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Yazawa

La riscossa del Wagyu da Yazawa: la carne più preziosa al mondo, dal Giappone a Milano con furore

Il Wagyu. Costosissimo e osannato come pochi cibi al mondo.
E’ davvero questa la migliore carne sul mercato? Non ci sbilanciamo, ma a discredito dei sabotatori di questa prelibata e unica materia prima, si possono menzionare rispettabili ricerche dalle quali emergono proprietà salutari più interessanti rispetto a qualsiasi altra carne “rossa” esistente.
Tralasciando ogni aspetto scientifico in merito, o gli affascinanti aneddoti connessi al trattamento riservato a questa razza bovina, il Wagyu servito da Yazawa, importante catena internazionale di ristoranti specializzati in BBQ, è, a nostro avviso, un prodotto di eccelsa qualità. Probabilmente il meglio che si possa trovare a Milano.

Già questo basta a fare di questo locale, a due passi da Brera, una tappa imprescindibile per gli amanti del Sol Levante. Pochi, anzi pochissimi ristoranti etnici in Italia servono preparazioni così autentiche e di ineccepibile qualità. Certamente il costo non è popolare (ma a pranzo ci sono convenienti set lunch), ma stiamo parlando dei tagli più pregiati del manzo Wagyu Kuroge, “allevato esclusivamente in Giappone secondo tradizioni secolari, dove ottiene il grado A5. Il livello della perfezione”.
Ciò detto, dopo diverse visite, crediamo che questa cucina, guidata dallo chef Tsuyoshi Noikura, profondo conoscitore della tecnica yakiniku -ovvero la griglia- nonché maestro selezionatore di bovini, meriti di esser presa in debita considerazione.
Lasciarsi guidare in un percorso è fondamentale. Una serie di piccoli assaggi introducono alla tradizione culinaria giapponese: si susseguono tecniche e ingredienti in un vassoio di antipasti misti che va dal carpione alla griglia, dalle verdure al pesce fino, ovviamente, alla carne. Al centro del percorso, il protagonista indiscusso: il Wagyu, servito a fette sottili disposte in ordine di marmorizzazione. Si va dalla meno venata alla più grassa, per la quale le papille gustative toccano l’apice del cosiddetto “quinto gusto”, ossia l’umami. Alla preparazione ci pensano direttamente i clienti usando la griglia incastonata al centro del tavolo. Tempo di cottura ideale: tre secondi: “ichi… ni… san”.

Il percorso salato si chiude con lo shime, un fine pasto a base di carboidrati come l’ottimo riso con Wagyu semifreddo, zenzero marinato e nori. Perfino i dessert sono di buon livello: necessariamente occidentalizzati, ma con l’ingrediente principale rigorosamente giapponese. Buoni il gelato al matcha e la panna cotta allo yuzu.
Anche la vasta carta può regalare soddisfazioni: ad assaggi eccellenti come il tofu fresco con ragù piccante di Wagyu o le meravigliose crocchette in stile giapponese possono seguire gli spaghettoni udon in un elegante brodo al curry con Wagyu o il Sukiyaki, tipico piatto della famiglia giapponese. Un tegame con un intenso brodo a base di soia e zucchero, sottili fettine di controfiletto, tofu e verdure miste e un uovo in camicia, il tutto cotto a bassa temperatura.
Cantina fornita di importanti vini italiani e francesi, una bella selezione dedicata ai sakè e qualche birra giapponese. Servizio consono al costo dell’esperienza. Da non perdere.

“Where did you take the ‘nduja chef?”
“We made it.”

Carlo Mirarchi risponde così se gli chiedete chi sia il fornitore di quella suadente farcia di un unico raviolo servito a metà cena. Si rivelerà di incredibile equilibrio, piacevolmente piccante. Un dosaggio tra carne, grasso, peperoncino e affumicatura matematicamente studiato per piacere e compiacere il palato. Un equilibrio che collocheremo nel gradino immediatamente antecedente alla perfezione quando incontra l’estratto di arancia rossa… e a scriverne è un Calabrese.
Questa è una delle sensazioni che ci ha lasciato la cucina del Blanca.

Un elegante bancone di marmo bianco, 12 sedie, 21 portate di un menù miniaturista che rimbombano al palato come un’eco in una caverna.
Dietro il “counter”, come lo chiamano da queste parti, si assiste ad uno spettacolo di cucina. Tra il riff di Starman, il ritornello di Changes e le note migliori della storia del rock che risuonano dal giradischi, si incastrano, in un contesto ideale, assaggi microscopici, minimali, potenti, terribilmente armoniosi e di impressionante concentrazione gustativa, che pongono in risalto una materia prima di esasperata qualità. In ogni assaggio, per cui bastano un paio di cucchiaiate, c’è spazio per pochi ingredienti valorizzati quasi con timore di rovinarne il sapore naturale.

Blanca è una fucina gastronomica in cui ricerca e sperimentazione si focalizzano sulle combinazioni dei gusti senza ammiccare a particolari virtuosismi tecnici. Tutto è cucinato nei modi e con mezzi tradizionali come forni, padelle, braci, e nel rispetto di tempistiche sacrali per un’esperienza realmente sopra le righe, imperdibile ed affascinante, come la storia di Carlo Mirarchi, americano del Long Island, di padre calabrese e madre panamense; oltre a dedicarsi alla cucina (da autodidatta), vanta aneddoti affascinanti come una laurea in arte alla New York University ed una miracolosa sopravvivenza ad un annegamento in mare durante una vacanza in Australia; evento, quest’ultimo, che gli ha cambiato la vita.

Blanca è una esperienza “carta bianca” non soltanto per ciò che si mangia -il menu viene consegnato in una busta al termine della cena- ma anche per la rigida policy di prenotazioni, e per l’antipatica volontà di non andare incontro alle esigenze del cliente, un po’ come per dire, “se non ti fidi non ho piacere di cucinare per te”.
Rigidità che prevarica le preferenze gustative spingendosi a disincentivare il cliente con intolleranze alimentari o altre particolari esigenze; all’atto della prenotazione leggerete infatti “Unfortunately, we can not accommodate allergies or dietary restrictions“.
Una policy, a tutti gli effetti, forse un po’ snob. Ma non ce ne vogliano i clienti più esigenti se a tutto ciò preferiamo dar spazio al cibo e alla filosofia dello chef in cucina che ama ripercorrere, con uno stile tutto suo, rigorosamente ermetico, i sapori di culture culinarie profonde, come quelle italiane e giapponesi raggiungendo un risultato che stordisce e stupisce ad ogni assaggio.
Una cucina svuotata del superfluo, nuda e cruda quanto più vicina alla compiutezza gustativa.
Chiudiamo il nostro racconto descrivendo il primo atto della teatrale serata: la preparazione della carne.
Una bistecca di Wagyu, curata direttamente dallo chef che procede speditamente con dedizione nella cottura.
Nel corso della cena, quel pezzo di carne verrà trattato come un simulacro.
Lo chef è un grande appassionato di stagionature e deve aver sperimentato differenti tipologie di cottura, temperature e tempistiche per cogliere l’essenza di un grandissimo prodotto. Verrà infornato e sfornato ripetutamente e la temperatura sarà controllata altrettante volte. Sarà una delle ultime portate salate. Un’epitome di golosità.

wagyu, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn

Alla cucina “retrobottega” (Blanca è lo speakeasy di haute cuisine di Roberta’s, formidabile pizzeria di cui parleremo nei prossimi giorni) si accede solo su prenotazione. I camerieri di Roberta’s vi ci accompagneranno facendovi addentrare tra gli ambienti della pizzeria.

Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Roberta's, Brooklyn

Il bancone. Conta dodici sedie.
bancone, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Il giradischi e la collezione di LP che saranno lo sfondo musicale della cena.

Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn

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Ultimi preparativi della linea prima dello show.
Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Lo chef entra timidamente. Fa un piccolo saluto agli ospiti…
Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
…e si mette all’opera.
Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Un bicchiere di sidro per iniziare. L’esperienza è tra le più costose della città (specie considerando le tasse e la mancia, escluse dai 195 dollari del menu). Ma a giustificarla ci sono, oltre alla cucina, un servizio eccezionale e una carta dei vini importante (dai ricarichi, purtroppo, eccessivi). Il sidro ed un bicchiere di tè sono le uniche bevande incluse nel costo del menu.
sidro, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Pesca nettarina, black lime e acqua di mandorla. Un cerchio perfetto.
pesca nettarina, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Una meravigliosa fetta di pancetta. Curata direttamente da Mirarchi, si scioglie lentamente in bocca.
pancetta, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Fagiolini, uva spina e cipollotti.
fagiolini, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Melone, anguria e macadamia. La freschezza e le temperature tengono a bada le spinte dolci.
melone, macadamia, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Buttermilk all’acetosella e patate dolci.
butter milk, acetosella, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Meraviglioso lo sgombro con infuso freddo al limone.
sgombro, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Pannocchia bollita e poi affumicata alla brace e foie gras marinato.
pannocchia, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Mirarchi mentre prepara gli intermezzi italici. Qui alle prese con i ricci, protagonisti del piatto successivo.
Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Torn spelt uni: tagliatelle tirate a mano, ricci e vongole. Pochi assaggi che creano dipendenza.
Torn spelt uni, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Agnolotti al lapsang souchong. Una meraviglia tecnica e gustativa. Sembra un piatto del miglior Crippa.
agnolotti, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Del raviolo con ‘nduja e arancia sanguinella abbiamo già detto: semplicemente magnifico.
raviolo, 'nduja, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
A metà cena viene servito un primo sorbetto: pomodoro Sungold semi dry, succo di pomodoro e lattuga di mare.
sorbetto, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
E si riparte presi per la gola con lo splendido lardo caldo e uva.
lardo, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Dentro quel carapace preparano un buttermilk con la testa del granchio.
granchio, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
“Crab bottarga”. Granchio cotto al vapore, carnoso e profondamente iodato.
crab bottarga, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Poi c’è un piccolo intermezzo di pura sostanza: burro cremoso.
burro cremoso, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
…da spalmare sulla focaccia proveniente direttamente dal forno a legna della pizzeria di casa.
focaccia, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Una goduria.
focaccia, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Il piatto della serata: wagyu, okra e riduzione di mosto.
wagyu, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Kumbucha e granita di anice issopo. Un sorbetto? No, un cancellino.
kumbucha, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Si ricomincia ma in maniera del tutto differente: maiale e cetriolo.
maiale e cetriolo, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Capitolo dessert. Non variano tanto nel costrutto ma seguono un filo logico esemplare nella scala sapori. Si pensa di approdare ad uno stato gustativo molto dolce ma all’ultimo boccone si ritrova sempre l’equilibrio. Il primo dessert servito è il gelato al pane a lievitazione naturale e yuzu.
dessert, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Biscotto al sesamo nero e lemongrass. Che meraviglia.
dessert, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Cocco, anacardo e peperoncino. Si inizia a virare verso il dolcissimo. Ma siamo ancora in perfetto equilibro.
dessert, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn

Chiude il reparto l’assaggio di cioccolato e nocciola.
cioccolato, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
cioccolato, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
In stile kaiseki (ma con un giusto tocco newyorkese), si chiude con un bicchiere di tè giallo cinese.
tè giallo, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
Il meritato riposo del braccio destro dello chef.
Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn
L’ingresso della pizzeria take away… nel retrobottega c’è la cucina stellata.
Roberta's, Blanca, Chef Carlo Mirarchi, Brooklyn

La carriera di Martin Benn è stata folgorante: forte dell’esperienza maturata da giovanissimo presso due pesi massimi del calibro di Michel Lorrain e Marco Pierre White, vola in Australia dove, a soli 25 anni, diviene primo cuoco del Tetsuya’s, probabilmente il più celebre ristorante della terra dei canguri, per poi dare vita (e lustro) alla sua creatura, il Sepia.
Le solidissime basi della scuola europea, plasmate dalle influenze del Giappone e del Nuovo Mondo, traspaiono nettissime in una cucina di grande finezza e profondità, mai banale e valorizzata dall’utilizzo di selezionate materie prime.

Il menù degustazione, scelta spesso obbligata a queste latitudini, è un gradevole mix di Oriente ed Occidente, sia per ingredienti che per tecniche di cottura.
La cifra distintiva della proposta gastronomica è la pulizia di sapori, lo scarso o nullo impiego di grassi aggiunti, ed il dosaggio perfetto dei condimenti.

La precisione certosina, anche nell’impiattamento, fa trasparire più di un’influenza nipponica, così come l’acidità, sempre misurata, ma spesso in piacevole evidenza, dà un tocco di modernità, chiesto a gran voce dalla cosmopolita clientela che frequenta il locale.
Tra un cocktail -ben fatto- al bancone all’ingresso, ed una veloce sbirciata allo smartphone, gli astanti chiacchierano amabilmente creando un vociare di sottofondo tutt’altro che comune in una grand table.

Il Sepia, se non fosse per la grandissima qualità di ciò che viene portato ai minuscoli tavolini, nudi, agghindati del solo tovagliolo, parrebbe anche ad un occhio attento, un bar, scuro e trendy… ma pur sempre un bar.
L’atmosfera, gli arredi, il servizio (a scanso di equivoci, di grande professionalità, ma veloce e distaccato), l’assenza di tovagliato, nulla lascerebbe presagire di essere seduti nel miglior locale della capitale, nonché in uno dei più in vista dell’intero Paese.
La Food Good Guide, non a caso, lo ha proclamato miglior ristorante d’Australia nel 2015.

Il nostro percorso è stato scandito da un crescendo di portate, ben congegnato e pienamente godibile.
Perfetto nella sua semplicità il sashimi di tonno, finemente arrotolato, formaggio di capra, avocado, ravanello e ciccioli di maiale, mix tra materia prima, freschezza e ruvida golosità.
Superba l’anatra per cottura ed abbinamento con cachi canditi, finocchio essiccato, aceto di fragoline di bosco.
Meraviglioso bilanciamento degli ingredienti tra wagyu Blackmore, cipolla arrostita, mostarda, funghi nameko, scalogno rosa sottaceto e shots di piselli.
Ci ha sorpreso in positivo anche la variazione di latte, per nulla stucchevole, goduriosa altalena di sapori a tinte dolci: cioccolato, yogurth al cocco, pudding di riso, dulce de leche di capra, sorbetto al latte di pecora, tortina, crisp, yuba.

La carta dei vini è ampia e profonda ma davvero poco praticabile. Pochissime le referenze sotto i 100AUD (70€ circa), e moltiplicatore degno di chi non bada a spese.
Molta sostanza e poca forma, quindi, per la nostra più interessante esperienza in Oceania.

Ostriche neozelandesi.
Ostriche, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Tris di Appetizer: Salmone saikou, uova affumicate, sudachi. Gambero affumicato, daikon sottaceto, shiso. Kingfish crudo, kabosu, tofu.
Appetizer, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Sashimi di tonno pinna gialla, formaggio di capra, avocado, ravanello, ciccioli.
Sashimi, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Capasanta, uovo di quaglia, cavolfiore, tartufo nero della Tasmania, fiori di brassica (dal sapore senapato). Sotto la cupola di spuma di cavolfiore un caleidoscopio di sapori.
Capasanta, Chef Martin Benn, Sydney
Abalone grigliato, yuzu, zabajone di dashi, pelle di pollo arrostita. Molto complesso, ogni boccone regala differenti sensazioni.
Abalone, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Granchio “spinner”, carota bianca, crema di miso Saikyo, petali di crisantemo fritti, alga nori.
Granchio, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Anatra, cachi canditi, finocchio essiccato, aceto di fragoline di bosco.
Anatra, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Wagyu Blackmore grigliata ai carboni, cipolla arrostita e mostarda, funghi nameko, scalogno rosa sottaceto, piselli.
Wagyu, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Mandarino, lemonade fruit (ibrido tra arancia Navel e limone), tè verde.
Mandarino, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Gelato al tartufo nero, nocciole tostate, rosmarino, miele Spotted Gum.
gelato al tartufo nero, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Variazione di latte: cioccolato, yogurth al cocco, pudding di riso, dulce de leche di capra, sorbetto al latte di pecora, tortina, crisp, yuba.
variazione di latte, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
Foresta di cioccolato: cioccolata morbida, nocciola e mandorla, crema di Violet Crumble, sorbetto di more, gelatina di sambuco e limone, tè verde, liquirizia, rametti di cioccolato, finocchio dorato.
foresta nera, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney
La sala.
sala, Sepia, Chef Martin Benn, Sydney

Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan

Kobe a Kobe.
Giunti nel Paese del Sol Levante, non potevamo esimerci dall’affrontare un lungo ma rapido viaggio su rotaia per testare la “real kobe meat” nella sua terra d’elezione.
È una tensione perenne quella dell’incallito gourmet, che non si sente appagato se non ha provato il meglio di tutto ciò che di edibile ci sia al mondo.
Non venire in questa moderna metropoli del Kansai, quasi interamente ricostruita dopo il terribile terremoto del 1995, e per questo fortemente occidentale, con quasi inesistenti richiami alla vita imperiale che fu, sarebbe stato come, per uno straniero, venire in Italia e non mangiare la pizza a Napoli.
Ci siamo sacrificati anche per voi, carissimi lettori, sì da comprendere appieno il fantastico mondo della wa-gyu che, nella scheda del Bifuteki no Kawamura, così riassumevamo:

“Spesso si generalizza, errando, identificando la carne di Kobe con tutta la carne giapponese. In numerose prefetture del Sol Levante, infatti, viene allevata la wa-gyu, non solo in quella di Hyogo, dove la città di Kobe è situata.
La wa-gyu si divide in quattro razze: Japanese Black, Japanese Brown, Japanese Polled e Japanese Shorthorn.
La Japanese Black, indiscutibilmente la migliore per qualità della fibra muscolare, si divide a sua volta in quattro ceppi: Tottori, Tajima, Shimane and Okayama.
Si badi bene, può essere denominata Kobe solo la wa-gyu del ceppo Tajima allevata nella prefettura di Hyogo che ha superato rigidi esami qualitativi che prevedono l’utilizzo di ulteriori sottoclassificazioni: a) Yield score (da A – più alta – a C) indica la percentuale in una carcassa di tagli utili al consumo; b) Meat quality score (da 5 – più alto – a 1) indica la qualità complessiva della carne in ragione del colore, della consistenza, del grasso; c) B.M.S. – beef marbling score- (da 12 – più alto – a 1): indica la percentuale di grasso all’interno della fibra muscolare.
La carne proveniente dalla razza Tajima allevata nella Prefettura di Hyogo può essere chiamata Kobe solo se ha uno Yield score pari ad A, un Meat quality score di 4 o 5 ed un B.M.S. pari o superiore a 6.”

Orbene, dopo aver tanto peregrinato, possiamo senza dubbio affermare che la bontà assoluta della carne giapponese si raggiunge non quando il B.M.S. sia al massimo grado (in quel caso se dapprima vi sembrerà di portare le papille in paradiso, dopo poco saranno talmente esauste da non consentirvi di deglutire più di un paio di bocconi di ciccia), ma allorchè vi sia un giusto compromesso tra la quantità di grasso e fibra muscolare.
Al Wakkoqu, uno dei principali fari dell’immenso mare della carne giapponese, pensiamo di aver raggiunto l’acme della piacevolezza complessiva.
La carne ha uno straordinario sapore di carne (con i tagli di wa-gyu più esasperati, strano ma vero, non sempre è così), con una suadenza ed una scioglievolezza con pochi pari, ma senza eccessi saturanti palatali.
La maestria dei cuochi al teppanyaki completa l’esperienza visiva.
È una gioia scorgerne le movenze, ripetute, sempre perfette, essenziali.
Elemento di non poco momento è il costo, sensibilmente inferiore ai pari grado di Tokyo, che dona contorni più “umani” all’esperienza e consente anche a chi ha portafogli meno profondi di godersi questa gioia.

Verdure.
Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
Roastbeef.
roastbeef, Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
Condimenti: salsa di soia, soia e lime.
salsa di soia, Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
250g sirloin Top grade (9/10 B.M.S.).
Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
Close up.
Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
Chef all’opera.
Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
Si gira…
Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
Il piatto con aglio, sale, pepe e mostarda (piuttosto inusuale in Giappone).
Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
Insalata di incredibile sapore.
insalata, Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
Il pranzo è servito…
Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
Il grasso laterale viene servito in seguito, necessitando di una cottura leggermente più lunga.
Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
Germogli di soia con gli “scarti” della bistecca.
germogli di soia con scarti bistecca, Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
Immancabile il riso…
riso, Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
…ed i sottaceti.
sottaceti, Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan
La sala.
sala, Wakkoqu, chef Kensuke Sakata, Kobe, Japan

Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto

In una terra in cui i cambiamenti culturali sono registrati adottando il secolo quale unità di misura, quello di Hideichi Katagiri sembra essere un locale molto recente. Dal 2003, infatti, con lo spostamento da Shiga al centro di Kyoto, il Maestro officia da Isshin, pur non essendo più un ragazzino. Ma il fermento creativo che Hideichi San ha dimostrato e dimostra ogni giorno non accenna a sopirsi. E il motivo è molto semplice.
Premesso che qui l’assoluta protagonista è la carne, come possiamo collocare Isshin nelle rigide categorie della tradizione culinaria nipponica?
E’ un teppanyaki? No, qualcosa a volte viene fatto al Teppan ma non molto. Una steakhouse? No, per carità, sarebbe ridicolmente troppo riduttivo.
La verità è che Hideichi San ha sviluppato uno stile tutto suo, unico. Ha preso, in sostanza, un singolo ingrediente come la carne (e che carne…) e attorno ad esso ha creato numerose e originali declinazioni adottando una visione da vero Maestro Kaiseki. E nel realizzare il suo percorso gustativo ha utilizzato anche gli strumenti tipici di un Sushi master.
Il nostro è stato un viaggio in un mondo “da carnivori” che ha veramente pochi eguali. Abbiamo scoperto tagli e marinature lontane dalla nostra cultura. E gli abbinamenti tra carne e pesce sono sempre stati perfetti, in un crescendo di intensità gustativa difficile da dimenticare.
La carne è la Wagyu di un allevamento vicino Kyoto. Mirabile la sua bontà, con una percentuale di grasso tale che ci è sembrata una caratteristica imprescindibile per poterla assaporare cruda o al più marinata: il grasso, infatti, diventa un veicolo di sapore fondamentale.
Una delle tante specialità di Isshin è il taglio della parte interna della spalla: un piacere raro visto che da un singolo animale se ne possono ottenere appena due preziosissimi chilogrammi. Ma Hideichi San non disdegna altre parti meno pregiate, come lingua o coda, trattati con una maestria incredibile.
Il gusto estetico è in puro stile Kaiseki, così come la scelta di proporre un menù obbligato con tante mini porzioni. Ci si affida al Maestro e ci si lascia condurre, il leitmotiv a noi tanto caro in ogni locale giapponese.
Vedere lo chef al bancone è come sempre uno spettacolo: ricordatevi quindi di chiedere il “counter” (è disponibile anche una saletta privata ma quella lasciatela ai business man con gli occhi a mandorla).
Un viaggio nella Wagyu, tra le sue inaspettate sfumature e complessità. Un one man show che sarebbe un delitto non conoscere se avete la pretesa di comprendere, fino in fondo, la grande cucina giapponese.

Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Spalla, caviale di pesce e crema di melanzana.
spalla, caviale, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Trippa e gelatina di prugna umeboshi.
Spalla e crema di sesamo.
Polpa con crema di teste di gambero.
trippa, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Lingua con dumpling di gamberi in zuppa di miso.
lingua, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Spalla marinata in alga combu e agrumi.
Ravanelli, asparagi, pomodoro, succo di yuzu, pompelmo e pepe rosa: incredibile il sapore del pomodoro.
Un piatto che fa cadere ogni costruzione teorica sulla presunta inferiorità della cucina di assemblaggio, sempre che questa possa essere considerata tale. Preparazione semplicemente fantastica per gusto e misura.
spalla marinata, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Sashimi di lingua con trito di alga e funghi: quanto è buona questa carne in sashimi…
sashimi di lingua, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Mousse di fagioli di soia, coda in gelatina, zenzero e gelatina di soia. Altro grande colpo: come rendere elegante un piatto che più rustico non si può. Questa è grande cucina.
mousse di fagioli, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Sushi di coscia marinata.
Maki di lingua, melanzana, funghi e avocado.
Carne marinata alla soia e cipollotto.
Un viaggio nelle consistenze della carne.
sushi, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Spalla marinata allo zenzero in gelatina di brodo dashi.
spalla marinata allo zenzero, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Controfiletto marinato e cotto alla brace di faggio con mousse di soia e insalata verde alla soia.
controfiletto, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
La mousse di soia.
mousse di soia, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Zuppa di alga nori e combu, sfilacci di coda in brodo di carne e sesamo. A lato le immancabili verdure fermentate in aceto (daikon e cetriolo).
zuppa di alga nori, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Variazione di fico: marinato e in crema bruciata con gelato di fagioli azuki.
variazione di fico, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Questa volta divieto d’accesso al té verde: un pinot nero a farci compagnia.
Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone