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Under 10: Corvina Veronese

Due firme e due millesimi

Corvina Veronese IGT “Torre del Falasco” 2019 – Cantina Valpantena

Torre del Falasco è la linea di punta della Cantina Valpantena, realtà che accoglie e raggruppa 250 aziende agricole del veronese. Il nome si deve a una leggenda, che narra del brigante Falasco e del suo nascondiglio entro una torre situata nella zona. Con tale linea infatti Cantina Valpantena vuole omaggiare la tradizione veneta, che non può prescindere da un vitigno territoriale come la Corvina Veronese.

La frutta rossa, la terra e il cacao: sono queste tre le note predominanti del naso, che si mescolano in un bouquet di buona intensità. Conferma al gusto il profilo fruttato e succoso, vividamente giovane. Freschissimo e piuttosto sapido, integra perfettamente il tannino a tutte le altre componenti del sorso, che si afferma in un bell’equilibrio. Lo suggeriamo in abbinamento a un risotto alla salsiccia.

C/o Vino.com: 5,90€

Corvina Veronese IGT “Castelforte” 2018 – Cantine Riondo

Il gruppo Collis-Riondo rappresenta una delle più grandi realtà vitivinicole del Veneto, con i suoi 1.800 soci agricoltori e un totale di 6.000 ettari di vigneto.  Castelforte è la linea di élite dell’azienda Cantine Riondo e vuole costituire un piccolo scrigno di eccellenze enologiche venete, pensate per onorare la migliore gastronomia locale e non. Il suo nome si ispira idealmente ai castelli di origine longobarda presenti nella provincia di Verona. Bollicine, bianchi fermi e rossi: nella linea Castelforte è compresa ogni sfaccettatura della viticoltura veneta. Oggi vogliamo porre l’accento su uno dei suoi vitigni a bacca rossa più caratteristici, la Corvina Veronese.

Stratificato, spesso e coinvolgente. Il naso mostra le tracce di quell’anno di maturazione in più sul millesimo attualmente più diffuso in commercio per questa varietà. Esiste la componente speziata ma anche quella fruttata, che riporta alla ciliegia in confettura e sotto spirito, con una lieve parte pungente di muschio. Il sorso è composto, morbido e di grande equilibrio, grazie al tannino levigato e a quella freschezza che assume già contorni eleganti. Da gustare in accompagnamento a una guancia di maiale brasata.

C/o Vino.com: 6,90€

Binomio di Bardolino

Bardolino DOC “Torre del Falasco” 2019 – Cantina Valpantena

Una realtà che raggruppa oggi 250 aziende agricole, quella della Cantina Valpantena, a cui si sono aggiunte ulteriori 150 produttrici di olio nel 2003. Un totale di 750 ettari vitati – di cui 30 a conduzione biologica – racchiude l’espressione viticola della terra veronese, che trova nella Valpantena la sua cornice. Torre del Falasco è la linea di punta della Cantina, che prevede una grande selezione delle uve fin dal vigneto. Il Bardolino – in questo caso uvaggio di Corvina Veronese e Rondinella – fa parte della tradizione vinicola locale e, pertanto, non può mancare entro questa linea di pregio.

Naso dal profilo fruttato e composto, che si introduce con note di confettura di more per poi lasciare spazio al progredire del caffè e delle spezie. Il sorso è molto fresco, tessuto in un corpo moderato con la giusta ruvidità tannica. L’impronta sapida emerge in seconda battuta e si lega alla traccia fresca in persistenza. Lo consigliamo in abbinamento a uno spezzatino di manzo con i funghi.

C/o Vino.com: 5,90€

Bardolino DOC “Corte Giara” 2019 – Allegrini

Allegrini è uno dei nomi storici del vino veneto. Da oltre quattrocento anni la famiglia che porta tale nome ha dedicato la sua vita alla produzione del vino e alla valorizzazione della Valpolicella. La loro passione fa perno da sempre sulle bacche rosse, come da vocazione viticola locale. Di esse Allegrini è diventato sinonimo di eccellenza, portando il proprio storico e la propria esperienza dalla Valpolicella Classica fino al cuore della Toscana. Il Bardolino “Corte Giara” si compone per il 50% di Corvina Veronese, per il 35% di Rondinella e per il restante 15% di Molinara. A seguito di un’accurata cernita delle uve – cresciute sulle colline moreniche nei pressi del Lago di Garda – la vinificazione si svolge entro soli contenitori di acciaio, per poi ultimare il suo percorso con un affinamento di due mesi in bottiglia.

Accenna una bella complessità al naso, fatta di tracce terrose e speziate, ancora prima di quelle fruttate. Sono i fondi del caffè, la liquirizia e la cannella a delineare un profilo coinvolgente. Morbido, sapido, ben equilibrato seppur in evidente giovinezza. Un ottimo vino per accompagnare un piatto di agnolotti ripieni di carne.

C/o Vino.com: 7,50€

A pochi passi dal Lago, un’elegante struttura alberghiera dal taglio moderno

Fabio Cordella, originario della provincia di Lecce, ha preso le redini de La Veranda del Color a fine 2016, anno di assegnazione della prima stella Michelin, dopo un trascorso come sous chef nella medesima struttura sotto l’egida di Giuseppe D’Aquino prima e Enzo Ninivaggi poi – a cui si deve il raggiungimento del primo macaron. Il locale è situato nell’omonimo hotel, una struttura moderna sita a poche centinaia di metri dal Lago di Garda, riva veronese, nel comune di Bardolino.

Nomen omen dal momento che la “veranda” sovrasta la splendida sala all’aperto, la quale accoglie nelle serate estive una clientela nella maggior parte dei casi alloggiata nell’hotel adiacente.

La precisazione non è peregrina ma inquadra il concept culinario cui sta dando seguito Cordella con la sua brigata: garantire l’immediatezza delle preparazioni a un pubblico più variegato possibile.

Sebbene l’intento abbia una propria legittimità imprenditoriale, e dia seguito a piatti che dimostrano una tecnica nella maggior parte dei casi corretta, è pur vero che, a un’analisi complessiva, presenta un effetto boomerang dagli esiti, ahinoi, discutibili: limitare la sperimentazione, mancando l’obiettivo di definire una riconoscibilità che identifichi la mano (e la mente) alla base dell’ideazione delle portate. Ed è un peccato, perché in almeno due casi le premesse erano assai interessanti.

Un percorso diviso in due, con un’identità da definire

Nella nostra visita abbiamo optato per il percorso da 8 portate, “L’Orizzonte”, proposta che affiancava i menu “Terra”, “Mare” e “Natura”, da 4 portate ciascuno. Per avere una panoramica più completa abbiamo indicato la preferenza per un servizio misto, tra carne e pesce – inspiegabilmente non di lago, per nostra sorpresa. Il risultato che ne è seguito è stato per lo più ben eseguito, ma solo in un paio di casi identitario e memorabile.

Ci riferiamo alla granseola, olio agli agrumi e caviale, in cui la dolcezza del crostaceo si è perfettamente sposata con la lieve acidità dell’olio e la lunghezza iodata del caviale in chiusura, piatto equilibrato ed elegante e, ancora,  ai fusilloni, pesto di aglio nero, stracciatella, scorza di limone, crumble di Parmigiano, il piatto migliore del servizio. La nota leggermente amara dell’aglio, la freschezza del limone, il gioco di consistenze del Parmigiano Reggiano, la struttura della stracciatella, ogni elemento si è sposato con l’altro, rilanciandolo e completandolo per il piacere del palato. Un piatto da mangiare e rimangiare, tanto era ben fatto.

Discorso a parte merita, invece, il risotto con maionese di dragoncello, gelato di ricci di mare, ‘nduja e lime, signature dish dello chef. Nato coi più nobili intenti, ovvero omaggiare la Puglia coi ricci di mare, la Calabria con l’nduja e Verona col riso, ha visto purtroppo concretizzarsi un’irrisolutezza complessiva a causa della presenza del gelato, il quale ha monopolizzato ogni contrasto gustativo, senza che nemmeno la piccantezza dell’nduja riuscisse a modificarne le sorti.

Confermiamo, quindi, il voto dell’ultima visita, coi migliori auspici che possa fungere da incentivo a osare un pochino di più, magari andando incontro al rischio di non risultare immediati a tutti ma avendo il coraggio di onorare la stella che fregia questa tavola e il suo chef.

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Incastonato tra i Colli Berici, il regno di Andrea Basso

Andrea Basso ha meno di quarant’anni eppure già vanta un curriculum di notevole profondità. Formato professionalmente dal 2003 al 2006 come capo partita ai primi e alla pasticceria nel tempio de La Peca, sotto l’egida della famiglia Portinari, completa la sua formazione presso il Villa Michelangelo nel 2007 e, l’anno successivo, all’Osteria Toni Cuco, sempre nel vicentino. L’anno di svolta è però il 2010, quando assieme all’amico e collega Stefano Leonardi (scomparso nel 2015) apre il ristorante Trequarti, tempio della sua identità in cucina dove Basso non disdegna anche di osare e di prendersi dei rischi a volte anche eccessivi. Coadiuvato da un servizio gestito dal direttore di sala e sommelier Christian Danese – collega di Basso prima a La Peca e ora al Trequarti – abbiamo vissuto un’esperienza interessante in un ambiente minimal ma tutt’altro che anonimo: il locale è, infatti, composto da tre sale dedicate alle diverse occasioni del pasto, divise dai colori rosso, blu (per i gruppi più numerosi) e bianco (per i tavoli da due).

Tra ‘carezze’ e ‘schiaffi’, un percorso con alcuni elementi di ricalibrare

La degustazione pesca da due macro-filoni: le “caresse” e le “man roverse”, carezze e schiaffi, ovvero la rotondità più confortevole e la creatività più spinta. L’idea è lodevole e permette al commensale di conoscere a 360° il concept culinario che anima il Trequarti; la realizzazione, però, alterna portate ottimamente riuscite ad altre che presentano piccoli dettagli da ricalibrare. Un esempio: il vitello tonnato 2.0 dove il girello di vitello viene cotto nel vino bianco per poi essere lasciato sott’olio un mese. L’intento è restituire un taglio che assomigli al trancio di tonno, da accompagnare alla salsa tonnata e alle foglie di cappero. L’idea è ottima, e la presentazione suggestiva, ma abbiamo riscontrato un eccesso complessivo di sapidità che ne ha, ahinoi, inficiato il risultato. Discorso non dissimile, ma per difetto, anche nei tortelli di baccalà, trippe in umido e nasturzio, in cui la farcitura del baccalà ha monopolizzato la riuscita complessiva, senza che nemmeno la componente vegetale spezzasse la monotonia gustativa.

Episodi minimali, questi che, con piccoli aggiustamenti, saranno agilmente superati anche in virtù della presenza di momenti davvero vertiginosi. Su tutti, impossibile non citare lo spaghetto con scampi, pomodoro confit e lime, in cui era tutto un rincorrersi tra la nota iodata dello scampo, la dolcezza del pomodoro e, in chiusura, la lieve acidità del lime, a pulire e rilanciare il boccone successivo. Un piatto squisito. In egual misura, meritorio di menzione anche il miglior piatto del servizio, ovvero salmone e caffè dove salmone, cotto solo da un lato, è stato salato dall’altro e adagiato su un infuso kombucha di caffè. Ne è uscito un incrocio potentissimo tra l’acidità del caffè e la sapidità della carne, che ne ha garantito una lunghezza a tratti sbalorditiva. Un piatto ottimamente pensato e splendidamente eseguito.

Sul versante dolci abbiamo molto apprezzato la spuma di aneto, finocchio croccante, frutti rossi fermentati e granella al cacao, un dolce non-dolce ben calibrato tra la nota balsamica dell’aneto, l’acidità della frutta e spezzato dalla croccantezza del finocchio. Una chiusura originale.

Possiamo dirci complessivamente soddisfatti dell’esperienza, augurandoci (ma siamo certi avverrà) che questa cucina possa arrivare a esprimersi al massimo della sua potenzialità, continuando a regalare emozioni.

La Galleria Fotografica:

Le due facce del bianco

Verdicchio Classico Superiore “Casal di serra” 2019_Umani Ronchi

L’azienda, ormai orientata alla viticultura biologica dal 2001, produce questo fantastico vino con viti di età intorno ai 30 anni, che crescono in vigneti situati a un’altezza compresa fra i 200 e i 350 metri sul livello del mare, affondando le radici in un sottosuolo di matrice franco-argillosa e calcarea. La vinificazione ha inizio con una pressatura soffice ed ha seguito con una decantazione. La fermentazione alcolica avviene a temperatura controllata in vasche d’acciaio (per 10-15 giorni) mentre l’affinamento si protrae per circa 5 mesi in acciaio, periodo in cui il vino rimane a contatto coi lieviti.

Un vino che al naso si presenta con sentori di fiori bianchi e di pesca nettarina dell’Etna, mela annurca e un’ acidità pungente già riscontrabile al naso. Tutte conferme trovate al sorso: è un vino poderoso, ricco di nerbo ma dalla bevibilità elevata. Fresco, generoso. Non si direbbe mai che il prezzo è sotto i 10 euro. Si consiglia in abbinamento a un calamaro fresco cotto alla griglia.

Prezzo online Callmewine: 8,60 euro

Monte Fiorentine Soave Classico 2018_Ca’ Rugate

Questo soave, sfata molti luoghi comuni di una zona che spesso è considerata, ingiustamente, di secondo piano. E invece questo straordinario prodotto, si origina dai vigneti del Monte Fiorentine a nord del colle Rugate, a Brognoligo di Monteforte d’Alpone, su terreni vulcanici ricchi di sostanze minerali che gli donano note intense, quasi tartariche. Vinificato in bianco con fermentazione in serbatoi d’acciaio inox a 16-18°C per un periodo di circa 10-15 giorni, è un vino che non a caso viene messo in commercio non nell’ultima annata prodotta, in quanto ha bisogno di un buon periodo di riposo in bottiglia per donare il massimo di se.

Dal colore paglierino giallo carico. si presenta intenso e ricco di sfumature olfattive di frutta matura esotica e di agrumi, in particolare un lieve sentore di bergamotto e finanche una punta lieve di chinotto. In bocca è rotondo, spesso, quasi “grasso” e si accompagna a note minerali e sapide spinte. Un vino che regge anche pietanze più complesse e  articolate, anche un grande plateau di formaggi di capra.

Prezzo online Xtrawine: 9,90 euro