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Il luogo di Aimo e Nadia

Il Luogo di Aimo e Nadia: più che un semplice ristorante, una vera e propria istituzione a Milano. Amato dalla borghesia, ricercato dai turisti, meta imperdibile per i gourmet, è il grande ristorante di Milano per antonomasia.
Anche se in realtà di milanese non ha quasi niente.

Non le radici, che sono toscane – non dimentichiamo che si tratta del ristorante che ha fatto da apripista a quella che si è poi rivelata essere una vera e propria tendenza gastronomica, quella appunto dei ristoranti toscani a Milano – non i cuochi, dal momento che Alessandro Negrini è valtellinese e Fabio Pisani pugliese di Molfetta, non la cucina che è essenzialmente cucina di olio, non di burro. Certamente di ispirazione più meridionale che settentrionale.
Più che un semplice ristorante, una granitica certezza nella realtà sempre più fluida della ristorazione di alta fascia. In cui si assiste sempre più spesso a ristoranti meteore che durano il tempo di una stagione e non sopravvivono quasi mai ai cambi di guardia in cucina (peraltro sempre più frequenti).
E’ il mutamento epocale che si è avuto negli ultimi 10/15 anni.

Prima esistevano i ristoranti, oggi contano i cuochi. Non a caso un amico (non del settore) ci chiedeva ingenuamente proprio qualche giorno fa se le stelle si danno ai ristoranti o ai cuochi. Il discorso ci porterebbe troppo lontano e quindi meglio tornare al Luogo da cui eravamo partiti.
Il Luogo di Aimo e Nadia è una splendida eccezione. Qui quasi nulla è cambiato da quando un gigante della ristorazione italiana come Aimo Moroni, dopo oltre mezzo secolo speso a rendere grande la sua creatura insieme alla moglie Nadia, ha legittimamente deciso di dedicarsi ai nipotini e di lasciare la gestione del ristorante alla figlia Stefania e la cucina nelle mani dei suoi giovani allievi.

Qui si continua come sempre a fare una cucina profondamente italiana, classica, tesa a valorizzare una superba materia prima. Senz’altro uno dei più “ducassiani” tra i ristoranti italiani.
La materia prima. E qui il senso di questa parola assume più che in altri luoghi un significato fortissimo. Aimo è stato un assoluto cultore delle materie prime. Già negli anni ’60 e ’70, prima di Slow Food, del km 0, del boom del biologico, qui trovavi prodotti che altrove non c’erano. Ricercati infaticabilmente e con illimitata passione e competenza da Aimo. E trasformati in piatti geniali nella loro semplicità.
L’eredità lasciata qualche anno ad Alessandro Negrini e Fabio Pisani era di quelle pesanti. Non c’è dubbio.
Ma possiamo dire ormai che l’esame è stato brillantemente superato. Alessandro e Fabio sono stati bravissimi nel rendere il passaggio assolutamente indolore. Bravissimi e umili.
Ci venga concessa la metafora calcistica: hanno fatto un po’ come Allegri alla Juventus. Avevano un cavallo vincente e lo hanno fatto correre come sapeva, senza farsi prendere dall’ansia di marchiare a tutti i costi e immediatamente una discontinuità.
Questo è stato senz’altro il grande merito dei due giovani cuochi. Ma potrebbe paradossalmente alla lunga trasformarsi in un limite.

E così, se come si mangia da Aimo è una delle poche certezze della vita – sempre molto bene – non vorremmo che diventi una certezza anche cosa si mangia.
Si, è arrivato secondo noi il momento per gli chef di cambiare marcia e abbandonare le granitiche certezze su cui sembrano un tantino adagiati.
E’ chiaro che i classici in un ristorante del genere non possono (e non devono) sparire, ma è altrettanto vero che in cucina le novità stentano a decollare.
La zuppa etrusca, i giochi di sale, i tortelli di ossobuco, il (quasi) raviolo di seppia sono piatti ormai di conclamata eccellenza (e chi non li ha mai assaggiati è ora che faccia una corsa in Via Montecuccoli), ma l’impressione generale è che si inizi a procedere un po’ col pilota automatico. E questo alla lunga non potrebbe che nuocere alla nuova generazione del Luogo.

I talenti ci sono, l’entusiasmo anche, ci pare, il domani è dietro l’angolo e bisogna saperlo affrontare con coraggio e idee nuove seppure nel solco di una splendida tradizione.

Cicerchie dei Monti Dauni in crema con marasciuolo selvatico, mosto cotto
di fichi, lampascioni canditi e olive Nolche, con biscotto mostacciolo. Intensa, qui con le zuppe non si scherza.
Cicerchie, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Peperone Crusco in accompagnamento.
Peperone Crusco, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Un classico dedicato al sale (ma non salato): Giochi di sale (di Mothia): dentice ligure marinato, cedro di Calabria, maionese di pistacchi di Bronte, sedano verde e crescione d’acqua.
dentice, sale di mothia, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Altro classico: Zuppa etrusca con verdure dell’orto, primizie, legumi, farro della Garfagnana alle erbe aromatiche e fiori di finocchio selvatico. Da rimarcare la perfetta cottura di tutte le componenti. Magnifica.
Zuppa etrusca, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Quasi un raviolo (di seppia): seppie crude arricciate a mano, scalogno candito e scamorza affumicata. Altro classico, altro grande piatto.
raviolo di seppia, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Risotto Carnaroli Gran Riserva all’olio Nocellara con gamberi di Sanremo, origano di Vendicari e capperi di Pantelleria.
Risotto gamberi di Sanremo, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Tortelli farciti di ossobuco di Fassone piemontese e midollo nel suo ristretto allo zafferano sardo e parmigiano Bonati. Lussuriosi!
tortelli farciti, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Controfiletto di vitella Fassona di montagna in panure di camomilla e cipolla di Tropea, con carote all’aceto di lamponi. Piatto esemplare nella sua essenzialità.
Controfiletto, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Anguria, succo di fragola e pomodori canditi.
Anguria, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Black lemon: crema ai limoni di Sorrento, spuma al lime e polvere di ‘loomi’, con latte di mandorle di Toritto.
Black lemon, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano

Un vero e proprio monumento della cucina italiana: questo è Aimo Moroni. Senza dimenticare la sua compagna di una vita, sua moglie Nadia. Un monumento dicevamo, preso ad esempio da tutta la nuova generazione italiana di cuochi d’avanguardia.
Chi non è passato da queste cucine ha comunque tratto spunto ed ispirazione da questo maestoso luogo che ha costruito la sua fortuna e la sua fama sulla qualità straordinaria della materia prima. Saperla cercare, scovarla, per poi elaborarla il minimo sufficiente per elevarla al sublime. Senza mai rovinarla.
E’ questo un credo, una vera e propria fede, che Aimo e Nadia Moroni perseguono da una vita e che hanno saputo trasferire ai due eredi, Alessandro Negrini e Fabio Pisani, che tengono alto il vessillo di un grande ristorante italiano e che hanno anzi saputo far evolvere il concetto di cucina di Aimo e Nadia verso una moderata, saggia ma non scontata modernità. Ed attualizzazione.

Ripensando a Paul Bocuse, che peraltro inconsciamente ci ricorda proprio Aimo, ci viene da pensare che questo fantastico luogo, se solo fosse posizionato appena oltre confine, avrebbe le tre stelle a vita, senza dubbio alcuno. Venite qui, se non l’avete mai fatto, e provate ad immergervi in tutti i grandi classici di questa cucina, in primis la zuppa etrusca, che sono tremendamente e indelebilmente attuali, moderni, vivi e brillanti.

Questo è il pregio della grande cucina di Aimo: l’attualità perenne, la grande avanguardia di un tempo che riesce a divenire classico, senza sfiorire.
Accanto a queste grandi preparazioni trovate poi piatti, creazioni del duo che ha ormai preso in mano le redini della cucina, come i ravioli di ossobuco o il finto raviolo di seppia, i quali alternano la rielaborazione costante della filosofia del maestro con una spiccata vena di innovazione. Il tutto sempre con un chiaro, costante e nitido richiamo al prodotto, alla qualità, all’essenzialità dell’ingrediente.
Ad affiancare poi, in sala, il sempre migliore Nicola dell’Agnolo è arrivato quell’Alberto Piras di cui radio casseruola parla, a ragion veduta, come di uno dei migliori talenti sommelier che si possano trovare sul suolo italico. Una sala e un servizio impeccabile accompagneranno la vostra avventura con eleganza e professionalità.

Nessun difetto quindi ? Beh… a dire il vero il proibitivo ricarico della carta dei vini non invoglia ad accompagnare degnamente questa fantastica cucina. Il costante e ripetuto – più volte durante le nostre esperienze – conteggio millimetrico di aggiunte, di contorni e di orpelli avrebbe poi forse bisogno, per rendere veramente unica ed insuperabile quest’esperienza, di una maggiore dose di buon senso al momento di tirare le somme. Che non sono sempre e comunque fredda e lineare aritmetica ma dovrebbero anzi essere, il linea con la carica emotiva del locale e del patron, romanticamente ed armonicamente ammorbidite su note più lievi e meno spigolose.

Il prodotto e i suoi commensali: finto raviolo di seppia ripieno dei suoi tentacoli al nero, gelato di piselli, crema di formaggio affumicato, maionese di pistacchi, purea di limoni. Un concentrato della filosofia di Aimo. Stupendo.
finto raviolo di seppia, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
Il prodotto e i suoi commensali #2: fungo porcino in panure di pinoli, zucchina trombetta, mozzarella di bufala, polvere di cacao, salsa yogurt e frutti rossi. Apparentemente confuso, invero terribilmente buono.
fungo porcino in panure, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
La fantastica, intramontabile, sempreverde zuppa etrusca di Aimo e Nadia. Un piatto di molti lustri or sono che è avanguardia pura ancora oggi.
zuppa etrusca, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, MilanoRavioli ripieni di ossobuco in gremolata, salsa zafferano, parmigiano e fondo di vitello. Creano dipendenza fisica.
ravioli ripieni di ossobuco, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
Anatra affumicata (forse troppo!) allo zucchero di canna, ciliegie, patate, sedano, asparagi e bergamotto.
anatra affumicata. Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
Tiramisud: biscotto al caffè, crema di ricotta e vaniglia, capperi.
tiramisud, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
Black lemon : liquirizia, lime. limone
black lemon, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
piccola pasticceria, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano

E’ tutto dedicato alla bufala e ai suoi fantastici prodotti questo piccolo luogo, un po’ negozietto e un po’ bistrot, aperto grazie all’iniziativa di Giorgio Canelli, titolare di un caseificio a Castrocielo in provincia di Frosinone. Sua l’idea di aprire un punto vendita nel cuore borghese di Milano, a due passi da Piazza Wagner, al quale sin dall’inizio ha unito una piccola cucina.
Poi con il tempo si è pensato bene di investire sempre di più sul lato ristorazione e la direzione della cucina è stata affidata ai due giovani (e molto bravi) cuochi del Luogo di Aimo e Nadia, Fabio Pisani e Alessandro Negrini, i quali hanno dislocato in loco un giovane promettente anch’egli proveniente dalla nidiata Moroni: Riccardo Orfino.
Tornando per un attimo alla vera protagonista della storia, la mozzarella di LadyBu(fala) è delle poche mozzarelle di qualità che è possibile mangiare a Milano.
Il caseificio Anteo si trova in Ciociaria, all’estremo confine settentrionale del territorio di produzione della bufala campana DOP. E’ una mozzarella più vicina alla tipologia casertana che a quella della Piana del Sele e, quindi, lievemente più sapida, meno croccante e dalla pasta sensibilmente più compatta.
Ci sono tre spedizioni settimanali a Milano (la mozzarella viaggia di notte ma non in frigo deo gratias) e, quindi, il consiglio è di andare a provarla il giorno giusto (cioè rigorosamente quello di arrivo, tenendo presente che un giorno per la mozzarella vale almeno quanto 20/25 anni per un essere umano).
Oltre alla mozzarella abbiamo provato anche una buona provola affumicata e un’eccellente stracciatella.
Insomma, il prodotto c’è tutto. E la cucina?
E’ buona, anche se inevitabilmente sconta un po’ il fatto di essere volutamente monotematica: latticini e pomodori (anche intesi come salsa) variamente combinati.
C’è un altro grande protagonista a dire il vero: un pane di Matera lievitato naturalmente (anch’esso in vendita del negozio) davvero fantastico che viene servito caldo e leggermente croccante.
Gli unici due piatti assaggiati che sfuggivano al concept del locale sono stati omaggi dello chef alla sua terra di provenienza: il Veneto. Baccalà mantecato (su crostone di pane di Matera, ovviamente) e una versione riuscita (e ingentilita) delle Sarde in saor.
Visto il canovaccio lo chef gioca prevalentemente su sapori freschi e con una buona componente acida, con un ottimo livello di esecuzione, anche se non tutti i piatti assaggiati ci sono sembrati concettualmente indovinati.
Carta dei vini piccola ma da cui è possibile pescare qualcosa di buono e servizio molto cortese ed efficiente.
Ad Majora

Crostone di pane di Matera con baccalà mantecato.
Crostone con Baccalà mantecato, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Protagonista: il pane di Matera. Controindicazioni: può creare dipendenza.
Pane di Matera, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Sarde in saor, promosse a pieni voti, nel loro genere perfino delicate.
sarde in Saor, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Mozzarella.
mozzarella, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Provola affumicata (con metodo naturalmente).
provolo affumicata, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Crostone (di pane di Matera) con stracciatella, alici di Monterosso, biete novelle e pomodori Cuore di bue della Riviera Ligure: non è ancora la stagione migliore per i pomodori ma la stracciatella è eccellente, del pane già sapete, l’olio è del Frantoio Mancianti, serve altro?
crostone, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Pane e pummarola.
pane e pummarola, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Risotto Carnaroli mantecato all’olio extra vergine di oliva Mancianti e burrata: delicato, molto delicato, forse perfino troppo.
Risotto Carnaroli, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Spaghetto “selezione Pastificio dei Campi” cacio e pepe su crema di cipollotto di Tropea.
Sapghetto cacio e pepe, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Crema di piselli, burrata e fave.
Crema di piselli Burrata e fave, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Battuta di Fassona Piemontese, provola fresca affumicata, mandorle di Avola salate e salsa di pomodorini arrostiti. Ammettiamo tutti i nostri limiti. Cosa ci facesse quel fettone di (molto buona) provola su una (buona) battuta di carne cruda non l’abbiamo proprio capito.
battutra di fassona piemontese, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Scamone di vitello, primo sale di Bufala, salsa all’acciuga di Monterosso e cipollotto di Tropea al limone.
Scamone, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Caprese.
Caprese, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano
Tirami-BU.
tirami bu, LadyBù, Chef Riccardo Orfino, Milano

Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano

L’intento è, come spesso accade negli ultimi tempi, decisamente gradito, attuale e à la page. Ampi spazi nella zona della nuova movida milanese, vicino alle sedi di note firme del design nazionale e nel nuovo quadrilatero della moda. Siamo in via Savona, e in questo incantevole ex showroom con annesso giardino di una bellezza e profondità rara per Milano, ha aperto i battenti un altro neo-bistrot. Il progetto è siglato da Emanuele Bortolotti e Ferdinando Ferdinandi, la consulenza in cucina è del duo Negrini-Pisani, una certezza ormai. Il cuoco giapponese, per anni al fianco dei succitati che guidano le cucine di Aimo e Nadia, sa il fatto suo. Ha impresso sin da subito al locale un’impronta territoriale, schietta e prodotto-centrica. Sano, buono, ricercato. Tutti gli slogan al loro posto. Peccato però che alcuni segnali e idiosincrasie tipiche della ristorazione meneghina facciano già capolino, benché l’apertura sia di pochi mesi fa.
Spesso ci troviamo anche noi, su queste pagine, a giustificare ruvidità e imperfezioni per via della partenza recente di un ristorante. Ma sarà poi giusto essere così indulgenti? Molto di frequente, infatti, ci siamo convinti a perdonare piccole imperfezioni a locali freschi di apertura che poi, dopo mesi o addirittura anni di rodaggio, hanno saputo fare anche peggio, ostentando una pericolosa deriva al ribasso. Restiamo delusi dalle promesse in parte mantenute, ma crediamo che la mano dell’esperto chef sia in grado di dare fin da subito un’impronta chiara rispetto alle attese. La linea di cucina è ben pensata, semplice, essenziale, ma forse un filo troppo greve, grassa e ricca di condimento. L’unica cosa che è già a regime è il prezzo, giustificabile per un locale in cui tutto fila liscio fin da subito. Se però la vostra attesa si procrastinerà oltre il lecito, allora la semplicità e la schietta ruvidità non basteranno più. Due ore scarse per due piatti, certo di domenica ma dopo esserci accomodati non all’ora di punta, appaiono sinceramente come il sintomo di un meccanismo imperfetto. Un plauso al servizio, giovane, attento, premuroso, gentile e disponibile. Speriamo non decada, e speriamo che la cucina trovi i suoi tempi, mantenendo gli interessanti guizzi del galletto e della zuppa di funghi e ceci.
Per ora bravi, ma attenzione a non smarrire la bussola, continuando ad aggiustare il tiro…

Qualche immagine dello splendido locale e del dehors.
Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano
Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano
Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano
Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano
Pappa al pomodoro, acciuga di Monterosso, burrata e mugnoli.
pappa al pomodoro, Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano
Zuppa di funghi cardoncelli e ceci delle Murge con cicorietta selvatica e pane di Matera a lievitazione naturale.
zuppa di funghi, Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano
Minestrone di verdure con salsa al Pesto di Prà, orzo, fagioli cannellini e piselli selvatici (a novembre?).
minestrone di verdure con salsa al pesto, Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano
Spaghettoni di Gragnano Pastificio dei Campi con pesto di mandorle, pomodorino essicato al sole, bottarga di muggine e davvero troppo olio.
spaghettoni di gragnano, Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano
Le stupende polpette di razza piemontese…
polpette, Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano
…e il galletto di Villanova, ottimo.
galletto, Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano
Il buon baccalà al vapore marinato alla verbena e aceto di mele su panzanella e crema di canellini.
baccalà, Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano
La torta
torta, Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano
Al Fresco, Chef Kokichi Takahashi, Milano

L’attuale momento gastronomico è segnato da due paroline magiche: “low cost”. Siamo consapevoli che questo concetto sta diventando un luogo comune, ma pizzerie, trattorie e hamburgerie di città spopolano. C’è poco da fare, all’italiano piace uscire a cena e se riesce a contenere i costi, la soddisfazione è doppia.

La qualità però ha un costo spesso elevato e l’attenzione verso di essa è aumentata notevolmente negli ultimi anni. Qualità e prezzi contenuti sono dunque due concetti inconciliabili? Al ristoratore l’arduo compito di sapersi reinventare e pensare alla soluzione, che rimane difficile, ma non sempre.
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