria Epiro, Roma
Pomodoro, vaniglia e shiso.
pomodoro, Trattoria Epiro, Roma
Tartelletta al limone, gelato al basilico e frutta secca.
dessert, Trattoria Epiro, Roma
Semifreddo al caffè con mandorle e liquirizia.
semifreddo, Trattoria Epiro, Roma
Cheese cake al frutto della passione.
Cheese cake, Trattoria Epiro, Roma
Pane.
pane, Trattoria Epiro, Roma
Bottoncini di pane al latte con alghe.
bottoncino, Trattoria Epiro, Roma
Un grande Chenin, ricco, dalle spalle potenti e dalla grande persistenza.
vino, Trattoria Epiro, Roma
Giardino.
Trattoria Epiro, Roma

Hide Matsumoto, lo chef de Le Api, si definisce “giappolitano“. Un neologismo interessante, e nel suo caso quantomai azzeccato. Anche se noi aggiungeremmo, perdonateci, un pizzico di profumo francese in questa crasi, se non altro per la favolosa tecnica e maestria mostrata sulle salse, davvero fenomenali.

Ma non solo. Rigore, precisione, determinazione… tutte qualità figlie del lato nipponico di Hide. Ma la sua esperienza italiana, come braccio destro di Davide Oldani, e certamente anche la scuola francese praticata qualche anno addietro, hanno infuso in lui raffinatezza, eleganza, senso della misura e delle proporzioni. Oltre alla capacità di saper dosare gli ingredienti, e rendere equilibrato un piatto.

Una bellissima scoperta questo bistrot, che si pone già ora ai vertici della ristorazione milanese nella sua tipologia, proponendo una cucina classica, molto bene eseguita, accattivante, con interessanti spunti di raffinatezza ed un prezzo veramente da encomio. Non si lesina sulla materia prima, non si arretra su tecnica e qualità delle preparazioni.

Augurandoci che il cammino sia sempre così, in continua ascesa, non possiamo che applaudire quel “giappolitanesimo” anzi, quel “francogiappolitanesimo” stupendo come il rognone di vitello, bisque al profumo di caffè e scampi, con la nota d’aglio elegantemente in evidenza a condurre il gusto, assieme alla polvere di caffè nella salsa e, crediamo, un piccolo tocco di fondo bruno nella bisque.
O, ancor di più, quei paradisiaci cappelletti di brasato di coda di bue con una salsa da maestro, fondente, grassa, persistente ma leggera, con il tocco geniale dei lamponi appena intiepiditi e del profumo di rosmarino elegantemente adagiato sulla preparazione.

Di grande scuola anche tutti i dolci, passaggio affatto scontato in una cucina di un ristorante. E di buon livello anche il servizio, giovane e professionale. Non male la possibilità di una pausa pranzo non necessariamente d’autore, ma con prodotti di ottima qualità preparati da mani tanto esperte.

Difetti? Per ora non pervenuti. Andateci!

Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano
Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano
Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano

Gamberi rossi, pesca e germogli di soia alla curcuma e zenzero. Piatto notevole, una materia prima di grande qualità, anche se leggermente virato su note dolci.
gamberi, Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano

Sgombro marinato alle spezie Colombo con caponata. Piatto di grande tecnica, gusto e precisione.
sgombro marinato, Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano

Rognone di vitello e scampi, bisque, aglio e profumo di caffè. La salsa, da manuale, infonde una eleganza ed un rigore alla preparazione davvero molto importante.
rognone di vitello, Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano

Cappelletti di brasato di coda di bue, sugo di arrosto, lamponi, dolce profumo di rosmarino. Piatto perfetto, con il tocco del lampone davvero appropriato.

cappelletti, Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano

Agnello roti, fichi al cartoccio, salsa jus di fichi e foie gras. Un piatto classico eseguito alla perfezione, con una salsa da manuale.
agnello, Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano

La sequenza dei dessert, davvero di alta scuola.
dessert, Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano
dessert, Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano
dessert, Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano

dessert, Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano

E per chi volesse fare una pausa pranzo, economica ma tutt’altro che semplice…
Osteria Le Api, Chef Hide Matsumoto, Milano

Sulla storica “route des vacances” numero sette, quella che collega Parigi all’Italia passando per il sud della Francia, oltre alle macchine, ai segnali stradali, alle rotonde e ai semafori, si incontra anche uno sciame ben nutrito di stelle Michelin.
Tra le più brillanti, invero, svetta quella in rosa di Anne Sophie Pic, a Valence, un luogo che è divenuto meta di un pellegrinaggio enogastronomico imprescindibile tra le proposte della cucina d’autore transalpina.
Tuttavia, sotto quelle tre lettere a caratteri cubitali installate sulla famosa facciata della storica “Maison”, è possibile anche varcare la soglia di ben altro ingresso, un altro mondo istituito sotto all’ombra del blasone.
Sulla sinistra, infatti, proprio di fronte all’entrata più famosa, una piccola porticina, come fossimo dentro al più celebre romanzo di Lewis Carroll, vi condurrà dentro “Le 7”, un luogo particolare dove ogni dettaglio richiama il viaggio e la strada che ivi conduce.
Perché Le 7, tra le altre cose, è anche un bistrot dove godere di proposte apparentemente semplici ma di indiscutibile fattura, tanto nella tecnica quanto nella materia prima, affiancate da cantina intelligente e di gran classe. Che altro?
Un nome interessante che omaggia proprio la route Bleue, così come fa il pavimento in calcestruzzo grigio, che ricorda l’asfalto della carreggiata, più tutti gli orpelli significativamente rossi e bianchi che, nella loro bicromia, ricordano i cartelli stradali e le tappe chilometriche. Perfino il menu si apre a compartimenti, come fosse una cartina.
Il nome è anche efficace e immediato promemoria per il viaggiatore al quale, semplicemente, intende ricordare che può rifocillarsi comodamente a codesta tavola, tanto chic quanto pragmatica, sette giorni su sette.
Il pretesto? Presto servito, qualora si avesse necessità di istituire un’alternativa più che valida alla tavola stellata, ecco che arriva la proposta del bistrot.
La nostra esperienza? Un’altalena del gusto in versione meno cerebrale, più smart, e una sintassi dove i tempi di servizio si accorciano in ottemperanza alle esigenze del viaggiatore, mentre scandiscono perfettamente tutta la progressione del pasto.
Un pasto che, comunque, viene eseguito a regola d’arte, dove il coefficiente tecnico di preparazione è indiscutibilmente altissimo poiché guidato dalla “mano invisibile”, ma sempre presente e affidabile, di Anne Sophie Pic. Del resto, Le 7 soddisfa l’esigenza di restare coerente alle proprie ambizioni, ovvero quelle di incarnare tutte le peculiarità che si attribuiscono al bistrot contemporaneo (la cui formula, difatti, gode sempre di grandissima salute) pur occhieggiando alla cucina contemporanea in maniera sensibile e accorta; coerentemente con la premura che caratterizza, a tutto tondo, anche il tocco della casa madre.

Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Ecco quindi come entrée l’immancabile, ed eccellente, pane e burro salato.
pane, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Zuppa di melone all’arancia, sorbetto di formaggio e basilico. Un piatto fresco, bilanciato, lungi da prevedibili sensazioni stucchevoli, è foriero di una concentrazione di sapori ben messa a fuoco.
zuppa di melone, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
La Tarte fine aux blettes, ovvero la sfoglia sottile con biete, fava tonka e uovo morbido. Un piatto di assoluta golosità transalpina.
Tarte Fin, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Dettaglio.
Tarte, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Burger della casa con gamberi, curry, levistico e coriandolo. Gli ingredienti aromatici sono i protagonisti per una rivisitazione elegantissima al palato. Notevole, ovviamente, anche il bun.
Burger, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Servito con ottime patatine al curry.
patatine, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Molto buona l’ombrina con variazione di pomodori ed emulsione al ruhm e vaniglia. Classica esecuzione francese, dalla cottura del pesce al fondo.
ombrina, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Dessert notevolissimi: frolla al limone, crema di limone Kalamansi e meringa al the jasmin.
Dessert, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Operà al the matcha e lampone (coulis e sorbetto). Eccellente.
operà, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Operà, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Dolcetti per il caffè.
Dolcetti, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Un dispenser di vini disponibili al calice.
vini, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Altre bottiglie.
vini, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
La sala.
sala, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Ingresso.
ingresso, Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia
Le tre lettere…
Le7 Bistrot Chic, Chef Anne Sophie Pic, Valence, Francia

Giovane, caotico, informale, divertente. Poco “milanese” (nel senso gastronomicamente deteriore del termine), dinamico perché pieno di alti e bassi, un po’ perché appena aperto, un po’ forse perché davvero non hanno ancora deciso cosa fare da grandi. Comunque interessante, non scontato, ma certamente da provare.
Ma andiamo con ordine.

Si chiama Spice, anche se mentre scriviamo (a oltre 2 mesi dall’apertura) è ancora presente l’insegna del precedente locale. Si trova alle Colonne di San Lorenzo, nella Milano da bere, bella zona ma dal parcheggio improbabile.

Lo chef, patron e animatore è il tatuatissimo Misha Sukyas, milanese di origini armene con esperienze in mezzo mondo da Londra all’Australia, dall’Olanda all’Indonesia passando per la Cina. Ultima esperienza a Milano, all’Alchimista.
Il menu, ridotto a pranzo e più articolato la sera, cambia ogni giorno a conferma della dinamicità che caratterizza il posto. La cucina si rivela subito tutt’altro che banale.

È un melting pot, ricco di spezie, di sapori pieni, diversi. Ma allo stesso tempo con radici classiche, anche francesi, piuttosto salde.
Cucina non troppo leggera per ingredienti e per cotture, ma che non ci ha dato alcun problema nel “post”; a tratti aspra, mai dolce, non sempre facile ma mai difficilissima, indubbiamente interessante.
Cucina di burro, di salse elaborate, diretta, non propriamente ipocalorica e quindi per niente omologata agli standard salutistico-dietetici oggi imperanti, soprattutto nella patria della moda.

Una sfida di successo. A pranzo, in particolare, funziona perfettamente la formula tre portate a 15 euro, per cui il locale è sempre pieno, vista anche l’alta concentrazione di uffici in zona.
La sera il menù cambia e diventa più ricco, ma non cambia la filosofia della cucina, né dell’accoglienza, sempre simpaticamente informale e alla mano.
Certo, non tutto è perfetto, e alcune cose ci sono sembrate onestamente incomprensibili, quasi a rafforzare lo spirito un po’ anarchico del locale.

E così, della parmigiana di melanzane in carta a fine novembre con 4 gradi all’esterno ne avremmo fatto volentieri a meno. Così come della tritatina verde (di prezzemolo & affini) su ogni piatto, fatta eccezione per il dolce.
Degna di un film di Bunuel la surreale mini carta dei vini, che in circa 15 etichette spazia dal Cremant d’Alsace biodinamico di Pierre Frick al blend Sangiovese/Merlot base di Banfi. Difficile, onestamente, trovare un filo logico, ma ad oggi tant’è. E va bene così.

Il fatto è che si esce con la voglia di tornare. E questo è un indizio -assai indicativo- di qualcosa di buono.

Cuochi al lavoro.
Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano
Spuma di patate e cozze. Alla base una parmentier molto buona, buone le cozze, nota agrumata, bella acidità.
spuma di patate, Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano
Risotto uva e taleggio assai ben fatto.
risotto, Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano
Spago al nero e salsa di astice. Piatto impegnativo, aspro, salsa al burro densa arricchita dal contenuto della testa degli astici. Non banale.
spaghetto, Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano
Cervo dolceforte e patata al limone.
Cervo, Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano
Polpettine di salsiccia in bisque di astice.
polpettine, Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano
Molto, molto buono il dessert: un cannellone di grano duro fritto e ripieno di cassata e n’duja.
Dessert, Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano