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Casin del Gamba

In una ex rimessa di caccia l’ottima tavola di Altissimo

Arrivare al Casin del Gamba richiede una certa predisposizione. I tornanti che si snodano tra la Valle dell’Agno e la Valle del Chiampo non sono immediati da affrontare, ma è un piccolo sacrificio che si sopporta volentieri per sedersi ad un’ottima tavola come quella di Altissimo.

Il locale, situato in una ex rimessa di caccia dalla forma insolita, dal 1976 è gestito dalla famiglia Dal Lago, con in cucina il patron e chef Antonio, e in sala la moglie Daria e il figlio Luca a gestire la conduzione del servizio. Antonio Dal Lago è cuoco autodidatta ma dalla mano esperta e controllatissima. La sua cucina, tra le più sicure e riconoscibili dell’alta ristorazione, che non a caso si fregia della stella Michelin conquistata già nel 1992, è legata a doppio filo col territorio.

Ci si imbatte quindi in un tripudio di funghi, selvaggina ed erbette di stagione, e non se ne potrebbe essere più soddisfatti. In questo, gioca un ruolo fondamentale la tecnica, che si mette al servizio dell’ingrediente per restituirlo al massimo delle proprie espressioni attraverso un sottile gioco di equilibri.

Un’escursione tra i boschi

Chef Dal Lago conosce bene i boschi che lo circondano e si prefigge l’obiettivo di amarli, e farli amare, a tavola, dai suoi ospiti. Delle degustazioni disponibili abbiamo optato per Erbette Spontanee, esperienza che si alterna in base ai cicli stagionali e che affianca invece le due proposte fisse Stagionalità e I Classici.

Il percorso, in ascesa, basa molto della sua struttura sulla componente vegetale, a cui poi si affiancano gli elementi caseari e la selvaggina. A volte i risultati sono inespressi, come nel caso dello Sformatino di carlini e bruscandoli, troppo neutro nell’accostamento con la ricotta mantecata.

Ma si tratta di episodi marginali rispetto al resto. Impossibile, difatti, non citare meritoriamente il Piccione in due cotture, un must della cucina di Dal Lago, in cui la forza gustativa della carne, acuita tra l’altro dal servizio su crostino di paté di fegatini, viene bilanciata dalla dolcezza delle spugnole ripiene di purea di piselli di Bassano. Un piccolo gioiello.
E ancora, urge menzionare quello che pare essere considerato il piatto simbolo dell’intero menù, ovvero le Piramidi di Grana Padano, tisana di erbe, crema di aglio orsino e carlini, preparazione in cui la sapidità del formaggio trova un connubio perfetto con la tisana balsamica, lunga al palato e dai lievi sentori di anice in chiusura. La miglior portata di tutto il servizio.

Una mescita tesa all’accordo completa la degustazione, sebbene nel caso del Riesling ci abbia preso alla sprovvista la forte nota terziaria. Una proposta ardita, ma non per questo illegittima.

Il Casin del Gamba si conferma nuovamente un luogo a sé stante, lontano da frivole mode passeggere e radicato nella tradizione più salda e classica. Un locale evocativo, in cui lasciarsi accompagnare in un’ideale passeggiata tra i boschi, senza il timore di perdersi.

La galleria fotografica:

“Giovani forchette alla riscossa. In questo spazio di PG, raccogliamo dunque testimonianze, racconti, itinerari e segnalazioni di giovani penne dall’attitudine ‘buongustaia’, che autonomamente hanno trovato affinità con il nostro approccio. Non sarà consentito loro, per ora, di esprimere un voto, ma solo commenti e descrizioni della loro esperienza. Il canale ‘Young Forks’: ai giovani parole e forchette, a voi la lettura”

Un’altra opera d’arte, appena dietro gli Uffizi

A pochi passi dagli Uffizi, nascosta in un reticolo di viuzze, si incappa nell’entrata del ristorante Ora d’aria, una stella Michelin dal 2011.

Il locale, moderno e sobrio negli arredi e con una splendida cucina a vista nella prima delle due sale, è gestito da Marco Stabile, classe 1973, cuoco formatosi sotto l’ala di Gaetano Trovato.

La sua proposta prevede tre percorsi, vegetariano, di pesce e di carne più la possibilità, a pranzo, di provare i piatti in versione “tapas” a prezzo ridotto.

Nel menù di carne Giovane Firenze si ritrovano ingredienti della tradizione culinaria toscana quali, ad esempio, il coniglio, qui declinato in una terrina di coniglio con, alla base, una luna di crema di finocchio e cipolla bruciata, come a formare lo spicchio laterale, e altri di taglio più nostalgico come la gallina ne l’uovo, le uova e la gallina, appunto, che consta di un uovo poché, un uovo di quaglia, gelatina con ritagli di gallina, paté di fegatini, caviale e brodo di pollo in chiusura.

Toscanità, anche nel dolce

Si tratta di una cucina sostanziosa ma, al contempo, equilibrata, dove spiccano elementi di grande toscanità come l’immancabile olio extravergine d’oliva toscano qui declinato anche in un originale dessert: il crumble all’olio, gelato alle olive taggiasche, crema di semolino, robiola e mousse al cioccolato bianco.

Escalation molto piacevole, anche nei vini in mescita, a suggello di un pasto sostanzioso, elegante e soddisfacente.

Mi è stato chiesto da più parti di raccontare la storia della scoperta del Povero Diavolo di Torriana. Uno dei pochi ristoranti in Italia, forse l’unico di questo livello, che è stato raccontato prima sul web e solo in seguito dalla critica tradizionale. Un faro acceso su una locanda, e in particolare su un cuoco, che da lì in poi ha iniziato una intensa e vibrante rincorsa verso l’empireo della ristorazione Mondiale. Pier Giorgio Parini e Il Povero Diavolo sono stati e sono tutt’ora l’esempio di una ristorazione moderna, avanguardista, non solo dal punto di vista gustativo e della cucina.
Il Povero Diavolo di Torriana è jazz, ha fatto dell’istinto e dell’improvvisazione la sua fortuna. Ha spostato il paradigma dell’alta cucina, fatto di brigate chilometriche, di ripetitività del gesto, di continue e costanti messe a punto, di ossessiva ricerca dello stile… Ha demolito questo costrutto ideologico proiettandola in un mondo d’improvvisazione, di continuo mutamento, a tratti pure di ruvida imperfezione. E l’ha fatto dando vita a una vera e nuova avanguardia culinaria. Rendendo sostenibile un ristorante gourmet costruito su un modello meno costoso e meno ingombrante, il “no frills” dell’alta cucina contemporanea. Il modello del Povero Diavolo poteva nascere solo grazie a un incontro tra “folli”.
Da un lato un cuoco di genio con un talento istintivo e unico. Dall’altro il contorto mecenatismo intriso di sana follia e illuminata visione di un duo di ristoratori spinti da rara passione. Fausto e Stefania Fratti. Una coppia, di cui lo chef è diventato una sorta di figlio adottivo, che ha creduto fino in fondo nel talento di Pier Giorgio e ha fatto sacrifici immani per sostenere lui e il suo progetto. Ogni volta che mi viene chiesto di raccontare la cucina di Pier Giorgio e del Povero Diavolo riporto sempre questo esempio: prendete tre cuochi, sceglieteli voi tra i migliori, e metteteli in una cucina sottoponendogli tre ingredienti a sorpresa chiedendogli di costruire un piatto con questi. Bene, quello che creerà il piatto migliore sarà Giorgio, non ho dubbi.
Questo è considerabile un valore assoluto? Certo che no. E’ semplicemente un modo per spiegare come il suo talento istintivo lo porti ad avere una tale dimestichezza e profondità sensitiva con gli ingredienti, da conoscerne perfettamente il risultato una volta elaborato. Come Mozart componeva con l’orecchio assoluto, Pier Giorgio Parini cucina con il palato compositivo assoluto. Una storia e una crescita che è stata possibile e realizzabile in quel luogo affascinante che è Torriana. Solo lì l’incontro poteva avvenire, e solo lì entrambi hanno dato il massimo in un’avventura straordinaria.

Ma tornando alla scoperta, e parlando di illuminazioni, ciò che mi portò a parlare del Povero Diavolo e di Torriana dopo una cena del Novembre 2007 fu un misto di intuizione e sana incoscienza, forse visione. Sarebbe bello raccontare che tutto ciò è stato merito mio, che quel lampo sia stato farina del mio sacco. Ma vi do una notizia: non è così.

Nel novembre del 2007, un pressoché sconosciuto Pier Giorgio Parini era stato da poco assunto a condurre le cucine del Povero Diavolo di Torriana, ristorante che già da qualche tempo stava mandando segnali interessanti.

Il mio vecchio amico Piero Pompili cominciò a insistere, “…quel giovane cuoco farà parlare di sé”. Alcuni lettori forse si ricordano di Piero, da quando girava per il web con il nickname di “Muccapazza”. Mi sono sempre fidato di lui: estroso, istrionico e follemente originale, non ha mai mancato di dimostrarmi sensibilità e senso del gusto, doti per nulla comuni. E poi una cena è spesso la scusa migliore per rivedere un amico.

Varcata la porta del Povero Diavolo rimasi ammaliato, folgorato da una cucina davvero priva di schemi fissi e lontana dalla memoria. Un pezzo di futuro fluttuante tra quattro mura incastrate nel tempo. L’amore fu istantaneo, un vero e proprio colpo di fulmine.

Ricordo che il giorno dopo, lungo la strada del ritorno, ne parlai con Paolo Marchi ed Emanuele Barbaresi. Con il primo collaboravo alla neonata guida di Identità Golose e con il secondo stavamo scrivendo la guida Gourmet 2009, il gronchi rosa della critica gastronomica italiana, come scherzosamente amiamo definirlo io e i molti compagni di quella avventura che ancora oggi sono presenti qui su Passione Gourmet. Roberto Bellomo, Fabio Fiorillo e Roberto Bentivegna, il co-responsabile con me di quello che successe poi. Lo esortai a un’altra visita da Pier Giorgio dopo qualche mese, per verificare che non avessi preso un abbaglio.

– No, Alb, non ti sbagli.

Il genio era puro, l’anima del ristorante candida, l’esperienza tanto entusiasmante da diventare in breve una necessità.

E proprio nella guida Gourmet 2009, edita da Editoriale Domus, piazzammo il Povero Diavolo di Torriana ad una votazione di 17/20imi, a ridosso dei grandi. Una posizione che all’epoca fece non poco scalpore.

Negli anni successivi sono tornato a Torriana e al Povero Diavolo oltre 80 volte, e ogni volta ho degustato creazioni che in maniera del tutto naturale e spontanea hanno visto la luce, hanno goduto intensamente della loro stessa bellezza, come un bruco divenuto farfalla, per un solo giorno prima di eclissarsi per sempre, senza mai ripetersi. E’ vero, molti piatti sono diventati signature dish di Pier Giorgio e del Povero Diavolo. Ma credetemi se dico che pur essendo straordinari il “riso in bianco”, il “pomodoro al sugo”, il “sempreverde” non sono nulla di fronte a tante altre creazioni che ho avuto la fortuna di assaggiare.

È la storia di un grande amore che si conclude. Non ho mai visitato così tanto e così spesso un ristorante, e oggi penso che avrei voluto farlo ancora di più, toccato forse dalla sensazione intima che quel periodo, magico, avrebbe avuto una fine. Il resto è e rimarrà storia, una bella storia che ricorderemo a lungo.

Pezzo in uscita contemporanea sul sito di Luciano Pignataro.

Al Marin, ristorante gastronomico di Eataly Genova, già la vista ti appaga, e non poco. Qui, affacciati sul porto antico e solleticati dalla splendida vista che si gode dalla vetrata progettata da Renzo Piano, sarete cullati da una incredibile moltitudine di stimoli.
Che non finiscono affatto quando a raggiungervi, in tavola, saranno i piatti.
Su questo monumentale impero, Eataly, e sul suo patron si è detto di tutto e di più, soprattutto -e da sempre- non gli si sono mai risparmiate critiche, anche feroci, a tratti gratuite. Il male italico per eccellenza. Non che noi non ne avremmo, ma in questa narrazione ci piace porre l’accento su un aspetto a nostro avviso molto più importante.
In questo ristorante gastronomico si può degustare la migliore cucina di Genova, senza ombra di dubbio alcuno, pur con l’avvicendamento di Enrico Panero prima ed ora del suo ex sous chef Marco Visciola. Scovare in successione due limpidi e cristallini talenti, alternatisi in questo ristorante, non è cosa da poco.

Ed è sopratutto merito, doveroso dirlo, della proprietà. Che ha saputo sceglierli e motivarli, oltre che farli crescere e dargli spazio.
Marco Visciola, attuale resident chef, è un ragazzo che ha certamente tanto da dire. Mostra ancora qualche accento distonico, qualche ingenuità di troppo, ma tecnica, conoscenza e soprattutto voglia di migliorarsi non gli mancano affatto. Ascolta tutti Marco, si informa, vuole capire. E sopratutto continua a mantenere l’atteggiamento curioso verso la novità, verso il non conosciuto, verso ciò che ancora non padroneggia.

Poco a dire il vero, perchè nella nostra ultima visita non abbiamo trovato né una cottura sbagliata  né un eccesso di ossidazione, né tanto meno condimenti disequilibrati. La sua è una cucina che è lo specchio del suo carattere. Sussurrata, gentile e intensa, lunga ma sottile e per nulla invadente, in realtà elegante e discreta.
Questo gentile, educato e silenzioso cuoco ci ricorda tanto il Luigi Taglienti dei primi tempi. Forse l’unico difetto che ci sentiamo di ascrivergli è proprio la sovrabbondanza, la sovrastruttura di ingredienti messa nel piatto, sopratutto sul versante antipasti. Così come alcune reiterazioni stilistiche, sintomo di incertezza che, con questi piatti, ci sentiamo di sconsigliare vivamente, proprio perché con la sottrazione di ingredienti comprimari e la messa a punto di qualche salsa si trasformerebbero da caotici a vincenti. Se, come crediamo, riuscirà a togliere, ad eliminare, ad arrivare all’essenza gustativa che i suoi piatti meritano, il salto ulteriore è certo.

Non manca di idee originali, certamente, ma forse è ancora troppo stretto il legame con i suoi maestri, da cui oltre che ispirato è decisamente molto influenzato. Ma quella finanziera di mare, costruita sul quinto quarto di pesce, rimarrà invece a lungo impressa nella nostra mente come simbolo della cucina di Visciola. Personalità, estro e inventiva originale. Stesso identico discorso per i plin ripieni di erbe amare (prebuggiun) e calamaretti spillo nel loro intingolo. Territorio, persistenza, gusti non banali.

Un ultimo cenno, doveroso, agli straordinari ingredienti, prevalentemente ittici, impiegati in questo ristorante. Veramente di qualità molto elevata.
Avanti così, ora, a Genova, si respira un’aria frizzante ed energica.

Gli accompagnamenti all’aperitivo. Cracker di palamita, alice imbottita e fritta, salsa al burro (troppa!) di alici e sfoglia di pelle di alice (esercizio onestamente lezioso e fine a se stesso), sfoglia di pelle di baccalà soffiato con crema di baccalà.
aperitivo, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
Pacchero soffiato, caviale e tartare di ricciola.
Pacchero soffiato, caviale, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
Gambero di Santa Margherita (divino!), mortificato dal brodo di frutti rossi e dal fondo di asparagi, piselli e frutti rossi che nulla in più donavano alla preparazione.
Gambero di Santa Margherita, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
gambero di santa margherita, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
Cozze, fantastiche, con cavolo rosso fermentato e melanzana arrostita.
cozze, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
L’ottimo pane in accompagnamento.
pane, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
Sgombro, morchelle, barba dei frati, zucchine, piselli con i suoi germogli, crumble di acciughe e salsa acidulata. Fa la sua comparsa anche un pomodoro. Troppi ingredienti, fini a loro stessi.
Sgombro, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
Stupenda capasanta con taccole, piselli, erba ostrica e salsa di mandorle all’aneto: anche qui, in un piccolo capolavoro, se togliessimo il ravanello e finanche l’erba ostrica, il piatto starebbe in piedi lo stesso. E risulterebbe comunque molto interessante come di fatto è risultato.
Capasanta con taccole, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
Ostriche pochè, asparagi, salsa allo spumante, mostarda di frutti rossi, erba ostrica, spugna di maggiorana. Via la spugna e la senape di frutti rossi, più tenore acido alla salsa et voilà, come trasformare un piatto tendenzialmente confusionario in un grande piatto.
Ostriche pochè, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
Recco e Camogli. Ravioli di focaccia ripieni al formaggio, salsa alle acciughe, acciughe fresche di Camogli e salsa al basilico. Più interessante alla vista e nell’idea che al riscontro gustativo.
Ravioli di focaccia, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
Fantastici plin di Preboggiun, amari e non connotati dalla ricotta che avrebbe smorzato questo intenso gusto, accompagnati da un ottimo guazzetto di calamaretti spillo e dal loro intensissimo e ridotto intingolo.
Plin di preboggiun, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
L’imperiosa, originale e divertente finanziera di Mare. Salsa di ricci di mare e vongole con il quinto quarto di pesci e crostacei, in cotture separate o a crudo, con un ottimo contrasto di una splendida giardiniera. Chapeau!
Finanziera di mare, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
Variazione di scampi, foie gras e nespole. Ottimo piatto!
Variazione di scampi, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
La macedonia di frutta e verdura, con rimandi a Crippa, con salsa ai frutti rossi e granita al basilico.
Macedonia di frutta e verdura, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly
Cialda di pinoli, mousse alle olive, gelato di focaccia, granita al basilico. La liguria nel piatto, in versione dolce. Con un mojito in accompagnamento.
Cialda di pinoli, Il Marin, Chef Marco Visciola, Genova, Eataly

Antonio Abbruzzino, Catanzaro

A Catanzaro è nata una nuova stella, anno 2014.
E’ la prima stella nella storia di questa provincia. Si è posata su una piccola bomboniera fuori città, un luogo in cui abbiamo trovato grande fermento. Questa grande ed importante conquista è merito prima di tutto suo, di Antonio Abbruzzino.
Cuoco, come ama definirsi, ma soprattutto uomo e padre fantastico.
Antonio è professionista di grande mestiere, ma ha deciso da tempo di accompagnare il piccolo grande Luca e, come tutti i grandi padri, di osservarlo da lontano ma facendogli percorrere la sua strada. Affiancando, assecondando, consigliando ma mai prevaricando.
Segue con amore e dedizione il suo cucciolo, giovane professionista a cui dà spazio di manovra per esprimersi. A cui consiglia di mettere il naso fuori dal suo locale periodicamente per vedere ciò che accade nel mondo, per crescere ed affinarsi.
E Luca lo fa, con sguardo curioso e intelligente. Stage da Crippa e da Uliassi, per citarne alcuni, dove ha letto e reinterpretato, ed adattato al suo contesto, non banalmente copiato.
E’ straordinario conoscere Luca, che così giovane (ha 24 anni) è già così posato, attento, maturo e convinto.
Si pone sempre con atteggiamento umile, attento. Vuole ancora crescere Luca, imparare, ha fame di conoscenza. Ma la sua cucina è già limpida, cristallina, pulita ed elegante come fosse quella di un quarantenne, e pure bravo.
Merito di Mamma Rosina, che assiste e veglia dalla sala, e di papà Antonio, come già detto, che faticano, come tutti di questi tempi, a dare spazio e futuro ad un figlio che già oggi, ma prossimamente ancora di più ne siamo certi, racconterà una storia importante nella sua città e nel Sud più in generale.
Piatti non banali, eleganti, raffinati e tecnici.
Piatti che trasudano qualità e ricerca per la materia prima, che si impregnano dell’odore della tecnica senza mai esserne sovrastati.
Piatti che tentano di leggere un territorio e si stanno sempre più sdoganando da un timbro internazionale per abbracciare il profumo del locale, della tradizione rivisitata.
Piatti dall’equilibrio difficile come il perfetto triglia, carciofi, liquerizia e menta o come lo spaghettone, reso elegante dalla salsa alle vongole veraci e persistente dal tarassaco e cicoria, con quella punta di essenza di arancia che elegantemente portava a termine il cerchio gustativo. O come l’Agnello, fantastico nella sua rotondità e nel suo vigore ed infine i dolci, di un tenore mai visto a queste latitudini.
Messaggio ai naviganti: l’Aeroporto di Lamezia è a meno di mezz’ora di strada. Approfittatene prima possibile…

In apertura panino con Morzello, tipica preparazione a base normalmente di carne e pomodori, in uso come spuntino dai contadini della zona immerso in un pane, qui in una versione elegante-chic con il merluzzo. A seguire crostino di pane, velo di mozzarella di bufala e concentrato di pomodoro.
Morzello, Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Fantastico tempura di alici con ripieno di ricotta e tartufo della Sila, caramello di arancia
Tempura di alici, Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Tonno alalunga, polvere di pane di seppia, fragole e pomodoro
Tonno alalunga, Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Triglia, carciofi, mandorle, menta e liquerizia. Uso sapiente di quest’ultima, bilanciata alla perfezione.
triglia carciofi e mandorle, Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Fantastico merluzzo con latte di topinambur affumicato e tartufo nero della Sila, a donare croccantezza tapioca saltata.
merluzzo con latte, Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Spaghettone alle vongole veraci ed erbe amare, salsa di burrata
spaghettone alle vongole, Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Perchè no: fusilloni, ndujia, pecorino e ricci di mare. Colpo di genio! Due acque di pecorino e nduja, ottenute dalla riduzione dei prodotti in acqua con cottura prolungata, che servono a mantecare e risottare i fusilli. Tocco finale dei ricci. Spettacolare.
fusilloni nduja e pecorino, Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Tonno Rosso, melanzana perlina e salsa di aglio dolce. Come dice il cuoco, con una materia prima di questo tenore meglio aggiungere poco o niente.
tonno rosso, melanzana, Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Agnello, rapa rossa acidificata, salsa di latte di capra. La nuova versione prevede la cipolla al posto della bietola, territoriale e centrato.
agnello, rapa rossa, Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Cannella, Mela e Pinoli.
cannella mela e pinoli, Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Whisky, capperi e caffè.
whisky capperi e caffè, Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Spugna affumicata alla nocciola, gelato di nocciola e caffè.
spugna affumicata e nocciola,Antonio Abbruzzino, Catanzaro
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Antonio Abbruzzino, Catanzaro