Passione Gourmet Australia Archivi - Pagina 2 di 2 - Passione Gourmet

Australia Gourmet – Orana

Quello che state per leggere è il resoconto delle esperienze fine dining compiute dalla sottoscritta in occasione del The World 50 Best 2017 di Melbourne. Un viaggio in cui non ho pernottato mai più di due notti nello stesso hotel; ho preso 15 taxi e quasi tutti i mezzi di trasporto conosciuti; ho bevuto una dozzina di cocktail e assaggiato un numero non quantificabile di vini australiani, tasmani e neozelandesi; ho mangiato formiche verdi e raccolto – e subito divorato – le omonime ostriche nella placida baia di Coffin Bay; ho nuotato coi leoni marini nel periglioso mare a largo di Cape Catastrophe (nomen omen!) e ho pianificato – e fallito – l’evasione di un maestoso lobster di 10 kg sulla spiaggia di  fronte a Golden Island. Non paga, mi sono arrampicata su un numero indefinito di eucalipti solo per poter accarezzare il manto ispido e polveroso di grossi koala.

Tutto il resto, invece, lo trovate di seguito.

A tavola con gli aborigeni 

Mandatory, obbligatorio, questa è la parola che mi viene in mente quando ripenso all’esperienza vissuta al ristorante Orana di Adelaide.

A proposito di esperienze altrettanto inderogabili, in South Australia, mi viene in mente solo nuotare coi leoni marini nel loro sanctuary di fronte a Thistle Island, visitare almeno una cantina in Barossa Valley e intrattenermi coi venditori del famigerato mercato coperto di Adelaide dove, tra le altre cose, è possibile gustare gli ottimi gin di Kangaroo Island, mangiare carne di canguro e coccodrillo essiccata, frutta esotica all’inverosimile e fare incetta di formiche verdi; il ché ci riporta speditamente da Orana. 

Orana fu la prima esperienza fine dining del mio viaggio in Australia durante quella fortunata serie di eventi che, nel 2017, mi portò a prendere parte al The World’s 50 Best Restaurant di Melbourne. Per circa dieci giorni il mio compito sarebbe stato quello di testare alcuni dei migliori ristoranti della nazione assecondando lo zelante programma del munifico ente del turismo australiano che aveva pianificato la mia permanenza in una maniera squisitamente “aussie”, per dirla in gergo, dacché somigliava in tutto e per tutto a una caccia al tesoro.

Arrivai al ristorante in una fresca sera d’inizio autunno e non senza la vertigine del meme di John Travolta giacché il suo ingresso, non segnalato, constava solo di quella che sarebbe sembrato, a un’occhiata superficiale, la scala di servizio del Bistro Blackwood al 285 di Rundle Street. Una volta dentro, però, ricordo che riacquisii padronanza di me nel riconoscere i graffiti del writer milanese Jacopo Ceccarelli, aka 2501. Una coincidenza non da poco se pensate che lo conobbi anni addietro durante un evento milanese a seguito del quale il suo sagittario ha giganteggiato sulla copertina del mio account Facebook dove, volendo, ancora lo si trova…

Nomen omen 

Una volta seduta, la lignea nudità del tavolo mi fa da preambolo a un eccellente gin tonic impreziosito di piccoli, croccanti e tannici frutti di nome ruby saltbush berries che, a ben vedere, rappresentano il nodo gordiano di tutta questa storia: intraducibili, incomparabili elementi privi di un qualsiasi corrispettivo non solo nominale, ma anche referenziale nel nostro mondo. Benvenuti in Australia e, certamente, benvenuti da Orana!

Il ristorante, concepito dallo chef scozzese di origini italiane Jock Zonfrillo con lo squisito e nobile pretesto di servire nel piatto l’Australia più recondita e, per certi aspetti, più vessata, quella degli aborigeni, consegna al visitatore un’esperienza che sarebbe stata cara all’antropologo Ernesto De Martino. Zonfrillo, infatti, è chef sotto le mentite spoglie dell’antropologo e, come tale, tramite il cibo edifica un linguaggio che, solo mangiandolo, diventa universale. E lo fa in una maniera così efficace che il prodigio della traduzione della parola aborigena “orana” in “benvenuto” avvenne, nella mia mente, in maniera pressoché spontanea. 

Ma ecco Alkoopina, apostrofa Brent Mayeaux, l’allora wine guy del ristorante, come a zittire i miei pensieri, introducendo i piccoli piatti d’entrata. Nell’ordine, Spiedini di pasta di patate infilzati su un bastone di lemon myrtle, burro affumicato di nocciole makadamia e grandi telline assise sulle foglie di una pianta grassa localmente conosciuta come “la succulenta della spiaggia”: da mangiare o no? Non lo sapremo mai, perché lesti arrivano i Gamberoni Spencer Gulf incipriati di polvere di Davidson’s Plum, un frutto selvatico tipico dell’area  subtropicale dell’Australia orientale, quintessenza di una carnosità dolce, appena fruttata. Quindi, come a a chiudere un capitolo, una ciotolina corroborante di Bacche tra le quali riconosciamo il riberry, il ginepro, il cosiddetto muntrie berry e il mango. 

Devo avere evidentemente un’espressione ben perplessa se arriva Mayeaux a offrirmi, puntualissimo, quello che, in effetti, sarà l’unico elemento familiare della serata: l’unica àncora: la Grande Cuvée di Krug che, in questa circostanza, mi è particolarmente cara.

La carrellata continua quindi con una successione di Ostriche Smoky Bay, Tendini di canguro e pepe della Tasmania, incantevoli Sfogliette di rapa rossa fermentata avviluppate su se stesse a mo’ di decadenti roselline selvatiche e, per finire, una splendida Seppia scavata, ripiena di carne essiccata, finger lime e prezzemolo di mare.   

“Alkoopina è quasi finito – avverte Mayeaux – possiamo dunque cominciare col pasto vero e proprio”. Per tutta risposta pretendo un altro calice di Grande Cuvée.

Ecco dunque un bel piatto irregolare, in ceramica, sormontato da un Filetto di triglia di Coorong e cera di Geraldton col suo miele cosparso delle già incontrate formiche verdi, le quali, col loro rush citrino e delizioso, ammantano il piatto, slanciandolo. 

E poi il Kohlrabi, ovvero un cavolo-rapa cosparso di dorrigo, un pepe stordente di montagna, con pepite di quandong, una bacca altrimenti detta “pesca del deserto” e il già incontrato lemon myrtle, ovvero un mirto così potente da sembrarmi, semplicemente, narcotico.

Ma è solo quando penso di aver visto tutto, e che tutto sia abbastanza, che arriva il piatto della serata: Lily pily, ovvero minuscole bacche spontanee simili a melette rosa, ma in miniatura, su un filetto di canguro addormentato su un letto di avocado e kutjera. Quest’ultima è una bacca secca simile a un pomodoro, completamente differente da un pomodoro, però, perché dell’outback, che è tra le aree più desolate e semi-desertiche dell’Australia. È con quest’ultimo piatto che, peraltro, Brent mi propone un vino divertente e assai divertito: si tratta di Positive Vibrations dell’azienda Gentle Folks, 90% Pinot noir da macerazione carbonica (sì, avete letto bene!) e 10% Gewürztraminer macerato (sì, avete letto bene!), dal naso festoso ed esuberante di eucalipto, rosa e violetta, e una bocca dolce, vinosa e balsamica.

Quanto al dolce, stento a credergli: non posso immaginare, infatti, che un pasto tanto erratico e selvaggio come questo sia chiuso da un dolce così semplice e codificabile. Col tempo, poi, scopro che non è propriamente nelle corde delle tavole australiane articolare il dolce sul modello della elaborata pasticceria francese, per cui devo mettermi l’anima in pace. Per stasera, quel che so, e che invero mi basta, è che questo Biancomangiare con acqua di pomodoro ed essenza di eucalipto è tanto rassicurante e confortevole che, come le scarpette d’argento di Dorothy, trova la strada per riportarmi a casa. 

La galleria fotografica:

La carriera di Martin Benn è stata folgorante: forte dell’esperienza maturata da giovanissimo presso due pesi massimi del calibro di Michel Lorrain e Marco Pierre White, vola in Australia dove, a soli 25 anni, diviene primo cuoco del Tetsuya’s, probabilmente il più celebre ristorante della terra dei canguri, per poi dare vita (e lustro) alla sua creatura, il Sepia.
Le solidissime basi della scuola europea, plasmate dalle influenze del Giappone e del Nuovo Mondo, traspaiono nettissime in una cucina di grande finezza e profondità, mai banale e valorizzata dall’utilizzo di selezionate materie prime.

Il menù degustazione, scelta spesso obbligata a queste latitudini, è un gradevole mix di Oriente ed Occidente, sia per ingredienti che per tecniche di cottura.
La cifra distintiva della proposta gastronomica è la pulizia di sapori, lo scarso o nullo impiego di grassi aggiunti, ed il dosaggio perfetto dei condimenti.

La precisione certosina, anche nell’impiattamento, fa trasparire più di un’influenza nipponica, così come l’acidità, sempre misurata, ma spesso in piacevole evidenza, dà un tocco di modernità, chiesto a gran voce dalla cosmopolita clientela che frequenta il locale.
Tra un cocktail -ben fatto- al bancone all’ingresso, ed una veloce sbirciata allo smartphone, gli astanti chiacchierano amabilmente creando un vociare di sottofondo tutt’altro che comune in una grand table.

Il Sepia, se non fosse per la grandissima qualità di ciò che viene portato ai minuscoli tavolini, nudi, agghindati del solo tovagliolo, parrebbe anche ad un occhio attento, un bar, scuro e trendy… ma pur sempre un bar.
L’atmosfera, gli arredi, il servizio (a scanso di equivoci, di grande professionalità, ma veloce e distaccato), l’assenza di tovagliato, nulla lascerebbe presagire di essere seduti nel miglior locale della capitale, nonché in uno dei più in vista dell’intero Paese.
La Food Good Guide, non a caso, lo ha proclamato miglior ristorante d’Australia nel 2015.

Il nostro percorso è stato scandito da un crescendo di portate, ben congegnato e pienamente godibile.
Perfetto nella sua semplicità il sashimi di tonno, finemente arrotolato, formaggio di capra, avocado, ravanello e ciccioli di maiale, mix tra materia prima, freschezza e ruvida golosità.
Superba l’anatra per cottura ed abbinamento con cachi canditi, finocchio essiccato, aceto di fragoline di bosco.
Meraviglioso bilanciamento degli ingredienti tra wagyu Blackmore, cipolla arrostita, mostarda, funghi nameko, scalogno rosa sottaceto e shots di piselli.
Ci ha sorpreso in positivo anche la variazione di latte, per nulla stucchevole, goduriosa altalena di sapori a tinte dolci: cioccolato, yogurth al cocco, pudding di riso, dulce de leche di capra, sorbetto al latte di pecora, tortina, crisp, yuba.

La carta dei vini è ampia e profonda ma davvero poco praticabile. Pochissime le referenze sotto i 100AUD (70€ circa), e moltiplicatore degno di chi non bada a spese.
Molta sostanza e poca forma, quindi, per la nostra più interessante esperienza in Oceania.

Ostriche neozelandesi.
Ostriche, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Tris di Appetizer: Salmone saikou, uova affumicate, sudachi. Gambero affumicato, daikon sottaceto, shiso. Kingfish crudo, kabosu, tofu.
Appetizer, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Sashimi di tonno pinna gialla, formaggio di capra, avocado, ravanello, ciccioli.
Sashimi, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Capasanta, uovo di quaglia, cavolfiore, tartufo nero della Tasmania, fiori di brassica (dal sapore senapato). Sotto la cupola di spuma di cavolfiore un caleidoscopio di sapori.
Capasanta, Chef Martin Benn, Sydney
Abalone grigliato, yuzu, zabajone di dashi, pelle di pollo arrostita. Molto complesso, ogni boccone regala differenti sensazioni.
Abalone, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Granchio “spinner”, carota bianca, crema di miso Saikyo, petali di crisantemo fritti, alga nori.
Granchio, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Anatra, cachi canditi, finocchio essiccato, aceto di fragoline di bosco.
Anatra, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Wagyu Blackmore grigliata ai carboni, cipolla arrostita e mostarda, funghi nameko, scalogno rosa sottaceto, piselli.
Wagyu, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Mandarino, lemonade fruit (ibrido tra arancia Navel e limone), tè verde.
Mandarino, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Gelato al tartufo nero, nocciole tostate, rosmarino, miele Spotted Gum.
gelato al tartufo nero, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Variazione di latte: cioccolato, yogurth al cocco, pudding di riso, dulce de leche di capra, sorbetto al latte di pecora, tortina, crisp, yuba.
variazione di latte, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Foresta di cioccolato: cioccolata morbida, nocciola e mandorla, crema di Violet Crumble, sorbetto di more, gelatina di sambuco e limone, tè verde, liquirizia, rametti di cioccolato, finocchio dorato.
foresta nera, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
La sala.
sala, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney

Peter Gilmore, pluriennale giudice di Masterchef Australia, è unanimemente riconosciuto come uno dei massimi esponenti della ristorazione del suo Paese; costantemente in cima alle classifiche di settore, la sua creatura, il Quay, è un must per ogni gourmet che visiti, per lavoro o per piacere, la capitale.
Situato nell’area di The Rocks, sui moli ove attraccano i numerosi traghetti che collegano capillarmente la straordinaria Bay, il locale è situato al primo piano di un edificio che ospita il terminal passeggeri, con splendida vista su uno dei simboli di Sydney nel mondo, l’Opera House.
Gli arredi, dai toni scuri e con il viola ed il verde predominanti, abbondano di specchi, anche al soffitto, in un mix anni ’70 poco piacevole.
Il servizio è tipicamente anglosassone, formale e ben collaudato, non particolarmente spigliato e caloroso, ma tecnicamente perfetto.

La cucina di Gilmore è difficilmente decifrabile e ancor più difficilmente collocabile in un territorio.
Non è fatta per compiacere il palato del turista, o del novello gourmet, poco scafato; è una proposta di rottura, di sapori forti, di dissonanze, di spiccate sapidità.
Utilizza ingredienti del sud est asiatico, le cui influenze si percepiscono nette, oltre a materia prima tipica del territorio australiano, della cui biodiversità è fiero sostenitore.
Basti pensare che pur essendovi solo menu degustazione (in Australia i top chef non amano “la carta”), poche sono le portate ove l’equilibrio regna sovrano, ove l’ingrediente principale (carne, pesce o verdura che sia) rivesta il ruolo di protagonista, anzi.
Le salse spesso sono talmente incisive da annichilire il “main product”, declassandolo a mero gioco di consistenze.
Abbiamo apprezzato la forte personalità del cuoco, evidente il marchio autoriale, ma non sempre il risultato finale.

Se è vero che la grande cucina non deve giungere necessariamente ad un equilibrio gustativo, è anche vero che i contrasti, le contrapposizioni, le sensazioni preponderanti non devono prevaricare sulla piacevolezza complessiva, prolungata dalla persistenza.
In alcune preparazioni, pensiamo alla XO Sea o all’anatra, peraltro in rapida sequenza nel degustazione selezionato, la percezione del salato, dopo la deglutizione, acuitasi con gli ultimi bocconi, è davvero eccessiva, quasi disturbante.
In altre portate ci si sente più a proprio agio, con sapori decisi ma confortevoli, con rare, ma preziose, punte di diamante che non vi fanno rimpiangere di esservi seduti a questi tavoli (mud crab congee e wagyu su tutti).
Un’ultima raccomandazione: prenotate per tempo, con molto anticipo (il primo di ogni mese per il semestre successivo, questa è la policy del Quay), soprattutto nei weekend: gli australiani amano cenare fuori casa.

Appetizer: brodo alla soia e purea di patate aromatizzata, molto, forse troppo, sapido.
Appetizer, Quay, Chef Peter Gilmore, Sydney, Australia, Masterchef
Gambero di fiume, caviale di john dory, nasturzio, fiori bianchi e cultured cream (Crème fraîche): contrasto dolce-salato tra gambero e uova di pesce, nasturzio a completare lo spettro gustativo.
Gambero di fiume, Quay, Chef Peter Gilmore, Sydney, Australia, Masterchef
Congee di granchio, cuore di palma, emulsione di tuorlo d’uovo. Vellutata l’emulsione, che nasconde il congee con la polpa del granchio; boccone delizioso.
Congee di granchio, Quay, Chef Peter Gilmore, Sydney, Australia, Masterchef
XO Sea: seafood con salsa XO e patanegra esseiccato, per palati forti ed allenati. La salsa è di una concentrazione senza pari che, purtroppo, annichilisce i crostacei; dobbiamo ipotizzare che la salsa non solo sia ma debba anche essere la protagonista indiscussa del piatto.
Xo Sea, Quay, Chef Peter Gilmore, Sydney, Australia, Masterchef
Guanciale affumicato, koji arrostito (enzimi di derivazione fungina), funghi shiitake, alga kombu, sesamo, capasanta, cagliata di latte e brodo affumicato. Portata molto complessa e che dopo l’Xo Sea rappresenta un vero doppio colpo da ko papillare.
Guanciale affumicato, Quay, Chef Peter Gilmore, Sydney, Australia, Masterchef
Anatra cotta a bassa temperatura, miso al riso nero, crema di sedano, aglio nero, gemme di ice plant. Impiattamento non bellissimo alla vista, anche se i colori non aiutano. Ancora una volta quello che dovrebbe essere il protagonista del piatto (l’anatra) è un mero comprimario.
Anatra cotta, Quay, Chef Peter Gilmore, Sydney, Australia, Masterchef
Rump cap di wagyu Blackmore (il taglio della picanha, poco utilizzato in Italia), funghi shiitake, spinaci di montagna, alghe. Buonissima la carne, finalmente esaltata dagli ingredienti di contorno.
Rump Cap, Quay, Chef Peter Gilmore, Sydney, Australia, Masterchef
Snow egg: meringa intorno ad un sottilissimo biscotto al malto, granita alla pesca bianca, gelato alla custard apple (frutto esotico). Molto interessante, goloso e leggermente acido. È il signature dish per eccellenza di Gilmore.
Snow Egg, Quay, Chef Peter Gilmore, Sydney, Australia, Masterchef
Chocolate ethereal: diverse percentuali di cacao per delle sottili lastre di cioccolato e frutta secca, affondate in una suadente ganache al cioccolato che ricopre un sottile substrato di caramello salato.
chocolate, Quay, Chef Peter Gilmore, Sydney, Australia, Masterchef
Praline.
praline, Quay, Chef Peter Gilmore, Sydney, Australia, Masterchef
Sala.
sala, Quay, Chef Peter Gilmore, Sydney, Australia, Masterchef
Panorama dal molo.
Quay, Chef Peter Gilmore, Sydney, Australia, Masterchef