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I Rizzari

Cucina con vista

Potrebbe bastare (forse) la possibilità di mangiare guardando il blu del mare di Brucoli, bel borgo marinaro parte del comune di Augusta. Potrebbe bastare, ma a I Rizzari non ci si viene solo per la vista o per cenare all’aria aperta: ci si viene soprattutto per la qualità degli ingredienti e l’abilità nel saperli trattare come si deve.

Il nome si rifà alla “rizza”, la rete da pesca utilizzata, appunto, “dai rizzari”: i pescatori.

E qui infatti, la pesca regna sovrana.
Appena entrati, il vostro occhio non potrà che essere rapito dall’esposizione del pescato del giorno: scegliete il pezzo che più vi aggrada e decidete il modo in cui dovrà essere cucinato. Tre quarti del godimento della sosta, qui, starà proprio nel piacere di gustare un pesce (magari di grossa pezzatura) cucinato semplicemente alla griglia: un’esplosione di mare in bocca. Ma anche il resto della proposta non è meno convincente.

Ingrediente, ingrediente, ingrediente

A partire dai primi di pasta: mantecatura perfetta, profumi intatti e pesce, neanche a dirlo, spaventosamente buono. Passando per una frittura asciutta e croccante e per degli scampi arrosto da leccarsi i baffi.
Qualche perplessità solo alla voce dessert, non propriamente adatti alla stagione estiva, se escludiamo il sorbetto (tortino caldo al cioccolato, tiramisù…).

Anche se i prezzi non sono proprio da trattoria, optiamo per il voto in cipolle data l’atmosfera generale e la veracità della cucina. I Rizzari fa parte di quella schiera (limitata) di locali in cui non rimpiangerete nessun euro speso: perché è un locale autentico, dove ci si rilassa davvero e si può godere di una cucina di sapori intensi.

Il servizio, benché non faccia della tipica calorosità siciliana il suo punto di forza, è attento, professionale e soprattutto molto disponibile ad accogliere le richieste del tavolo.

Sull’asse Catania-Noto, una tappa quasi obbligata per togliersi la “voglia di pesce”.

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Uno scrigno di buon gusto nel cuore di Firenze

Una grande trattoria a Firenze a due passi da Piazza del Duomo: sogno o realtà?
Ebbene, ciò che fino a qualche anno fa sembrava impossibile, ora invece si sta realizzando: la cucina italiana mostra segni di vitalità anche “dal basso”, cioè da quella che è la sua espressione classica più autentica, quella della trattoria e delle cucina tradizionale regionale.
Non è un sogno quindi la presenza, nel cuore di Firenze, al primo piano di Eataly di una delle migliori espressioni di cucina tradizionale.
FAC (fast and casual) è un locale giovane, decisamente al passo con i tempi, nato da una costola del team di “Essenziale”, altro locale di successo: tra soffitti affrescati e grandi vetrate che affacciano su via De’ Martelli, si è insediata una delle cucine più interessanti del capoluogo toscano. Un locale per mangiare qualcosa di qualità, anche quando il tempo a disposizione è poco: la risposta al “fast food” caratterizzato da panini e affini.

La trattoria moderna?

Piatti di sostanza, ma curati nella presentazione e, cosa più importante, nel gusto. Una proposta variegata, che va dai piatti unici da condividere tra i commensali, alle ciotole da riempire con ingredienti a piacere, fino ai primi e secondi in versione più classica.
Le ottime pappardelle al cinghiale e una straordinaria anatra ci hanno veramente stupito per precisione delle cotture e qualità degli ingredienti. Meno intenso il sapore del dessert, comunque decisamente sopra la media.
Abbiamo accompagnato il tutto con una fresca birra prodotta in esclusiva per FAC da un birrificio di fiducia, ma è un valore aggiunto importante la possibilità di scegliere qualunque bottiglia presente all’interno di Eataly e stapparla al tavolo con un piccolo diritto di tappo.
Rapporto qualità prezzo molto alto per questo locale che, dovesse mantenersi su questi livelli, farà parlare molto di sé nel prossimo futuro.

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Indietro nel tempo: quello della sostanza

Varcando l’ingresso di questa trattoria in pieno centro vercellese si ha la sensazione di ritornare indietro nel tempo, di infilare un piede in una “dimensione diversa”.

Ciò che succede all’esterno, infatti, viene totalmente lasciato alle spalle, venendo immersi in quest’atmosfera anni ’50 calda e accogliente, fatta di pochi tavoli. Complice un arredamento rustico realizzato da tanti accessori apparentemente posti alla rinfusa ma frutto dell’indubbio estro di Paolo Talarico, che ha da pochi anni – a scapito delle apparenze – aperto questo locale. 

Da Paolino si viene per mangiare una cucina piemontese semplice, attenta alla tradizione e alla sostanza.

Nel menù non mancano infatti le rane fritte e la panissa, il tipico risotto vercellese con fagioli di Saluggia e salame della duia. Buoni anche la battuta di Fassona piemontese con bagna caoda e gli agnolotti della tradizione ripieni di anatra: semplici, appunto, ma ben fatti.

Nota di merito alle mezzelune ripiene di ossobuco con salsa ai pistilli di zafferano, con quel quid consapevole di grossolano nel ripieno, che risveglia il palato dalla dolcezza dello zafferano. 

Con una carta dei vini molto ricca quel che si finisce per ottenere, qui, è un’esperienza molto piacevole e a prezzi più che onesti.

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Cosa è cambiato negli ultimi 5 anni?

“Quando si incontrano posti come il Consorzio di Torino e se ne riscontra il grande successo (sala piena, sorrisi di gente contenta di uscire di casa e stare così bene) ci si chiede perché le nostre città non siano piene di un’offerta così ben fatta, capace di pescare nelle centinaia di piatti delle nostre diverse storie regionali. Una tappa da consigliare non solo a chi ama la buona cucina ma, soprattutto, in termini formativi, come esempio di riferimento, a chi pensa di lanciarsi in un’iniziativa nell’ambito della ristorazione.”

Terminava così la nostra precedente recensione di questo locale, datata 2013.
Cosa è cambiato in Italia in questi 5 anni?
Certamente, come più volte abbiamo ripetuto, il livello della cucina si è alzato: da Nord a Sud, sono molti i locali in cui passare una bella serata e molti sono i giovani che stanno proponendo qualcosa di importante in termini di creatività e freschezza. C’è fervore, non siamo in un periodo cupo.
Eppure, un buco nero è rimasto: se andassimo a cercare quali erano le migliori trattorie/osterie del 2013 e le confrontassimo con quelle di oggi, troveremmo poche novità. La domanda che ci facciamo, quando ci imbattiamo in locali come questo, è sempre la stessa: perché deve essere un’eccezione? Perché è così difficile trovare una buona trattoria od osteria, ancor di più se in un grande centro, che proponga una cucina classica fatta come si deve?
Le risposte potrebbero essere mille, in primis il fatto che è molto più difficile di quanto possa sembrare realizzare un locale come questo, ma si rimane ugualmente straniti anche rispetto all’offerta ristorativa di abili cuochi, che quasi sempre preferiscono la creatività alla classicità. Quando invece, probabilmente, la domanda della massa di appassionati sarebbe più rivolta verso la seconda.

La vera Trattoria

Il Consorzio è da anni un riferimento assoluto per questo genere di locali: un’ottima cucina, un ambiente confortevole, una grande carta dei vini a prezzi assolutamente corretti.
Con un menu degustazione e un calice di vino, potreste trovarvi a spendere poco di più rispetto a una cena in uno dei tanti locali che affollano le nostre città. Piatti di grande gusto che appagano mente e pancia, realizzati con ingredienti di primissimo ordine e cucinati con grande abilità. Emblematico un dessert, la Panna cotta con barbaresco chinato, chinotto e torrone: uno dei dolci più maltrattati dalla ristorazione italica, qui imperioso per gusto e consistenza.
Segno che in Italia si può anche scegliere di fare grande ristorazione di successo, riprendendo ricette del passato e attualizzandole ai giorni nostri con le tecniche moderne.
Non tutto è perfetto, va detto: non ci sarebbe dispiaciuto un servizio più amichevole e sorridente dato il tipo di locale, o qualche attenzione in più nei tempi di servizio, così come una maggiore variabilità nel menu.
Sono però dettagli, in un quadro decisamente luminoso, di uno dei migliori locali d’Italia nel suo genere.

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L’incarnazione della trattoria contemporanea

Se da un lato sempre più giovani chef si confermano promesse dell’alta ristorazione di domani, una più ristretta schiera di cuochi lavora in modo maniacale per restituire dignità ad ingredienti popolari, con il passare del tempo ingiustamente dimenticati. E non lo fa semplicemente rivisitando ricette tradizionali, ma aggiungendo estro e competenza, due doti necessarie ma che difficilmente coesistono in locali di questa tipologia.

Uno dei migliori esempi della capitale è sicuramente SantoPalato, dove la trentenne di origini abruzzesi Sarah Cicolini guida i fornelli di una microcucina in Piazza Tarquinia a Roma. Mancata studente di medicina, autodidatta con esperienze al Metamorfosi e da Sbanco di Stefano Callegari e Marco Pucciotti, un anno e mezzo fa decide di coronare un sogno con la materializzazione del suo personale concetto di trattoria, proprio in società con quest’ultimo.

Lo stile del locale è semplice e senza fronzoli, con sedie e tavoli in legno e tovagliette in carta paglia, arredi vintage e manifesti pop-art alle pareti.

Fornitori di livello per una cucina verace

L’idea, fin da subito, è stata quella di rifornirsi di eccellenze per proporre una cucina verace che si faccia apprezzare nelle ricette tradizionali quanto in quelle personali. Il pane è quello di Gabriele Bonci, la carne di Roberto Liberati, proprietario di una storica macelleria e pioniere della ricerca biologica e biodinamica (iniziata nel 1995), i formaggi del guru caseario Francesco Loreti del Mercato Latino (il suo banco in inverno arriva a ruotare fino a 140 tipologie nazionali ed estere) e la pasta di Mauro Secondi, uno dei più rinomati produttori laziali di pasta fresca all’uovo dal 1985.

La carta dei vini è limitata, e include anche qualche birra artigianale.

La cucina è un’ode ai sapori veri, quelli del quinto quarto, dei tagli di carne considerati meno nobili, delle verdure meno comuni come friggitelli e tenerumi (foglie tenere di una zucchina tipica siciliana) e di ricette e/o ingredienti della tradizione romana e abruzzese, terra natale della cuoca.
Appena si varca la soglia d’ingresso, una lavagna nera su cui figurano i piatti del giorno si staglia di fronte ai nostri occhi e quando ci viene portato il menu, l’idea di cambiare decisione si infrange di fronte alle prelibatezze che stiamo già pregustando dopo il racconto dettagliato della cameriera.

La prima è un Crostone di pane con ricotta scorza nera e pomodorini, che si fa apprezzare per i sapori abruzzesi della ricotta di latte ovino, stagionata per 20 giorni in cantine umide, e per il gusto rustico del pane che ben si abbina alla sapidità del latticino e al sentore acidulo del pomodoro, anche a livello di consistenze.

Quindi arrivano in tavola le portate principali: Spaghetti aglio, olio e galletti saltati Coppa di vitella, fondo di verdure, salsa alla senape, mela verde e topinambur fritti. Nella prima si apprezza la semplicità di un piatto reso più vivace dall’utilizzo del peperoncino, mentre la seconda è un’esaltazione di un taglio di seconda scelta, qui reso nobile grazie alla tenerezza, anzi scioglievolezza della carne e al suo contrasto con la croccantezza delle chips di topinambur e con la dolcezza/acidità delle mele cubettate e del fondo di verdure.

Il dolce è un maritozzo contemporaneo, con un impasto a base di grano arso e pepe verde vanigliato, con una farcitura alleggerita dall’utilizzo di crema pasticcera con aggiunta di panna montata.

Sicuramente una versione interessante del dolce romano, così come la filosofia della cuoca, che ci auguriamo possa essere presa d’esempio da chi vuole fare ristorazione al mondo d’oggi, dove il ricambio generazionale delle trattorie è a rischio.

E non sicuramente per il volere della clientela.

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