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Pakta

La cucina Nikkei secondo Albert Adrià

Una delle cose che si apprezzano di Albert Adrià è che non senta alcun bisogno di mascherarsi. È un frontman e va fiero di esserlo. Punta dritto all’essenza delle sue idee disegnandone contorni definiti e pitturandone con tocchi decisi le atmosfere. Per questo si espone a rischi, che si traducono in una sequenza infinita di dettagli, che se non curati adeguatamente potrebbero far risultare l’opera incompleta.

A Pakta, avamposto Nikkei nel centro di Barcellona, tutto è organizzato secondo quell’architettura creativa che Adrià pare abbia trovato il modo di standardizzare e replicare. Il meccanismo che porta al successo sembra essere ben oliato con la firma dell’artista che si esplica fin dall’accoglienza, calorosa e professionale, passando per una tempistica del servizio ineccepibile, senza sottovalutare l’importanza di alcuni aspetti spesso trascurati, come la comodità delle sedute e la qualità dell’illuminazione. Eppure, al contrario delle nostre precedenti visite, questa volta ci siamo imbattuti in una serata non entusiasmante. Abbiamo comprato il biglietto per una partita in cui il fuoriclasse si è dimostrato sì più bravo degli altri, senza però emozionare.

Quando il dettaglio fa la differenza

L’analisi di questa serata lascia spazio a una duplice considerazione. Qualcosa, va detto, può essere attribuito e ridimensionato all’interno di un ciclo che inizia e finisce nella serata presa in esame. Ci riferiamo alle temperature di servizio, che durante la nostra cena hanno mostrato un tasso di approssimazione che non ci saremmo aspettati. I campanelli d’allarme, però, arrivano da alcune fasi della degustazione che non rappresentano errori di natura tecnica ma che affondano l’origine dei propri difetti sulla reiterazione di alcuni ingredienti all’interno del menù che, causa anche la stagione invernale non propriamente generosa, ha dato vita a una sequenza di passaggi troppo rassomiglianti gli uni agli altri causando un assopimento emozionale del palato discretamente rapido. Alla luce di questo ci interroghiamo sulla scelta di proporre due menù, entrambi composti da 22 portate, anziché proporne uno più breve, in cui concentrare intensità e sapori. Inoltre, non possiamo esimerci dall’aprire una parentesi sulla materia prima, che, in una cucina essenzialmente di prodotto, non può che essere eccezionale e che invece si è fatta trovare spesso non più che buona.
Qualche passaggio decisamente memorabile c’è ovviamente stato, e più di uno: parliamo di piatti come l’anguilla alla brace con salsa teriyaki o i piselli di Maresme, fave ravanello, foglie di oxalis, kimchi e okra.

Per concludere, sottolineiamo come da Pakta si respiri il profumo di un grande ristorante, che in qualche occasione è anche lecito che possa non esprimersi come tale. Dispiace, e dispiace doppiamente dover ammettere che anche gli eroi abbiano dei punti deboli. Si tratta di dettagli, che per un genio come Albert Adrià non sarà difficile aggiustare, così da riportare la sua idea di cucina Nikkei a splendere a Barcellona.

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Non accontentarsi mai è la chiave del successo

“Se è lecito rimandare con l’immaginazione agli albori dell’esistenza del genere umano, sarà altrettanto lecito supporre che le prime sensazioni siano state soltanto dirette, ossia che si sia visto senza precisione, udito confusamente, percepito gli odori senza scegliere, mangiato senza assaporare, goduto con brutalità. Ma poiché tutte queste sensazioni avevano il loro centro comune nell’anima, attributo specifico della specie umana e causa sempre attiva di perfettibilità, esse vi si sono riflettute, sono state paragonate e giudicate, e ben presto tutti i sensi si sono mossi gli uni al soccorso degli altri in nome dell’utilità e del benessere dell’io sensitivo, ovvero dell’individuo”.

(Jean Anthelme Brillat-Savarin, 1825, “Fisiologia del gusto”)

A quasi 200 anni di distanza, Josean Alija, chef del ristorante Nerua, si propone come artefice prescelto delle parole scritte dal più importante gastronomo della storia.

Oggi la cucina di Alija rappresenta la compiutezza del minimalismo, un tuffo nella piscina dei sapori, un concentrato di ricerca tecnica e intellettuale, la dimostrazione che si possa fare di più con meno. La cibernetica creativa di Alija sembra procedere passo dopo passo, con incedere lento ma inesorabile. Il traguardo è posto oltre la linea dell’orizzonte e cerca di essere raggiunto con la semplicità d’animo e la spontaneità di chi è consapevole di ciò che è e di ciò che fa.

Tutto questo contestualizza lo chef all’interno dell’involucro che lo contiene affiancandolo ai più grandi artisti di opere contemporanee. Riconoscibile da distanza siderale, fa ruotare ogni passaggio attorno a un brodo, a una salsa o a una spuma, caratteristici per la loro profondità. Ciò rappresenta il centro dell’opera che detta il ritmo palatale durante la degustazione, che accompagna l’ospite al suo interno tenendolo per mano, che gli permette di distinguersi, acuendo la propria identità senza mai intimorire. È un lavoro finissimo, che richiede una sensibilità concessa solo a pochi eletti. Attorno a questo centro, ruotano uno o due elementi, sempre comprimari. La loro funzione può essere mutevole, spaziando dalla reiterazione di un elemento sotto forma di diversa consistenza a un omaggio al prodotto o al produttore, e diventando l’orpello necessario per poter fruire completamente della complessità del piatto.

Nel loro complesso, i piatti della degustazione, rappresentano un movimento e formano un’identità, che crea un tutt’uno con il loro artefice, esaltando in ordine vista, olfatto, gusto e tatto.

Sinestesie palatali, quando i sapori prendono colore 

Questo lavoro di sintesi si manifesta con il tratto semplice del fuoriclasse, che riesce a stravolgere il tradizionale modo di intendere la tavola nel suo complesso. Un’ode alla gioia, all’importanza della leggerezza, una dichiarazione d’amore nei confronti della vita. Pomodorini, erbe aromatiche e fondo di capperi è il risultato cromatico di un’esperienza gustativa trascendentale: il brodo di capperi tiene le redini delle diverse acidità colorate che esplodono in bocca un pomodorino alla volta, dando vita a una scala di colori al servizio del palato. Consommé di gamberi, nata de coco e curry alza ancora l’asticella, della difficoltà per lo chef e del godimento per i clienti. La dolcezza del consommé sorregge egregiamente la nota speziata del curry, mentre la consistenza viscido/gommosa della “madre” della nata de coco sprigiona una frizzante acidità con pulsioni piccanti, che si apre e si chiude in perfetta sincronia con la meccanica mandibolare.

Potremmo andare avanti a raccontarvi tutti gli altri piatti con un profluvio di elogi, ma preferiamo chiudere sottolineando un’altra dote che lo chef può vantare: l’empatia, una caratteristica fondamentale per poter creare una squadra serena e affiatata. La testimonianza di ciò è il servizio di sala guidato dalla perfetta Stefania Giordano, che coordina un gruppo giovane ed entusiasta in grado di tenere testa all’esuberanza della cucina, con un paring centrato e mai banale, a base di vini e/o succhi di frutta.

Evviva Josean Alija, evviva Nerua!

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Ecco la “taperia”dei sogni partorita dal genio di Albert Adrià

Che spettacolo la Bodega 1900! Una delle tavole più divertenti del gruppo El Barri a Barcellona, conosciuto anche come il quartiere dei ristoranti di Albert Adrià, cuoco dalla creatività e immaginazione inesauribili. Ha l’aspetto e l’atmosfera di una “taberna”, con un preminente odore di legno e vino, foto alle pareti e stretti tavolini di marmo. La Bodega è un luogo speciale, dove il sifone e la sferificazione arrivano a tavola in punta di piedi tra preparazioni della storia gastronomica catalana, sofisticate rivisitazioni di tapas, braci, marinature, salagioni e conserve. Un luogo cercato e concepito con l’intento di ricreare i locali di una volta, dove si tornava sempre perché assurgevano a posti familiari, luoghi del cuore.

Una vermoutheria con tapas eccezionali da condividere in un luogo che ricorda le taverne di inizi novecento

Il vermouth, uno dei segni della cultura catalana e spagnola, è il protagonista insieme a ricette tradizionali, trattate con guizzo avanguardista capace di salvaguardarne l’essenza. La materia prima, trattata con massimo rispetto, è semplicemente la migliore che si possa trovare in commercio. Indimenticabile il sapore della Cheesecake – dall’intenso e predominante sapore di queso (formaggio), con una crosta soffice ed un apporto di zuccheri esiguo – e della straordinaria Vacca galiziana con un profondo retrogusto di latte; fantastici, per lunghezza gustativa e qualità del prodotto, i Boquerones (acciughe) marinate e la Esqueixada de bacalao (Insalata di baccalà), per non parlare dell’Anguilla affumicata con patate all’aceto e della disarmante bontà delle Polpette al sugo.

Qui non c’è neanche il problema di accompagnare il pasto con grandi vini (basterebbe comunque un ottimo cava o una birra); per chi avesse la possibilità, un’intera sezione della carta vini è dedicata a Dom Perignon con annate importanti e vasta scelta (a prezzi obiettivamente corretti).

Ce ne fossero di posti così, poliedrici, con un servizio di sala mirabile, una capacità tecnica con pochi eguali in cucina e tutta la bontà, intatta ed apparentemente incontaminata, delle tapas.

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Tapas d’autore alla Boqueria

Oggi il bancone da bar sembra un elemento indispensabile per poter etichettare un locale come modaiolo, specie nei mercati delle grandi città. Settantasei anni fa Joan Bayén, detto Juanito, iconico oste sorridente del Pinotxo Bar de la Boqueria di Barcellona, già pregustava di essere un precursore in merito, allorquando alle sei del mattino si metteva dietro il bancone in attesa dei visitatori della Boqueria.
La freschezza e la varietà dei prodotti del mercato sono il preludio di quello che si può mangiare in alcuni tapas bar del luogo.
Pinotxo è uno di quelli più iconici, non solo della Boqueria, ma dell’intera città. Lo dimostra la sfilza di piatti imperdibili che spolverano il meglio della materia prima locale.
Non c’è un menu. Si lascia fare a loro e … ci si imbatte in semplici ma indimenticabili Calamaretti con fagioli, Cozze con verdure in agro, Insalate di baccalà e verdure, Costolette di agnello fritte e tante altre prelibatezze che fanno solleticare le papille gustative. Un’atmosfera incredibile e uno spettacolo per occhi e palato.

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Siviglia è una città splendida che si presta molto bene anche a una breve visita: con un volo low cost potrebbe rappresentare una meta inaspettatamente più economica di altre città più vicine.
Le attrazioni principali sono collocate a breve distanza l’una dall’altra, quindi un paio di giorni potrebbero essere sufficienti per vedere l’indispensabile: l’Alcàzar, la Giralda, la Cattedrale, la Casa di Pilato. Sono tante le meraviglie da cui lasciarsi rapire. Siviglia è una città con una forte identità e senso di appartenenza, tangibile soprattutto in uno dei suoi quartieri più famosi, Triana.

Anche la situazione ristorativa gode di un ottimo stato di salute: tanti locali sia storici sia di nuova apertura in cui si punta alla qualità, locali divertenti e dinamici. Una parola d’ordine: tapas! Non c’è niente di meglio che passare la serata passeggiando per la città e passando da una locale all’altro. Tra l’altro spendendo a conti fatti davvero poco, certamente meno di una cena ordinaria.


La prima tappa potrebbe essere Bodeguita Romero, locale storico che da quasi 80 anni delizia i suoi avventori: prendete posto al banco e fatevi consigliare dal personale le specialità del giorno. Fantastiche le Crocchette di baccalà e la Frittura di pesce, ma di questo locale ci è piaciuto pressoché tutto: gusto, gusto e ancora gusto, pur tralasciando la forma.
Bodeguita Romero Calle Harinas número 10.

Papas aliñás
Salmorejo
Uova
Crocchette di baccalà
La frittura di pesce

Non meravigliatevi di trovare una lunga coda all’apertura di Brunilda, nostra seconda tappa: pare sia la regolarità. Non prendono prenotazioni ma potete lasciare il vostro nome alla ragazza all’ingresso per poi ripresentarvi all’orario indicato. Onestamente l’attesa non è stata ripagata da piatti all’altezza: tutto buono ma decisamente al di sotto degli altri indirizzi da noi testati in questo viaggio. Più confusione (nel piatto) che gusto.
Brunilda, Calle Galera, 5.

Papas bravas
Calamari
Polpo

Locale della galassia “Ovejas Negras”, una società che comprende alcuni indirizzi di grande successo a Siviglia, Mamarracha è un locale bello, molto giovanile.
Qui abbiamo mangiato una delle migliori costolette di maiale da parecchio tempo a questa parte. E uno spettacolare Bao.
Mamarracha, Calle Hernando Colón, 1.

Pimientos de padrón con maionese di chipotle
Bao di pancia di maiale con miso rosso coreano, verdure croccanti e menta
Gamberi
Costoletta di maiale
Saluto alcolico

Probabilmente le migliori tapas le abbiamo mangiate qui, da Sal Gorda. In termini di tecnica e attenzione, in questi preparazioni si vede che c’è un marcia in più. Ci si perde un pochino quando si vuole innovare ad ogni costo (vedi le tortillas destrutturate, anni luce dalla bontà di quelle originali), ma mediamente il livello è molto, molto alto.
Sal Gorda, Calle Alcaicería de la Loza, 17.

Il menu
Cono di ortiguilla (anemonia sulcata) ed emulsione di plancton
Gamberi con salsa ponzu
Gazpacho
Orata con ajoblanco e frutta
Steak tartar
Carciofi
Controfiletto di manzo
La “nostra” tortilla di patate
Dessert

E se venisse voglia di una cena classica, seduti comodamente al tavolo di un buon ristorante, magari specializzato in pesce? Noi vi consigliamo Jaylu: sala datata in alcuni dettagli (ma col suo fascino), pesce straordinario. Si paga tutto profumatamente, ma la qualità del pescato è davvero molto alta. Scampi, gamberi, aragoste…c’è davvero di tutto. Molto buona anche la paella.
Jaylu, Calle Lopez de Gomara, 19.