Chef Cristian Milone
Nuovo appuntamento con il progetto che Passione Gourmet ha in collaborazione con la storica Distilleria Bocchino di Canelli (AT).
Durante i nostri quotidiani e golosi viaggi alla ricerca dell’eccellenza ogni mese assaggiamo in media oltre 150 piatti, dai più creativi ai più tradizionali. Il nostro è quindi un osservatorio privilegiato che indaga e studia costantemente l’evoluzione e i cambiamenti dell’alta cucina che tanto amiamo.
In omaggio alla filosofia aziendale della Distilleria Bocchino, un brand che ha radici antiche, ma che si propone oggi con un’anima moderna e attuale, ogni mese decreteremo il miglior assaggio fra tutti quelli effettuati premiando il piatto che avrà saputo tradurre una ricetta storica della tradizione culinaria italiana attraverso un’interpretazione creativa, nuova e contemporanea.
Da gennaio a settembre assegneremo mensilmente a 9 chef e ai loro piatti il premio “Lo Spirito del Tempo”. Tra tutti coloro che saranno premiati in questi mesi ne sceglieremo 3 che saranno protagonisti di una serata di Gala a novembre, occasione in cui ad uno solo di essi verrà assegnato da una giuria di giornalisti e appassionati gourmet il Premio finale “Lo Spirito del Tempo 2014” by Distilleria Bocchino.
Leggere qui il premio del mese scorso
Siamo all’ottavo verdetto, quello di agosto: tra tutti gli assaggi effettuati nel mese appena trascorso, vince il premio “Lo Spirito del Tempo” by Distilleria Bocchino il piatto “Carne cruda brasata al vino rosso” dello Chef Cristian Milone della Trattoria Zappatori – Gastronavicella di Pinerolo (TO).
Cristian Milone, giovane, brillante e capace chef, si dimostra a suo agio sia nelle creazioni aderenti ai canoni della cucina moderna ed all’avanguardia, che nelle interpretazioni dei classici della cucina piemontese, fortunatamente per lui (e per noi) una tra le più varie ed interessanti del nostro territorio. Perfettamente in linea con “Lo Spirito del Tempo” il suo piatto
Carne cruda brasata al vino rosso:
L’idea alla base di questo piatto è quella di voler donare profumi e sapori del brasato anche durante il periodo estivo, e non relegarlo solamente alla stagione più fredda, come solitamente avviene. Ecco dunque che come base si sfrutta un altro piatto estremamente territoriale, la carne cruda, ma non una carne qualsiasi, bensì fettine di Vicciola, una razza di vitelli piemontesi alimentati a nocciole. L’oleosità e la morbidezza di questa carne fanno da base ad una polvere di brasato, ottenuta dalla liofilizzazione di una salsa brasato tradizionale, e finito con uno scalogno bruciato, per ottenere dolcezza, un fondo lievemente amaro e infine una lieve croccantezza, a favore della masticabilità.
Semplice, efficace, buonissimo.
La ricetta di Cristian Milone:
Ingredienti per quattro persone:
360g di Vicciola tagliata sottilmente all’affettatrice;
80g di olio evo;
Sale e pepe;
Polvere di salsa brasato al vino rosso;
4 scalogni di media grandezza;
Burro di cacao;
a piacere tartufo liofilizzato.
Preparazione:
Massaggiare le fettine di carne con l’olio di oliva, condire con sale e pepe e la polvere di salsa brasato.
Cuocere gli scalogni avvolti nella carta alluminio in forno a 160 gradi per 30 minuti, quindi lasciare raffreddare a temperatura ambiente ed eliminare la pelle esterna. Successivamente bruciarli in padella con il burro di cacao, salandoli in superficie.
Disporre la carne sul piatto e cospargere con ulteriore polvere di salsa brasato. Guarnire con lo scalogno bruciato
Lo Chef
Christian Milone, nato a Pinerolo classe 79, ha frequentato l’Alberghiero Prever di Pinerolo negli stessi anni di Matteo Baronetto, per poi dedicarsi al ciclismo fino ai 25 anni, arrivando a correre anche il Giro d’Italia nel 2002.
Rientrato in seguito nella trattoria di famiglia, di proprietà dei genitori dal 1973, con l’aiuto di Manuela (che si occupa del servizio in sala e della cantina) ha ristrutturato e ampliato il locale.
Durante la chiusura del locale “si fa le ossa” ad Alba, da Enrico Crippa, e nel 2012 ha aperto la Gastronavicella.
Trattoria Zappatori – Gastronavicella
corso Torino, 34
Pinerolo (TO)
Tel. +39.0121.374158
Christian Milone ha talento, e ne ha un sacco.
Giovane chef perennemente abbronzato, dai lineamenti tesi e dallo sguardo sicuro, dietro questo suo aspetto quasi spavaldo cela invece serietà, ferma volontà di far bene e una notevole capacità di recepire e adattarsi di conseguenza alle situazioni.
Trascorsi alcuni anni dal varo del suo progetto Gastronavicella, due tavoli gourmet all’interno della più quieta e tradizionale Trattoria Zappatori, si è reso conto che alle guide tradizionali probabilmente non piace questo netto e marcato dualismo nella linea di cucina. Pertanto inutile incaponirsi, detto fatto: si restaura la cucina, per riorganizzare e dimensionare di conseguenza le aree di preparazione (nonché il servizio), e ci si organizza per servire i piatti gourmet anche nella trattoria e viceversa, e quindi creare un’unica carta. Ora quindi Gastronavicella non è più soltanto “il cubo in vetro” all’ingresso della Trattoria Zappatori, ma anche una sorta di menù gourmet a disposizione di tutti, compresi gli avventori della trattoria, che potranno quindi scegliere di accompagnare un tradizionalissimo plin con un altrettanto classico vitello tonnato, piuttosto che con una qualsiasi delle portate del nostro pranzo.
Dicevamo, talento? Sì, talento ponderato e sempre ben allenato, non dimenticando i trascorsi da ciclista che lo hanno forgiato alla disciplina. Non improvvisa, non gioca con il rischio né sfida il caso. Il suo è talento nella forma più accademica del termine, è la naturale inclinazione nel far bene una cosa. E la sua di cosa, Milone, sa farla decisamente bene.
Negli anni ha costruito e plasmato il suo stile, ed oggi la sua cucina è matura pur essendo in divenire, piacevole senza esser piaciona, ispirata senza il minimo plagio, contemporanea ed attuale pur restando identitaria e territoriale. Oggi c’è decisamente più personalità nei piatti. Con decisa padronanza della tecnica, affianca riletture intelligenti di piatti tradizionali, come la Carne cruda brasata al vino rosso ad altri dallo stile più attuale, come i Gamberi rossi, foglie e fiori, passando attraverso portate che fanno del trait d’union tra moderno e classico la caratteristica principale, uno su tutti i Tajarin acciughe mascarpone e limone, una divertente attualizzazione di un piatto della tradizione. E’ proprio per questo che uno dopo l’altro, in sequenza, all’interno del menù tutti i piatti trovano il loro spazio, mostrando le proprie caratteristiche e la propria identità singolarmente, ma risultando armonici e coerenti nell’insieme. E, nonostante il numero considerevole di portate, il pranzo scorrerà liscio, senza portare in dote nessun affaticamento né sensazione di pesantezza alcuna.
E allora non fa nulla se nessuno tra i piatti del nostro menù è stato in grado di farci urlare al miracolo; non fa nulla soprattutto perché, e forse ciò è ancora più importante, nemmeno uno tra i molti piatti serviti ha portato con sé in tavola errori, o sia stato in qualche maniera perfettibile. Ciò dimostra che vi sono tutte le potenzialità di una “grande” cucina avanguardista (un esempio per tutti, la provocazione riuscitissima e non fine a sé stessa di servire un risotto come dessert), ma anche la consapevolezza dei propri mezzi ed i piedi ben piantati per terra, senza voler esagerare tanto per farlo ma con la capacità e l’umiltà di fermarsi due passi prima, in attesa che il regime sia al 100%.
Certo, mancano ancora quei due passi per andare a giocare con i migliori, ma è solo una mera questione di tempo: le carte ci sono tutte, si tratta solo di scoprirle al momento giusto.
L’ingresso alla Trattoria Zappatori, con la Gastronavicella a vista, sulla sinistra.
I due tavoli gourmet, in tutta la loro essenzialità.
Si parte con gli appetizer: Cioccolatino di foie d’anatra, cioccolato 70% fondente.
Chips di cotenna di maiale, wasabi e aceto.
Mangia e bevi di fungo porcino: brodo dalle innumerevoli sfumature aromatiche, dal terroso all’erbaceo fino al citrico, con il conseguente totoscommesse al tavolo sull’utilizzo di quali erbe al suo interno. Restiamo attoniti nello scoprire che in realtà il brodo è solo ed esclusivamente di… fungo porcino.
Gelato di mozzarella, gazpacho al pomodoro, pesto liofilizzato.
Nocciole tostate e salate, sorbetto al Crodino: una versione provocatoria dell’aperitivo ninety per eccellenza. Divertente e tecnicamente ben fatto, con il concentrato sorbetto che mantiene la nota lievemente amara del crodino.
Bella (e buona) la varietà dei pani, con il bonus della focaccia allo strutto.
Cozze crude e salsa al lime. Mare, campeggio, ferragosto, mare.
Gamberi rossi, fiori, succo di melone, cedro candito. Gambero “declassato” a sola funzione di texture, volutamente compresso tra la dolcezza del succo e le modulazioni vegetali/amare dei molti fiori. Freschezza e leggerezza.
Carne cruda brasata al vino rosso. Grande rilettura estiva di due piatti della tradizione . Milone utilizza carne di Vicciola, una varietà di piemontese allevata a nocciole: questo fa sì che la carne acquisisca quella lieve dolcezza ed oleosità della nocciola, che ritroviamo nel piatto. Il cipollotto stufato è componente primaria del piatto, con il lieve apporto amaro che sviluppa in cottura.
Insalata tiepida di trippa. Altra interpretazione di un classico, altra buona riuscita. Per donargli quel marcato colore rosso il reticolo viene cotto nello spritz, operazione che tra l’altro lo sgrassa notevolmente.
Tajarin mantecati al mascarpone, limone, acciuga all’acqua. Piatto molto ben bilanciato, con la moderata salinità delle acciughe che placa la grassezza del mascarpone e la nota lievemente aspra del limone. Paga soltanto un lieve calo di temperatura che asciuga un po’ troppo il tajarin, ma ciò non compromette la riuscita del piatto.
Petto di pollo sottovuoto, olio, mandarino, succo di alloro, germogli piccanti, carotine, pelle croccante. Un piatto dalla porzione alla carta, dalla concezione più classica e molto ben riuscito. Gli innumerevoli ingredienti restano definiti, marcati e ben individuabili, senza creare l’effetto “accozzaglia”…
…la “pelle croccante” in accompagnamento, non un simpatico assaggino a traino ma un componente fondamentale del piatto, una cialda concentrata che dona al piatto, di concezione più “casta”, golosità, croccantezza e sapidità.
Il primo dei dessert: Riso cotto nel succo d’arancia, crema pasticcera, vaniglia, sfere di olio al peperoncino. Riuscire a rendere un risotto un dolce sensato è cosa indubbiamente notevole, farlo in questa maniera lo è ancora di più: chicco al dente, che acquisisce lieve acidità dalla cottura. Crema pasticcera e vaniglia (e relative dolcezze) dosate al millimetro. Sfere al peperoncino dalla piccantezza decisa, che allunga notevolmente la persistenza. Chapeau.
Sorbetto al miele di magnolia, caramello, whiskey torbato, meringa bruciata. Altro buon dessert, che coniuga la delicatezza del morbido sorbetto al miele con le note tostate/bruciate del resto degli ingredienti, mantenendole però caratterizzanti e distinte.
L’orto incolto: un mix di frutta e verdura dell’orto su una base di fini briciole di cioccolato. Ottima chiusura, fresca e pulente.
In accompagnamento al caffè…
…e in accompagnamento al pranzo.
Cucina da trattoria (e che trattoria!). Senza la trattoria. In tempi di cucina da ristorante senza ristorante. Questa è la nuova sfida che il sempre visionario –o, più calzantemente, lungimirante- Davide Scabin regala a Ivrea e all’Italia. A tutta l’Italia, visto che non di solo Piemonte vive la carta di Blupum, equamente ripartita com’è fra proposte locali e omaggi ad altre cucine regionali del Belpaese. Il progetto accompagna, senza sostituirlo, quello del Combal.Zero, quindi è improprio parlare di un vero e proprio percorso di andata e ritorno da parte di Scabin che però, a testimonianza di quanto consideri importante la nuova avventura, ha messo di stanza a Ivrea, insieme alla sorella Barbara, una fetta non certo secondaria del proprio storico staff.
Imponente lo sforzo. E il risultato? Occorrerà, per quello, pescare nella borsa in cui riposano gli aggettivi delle grandi occasioni.
Perché Blupum è, innanzitutto, un locale dove si sta benissimo da subito, assai prima che il primo boccone giunga in tavola; neppure lontanamente una piola o un bistrot, grazie a un ambiente in odore di classicità e a un servizio di grande scuola, celebrato senza ostentazioni malgrado le frequenti cariche a suon di guéridon. Che cominciano subito, con la preparazione di un sale alle erbe che, insieme al Beurre d’Isigny, farà e da riempipista e da trastullo fra una portata e l’altra, per proseguire con finiture puntuali al tavolo dei gioielli usciti dalla cucina capitanata da Barbara Scabin. Gioelli, sì. Non è il caso di essere prudenti, perché le tagliatelle al ragù, il polpo alla Luciana, le raviole astigiane in brodo di gallina bianca di Saluzzo, altro non fanno che stabilire nuovi parametri per questi classici: sono la nemesi dell’eterno insoddisfatto che immancabilmente ordina questi piatti al solo scopo di rivendicare la propria superiorità sul malcapitato cuoco di turno. Perché far meglio di così è arduo. Estremamente arduo.
Quella di Blupum sembra la ricetta ideale per accontentare tutti, con esecuzioni eleganti di piatti di universale attrattiva che vengono oltretutto proposti a prezzi da encomio. Per chi sceglie infatti la strada del menu degustazione, raccomandata a chi vuole avere un’ampia panoramica della cucina e incoraggiata da una nota in carta che sconsiglia la comanda di più di un paio di piatti alla carta causa generosità delle porzioni, la spesa non supererà i 43 euro. Per entrata, tre antipasti, due primi e dolce. Di livello fantastico.
La tazzina di Magna Gina: crema di piselli e scamorza affumicata.
Coppa, Culatello e Strolghino griffati Spigaroli. Con uno gnocco fritto che già desta attenzione.
Rablé di coniglio con salsa brusca astigiana.
Merluzzo mantecato all’extravergine con olive taggiasche e Parmentier di patate.
Tagliatelle “Monograno Felicetti” con un ragù alla bolognese che sarebbe interessante provare anche su una pasta più grezza e ricca di uova.
Favolose le raviole astigiane in brodo di gallina bianca.
Polpo alla Luciana, ben consistente ma per nulla gommoso, con patate fondenti.
Dettaglio.
Amarene al vino.
Tu chiamali, se vuoi, assaggi dal carrello dei dolci: île flottante e bavarese alle fragole…
…e selezione di torte.
Il servizio del burro.
Era lecito aspettarsi qualcosa di più da una delle osterie più note ed apprezzate di Torino e provincia, ormai da diversi anni premiata con la chiocciolina, il massimo riconoscimento della guida alle Osterie d’Italia edita da Slow Food.
Intendiamoci, non è che alla taverna di Fra Fiusch nel complesso si mangi male (altrimenti non ne parleremmo affatto) però davvero si potrebbe fare meglio, dedicando maggiore cura alla realizzazione dei piatti ed anche, come si dirà, alla predisposizione della carta.
La location, suggestiva, in posizione amena sulla collina di Moncalieri, con tanto di panorama su Torino, predispone al meglio, così come le rustiche salette che si dividono su due piani. L’accoglienza, molto cortese e la carta dei vini ben studiata e con una bella profondità soprattutto di piemontesi, ci fanno subito pensare che qui si faccia davvero sul serio.
Una prima occhiata alla carta inizia però ad incrinare le nostre certezze. Se, infatti, è interessante e assai elastica la proposta dei menu degustazione (con, ad esempio, la possibilità di scegliere liberamente 4 piatti anche tutti della stessa tipologia), la carta nel complesso ci sembra troppo ampia: 12 antipasti, 10 primi e 11 secondi. Un po’ troppi per un locale di dimensioni ridotte che voglia fare alta qualità.
Inspiegabilmente – a nostro parere – infatti, si è deciso di aggiungere ai grandi classici della cucina del territorio come finanziera, agnolotti, tajarin alcuni piatti “marziani” (e non solo da un punto di vista territoriale…), come – per citarne solo uno – le tagliatelle con ragù di cinghiale che, ovviamente, decidiamo di assaggiare.
In generale abbiamo, poi, rilevato un problema di temperature dovuto anche al fatto che i piatti (intesi come piatti di portata) erano inspiegabilmente assai freddi determinando, quindi il repentino raffreddamento delle preparazioni in essi contenute.
Fin qui quello che non va.
Ma aggiungiamo che abbiamo mangiato degli gnocchi di patate viola con carciofi molto interessanti, un superbo stinco di maiale al forno con semi di finocchio e un dessert (a tutto territorio) tutt’altro che banale: Piemonte in bocca che racchiude in vari strati e consistenza bunet, crema allo zabaione, panna cotta, baci di dama e bicerin.
In breve, un posto in cui tutto sommato si sta bene, con un buon rapporto prezzo qualità, ma che potrebbe dare maggiori soddisfazioni se si concedesse qualche divagazione di meno in carta e curasse maggiormente alcuni aspetti (vedi temperatura dei piatti) che possono sembrare di contorno ma che tanto di contorno non sono.
Ad Majora
Entrèe: Bignè di insalata russa. Non è obbligatorio offrire qualcosa che non si è ordinato. E’ una bella consuetudine ma deve avere un senso. Difficile trovare un senso a questo (poco fragrante) bignè.
Buoni i Plin (ai 4 arrosti) conditi con burro d’alpeggio..
Insalatina di carciofi crudi con cialda di parmigiano: fresca e agrumata.
Gnocchi di patate viola con carciofi.
Qui casca l’asino. Tagliatelle con ragù di cinghiale. Piatto che affolla 12 mesi all’anno i menu turistici dell’intero centro Italia. Riproposto incomprensibilmente ad aprile sulle colline torinesi, con, tra l’altro, decisamente troppo chiodo di garofano.
Quaglie al marsala.
Il piatto migliore: Stinco di maiale al forno con semi di finocchio.
Piemonte in bocca, una summa dei più noti dolci della tradizione piemontese.
Chiunque voglia studiare, capire, conoscere la cucina italiana degli ultimi 20 anni non può prescindere da una figura come quella di Davide Scabin. Uomo intelligente, cuoco eccezionale, geniale, creativo, ma grande interprete anche della cucina più classica.
Di lui, come dei grandi pittori, potrebbe tracciarsi una storia suddivisa in periodi, ciascuno contraddistinto da un colore.
Il periodo Blu, quello delle origini, con la trattoria Al Combal ad Almese nella bassa valle di Susa. Era il periodo del vitello tonnato e della cucina tradizionale anche se, attenzione, già allora su prenotazione espressa, per pochi fortunati era possibile richiedere in modo quasi “clandestino” un menu creativo.
Quindi, il periodo Rosso quello della nuova sede al castello di Rivoli, proprio di fianco al Museo di Arte Contemporanea. E’ il periodo del Combal.Zero. La fase della cucina creativa, anche molto spinta, dell’innovazione assoluta, del food design. In questo periodo si consacrano piatti come il Cyber Egg (uovo avvolto in una pellicola trasparente con scalogno e caviale) e, in generale, si fa avanti un’idea di cucina che vuole stupire ma che è sempre attenta a non prendersi troppo sul serio. E’ quella dimensione ludica, altra caratteristica di Scabin, per cui divertimento e golosità viaggiano di pari passo.
Quindi si arriva agli ultimi anni che potremmo definire il periodo Giallo Oro. Quello della maturità in cui il cuoco di Rivoli torna alla grande cucina classica, alla materia. Centralità gustativa prima di tutto e ancora grandi piatti come l’ormai celeberrimo Rognone al gin.
Insomma, come si vede, nel tempo sono cambiate le stagioni ed i colori ma intatto è restato il talento e la capacità di Scabin di concepire e realizzare piatti capaci di regalare emozioni.
Quelle emozioni che sempre devono richiedersi a chi ambisce ad essere ai vertici della ristorazione. Quelle emozioni che, purtroppo, non abbiamo provato nel corso della nostra più recente visita.
Non abbiamo trovato i colpi del fuoriclasse. I piatti che non dimentichi.
Inevitabile, dal momento che stiamo giocando con i colori, pensare che in questa fase del Combal.0 ci sia qualche sfumatura di Grigio.
Da una carta quasi totalmente nuova fatta eccezione per due classici: l’Uovo cibernetico e la cara, vecchia Zuppizza (che, detto per inciso, fatichiamo a considerare un piatto memorabile) abbiamo mangiato tanti buoni piatti, a volte molto buoni, ma niente di più.
Abbiamo trovato una cucina corretta, equilibrata, leggera. Rassicurante. Quasi didascalica nel suo voler mettere ogni cosa al posto giusto. Grande attenzione alla presenza in ogni piatto di diverse consistenze e nell’arco dell’intero menu a bilanciare i piatti caldi e i piatti freddi, i piatti da masticare e i piatti da sorbire, con un occhio attento alla giusta acidità e un elemento vegetale sempre presente.
Ma nessun genio, nessun colpo d’ala, poca originalità. Proprio lo Scabin che non ti aspetti.
Sappiamo che proprio in questi giorni lo Chef sta aprendo una nuova trattoria in quel di Ivrea (e ne siamo lieti ovviamente oltre ad augurargli ogni fortuna), che è spesso in televisione con Antonella Clerici (e certo non gliene possiamo fare una colpa dal momento che viviamo nella civiltà dell’immagine); prendiamo anche atto che la sera della nostra visita lui non c’era (ma come si ripete sempre i grandi ristoranti devono funzionare alla perfezione anche quando il grande cuoco non c’è, ma non vorremmo che si trattasse di tre indizi del fatto che il buon Davide sia un po’ distratto e non sia più così concentrato sul caro vecchio Combal.Zero.
Che mai come in questo momento ha bisogno di lui. E, lo ammettiamo, ne abbiamo ancora bisogno anche noi.
Ad Majora.
Mise en place. Molto elegante.
La sala.
Compagno di viaggio.
Grande entrée. Acida, fresca e pure croccante: coulis di pomodoro, baccalà, cialda di grana e spaghetti al nero di seppia.
Carne cruda 2.13: carne cruda di fassona, bagna cauda (ma in versione fredda, più gentile al palato), cicorietto, tartufo nero.
Seppia e piselli.
Un eccellente Riesling.
Uovo di mare con frappe di peperoni. Dell’uovo solo l’illusione: capasante, peperoni, ricci di mare. Non convincente, un po’ di confusione al palato.
Raviolo di nervetti in brodo di Jamòn Ibèrico de Bellota 5J ed ostrica. La pasta è pasta fresca fritta, il brodo è versato in diretta.
Giardiniera con salsa brusca. Piatto cromaticamente interessante con un bel gioco di consistenze dato dalle diverse cotture delle verdure. Fegatini di pollo a dare carattere.
Riso, Ceviche, Bisque. Dicendola semplice un risotto con bisque di crostacei e gambero crudo al lime. Non entusiasmante.
Zuppizza. E’ la versione nuova con i capperi a sostituire l’acciuga del piatto originario.
Tagliata di sedano rapa con funghi.
Spiedino di quaglia e pescato. Il pescato è un dentice.
Siamo pur sempre in Piemonte.
Fassona al camino. Costoletta di Fassona panata a regola d’arte e fritta nel burro con sentori di camino. Divertente, grande materia prima.
Stichelton, assai simile al più noto Stilton ma rigorosamente a latte crudo e pane in cassetta maison.
Mango e caffè.
Classicissima Cheese-cake con composta di mirtilli.
Cyber Elio Campari. Giochiamo in chiusura: una sfera da succhiare piena di Campari e Lemonsoda e Smarties a volontà.