Passione Gourmet Tre Stelle Michelin Archivi - Pagina 2 di 3 - Passione Gourmet

Piazza Duomo

Un grande cuoco è certamente colui che crea una cucina personale, con molta tecnica celata ma al contempo efficace, con idee originali e centralità gustativa, non dimentichiamolo, ai massimi livelli.
Un grande cuoco però si vede anche alla prova del nove, ovvero quando deve, nel solco della tradizione più spinta, far esprimere uno o più ingredienti al meglio. Con tecniche e manualità classica, perchè nulla è più da inventare.

Ricordo ancora nitidamente il racconto che mi fece il compianto e mai troppo ricordato Stefano Bonilli, in merito alla sua prima spedizione a Cala Montjoi. Era ancora il secolo scorso e Ferran Adrià, forse il più grande cuoco di questo secolo, accolse la sparuta truppa giunta in missione dall’Italia con una cena, memorabile a detta dei partecipanti, a base di grandi classici francesi.

Nello stupore e nell’incredulità di tutti, a fine cena, il maestro catalano disse : “Stasera vi ho dimostrato che sono un cuoco e so cucinare, domani vedrete quanto questa conoscenza mi sia servita a creare innovazione”.

Ebbene si, un grande cuoco si vede anche alla prova sui temi classici. E ad Alba cosa c’è di più classico che la valorizzazione, in chiave moderna s’intende, di un ingrediente principe di langa come il Tartufo?

Ecco quindi Enrico Crippa alla prova con l’esaltazione e la sublimazione del divin Tubero: iniziamo col dire che l’obiettivo è stato colpito ed affondato. In questo lungo percorso non mancano citazioni, rimandi, riflessioni anche storiche e molti luoghi comuni sfatati. Il primo, che racconta dell’esaltazione del tartufo attraverso il veicolo del calore, posto sotto al prezioso tubero. Vero, ma solo in parte. La realtà, anche provata dalla scienza alimentare, è che il veicolo per gusto e profumo migliore per il tartufo è il freddo, o il tiepido, ben calibrato. Più che il caldo.

E in questo caso la classe, l’esperienza e le grandi capacità del cuoco Crippa sono saltate fuori alla grande. Piatti originali, ben pensati, ottimamente eseguiti, con una gestione di proporzioni e temperature che sfiora il maniacale. Tutti quanti tra il perfetto e l’ottimo.
I nostri preferiti? L’albese, il capriolo e il molto discusso al tavolo, ma a nostro avviso migliore, riso al cardamomo e tartufo. Un concentrato di eleganza in cui il cardamomo, e la tiepida temperatura del riso, amplificava ed esaltava il divin pregiato.

Chapeau a questa sequenza, dando spazio alle foto, ogni piatto fotografato con e senza Tartufo…

Il protagonista della giornata.
tartufo, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
La sequenza, forse fintanto eccessiva, dei fantastici amuse bouche.
amuse bouche, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
amuse bouche, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
amuse bouche, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
amuse bouche, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
amuse bouche, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
amuse bouche, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Noce e tartufo bianco.
noce e tartufo, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Nocciola e tartufo.
nocciola e tartufo, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Fantastico ragout di coniglio e polenta, come rendere un classico un piatto di alta cucina d’autore.
Ragout di coniglio, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
ragout di coniglio, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Capesante, purea di radici. Un piatto in cui la temperatura, oltre che gli abbinamenti, giocano un ruolo chiave.
Capesante, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Capesante, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
La sublime albese, davvero fantastica.
albese, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Albese, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Merluzzo e Zucca.
Merluzzo e Zucca, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
merluzzo e zucca, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
L’ormai classico crema di patate e Lapsang Souchong.
crema di patate, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
crema di patate, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Crema di Patate, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Animelle e bietole.
Animelle e bietole, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Straordinario riso e cardamomo.
riso e cardamomo, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
riso e cardamomo,Tartufo, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Plin in fonduta.
plin, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
plin, tartufo, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Capriolo e foie gras.
Capriolo, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
capriolo,Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
E il suo secondo servizio.
secondo servizio, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
I vuoti dell’impegnativa giornata…
vino, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
…e un fantastico fine pranzo.
vino, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
I colori della vigna.
colori della vigna, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Un rinfrescante cocktail.
cocktail, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
I saluti finali.
piccola pasticceria, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Mela campanina.
mela, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
L’arrivederci.
arrivederci, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba

Dove eravamo rimasti?
Diciamo che l’ultima esperienza non trascorse all’insegna della perfezione. Avevamo notato, tra grandi tecnicismi e sprazzi di genialità creativa, alcune mosse inaspettatamente prevedibili, segno di una preoccupante omologazione della sua cucina.
E invece, alla luce della nostra ultimissima incursione in quel di Denia, la cucina di Quique Dacosta ci ha riportato il sorriso, impressionandoci positivamente e rassicurandoci che quella di qualche anno fa fu soltanto una serata storta.
“Tomorrowland”, andato in scena nella stagione 2014 appena conclusa, è un percorso dirompente col quale lo chef valenciano continua ad ostentare grande passione per creatività e voglia di stupire.
I concetti di buono e bello vengono rappresentati da una sequenza di piatti in cui ogni assaggio è trainato da un binomio emotivo che è il sogno di molti cuochi: gusto e divertimento.
E’ un risultato raggiunto grazie a rigore tecnico, grande personalità e voglia di migliorarsi.
Complice forse la circostanza da “ultima cena” dell’anno (il ristorante ha chiuso i battenti per le ferie proprio il giorno della nostra visita) che ha contribuito a rendere la nostra esperienza semplicemente perfetta, al top di un’ipotetica scala valori.

Quique Dacosta, Denia, Spagna
Il processo iterativo che conduce alla perfezione non può prescindere dai dettagli e, a tal riguardo, preme sottolineare come Dacosta abbia dato vita ad una cucina sempre più ragionata – filologica rispetto al territorio e con un estremo senso della misura– studiando anche il perfetto abbinamento enoico per ogni singola portata. Dacosta ha costruito col tempo un luogo multisensoriale, capace di regalare al cliente un’esperienza che resta impressa a lungo nella memoria.
Il suo ristorante è un modello da studiare per comprendere cosa il più esigente tra i clienti si aspetta da un “tristellato”, ovvero la simbiosi tra grande cucina, intelligente cantina, incantevole location, cortesia e professionalità del personale – poliglotta, naturalmente – capace di regalare un’esperienza “non plus ultra”, alla stregua delle poche grandissime tavole mondiali.
Nonostante mille artifizi, questa è una cucina vera. Celebra tradizione e territorio; presenta una sublimazione di una già eccellente materia prima che è direttamente proporzionale alla concentrazione gustativa che emerge dopo la trasformazione della stessa, qualsiasi consistenza essa raggiunga.
E’ una cucina completa su tutti i fronti. Di forma e sostanza, estremamente estetica; vicinissima al concetto di habitat naturale degli ingredienti. La costante rincorsa ad elementi ecologico-naturali di supporto è parte integrante del lavoro di ricerca di Dacosta.
Ma il valore principale spicca fondamentale a livello gustativo, in cui c’è spazio solo per preparazioni che non concedono arzigogoli cerebrali, regalando bocconi di raro equilibrio e piacevolezza. Anche a Denia, come a Modena, la tradizione indossa abiti avanguardisti ma incredibilmente comprensibili. Ed il concetto di poliedrico e trasversale di questa cucina non può che esser frutto della maturità tecnica e culturale di uno chef dalla curiosità inesauribile. Un perfezionista.

Tomorrowland è una carrellata delle passioni dello chef: c’è sorpresa, innovazione, ricerca, territorio e creatività. Circa una trentina di assaggi serviti in sette atti.
Il divertimento inizia in veranda, tra gli odori di pino.
La sala, invece, sembra in apparenza fredda e minimalista, nessun tovagliato, ma soltanto una piccola scultura sui tavoli bianchi.

Atto 1°: snacks.
Petali di rosa e gin tonic alla mela.
petali di rosa e gin tonic, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Il dettaglio della rosa contenente una julienne di mele imbevute nello sciroppo di rose. Fantastico inizio.
rosa, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Foglie secche e radici: le foglie sono al granturco e alle erbe sottaceto. La cialda è fatta con una concentratissima polvere di funghi.
cialda di polvere di funghi, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Pietre di parmigiano.
pietre di parmigiano, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Pomodorini sott’aceto.
pomodorini sott'aceto, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Spaghetti alla puttanesca. Dacosta gioca con il celeberrimo piatto di pasta sostituendo la pasta con un formaggio cremoso.
spaghetti alla puttanesca, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Raïm del pastor. Sono delle piante mediche che vengono raccolte alle pendici del Montgò. Vengono marinate e hanno una testura fibrosa.
rami del pastor, Quique Dacosta, Denia, Spagna

Atto 2°: Salagioni e sott’aceto.
Le salagioni: bottarga e polpo secco.
salagioni, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Ajoblanco e mandorle. Un sottilissimo involucro contiene l’ajoblanco liquido. Il sottile strato di olio risalta l’aromaticità della mandorla.
ajoblanco e mandorle, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Olive e noccioli: si tratta di un gelato di olive con delle acciughe ricostruite nei noccioli. Il tutto adagiato su una gelatina di olio di oliva.
olive e noccioli, Quique Dacosta, Denia, Spagna

Atto 3°: Tapas.
“Toro” (ventresca di tonno) in “foglia di tabacco” (che in verità è un’alga croccante e affumicata).
ventresca di tonno e alga croccante, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Frittella leggera di baccalà.
frittella leggera di baccalà, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Socarrat ripieno di aioli e gamberetto crudo. Il socarrat è la parte di riso che resta incrostata sulla padella. La parte croccante della paella.
socarrat, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Lattuga di mare. Si tratta di alghe affumicate, plancton e mozzarella di bufala.
La materia prima, di livello insuperabile, è principalmente locale, anche se quest’anno ci ha fatto grande piacere ritrovare una fetta di Bel Paese quando c’è stata proposta un’ottima mozzarella di bufala campana (è facile pensare ad una folgorazione di Dacosta sulla via di Paestum per l’ultima edizione de “le strade della mozzarella”).
alghe affumicate, plancton, mozzarella di bufala, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Cannolicchio al naturale leggermente condito con una salsa allo zenzero. Straordinaria materia prima.
cannolicchio al naturale, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Variante: questa volta il cannolicchio è una tartare con menta, limone, gojuchang e cocco.
cannolicchio tartare, menta, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Capesante alla brace.
capesante alla brace, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Ricci di mare al naturale. Nome del piatto ingannevole, in quanto si tratta di un involucro di alga nori ripieno di crema di ricci di mare. Raffinatissimo boccone, pur dominato da note grasse.
alga nori e crema di ricci, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Tronco di Gerusalemme. E’ uno degli assaggi migliori. Viene ricostruito un topinambur con una crema al topinambur, salsa al piccione e tartufo nero. Una preparazione dalla quale è difficile pretendere un coefficiente tecnico superiore.
topinambur, salsa al piccione, tartufo nero
Mochi al tartufo nero e “Torta della Serena”, formaggio locale di pecora. Tre bocconi di piacere.
pochi al tartufo, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Un piccolo fuori menu: cremoso di parmigiano. Storico piatto di Dacosta che gioca con due ingredienti nostrani, il basilico (viene fatta una gelatina con diverse tipologie) e il parmigiano reggiano.
cremoso al parmigiano, Quique Dacosta, Denia, Spagna

Atto 4°: Piatti.
Ostrica fritta. In verità è cruda e fritta, adagiata su una cialda all’acqua di ostriche. E’ un primo approccio al mare.
Ostrica fritta, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Da vicino.
ostrica fritta, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Per poi venire travolti da uno tsunami di sapore: gambero rosso di Denia sbollentato in acqua di mare. Viene accompagnato da un formidabile tè con bietole e teste di gamberi. Da applausi a scena aperta.
gambero rosso, Quique Dacosta, Denia, Spagna
gambero rosso, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Si chiude succhiando la testa del carapace.
gambero rosso, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Dacosta è un maestro dei risotti. Questo è con piselli e uova di seppie. Dalla grande cifra tecnica e stilistica.
risotto con piselli e uova di seppie, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Ma il coup de théâtre è in verità dietro l’angolo: luci della sala spente, si pensa ad un calo di tensione o a un corto circuito. Fino a quando tutti i camerieri fanno irruzione in sala servendo ai commensali un piattino luminoso con una pepita d’oro al centro.
piatto luminoso, Quique Dacosta, Denia, Spagna
“Colazione da Tiffany”, esclama il cameriere, “…è il sorbetto”. Una fragrante meringa di mela, sorbetto di champagne, bergamotto, limone, essenza di rose. Gusto e innovazione. Difficile chiedere di più per una delle trovate sceniche più coinvolgenti in cui ci sia capitato di imbatterci negli ultimi tempi.
sorbetto, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Storione. Altro grande colpo. E’una declinazione del pesce. La pelle croccante fa da supporto a tre cubi di filetto adagiato su una crema ricavata dal pesce. Il caviale chiude il cerchio.
storione, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Taco mediterraneo. Un gutosissimo boccone di rana pescatrice con gochujang, baccelli di piselli e germogli di coriandolo in una frittella sottile a base di mais liofilizzato. E’ l’intelligente transizione dal pesce alla carne.
taco mediterraneo, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Anche le portate di terra sono di grande densità gustativa. Tendini di vitello, orzata e tartufo.
tendini di vitello, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Eccellente l’orzata che viene preparata con queste “mandorle di terra”, tipiche della zona.
mandorle di terra, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Piccione e radici di malto. E’ la chiusura delle portate salate.
piccione e radici di malto, Quique Dacosta, Denia, Spagna

Atto 6°: Dessert.
Splendido il Mojito alle alghe marine e cetriolo. Alla base ci sono perle di mango e limone che creano un grande equilibrio all’insegna della freschezza.
dessert, mojito alle alghe marine, Quique Dacosta, Denia, Spagna
E tutt’altro che banale la foresta nera, dalla eterea consistenza.
foresta nera, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Rami di cannella.Rami di cannella, Quique Dacosta, Denia, Spagna

Prugne appassiterami di cannella, Quique Dacosta, Denia, Spagna

Atto 7°: Piccola pasticceria.
Nido al mango.
nido al mango, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Carta di cioccolato e yogurt e lamponi.
carta di cioccolato, yogurt e lamponi, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Mandorle al cacao, pepite d’oro, tartufo e macaron.
mandorle al cacao, macarons, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Alcuni dei vini in accompagnamento. Il sommelier José Antonio Navarrete è considerato uno dei migliori di Spagna. E’ suo il merito di aver saputo costruire una cantina che si focalizza sui vini naturali di Spagna dando pari importanza ai grandi Cru francesi e italiani.
vino, Quique Dacosta, Denia, Spagna
sancerre, Quique Dacosta, Denia, Spagna
vino, Quique Dacosta, Denia, Spagna
vina tondonia, Quique Dacosta, Denia, Spagna
vino, Quique Dacosta, Denia, Spagna
Quique Dacosta, Denia, Spagna
Quique Dacosta, Denia, Spagna

Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan

Non tutte le ciambelle riescono col buco.
Ad Osaka, tra una miriade di rinomati ristoranti, abbiamo puntato il dito sul Taian, nel quartiere di Chuo-ku, a pochi isolati da una delle aree più frenetiche del mondo, Dotonbori, regno incontrastato del kitsch nipponico, puntellato da migliaia di locali a buon mercato con enormi insegne lampeggianti.
Breve digressione: Osaka è la seconda città del Giappone per numero di abitanti, e contende alla capitale la palma di città più food-oriented del Paese.
Regno dei cibi di strada è culla di alcune delle preparazioni più celebri del Sol Levante: il takoyaki, gustose polpettine di polpo fritte racchiuse in una croccante pastella; lo shabu-shabu, fettine di carne di manzo da immergere in una pentola posta al centro della tavola sopra un fornello acceso in cui cuoce un brodo di verdure; lo hakozushi, o sushi in scatola, così chiamato perchè il sushi non si presenta nella sua forma caratteristica, originaria di Tokyo, ma i sottili filetti di pesce e riso vengono disposti in una scatola di legno quadrata e pressati a mano mediante un coperchio; ed infine la celebre okonomiyaki, che letteralmente significa “cotto alla griglia come più ti piace”, in quanto non ne esiste una vera e propria ricetta e in cui l’ingrediente base non è il riso ma la farina (che lo fa assomigliare vagamente ad una pizza).
Ovviamente al Taian nulla di tutto ciò, siamo distantissimi dal cibo di strada.
È un ristorante che offre una cucina assimilabile a quella kaiseki, senza però le classiche sequenze stagionali made in Kyoto.
L’indubbia elevata qualità degli ingredienti è andata quasi sempre, nel corso della cena, di pari passo con la profondità dei sapori, la finezza dei condimenti, la persistenza gustativa.
Alcune portate, però, si sono perse nei meandri della ricerca estetica, tassello fondamentale su cui poggia le basi tutta la cucina giapponese, ma non hanno raggiunto né il palato, né il cuore, né la mente.
Di contro c’è da sottolineare l’ineffabile sforzo che la padrona di casa ha fatto per mettere noi, unici gaijin, a proprio agio, articolando con notevole difficoltà poche parole in lingua inglese.
Seduti al bancone, abbiamo goduto della vista di una piccola brace dove chef Hitoshi Takahata abilmente grigliava preziosi ingredienti.
Non abbiamo, però, compreso il perché servire la wagyu (memorabile) nello stesso piatto dell’anguilla, consigliando di mangiarle alternate. La sensazione grassa al palato si è acuita sino a saturare inesorabilmente le papille.
Gelatine, come sovente accade a queste latitudini, a terminare il pasto.
Fortunatamente la piccola delusione di una cena al di sotto delle più rosee aspettative è stata mitigata da un conto “umano” che conferma ancora una volta che il Giappone, escludendo alcune ovvie eccezioni di Tokyo e Kyoto, non è poi così caro.

Mise en place.
mise en place, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Zuppa di mais e zenzero in gelatina, granchio e wasabi, tonburi e verdura dal vago sapore di fagiolini, uova di pesce, patate bianche e prugna salata.
zuppa di mais, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Zuppa di abalone e radici di loto con cetrioli, in brodo leggermente affumicato. Molto elegante.
zuppa di abalone, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Sashimi: hako e ricci di mare (perfetti) da accompagnare, a piacimento, con soia, sesamo e funghi essiccati. Perfetto.
sashimi, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Close up dell’hako.
hako, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Close up dei ricci di mare.
ricci di mare, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Indivia con pasta di soia, daikon e noci. Contrasto amaro-dolce non propriamente gradevole.
indivia con pasta di soia, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Composta dolce di biku (?), in cui intingere l’indivia.
composta, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Wagyu di Matsusaka. Eccezionale.
wagyu, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Anago, anguilla di mare.
anago, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Pike conger fritto con sale e limone.
pike conger, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Melanzana, peperoncino verde, pomodoro, ed altre verdure estive in gelatina dal sentore affumicato.
melanzana, peperoncino verde, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Riso in bianco e ayu grigliato. Classico a tutte le latitudini.
riso bianco e ayu, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Sottaceti, davvero salati.
sottaceti, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Zuppa di miso.
zuppa di miso, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Anguria e uva in gelatina.
anguria e uva in gelatina, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Bancone.
Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan

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Da Kanda non si viene per caso, situato fuori dalle rotte turistiche e lungo una piccola stradina in un contesto prettamente residenziale. Indispensabile è l’utilizzo di un taxi, senza il quale il rischio di perdersi è altissimo.
La Michelin da alcuni anni pone questo minuscolo ristorante (crediamo non più di 10 mq.) al vertice assoluto della capitale, in compagnia di altre 13 perle, e senza esitazione procediamo al laborioso meccanismo di prenotazione, facendo leva sull’affidabile concierge del nostro albergo alcuni mesi prima della visita programmata.
Ad accogliervi sarà Kanda-san in persona che, invero, con nostra grande sorpresa, affronta, seppur con qualche esitazione, una piacevole conversazione in inglese.
L’ambiente intimo, così raccolto, dà la possibilità di interagire anche con gli altri ospiti, meravigliati della nostra presenza al bancone.
Si stappano bottiglie importanti di fianco a noi, la carta dei vini è finalmente degna di questo nome, così come i suoi ricarichi.
A differenza di molti suoi colleghi, anche più illustri, lo chef vanta numerosi viaggi all’estero e amicizie europee (ci dirà che ha stretto rapporti con Alfonso Iaccarino e che Pinchiorri, quando è a Tokyo, è sovente gradito ospite per deliziarsi con la sua “milanese”), anche se la cultura occidentale non ha permeato la sua cucina, rimasta rigidamente osservante dei dettami della cultura gastronomica giapponese.
La dicitura “kaiseki”, come abbiamo visto in altre recensioni, identifica l’espressione culinaria più raffinata di questo Paese, una fusione di cibo e natura, gusto ed estetica. Kyoto senza alcun dubbio rappresenta la culla di questo rito gastronomico che si officia quotidianamente nelle splendide ryokan, locande tradizionali espressioni massime dell’ospitalità nipponica. E a Tokyo, patria del sushi, è certamente più raro imbattersi nella vera cucina kaiseki, anche se le eccezioni non mancano.
Kanda, ça va sans dire, è una di queste.
Certo, il diktat non scritto che impone il solo utilizzo di verdure e pesce qui non è seguito alla lettera, ma ciò che più conta è il rispetto della estrema qualità e stagionalità delle materie prime.
L’impronta di Kanda-san è fine, leggera, quasi impercettibile, le preparazioni che giungono al nostro tavolo hanno, però, un minimo comune denominatore: la persistenza. A volte giunge inaspettata, altre invece no, come quando viene servito l’ennesimo brodo, caldo o freddo che sia, sempre perfetto, soave ma così intenso.
Kanda-san segue il mantra della estrema freschezza degli ingredienti e così, quale manifesto del suo pensiero, ci vengono portati in visione due guizzanti Ayu che di lì a qualche minuto faranno la loro comparsa nel piatto perfettamente grigliati e affumicati.
La sequenza delle portate alterna caldi e freddi, affumicati, dolci e salati, in un turbinio di sensazioni. Il palato non è mai seduto, sempre stimolato, fatto vibrare.
Che meraviglia quei capellini di soia in brodo freddo, ghiacciato, acidulato. Straordinario l’abalone con funghi ed alghe.
Purtroppo la chiusura dolce è sottotono. La tradizione vuole che si termini con la frutta, fortunatamente di livello eccelso, o più raramente con il gelato.
Non temete, però, la spesa, seppur elevata, è ampiamente ricompensata dalla gioia di sedervi ad uno dei sette posti al bancone e godere di un kaiseki d’autore.

Fico con gelatina di sesamo. Esplosione di dolcezza e note tostate.
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Abalone, funghi, alghe. Materia prima pura e accostamento di sapori fantastico.
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Fat fish con…
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…a latere, wasabi e marmellata salata di prugna.
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Polpetta di pesce, mais e funghi in brodo, di raffinatissima persistenza.
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Oshizushi. Abbastanza raro trovarlo sulle tavole giapponesi. È sushi pressato con un blocco di legno, in questa versione con horse mackarel, foglie di sansho e spremuta di lime. Compatto e concentrato. Le foglie di sansho altro non sono che le foglie della pianta del meglio noto pepe di Sichuan.
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Ayu mostrati vivi e vegeti nella loro dimora..
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…e cotti alla brace e leggermente affumicati, pochi secondi dopo. È l’emblema di ciò che la freschezza degli ingredienti rappresenta per i giapponesi.
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Servito nel modo caratteristico, “in piedi”. L’Ayu è un pesce di fiume molto pregiato e particolarmente dolce. Viene mangiato intero.
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Bonito con peperoncini verdi…
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…soia e mostarda.
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Verdura il cui succo, violaceo, è naturale. Turgida e “carnosa”.
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La versione giapponese della “milanese” con insalatina condita in modo fantastico, acidula e fresca. Materia prima, neanche a dirlo, stratosferica.
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Brodo con pesce (particolarmente grasso), polpetta di pesce e sesamo, funghi e verdure. Meraviglioso. Leggermente acidulato, di una persistenza e freschezza inaudite.
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Spaghettini di soia in brodo, freddi, quasi gelati, con erba cipollina. Si gioca con i contrasti di temperature. Il palato viene resettato, ma la profondità di gusto è allineata alle portate precedenti.
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…si risale di temperatura con il tè nero.
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Gelatina di anguria.
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Gelato al tè e caffè.
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Ingresso esterno.
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Ingresso interno.
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El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona

Tre stelle Michelin, secondo posto nella (oramai) autorevole San Pellegrino world’s 50 Best Restaurants, una lista d’attesa di quasi un anno per una cena nel weekend (e poco meno per i giorni feriali), un successo di critica e di pubblico pressoché unanime: ecco come si traduce in numeri la creatura dei Roca. Joan lo chef, Joseph in sala e Jordi in pasticceria: “los tres rocas”, simbolo del locale e manifesto del legame e della complementarità dei tre fratelli catalani.
La perfezione della serialità, piatti replicabili da una cucina precisa come una catena di montaggio, un processo di creazione coadiuvato da tecniche e strumenti all’avanguardia, mai usati per stupire ma per ottimizzare il risultato esaltando la centralità del gusto.
Lista dei vini come sempre mostruosa per qualità e quantità delle proposte, accessibile nei prezzi ed un menù da cui è sparita, come in molti altri locali ultimamente (rimpianto?), la possibilità di scegliere liberamente privilegiando solo due percorsi di degustazione: quello vero e proprio di 7 portate ed il festival di 12, la vera summa della cucina dei Roca.
Costo? Sempre conveniente rispetto alla quasi totalità dei tristellati mondiali.
Se a tutto questo aggiungiamo un locale di sobria ma elegante bellezza ed un servizio di prim’ordine possiamo ben comprendere il perché questo ristorante sia, da sempre, preso d’assalto da frotte di gourmet da tutto il globo terraqueo.
Se fossimo costretti a cercare una nota stonata in questo quadro apparentemente idilliaco, punteremmo il dito verso una cucina che, in questa nostra ultima visita, è sembrata meno emozionale ed intrigante rispetto al passato: come sempre cucina perfetta (o quasi in un paio di casi) nell’esecuzione, ma fin troppo adulatrice nell’eccesso di sapori dolci e rotondi riscontrato in molti piatti. Forse si sta puntando verso una piacevolezza a tratti scolastica e adatta a tutti i palati, ma quelli più predisposti alle emozioni indimenticabili pretendono qualcosa di più, quel quid che fa scattare la scintilla, che ci fa innamorare di un ristorante, di uno chef e programmare la visita successiva appena pagato il conto.
Oggi El Celler de Can Roca è certamente da considerare uno straordinario ristorante, che qualunque gourmet dovrebbe assolutamente provare almeno una volta nella vita. Il giudizio rimane per noi di assoluta eccellenza, senza però diminuire la giusta attenzione da dedicare ad un locale del genere, annotando a matita qualche “particolare” in più di quanto avremmo fatto altrove.

Messico, Perù, Scandinavia, Marocco e Giappone uno più buono dell’altro, uno più divertente dell’altro, sarebbero da brevettare e venderli a sacchettini, altro che San Carlo:-)
amuse bouche, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Il mitico albero di olivo bonsai con le olive verdi caramellate ripiene di acciuga
bonsai, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Bon bon di Campari con pompelmo e sesamo nero: un bel gioco sull’amaro
bon bon, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Frittata di carciofi
frittata di carciofi, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Brioche con tartufo bianco, tartufo e cioccolato bianco
brioche con tartufo bianco, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Budino di foie gras: praticamente un dolce
budino di foie gras, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Ottimo e vario il pane
pane, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Grano verde, sardine affumicate, uva, pane tostato, gelato di olio d’oliva e schiuma di lievito: il primo piatto vero e proprio dopo gli snacks, molto complesso, delicato, solo a tratti veramente armonico
grano verde, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Pasta di olive: gazpacho di olive nere, mousse di olive piccanti, olive nere fritte, gelato di olive, pane tostato, gel di finocchio e di olive, il piatto del viaggio, virile, diverso ad ogni boccone mi sono trattenuto a stento da chiedere il bis
gazpacho, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Viennetta di asparagi bianchi: il piatto più amato dai miei commensali, per me il più banale: eccessivamente dolce e grasso. De gustibus …
vignetta di asparagi, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Ostrica, funghi, salsa olandese: un buon boccone, ma interlocutorio
ostrica, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Gambero grigliato con riduzione dei succhi della testa, zampette fritte e spugna di plancton: ottima variazione sul tema gambero con menzione speciale per la spugna
gambero, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Astice, patate e densissima salsa ottenuta con la carcassa: quasi un civet, molto potente, un crostaceo che diventa e ricorda quasi la selvaggina
astice patate, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Agnello grigliato, caffè e liquirizia: una materia prima straordinaria, ma la lunga cottura tende a sfibrare completamente la carne in maniera, per noi, eccessiva

agnello grigliato, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Maialino iberico con salsa al riesling: il piatto ha un problema di temperatura. Doveva essere servito a 53 gradi mentre con difficoltà arrivava ai 30, compromettendo la piacevolezza complessiva
maialino iberico, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Triglia ripiena delle sue interiore cotta per sette minuti a 53 gradi per preservarne gli umori, zuppa di olio d’oliva, scalogno, miele, timo e peperoncino rosso
triglia ripiena, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Piccione, cipolle, noci al curry caramellate, buccia di arance e erbe: una splendida versione del volatile, cotto alla perfezione e di gran qualità
piccione cipolle e noci, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
L’oca alla royale: niente da dire ottima
secondo piatto, oca alla rosale, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Riso ai funghi: riso lasciato molto croccante con riduzione di funghi concentratissima, quasi densa, un piatto a tutto umami
riso ai funghi, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Finita la parte salata si inizia quella dolce, regno di Jordi uno dei più grandi pasticceri del mondo.
Sciroppo di acero con pera, noci e cardamomo: slurp!
sciroppo di acero, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
La mela caramellata della festa di Girona: un capolavoro di zucchero soffiato
mela caramellata, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
Millefoglie al caffè
millefoglie al caffè, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
La piccola pasticceria
piccola pasticceria, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
L’angolo dei sigari
sigari, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona
L’angolo dei distillati
distillati, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona