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Narisawa

Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo

Il movimento creativo sviluppatosi negli ultimi dieci anni in Giappone ha dato un forte scossone a una gastronomia fortemente legata alle sue tradizioni.
Figure come Yamamoto (Ryugin) o, più recentemente, Takazawa (Aronia de Takazawa) stanno rivoluzionando il modo di fare cucina in Giappone, fondendo le tecniche internazionali con i prodotti e la mentalità del popolo del Sol Levante. L’obiettivo è quello di scardinare alcuni capisaldi per raggiungere nuovi obiettivi: l’essenza stessa della creatività. Alcune cose che noi diamo per scontate non lo erano fino a dieci anni fa in Giappone.
Anche Yoshihiro Narisawa, anno 1969, ha senza dubbio contribuito a questa silente rivoluzione: la creazione di una nuova tradizione culinaria, rispettosa della storia e delle usanze giapponesi ma non ritorta su se stessa.
Narisawa ha girato molto per l’Europa prima di ritornare in patria: Joel Robuchon, Fredy Girardet , ma anche Ezio Santin all’Antica Osteria del Ponte.
Nel 1996, dopo 8 anni in Europa, apre La Napoule a Odawara (un’ora di auto da Tokyo).
Nel 2003 la svolta: si sposta a Tokyo per aprire Les Créations de Narisawa.
In Italia è un nome tutt’altro che sconosciuto: certamente la Best 50 San Pellegrino ha contribuito alla sua fama, ma anche la partecipazione nel 2010 a Cook it Raw mise il suo nome sulla bocca di molti giornalisti e appassionati italiani (il piatto da lui presentato alla cena di Cook it Raw fece gridare al miracolo più di qualcuno).
La formula di Narisawa è chiara: mantenere i principi della cucina Kaiseki (stagionalità, ritualità) e utilizzare ingredienti tipicamente giapponesi applicando però tecniche moderne, il tutto filtrato da una nuova prospettiva che mischia Oriente e Occidente con apparente grande semplicità.
Solo prodotti biologici, niente grossisti ma rapporto diretto con agricoltori e pescatori.
E una maniacalità tipicamente giapponese, che lo porta ad esempio ad avere una vasca sotto il ristorante dove tenere pesci e crostacei vivi consegnati la mattina presto da alcuni pescatori di fiducia.
Al centro della sua filosofia culinaria c’è il tentativo di portare la Natura nel piatto e rilanciare quindi il rapporto dell’umanità con il mondo naturale attraverso il cibo.

“Voglio catturare paesaggi, dipingere una tela che rappresenta la natura. Ogni ingrediente catturato nel mio piatto deve vivere e respirare”.

Motore della continua ricerca di Narisawa è quindi la Natura attraverso cinque temi ben precisi: Terra, Acqua, Fuoco, Carbone e Foresta. Ma anche lo scandire riti e ritmi del calendario giapponese, date che ritmano dei precisi momenti della natura e delle stagioni in un profondo rapporto con le materie prime.

“L’uomo non dovrebbe limitarsi a consumare un piatto, ma dovrebbe assorbire la vita stessa racchiusa in quello che viene proposto. Nel mio Paese c’è l’abitudine di sentire il passaggio del tempo che cambia dal colore e dall’aspetto dei fiori e dei prati, dal cinguettio degli uccelli, dal soffio del vento, dalle fasi lunari, e lasciandosi trasportare, contemplare la gioia delle quattro stagioni. Stando immersi nella natura, se ne può cogliere la nascita, il pieno rigoglio e i suoi lasciti. Ogni momento ha la sua bellezza, e a questa bellezza è legato un senso di malinconia. I giapponesi ritengono che in tutte le cose ci sia una divinità, e che si debba proteggere lo spirito di questi elementi che ci danno gli ingredienti. Inoltre questo paesaggio naturale, che è stato ucciso dall’uomo stesso, rivive un’altra volta in ogni piatto”.

La rappresentazione scenica ricorre in tutto il pasto, tanto che alle volte sembra quasi privilegiata rispetto al gusto. Lo stesso dicasi per i giochi visivi, vedi il ricorrente utilizzo della carbonizzazione nell’esplorazione del concetto di monocromia e del richiamo all’ancestralità della cucina.
Qui risiede il problema principale: è fuori discussione la bravura extra-ordinaria del cuoco, ma alle volte Narisawa sembra bearsi e curarsi troppo del suo pensiero tralasciando il sostanziale, cioè il risultato gustativo del piatto, non sempre convincente. Leggerezza e finezza sono caratteristiche che gli appartengono, ma alcune portate non hanno la complessità gustativa di altre e scivolano via senza lasciare il segno. Discutibili anche le reiterazioni stilistiche (vedi il carbone).
Il locale è bello, dal gusto occidentale e decisamente diverso dagli standard giapponesi.
Servizio di gran livello, anche per quanto riguarda il capitolo “beverage”: un sake riserva personale 1981 non è cosa che si assaggia tutti i giorni. I camerieri parlano tutti inglese ed è una comodità non da poco.
Anche per le prenotazioni la strada è decisamente in discesa rispetto ad altri grandi di Tokyo: si può prenotare direttamente dal sito internet scegliendo data e ora di arrivo. Non ci sono doppi turni ma le prenotazioni vengono prese a orari diversi per evitare di sovraccaricare la cucina.
Una tappa certamente consigliabile e un cuoco da seguire nel suo percorso di maturazione evidentemente ancora in divenire.

L’esterno del locale, per una volta a Tokyo un indirizzo semplice da trovare
Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Mise en place.
Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
La cucina a vista.
Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Pane della foresta 2010 e muschio: l’impasto, ancora crudo e misto a yuzu e pepe, viene posto in un contenitore riscaldato a 300 gradi e la cottura viene fatta al tavolo. Dieci minuti dopo viene sformato e presentato con burro ricoperto di polvere di olive e spinaci.
L’impasto crudo che lievita al calore della candela.
Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
L’impasto viene messo nel contenitore per la cottura.
pane della foresta, impasto, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Il risultato: il pane.
pane, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Il muschio.
muschio, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Essenza della foresta e scenario di Satoyama: erbe giapponesi crude e in tempura, foglie, radici, un terreno di muschio fatto con tè verde, acetosella e carbone. A lato un piccolo cilindro di legno contenente acqua di sorgente infusa con legno di quercia.
essenza della foresta, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Sumi: cipolle grigliate ricoperte di polvere carbonizzata al porro e fritte.
sumi, cipolle grigliate, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Okinawa: brodo di serpente di mare, melone, dumpling di patata e maiale.
Okinawa, brodo di serpente, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Il serpente di mare, fatto giustamente vedere solo a piatto finito…
serpente di mare, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Melanzane: la melanzana viene cotta in 3 modi (purea, fritto e arrosto), pinoli, olive nere, fiori, parmigiano, funghi shitake. Il tutto avvolto in un gel di acqua di pomodoro.
melanzane, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
“Ash 2009” Scena della riva del mare: calamaro con cenere di paprika e limone.
Il calamaro viene cotto alla griglia su un mix di legno di ciliegio e di carbone e servito con una salsa di peperoni. La cenere viene servita come una polvere congelata all’azoto liquido. L’effetto “fumo da griller” assicurato. Un grandissimo piatto, il top della serata perché a una forte componente scenica e una notevole costruzione del piatto, corrisponde una grande complessità gustativa. La pulizia lasciata dall’acidità della finta cenere è straordinaria.
La cenere.
cenere, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Il piatto fumante.
piatto fumante, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
E dissolta la nebbia…

Pesce Palla, Hagi: Fugu fritto, servito con sale e sudachi (simile a un lime).
pesce palla, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Scampo, Baia di Odawara: scampo rovinato da una inappropriata salsa al pomodoro troppo coprente. Un piatto sbagliato.
scampo, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Tilefish, Funghi Matsutake, essenza di tartaruga: tecnicamente un grande piatto, c’è poco da dire di fronte a una cottura come questa. Molto sottile nelle sue sfumature gustative, piatto molto più “giapponese” di tutti gli altri.
essenza di tartaruga, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo

Ostrica roccia: germoglio di ciliegio affumicato, ostrica fritta, acetosella e salsa di cipolla dolce di kyoto. La salsa, esageratamente dolce, sposta il piatto in una sola direzione coprendo gli altri ingredienti.



“Sumi 2009” Hida beef: la carne Wagyu è presentata coperta da polvere di carbone (ottenuta con i porri).
I porri vengono prima immersi in acqua salata per 30 minuti, asciugati e poi grigliati su carbone bincho-tan fino a completa carbonizzazione. Quindi vengono disidrati e frullati per ottenere la polvere.
La cottura avviene con la tecnica dell’“arroser”, versando in continuazione olio/burro caldo sul pezzo: la carne viene scottata rapidamente, avendo cura di mantenere la temperatura interna al di sotto di 60° C. Quindi si scalda il burro e l’olio d’oliva a 80° C e si cuoce la carne nel burro-olio fino a quando il centro della carne raggiunge i 54° C.
Viene servita con un Jus di vino rosso, salsa di pane fermentato all’aglio e una granita di sake da intervallare tra un boccone e l’altro.
Un piatto notevole che in bocca si rivela classicissimo.
Prima del taglio.

Il piatto servito.

Sakekasu, Kuzumochi, fragola
Il sakekasu sono le fecce lasciate dalla produzione del Sake.
Servito con Mochi di Kuzuko (radice giapponese) e sorbetto di fragola.

Castagna: crema di castagne giapponesi, gelato di rum e uvetta, gel di warabimochi (una radice).

Lo scenografico carrello della piccola pasticceria.


Macarons: notevoli.

Piccola pasticceria, più interessante dei dessert stessi.



Il Potus.




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Non è semplice, per chi, da straniero, non ha un rapporto simbiotico con il Giappone, comprenderne appieno l’immensa cultura gastronomica.
Non è semplice soprattutto perché il Giappone non è solo sushi, tenpura o carne di Kobe. È come se riassumessimo L’Italia ai fornelli con la pizza o con il risotto.
La cucina di questo Paese meraviglioso ha mille sfumature ed affonda le sue radici nella storia millenaria che ha segnato la sua evoluzione.
Ogni Prefettura ha uno stile culinario, un “signature dish”, ma tutte hanno un minimo comune denominatore: la ricerca, spesso esasperata, della migliore materia prima possibile, trattata con una ritualità a tratti imbarazzante nella sua perfezione.
A differenza dei ristoranti di stampo occidentale, caratterizzati da varietà ed ampiezza del menu, con differenti tipologie di pietanze cucinate, in Giappone quasi tutti i migliori locali sono iper-specializzati in una sola preparazione.
La comparazione, quindi, risulta oltremodo complessa.
Dopo un lungo viaggio abbiamo iniziato a tracciare le linee guida, ben consapevoli che attribuire una votazione, secondo i nostri parametri, è quanto di più difficile ci sia accaduto sino ad oggi.
Noi ci proviamo, sperando di fornirvi un quadro certamente non completo, ma il più possibile corretto dell’affascinante realtà gastronomica del Sol Levante.

La carne di Kobe è leggenda.
Da alcuni anni i ristoranti di ogni latitudine sono stati letteralmente invasi da imitazioni (kobe-style) più o meno riuscite della mitica carne giapponese, divenuto benchmark planetario.
Abbiamo degustato, ovunque nel mondo, la wa-gyu (letteralmente carne giapponese), allevata negli Stati Uniti, in Australia, in Cile, in Brasile e ora anche in Italia, ma, consentiteci la citazione, “come lei nessuno mai”.
Al Bifuteki no Kawamura, all’ottavo piano di un bel palazzotto di Ginza, che ricorda negli arredi più le steakhouse americane che non i minimalisti ristoranti giapponesi, viene utilizzata esclusivamente la wa-gyu proveniente dalla Prefettura di Hyogo, ceppo Tajima, cotta abilmente sul teppanyaki (piastra di acciaio).
Solo una minima percentuale dei Tajima cattle può fregiarsi del titolo di “Kobe Beef”.
Spesso si generalizza, errando, identificando la carne di Kobe con tutta la carne giapponese. In numerose prefetture del Sol Levante, infatti, viene allevata la wa-gyu, non solo in quella di Hyogo, dove la città di Kobe è situata.
La wa-gyu si divide in quattro razze: Japanese Black, Japanese Brown, Japanese Polled e Japanese Shorthorn.
La Japanese Black, indiscutibilmente la migliore per qualità della fibra muscolare, si divide a sua volta in quattro ceppi: Tottori, Tajima, Shimane and Okayama.
Si badi bene, può essere denominata Kobe solo la wa-gyu del ceppo Tajima allevata nella prefettura di Hyogo che ha superato rigidi esami qualitativi che prevedono l’utilizzo di ulteriori sottoclassificazioni:
a) Yield score (da A – più alta – a C) indica la percentuale in una carcassa di tagli utili al consumo;
b) Meat quality score (da 5 – più alto – a 1) indica la qualità complessiva della carne in ragione del colore, della consistenza, del grasso;
c) B.M.S. – beef marbling score- (da 12 – più alto – a 1): indica la percentuale di grasso all’interno della fibra muscolare.
La carne proveniente dalla razza Tajima allevata nella Prefettura di Hyogo può essere chiamata Kobe solo se ha uno Yield score pari ad A, un Meat quality score di 4 o 5 ed un B.M.S. pari o superiore a 6.
Svolta questa necessaria premessa, al fine di comprendere l’effettiva potenzialità di questo meraviglioso prodotto, abbiamo ordinato due differenti qualità di carne per grado di marmorizzazione.
La Special Kobe (8/9 grado) e la Excellence Award Winning (11/12 grado).
La differenza, sebbene visivamente, per un occhio occidentale poco allenato, non sia significativa, al palato è notevole.
La Excellence è voluttuosa, scioglievole, carezzevole, avvolge il palato e lo riempie.
La Special lo è di meno, senza dubbio.
Ma nessuna delle due somiglia, neanche lontanamente, al paradigma occidentale.
Non aspettatevi la potenza di una bistecca argentina o brasiliana, la tenacia di una chianina, o l’intensità di una fassona, in Giappone si gioca un altro campionato.
Chiariamo, è difficile dire se sia migliore o peggiore, ognuno ha la sua classifica e gusto personale, ma ci sentiamo di affermare che si tratta di un prodotto unico, diverso dagli altri.
Se la cottura è perfetta (non al sangue ma medium-rare perché il grasso deve sciogliersi), avrete la sensazione che la carne si liquefi letteralmente al contatto con la vostra lingua, e che la masticazione sia un optional.
Il sapore di carne è attenuato, mirabilmente coniugato con il grasso.
Per non essere monotematici abbiamo selezionato un menù degustazione: sashimi di manzo, foie gras, insalata, verdure (buonissime), riso, frutta, dolci (dimenticabili).
Semplici comparse. La scena è tutta sua.
Non vi meravigliate se in menù troverete solo pezzature mignon (120-160-200 grammi).
Il grasso vi saturerà talmente il palato che saranno i vostri organi recettori papillari e non lo stomaco a dire basta.
È una sensazione strana, quasi mistica, chiudete gli occhi e assaporate. Sono questi pochi attimi di goduria che spingono i gourmet di tutto il mondo ad andare in Giappone.
E noi con loro.

Sua Maestà 5A, 12 B.M.S. Kobe beef
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Sashimi di Kobe beef con riduzione di soia, zenzero, aglio e wasabi. Molto delicata, ma cotta, grazie al grasso che si scioglie, è tutta un’altra storia.
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Foie gras al teppanyaki con aglio.
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Insalata mista con dressing acetato.
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Verdure in cottura. Funghi, cipolle, melanzane, carote, asparagi.
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Close up della “Special Choice Kobe”.
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Close up della “Excellence Award winning Kobe”.
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In cottura…
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…tagliata e servita…
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…particolare. Perfetta la crosticina, suadente l’interno.
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Riso con grasso della carne, pesce essiccato e soia.
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Frutta. Molto, molto buona.
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Crème brulée, tiramisu, macedonia. Tutto ordinario.
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Mise en place al bancone.
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Ingresso del palazzo. L’ascensore vi porterà direttamente nel ristorante
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