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Undicesimo Vineria

Gli enfants terribles della cucina italiana: una generazione di cuochi che non arriva agli “anta” e sta gettando le basi per un futuro davvero roseo della nostra ristorazione

Oliver Piras e Alessandra Del Favero, i fratelli Pellegrino con Isabella Potì, Gianluca Gorini, Antonia Klugmann, Luciano Monosilio, Luca Abbruzzino, Giuseppe Iannotti… e l’elenco potrebbe essere molto, molto più lungo.
E poi c’è lui.
O, meglio, ci sono loro.
I folli veri.

Francesco Brutto, one man show nella cucina dell’Undicesimo Vineria di Treviso. E Regis Ramon Freitas, “brasilo-trevigiano”, tassello fondamentale di quel puzzle che rappresenta la proposta del locale. Non si può più parlare di abbinamento vino-piatto, ma di completamento: ciò che viene servito nel bicchiere è parte integrante del risultato gustativo che la cucina intende raggiungere. A questi livelli, sia di intesa che di conoscenza delle rispettive parti, non ci vengono in mente tanti altri esempi in Italia.
Ma ritorniamo a Brutto: dicevamo, folle vero. Come definireste uno che gestisce fino a 10 tavoli da solo, con l’unico aiuto di un lavapiatti?

C’è un dettaglio che può spiegare il livello di maniacalità nel lavoro di questo giovane cuoco: lo vedrete spesso nel corso del pasto uscire dalla cucina per andare a raccogliere le erbe in giardino. Il “malato vero” è uno così, uno che non ritiene adeguato nemmeno -ma d’altronde, Brutto ha lavorato a lungo in cucina con Piergiorgio Parini, non poteva essere diversamente- raccoglierle la mattina in previsione del servizio, non sarebbero abbastanza fresche…
La figura di Brutto inserisce nel panorama della ristorazione la suggestione per una nuova figura, un professionista a metà tra il barman e il cuoco. L’attenzione alle erbe, ai loro risvolti olfattivi e gustativi, all’abbinamento con i diversi ingredienti, lo pone molto vicino ai grandi barman del pianeta. “Piccione, limone alla china, acqua tonica e sanguisorba” (un piccione al gin tonic!) oppure “Oxalide, lardo, fragola fermentata, stellina odorosa e karkadè bianco” sono preparazioni dove l’aroma degli ingredienti gioca un ruolo primario e il risultato, prima al naso e poi al palato, è inebriante. Dosaggi di precisione millimetrica: in continuo bilico sul filo del plausibile, un passo in là e ci sarebbe il vuoto. O ancora i “Tortellini di tamarindo fermentato, doppia panna e angostura”, completati dal Rosato Massa Vecchia: la rimodellazione di un aperitivo, una preparazione che lancia davvero in avanti le prospettive dell’abbinamento grasso/vegetale/alcool. In questo senso ci si avvicina molto alla figura del mixologist.

Poi entra prepotente il cuoco.
Ad esempio nella perfetta cottura del “Raviolo di frattaglie di rombo, uova di rombo, cervello di vitello, vitello crudo e tagete lucida”, un gioco spericolato nel nome ma non nei fatti, dove l’affinità gustativa tra cervello di vitello e uova di rombo è sorprendente e rende questo piatto gourmand e affilato come mai ti aspetteresti. O nella precisione del “Rognone tandoori”, completato da un Vermouth home made con Rose Lemonade, piatto dal minimalismo esasperato eppure così carico di aromi e suggestioni.
Si chiude con un capolavoro assoluto come “Castraure, ambretta, tuorlo d’uovo e nepetella”: ancora, ancora e ancora.
Un pranzo qui sconvolge dal profondo, e non abbiamo dubbi ad inserire questa tavola tra le dieci più “calde” del momento.

Cosa manca allora per una corretta evoluzione? Manca un pensiero maturo (ed è forse normale sia così).
Va sviluppato un pensiero che vada oltre il già lodevole studio degli ingredienti e dell’abbinamento per assonanza gustativa. Questa cucina, da fotogramma di un presente, deve diventare racconto, sia che decida di guardare al passato sia che voglia proiettarsi verso il futuro. Serve un filo rosso spesso, resistente e visibile che leghi le fantastiche esperienze gustative regalate dalle idee di Brutto.

Non è poco, ma i nostri enfants terribles sono capaci di questo e molto altro.

 

Il connubio tra mura romane ed elementi di design ultramoderni rende assolutamente originale e fascinoso l’ambiente del Gellius. Al punto che quasi meriterebbe una visita anche a prescindere dalla cucina.
Si ha la sensazione di mangiare all’interno di un sito archeologico arricchito però da elementi di raffinata modernità. In particolare il nome del ristorante trae origine dal fatto che tra i reperti del luogo pare vi fosse anche la lapide del patrizio romano Caio Gellius.

Al Gellius si è aggiunto in epoca recente un bistrot, il Nyù, dove cucina e sala costituiscono un unico ambiente che dà l’idea di un museo con elementi high tech. La cucina del bistrot, curata da Daria Casamichele, propone a pranzo un light lunch, mentre la sera la proposta è più strutturata seppure nel solco di una grande semplicità ed immediatezza, a prezzi poco più alti di quelli di una trattoria.
E poi c’è la cucina del ristorante stellato, affidata dall’ormai lontano 2001 alle esperte mani di Alessandro Breda, cuoco formatosi frequentando prestigiose cucine in Italia e all’estero quali il Four Seasons a Londra, l’Enoteca Pinchiorri, Tantris a Monaco di Baviera e, last but not least, approdando alla corte del Maestro Gualtiero Marchesi.

Scuola classica, quindi, come classica si rivela la sua cucina. Sulle note dell’eleganza Breda declina preparazioni con mano ferma da cuoco navigato qual è, mettendo in mostra una conoscenza delle tecniche di cucina non indifferente. Anni di studio e sacrificio che oggi si esplicitano sul calore sprigionato dalla fiammante Molteni di guardia in cucina. Una filosofia che abbraccia i ricordi dei pasti preparati dalle nonne la domenica in chiave moderna, fatta di fuochi, padelle sfrigolanti e forni roventi. Tecnica ineccepibile dunque al cospetto di una vena nostalgica perfettamente contestualizzata con la location.
In un omaggio al territorio, quella provincia trevigiana che all’ombra delle Dolomiti scorge la laguna veneziana all’orizzonte, la carta si divide equamente tra piatti di terra e di mare. Una cucina che si pone l’obiettivo di voler andare incontro al gusto dei più, disegnando traiettorie morbide percorse ad una velocità di crociera utile per godere del paesaggio circostante.

Il servizio disteso e cordiale, nonostante le tempistiche migliorabili, introduce una carta dei vini importante che propone un vasto assortimento di etichette italiane (Piemonte in primis) ed internazionali. Ci si sente immersi in ambiente delicato e accogliente, discretamente distaccato dal resto del mondo, ambizioso e un po’ narciso. Tutto lascia presagire ad una ricerca stilistica minuziosa, eppure, nella nostra ultima visita, abbiamo percepito un po’ di stanchezza, intesa non in termini di esecuzione dei piatti, ma purtroppo nella concezione degli stessi. Il menù degustazione proposto a sorpresa di sorprendente rivela ben poco. Durante il pasto si alternano piatti più convincenti come il Risotto, goloso e perfettamente eseguito che si fa apprezzare anche per la precisione della cottura, o i Tortelli (al cacao) di mandorle con polvere di acciughe, ad altri meno stimolanti come la Costata di manzo servita con crema di patate al limone.
Una cena che assomiglia ad una conversazione attesa e sostenuta con l’amico di una vita, che però pecca in brillantezza. Troppi i piatti incastrati nel limbo della piacevolezza, che pur non deludendo mai non riescono nemmeno a convincere del tutto. Sarebbe lecito quindi aspettarsi di più da un cuoco come Breda, che negli anni ha fatto vedere di saper padroneggiare l’arte come pochi altri colleghi.

Spugna di arachidi con gel di arancia

spugna di arachidi, Gellius, Chef Alessandro Breda, Oderzo, Treviso

Molto buono il Burro alla nocciola

burro alla nocciola, Gellius, Chef Alessandro Breda, Oderzo, Treviso

Zucchine fritte e alghe

zucchine fritte, Gellius, Chef Alessandro Breda, Oderzo, Treviso

Crema di cipolla, pancetta croccante, pane di segale

crema di cipolla, Gellius, Chef Alessandro Breda, Oderzo, Treviso

Il degustazione inizia con la freschezza di sapori e la delicatezza della Ricciola marinata in ceviche di frutta e in tempura, piatto sostanzialmente mono-ingrediente che gioca molto sulle diverse consistenze al quale avrebbe giovato secondo noi anche un più marcato contrasto tra le temperature

ricciola marinata, Gellius, Chef Alessandro Breda, Oderzo, Treviso

Tortelli (al cacao) di mandorle, polvere di acciughe, parmigiano soffiato

tortelli al cacao, Gellius, Chef Alessandro Breda, Oderzo, Treviso

Risotto con finferli e mortadella croccante mantecato al cremino di Vezzena. Sopra, un giro di salsa al vino rosso

risotto, Gellius, Chef Alessandro Breda, Oderzo, Treviso

Costata di manzo disossata, crema di patate al limone

costata di manzo, Gellius, Chef Alessandro Breda, Oderzo, Treviso

Cioccolato bianco, fragola, rabarbaro e sorbetto al sambuco

dessert, Gellius, Chef Alessandro Breda, Oderzo, Treviso

Piccola pasticceria

piccola pasticceria, Gellius, Chef Alessandro Breda, Oderzo, Treviso

Dida foto dodici.

Gellius, Chef Alessandro Breda, Oderzo, Treviso

Imbattersi nell’Eccellenza per puro caso.
E’ bello sapere che può ancora accadere. Certo è sempre più difficile oggi, data la velocità delle comunicazioni e l’attenzione, molto maggiore che in passato, verso tutto ciò che accade nel mondo del cibo.
Ma può ancora succedere.

Zero81 non ce l’ha consigliata il solito amico né ce l’ha suggerita un attento lettore. No, ci siamo capitati per caso. Eravamo in zona, avevamo voglia di pizza e siamo entrati.
Ma procediamo con ordine. Lui si chiama Sergio Gargiulo e la sua storia è singolare. Originario di Castellammare di Stabia, un lontano passato di pizzaiolo a Bassano del Grappa e poi il ritorno a Castellammare dove per ben dieci anni fa tutt’altro: l’agente immobiliare. Ma con inalterata la passione per la pizza che continuava a praticare nel forno a legna di casa per la gioia di familiari ed amici.
Quindi nel 2015 la passione torna a diventare professione. Ritorna al nord con la famiglia e apre a Treviso Zero81. La sua pizzeria.

All’ingresso ci aveva colpito la lavagna su cui c’è scritto “impasto fatto a mano”. Il pensiero non può che correre a Franco Pepe. E, lontanamente, proprio l’impasto di Pepe ci ha ricordato la pizza di Zero81. Morbido, scioglievole, leggero. Leggerissimo. Gargiulo ci conferma che solo impastando con le mani riesce ad ottenere i livelli di idratazione e di leggerezza che lo soddisfano. Aggiungiamo che la lievitazione avviene solo a temperatura ambiente e l’impasto viene, ovviamente, realizzato tutti i giorni.

Si dice che uno dei modi per valutare la bontà di una pizza sia la prova delle 8 ore (successive). Per valutarne la digeribilità. E’ verissimo. Ma ne aggiungeremmo un’altra di prova.
In poche, pochissime pizzerie (parliamo di pizza napoletana) mangi una pizza intera, con tutto il cornicione, e subito dopo ne mangeresti un’altra, intera, senza nessuno sforzo. Questo è un indice di eccellenza assoluto.
E dire che non eravamo neanche disposti benissimo. Causa i fritti che hanno preceduto le pizze, sui quali, a nostro giudizio, c’è ancora molto da lavorare. Ma poco importa: arrivate le pizze, già toccandole ci ha sorpreso la lievità dell’impasto. Poi, all’assaggio, si ha quasi la sensazione di mangiare una nuvola.

Gli ingredienti? Quelli di sempre: farina (0 e 00 e piccole quantità di 1), acqua del rubinetto, sale artigianale di Trapani, lievito (di birra) e soprattutto tanta, tanta passione. Che porta Gargiulo a sperimentare continuamente nuove farine nuove composizioni, nuovi impasti. La sua è a tutti gli effetti una sorta di pizzeria-laboratorio.
Dell’impasto, che è la cosa più importante, si è detto. Aggiungiamo che gli ingredienti utilizzati per condire sono di assoluta eccellenza: pomodoro San Marzano DOP schiacciato a mano, fiordilatte campano e mozzarella di bufala del caseificio Il Casolare di Alvignano (CE), olio extravergine Fontana Lupo di Petrazzuoli, fantastico produttore della provincia di Caserta e potremmo continuare.

E’ una storia bellissima e una splendida realtà. Un bravo davvero a Sergio Gargiulo e a tutto il suo staff.
L’Eccellenza della pizza oggi passa anche da Treviso.

Pizzeria Zero81, Sergio Gargiulo, Treviso
Frittatina di pasta. Discreta.
frittatina di pasta, Pizzeria Zero81, Sergio Gargiulo, Treviso
Crocchè. Non ci ha convinto. Panatura troppo consistente, gusto di patata pressoché assente.
crocchè, Pizzeria Zero81, Sergio Gargiulo, Treviso
Arancino. Anche in questo caso poca morbidezza. Zafferano troppo invasivo. Comunque, stante lo zafferano, proveremmo a sostituire piselli prosciutto e caciocavallo con un ragù di carne.
arancino,Pizzeria Zero81, Sergio Gargiulo, Treviso
Iniziano le cose serie. Sua maestà Margherita.
Margherita, Pizzeria Zero81, Sergio Gargiulo, Treviso
Splendida Marinara.
Marinara, Pizzeria Zero81, Sergio Gargiulo, Treviso
Norma: fiordilatte campano, melanzane a funghetto, datterini, basilico, cacioricotta.
norma, pizza, Pizzeria Zero81, Sergio Gargiulo, Treviso
Matriciana: passata San Marzano DOP, fiordilatte campano, pancetta, cipolla di Montoro, basilico, olio extravergine Fontana Lupo, peperoncino.
Matriciana,pizza, Pizzeria Zero81, Sergio Gargiulo, Treviso
Burrata e crudo.
burrata e crudo, Pizzeria Zero81, Sergio Gargiulo, Treviso

Nel cuore delle colline del Prosecco, tra Conegliano e Valdobbiadene, oggi una delle principali wine valley italiane, in un bel palazzetto del XVII secolo (poco distante dall’Abbazia di Follina), troverete questo ristorante di composta e sobria eleganza. Ambiente caldo, perfino romantico, a lume di candela, un servizio letteralmente in guanti bianchi ma mai ingessato, orchestrato con sapienza.
Da subito ci si sente a proprio agio, qui tutto sembra diretto ad esaltare il bello e il buono.
Ad iniziare dal buon bere, di cui si occupa il bravo Giovanni Zanon, profondo conoscitore dei vini del territorio e non solo. Da vero padrone di casa saprà consigliare la bottiglia giusta per ogni esigenza, partendo da una carta in cui, in oltre 700 etichette, c’è il territorio -con grande attenzione a giovani produttori biodinamici- ma anche molto altro. Tutto quello che deve esserci in un ristorante di lusso che serve una clientela in buona parte internazionale e d’elite. Per cui le grandi etichette italiane non possono non essere presenti e con ricarichi che, tutto sommato, non sono eccessivi.
Ambiente elegante, servizio curato, carta dei vini di livello.
La cucina è affidata a Donato Episcopo, salentino, allievo di Heinz Beck, con cui ha lavorato per ben sei anni prima di contribuire al successo di due ottime realtà campane quali Marennà e Casa del Nonno 13. Poi la guida delle Quattro Spezierie, qualche anno fa a Lecce, e oggi lo ritroviamo in ottima forma al timone di questa prestigiosa struttura, nel cuore della Marca Trevigiana.

Lineare, alquanto elegante, senza eccessi. Così in estrema sintesi definiremmo la cucina de La Corte di Follina oggi. Piatti puliti, estremamente riconoscibili che pescano un po’ ovunque nella tradizione italiana da Nord a Sud. Dall’omaggio di Episcopo al suo Salento, con una rilettura del “Ciceri e tria” (qui con i fagioli al posto dei ceci) al quasi Km0 del Riso carnaroli al Cartizze, la carta è tutta un rimando a quanto di meglio il bel paese può offrire come biglietto da visita in tavola: dai ceci di Zollino, alla colatura di Cetara, dalla semola senatore Cappelli alla composta di cipolle di Tropea, quasi a voler tracciare un fil rouge della gastronomia italiana. Le presentazioni dei piatti sono eleganti come il contesto richiede.

Una cucina senza eccessi, priva di accostamenti arditi, più che altro attenta a non perdere l’equilibrio tra le varie componenti del piatto. Missione che ad un cuoco esperto e bravo come Episcopo riesce perfettamente. L’esecuzione dei piatti si è rivelata, infatti, di ottimo livello, fatta eccezione a nostro avviso per il Carrè di maialino -presentatoci all’atto del servizio come cotto sotto vuoto, circostanza poi negata dallo chef- che abbiamo trovato un po’ secco.
La Corte non sarà mai il ristorante preferito dalla clientela gourmet più spinta o in cerca di forti emozioni, ma è senza dubbio un bel posto, in cui si mangia bene e nel complesso si sta molto bene.

Omaggio iniziale della cucina goloso e alquanto impegnativo: Spuma di pecorino, granatina di agnello con nocciole, asparagi selvatici.
benvenuto, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina, Treviso
Ravioli di fassona piemontese: la carne come texture racchiude un ripieno composto da finocchietto selvatico e patè di olive celline (che donano la nota amara che caratterizza il piatto); completano la preparazione croccante di scamorza, rafano, carciofo arrosto e cipolla di Montoro. Piatto nel complesso discreto, anche se qui Episcopo sembra un po’ procedere con eccesso di ingredienti…
ravioli di fassona, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina
Laganelle di semola rimacinata “Senatore Cappelli”, cacio e pepe, zuppetta di fagioli di Zollino, ricci di mare. Episcopo omaggia il suo Salento e come da tradizione le lagane sono in parte cotte in acqua, in parte fritte. La parte croccante dovuta alla pasta fritta a nostro giudizio soffre un po’ il matrimonio con la zuppetta che è molto liquida e perde un po’ in fragranza.
laganelle di sesamo, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina
Risotto di primavera, mantecato al Cartizze e mascarpone di Malga con gamberi rossi di Sicilia, vincotto, purea di piselli. Un risotto come deve essere, davvero rende la stagione.
Risotto, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina
Carrè di maialino in rosa, composta di cipolla di tropea, mele: piatto didascalico che non ha convinto nella esecuzione, carne un po’ secca, priva della necessaria umidità.
Carro di maialino, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina, Treviso
Molto buono il pre-dessert: Croccante di meringa, gelato al fior di latte, ciliegie di Marostica sotto spirito.
La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina, TrevisoPredessert,
La mandorla di Toritto, composta di fichi bianchi Paradiso, spugna all’alloro, gelato “moka”.
mandorla di toritto, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina, Treviso
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, La Corte, Chef Donato Episcopo, Follina, Treviso

Una fontana centellina le gocce in un angolo buio della città, mentre i passi sporadici dei passanti accompagnano lo scorrere di una serata apparentemente semplice come molte altre. Tra vicoletti stretti e grandi piazze che si aprono improvvisamente, Treviso si concede a cittadini e visitatori con un fare malinconico e rassegnato.

Eppure, anche il cuore di una roccaforte serafica può essere scalfito dall’irriverenza di un eroe, nel caso specifico sotto sembianze di cuoco, che porta il nome di Francesco Brutto.
Carattere istintivo, dai tratti anarchici di chi vuole raggiungere un obiettivo nella maniera più esplicita e diretta possibile. Senza curarsi della cornice raffinata che lo circonda, fa immergere il cliente in un’atmosfera cruenta e accelerata, a tratti spiazzante.

All’interno di una ex vineria, oggi riabilitata a ristorante, il copione viene recitato alla perfezione e variato di giorno in giorno.

La luce che avvolge ogni singolo tavolo, isolandolo idealmente dal resto del locale, aiuta a contestualizzarsi intimamente con quanto sta per accadere. Le pareti foderate con casse di vino ovattano l’ambiente, mentre Regis Ramos, esemplare maestro di sala, introduce con grazia e delicatezza alla serata. La porta della cucina oscilla, si intravvede il cuoco al lavoro, saltellante ed entusiasta. Una musica contorcente è la perfetta colonna sonora di un’opera vibrante e violenta, dai toni umoristici marcatamente macabri, che fa dell’esecuzione brutale una forma didattica dalla quale attingere e rimanere sbalorditi.

A metà tra una formazione culinaria pariniana e una cinefila tarantinina, il percorso emozionale non subisce alcuna evoluzione all’interno del suo essere, dimostrandosi fin da subito di cristallina purezza. Un profluvio di assaggi estremizzati da accostamenti inconsueti, che non trovano riferimento alcuno nei manuali di gastronomia, che riescono grazie ad una adorabile sfacciataggine a mettere in discussione quanto fino ad allora assaggiato, senza perdere di vista la meta da raggiungere, ovvero l’appagamento sensoriale completo.
Certo, ad Undicesimo Vineria, non si andrà incontro ad una cena facile da assimilare, né sotto il punto di vista palatale né tanto meno sotto quello psichico. La tecnica e l’efficacia con cui Brutto tratta gli elementi nel piatto si contestualizza con quanto letto sul menù, di esemplare reinterpretazione marchesiana.
Italia, Giappone, Danimarca, Spagna, Marte e Saturno. Queste le mete gastronomiche dalle quali il cuoco attinge, senza porsi ostacoli, o forse ponendoseli volontariamente alla ricerca di una forma di sadico stimolo autolesionistico. Un tour de force che trova il suo apice nel piatto “rapa rossa, sangue al camino, rose e chiodo di garofano” che si poggia su un improbabile equilibrio, tra i ricordi ferreo-terrosi e aromaticità invernali, grazie alla consistenza che accompagna la degustazione, morbida e suadente.
Gli appetizer non sono da meno, in un evidente omaggio trionfale al maestro di Torriana. Erbe aromatiche, verdure personalmente coltivate e raccolte, formaggi e salumi affinati e stagionati in casa. Una filosofia di una semplicità primordiale entusiasmante, riletta in chiave moderna sotto sembianze hardcore. Il risultato è sorprendente, forse non sempre del tutto comprensibile ma sicuramente incisivo.

La carta dei vini non banale propone, grazie alla professionalità di Regis, abbinamenti al calice emozionanti, che accompagnano, alleggeriscono e smorzano i colpi di mortaio sparati da Brutto, rendendo il tutto paradossalmente armonioso.

Gli appetizer. Frittata di Anguilla e sedano citrino; taco di mandorle, mandarino e origano; cavolo viola soffiato e fegato di ricciola; cono di parmigiano e polipodio; bietola e imperatoria fermentate e mela verde; cagliata di cardi e olive verdi.
appetizer, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Il pane.
pane, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Burro acido e dragoncello.
burro acido, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Ostrica e ortensia. Grande rincorsa alternata di sentori iodati ed amaricanti. Prima freccia scoccata e primo bersaglio colpito in pieno.
ostrica, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Canocchia, semi di girasole, pistacchi, kombu, crescione di fontana e foglie di chulo.
Canocchia, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
“Fugu” (pesce gatto crudo, yuzu, nanami togarashi). Sarcastico omaggio al sol levante in cui emerge una materia prima ittica eccezionale.
Fugu, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Scarpetta di occhi di calamaro. Semplicemente geniale.
occhi di calamaro, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Calamaro, concentrato di cipolla al meliloto, buccia di cipolla.
Calamaro, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Tortelli di magro (tortelli ripieni di formaggio “quadrello”, cicoria belga, finocchio marino, ruta, cicoria bruciata e cicoria secca). Passaggio estremizzato all’ennesima potenza. Tutto giocato sui toni amari, armonizzati e sedotti dalla grassezza comunque verticale e amarotica del formaggio. Una botta di adrenalina inconsueta. Molto molto divertente.
Tortelli di magro, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Tortellini ripieni di germano reale, fieno greco e frattaglie crude. Il palato comincia ad essere stanco ma ci stiamo divertendo davvero tanto!
tortellini, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Riso, melograno, karkadè, limone bruciato e frutti di bosco. Dolce, amaro, acido, poi dolce, amaro, acido, poi ancora dolce, amaro e acido. Smettiamo di tentare di capire e ci godiamo lo spettacolo.
Riso, melograno, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Carciofo, concentrato di carciofo, tuorlo d’uovo marinato, nepetella, ambretta.
Carciofo, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Storione del Sile e cervello di vitello. Da mangiare con le posate sporche del piatto precedente… Colpito e affondato.
storione, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Rapa rossa, sangue al camino, rose e chiodo di garofano.
Rapa rossa, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Agnello e cappuccio viola fermentato nel malto.
agnello, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Pancia di agnello, radicchio di Treviso macerato, pastinaca e cannella fermentata.
pancia di agnello, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Topinambur, cavolo nero, pu-erh, noci. Conclusione fitoforme. Ottima chiusura.
Topinambur, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Meringata di sedano e bergamotto. Non si abbassa il coefficiente di difficoltà nemmeno sui dolci.
meritata, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
Foresta nera (cioccolato al pino, cioccolato Claudio Corallo soffiato, semifreddo al cioccolato more di bosco, spremuta di foglie di camelia, foglie di ginepro, gelato di muschio e rovere).
Foresta nera, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
La piccola pasticceria. Gianduiotto alle bucce di nocciola; macaron di imperatoria; gelatina di limone bruciato.
piccola pasticceria, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
I vini e i cocktail in abbinamento.
vino, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
cocktail,
vino, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
5vino, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
vino, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso
barolo chinato, Undicesimo Vineria, Chef Francesco Brutto, Treviso