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Signum

La meraviglia di un’isola, nei piatti di una giovane cuoca in continua crescita

Martina Caruso è ancora nel fiore dell’età. Eppure la seguiamo da tempo ed è stato interessante osservare gli stadi evolutivi – di tecnica e di pensiero – che questa giovane cuoca, con consapevolezza e concentrazione, ha raggiunto negli anni.

Certamente, il cadre vale da solo il viaggio e l’accoglienza consacra la sensazione di piacevolezza e tranquillità di questo Signum che, ormai, è un gioiello anche grazie alla cucina di lei che, anno dopo anno, continua a progredire tracciando uno stile sempre più identitario e riconoscibile.
Bravi, in tale contesto, il fratello Luca e i genitori, che hanno spinto sull’acceleratore intravedendo nella più piccola il protagonista assoluto tramite cui rilanciare la proposta del Signum. Del resto, della capacità organizzativa della chef e della sua brigata avevamo, in passato, già parlato.

Riuscire a gestire con disinvoltura una carta con circa trenta piatti – sembra ormai anacronistico nella ristorazione attuale, ma qui al Signum, dove il tempo s’è fermato, le ambizioni non smettono di crescere – con tempistiche frenetiche, a locale pieno, non è cosa da tutti.
Se poi andiamo ad analizzare dettagli e premure, la lista è lunga: carta dei vini in continua crescita con un’imponente selezione di Champagne, la possibilità di avere ottimi vini alla mescita, che cambiano giorno per giorno, per giunta, e cocktail di assoluta qualità.

L’isola, e il mare tutt’intorno, nel piatto

Quest’anno ci siamo presi il lusso di assaggiare tutto quanto presente in carta, così da poter fotografare a pieno lo stato evolutivo di questa cucina. La fase della maturità si avvicina col tempo, ma l’aspetto più interessante di questa tavola è il consolidamento di quell’idea che coniuga nel piatto materia prima e sapori mediterranei. Il pescato viene lavorato con maestria e rimane il protagonista indiscusso, tra ingredienti che tendono ad ammiccare a un numero sempre ampio di palati. Il salto decisivo ? forse un filo meno di ruvidezza nelle preparazioni, meno ossidazioni, una crescita ulteriore verso la finezza e l’eleganza, sicuramente non a discapito della verità e della schiettezza che Martina porta già ora in tavola, emblema della sua terra di origine. E’ un luogo, questo, destinato ad ambiziosi traguardi, se troverà nella concreta rilettura della tradizione, con l’aggiunta delle contaminazione che Martina apprende nei suoi viaggi, un viatico verso una cucina maggiormente precisa e pulita. Dettagli, che vista la giovane età degli interpreti, sono assolutamente alla portata e nelle forze della squadra.

Tornando ai piatti ci sono pochi azzardi, che però non lasciano indifferenti. A tal riguardo, mentre sulla linguina con caffè, carota e sgombro è necessario ancora calibrare qualcosa nel tentativo di trovare un maggiore equilibrio, i risoni fatti a mo’ di risotto con granita di melone e capperi è un piatto che si avvicina alla perfezione. La bagnacauda con ricci di mare è un up & down goloso di sapori piemontesi sposati alle note iodate del riccio; nella spatola panata al barbecue con leche de tigre la chef consolida il connubio gusto-ricordo accostando alla sua tradizione marinara i sapori del Perù in seguito a un’importante esperienza formativa in America del Sud.

La cantina, regno di Luca, è già imponente e comunque sempre in crescita, nonché perfettamente distribuita tra chicche, blasoni e biodinamico. Il servizio, oltre ad essere sempre cordiale, è preparato e gira a meraviglia anche con il pienone.

Una nuova stagione è iniziata, a Salina, ma al Signum già si sente la eco degli applausi di domani.

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Una sicilianità agreste e sincera in via San Vitale, a Bologna

Un’intima sala punteggiata di tavoli in legno scuro, ben distanziati tra loro, tra piante, cartoni di vino e l’affaccio sulla operosa sezione finale di via San Vitale. Questo, però, d’inverno. Perché in primavera e in estate sono soprattutto i 17 tavoli del cortile interno, tra l’edera e il portico del complesso di San Leonardo, a costituire l’attrattiva di Pane e Panelle, solida trattoria di quartiere, gestita con dedizione e buon gusto dalla pervicace Isabel Muratori. 

Lei che, nel tempo, ha optato per una formula più concreta e sbarazzina, benché di mare, e non è un caso che Pane e Panelle sia oggi la fucina, sempre mutevole, di una cucina umile e mediterranea; quella della costa siciliana che, come tale, contempla anche e volentieri elementi di provenienza agreste e rurale, come agreste è, del resto, l’indole stessa di Luca Giovanni Pappalardo che, qui dal 2017, si adopera nell’intento di utilizzare tutte le parti del pesce come dichiara nel suo “ricettario del mare segreto” Pesci Diversi. 

Il benvenuto della cucina, manco a dirlo, è a base di panelle farina di ceci, che sono l’unica costante di una cucina che non vuole adagiarsi su piatti fissi in carta perché il mare non offre certezze di questo tipo.

Pane e Panelle: una trattoria informale, e sempre cangiante

In menù campeggiano tutti i classici della trattoria informale: fritture, cotolette di sarde, molluschi gratinati e qualche intelligente crudo, come quello di seriola.

Quindi nessuna gonade di seppia, oggi, né centrolofo o lingua di baccalà bensì carnose alici marinate con schiacciatina di sedano-rapa e misticanza, tarte tatin di bietola e salsa allo yogurt e una sfiziosa pizzetta con trippa di baccalà, olive e ricotta salata tra i nicareddi, che non sono propriamente antipasti bensì assaggi dalla cucina. Tra i primi, optiamo per delle gustose reginette con cavolo Sprouting, lupini e scaglie di ricotta salata e, per secondo, l’ottimo spiedo di guancia di tonno, arancia arrosto e verdure di stagione tra cui le piccole, squisite patate novelle, cui si biasima soltanto il concentrato di spinaci alla base, dalla consistenza penalizzante. Istituzionale, ancorché impeccabile, il sorbetto all’arancia.

Si sta insomma assai bene, da Pane e Panelle, cui si fa solo un appunto, ed è sulla carta dei vini che presenta, secondo noi, ampi margini di miglioramento; s’è sentita la mancanza, in particolare, di una certa Sicilia naturale e iper-territoriale che, qui, avrebbe tutto il diritto di ricavarsi un suo degno spazio di rappresentanza. 

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A Licata splende la memoria culinaria della Sicilia più profonda 

Abbiamo scritto fiumi di parole su Pino Cuttaia e su La Madia di Licata. Correva l’anno 2004 quando varcammo per la prima volta la soglia di questo grazioso ristorante, allora senza riconoscimenti e con poche menzioni. Fu un’emozione profonda trovare una cucina così tanto matura ed emozionante, tecnicamente precisa e raffinata. Elegante, spesso sussurrata, intensa e vibrante.

Pino Cuttaia scelse la sua terra, e ancora oggi crede che il futuro passi dalla riscoperta del suo territorio. Ha fatto tanto, davvero tanto per la sua gente e la sua terra. Ha reso famosa Licata in tutto il mondo; oggi flotte di stranieri affollano le sue sale, a dire il vero mai abbastanza secondo noi. Perché siamo certamente al cospetto di un cuoco dalla sensibilità e dalla raffinatezza uniche, che sa scorgere i sapori e i profumi ancestrali riproponendoli in chiave moderna e attuale.

La Sicilia come fil rouge tra i piatti storici e quelli nuovi

E, come già abbiamo detto più volte in passato, i suoi piatti storici sono un tripudio di sapori e odori intensi della Sicilia più profonda. Continuano un lento e incessante cammino di rinnovamento e cambiamento, non stanno mai fermi, come lui del resto. Sempre in giro a dispensare il verbo della sua terra, trova anche il tempo di creare qualche nuovo piatto.

E, proprio con i nuovi piatti – Scala dei Turchi in cima a tutti – ci trafigge il cuore e giunge diritto all’anima. L’esplorazione vegetale del piatto di verdura e topinambur strizza l’occhio alle nuove mode senza mollare i piedi ben saldi in Sicilia, con il ricordo della bietola e con i suoi sapori tipici del luogo. Quelli di tartufo e cozza, che sorprendentemente virano verso la terrosa lumaca.

L’insalata di mare, lo sbeffeggio elegante del Cocktail anni ’80, la favolosa Pasta minestra di crostacei, in cui uovo e canocchia simulano il crostaceo nobile che al tempo i pescatori vendevano e non consumavano. Memoria visiva che ricorda a tutti la madeleine di proustiana memoria della fettina al limone che la mamma ci preparava per renderci più forti e vivi. Qui sostituita da un velo di Alalunga.

Perfino i dolci quest’anno hanno subito un cambiamento. Manca davvero poco affinché questo cuoco e questo ristorante entrino nell’olimpo dei grandi. L’elementarità della proposta dei secondi piatti, ricercata e voluta dallo chef, andrebbe arricchita al pari del percorso degli antipasti, di un passo e di una eleganza, nonché di pensiero, decisamente di ordine superiore.

Evviva un grande cuoco, evviva la Madia di Licata.

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Modica non è solo cioccolato, ma anche un’ottima cucina in un locale incantevole

Precisione tecnica, rigore e gusto. La cucina di Accursio Craparo racchiude in sé tutti questi ingredienti. È evocativa e romantica; i nomi dei piatti, spesso concisi, alle volte più romanzati, fanno presagire che dietro a questo ristorante c’è tanto studio e tanta applicazione.

Se poi aggiungiamo, a questo, un locale davvero caratteristico riportato allo stato attuale con una sapiente e filologica cura rispetto alla tradizione del luogo, il gioco è fatto. Accursio è un luogo maturo, piacevole, e anche molto curato sul versante del servizio: giovane, dinamico ma già di livello molto elevato.

La cucina accompagna i commensali in un viaggio attraverso i sapori e i profumi della Sicilia più profonda, spesso con un tocco di fioretto; caratteristica del cuoco è la lieve marcatura dei gusti e dei sapori, mai troppo spinti, a volte quasi fin troppo evanescenti. I piatti sono esteticamente molto invitanti, sia dal punto di vista cromatico che costruttivo, e fanno da contraltare a sapori non sempre così nitidi.

Avercene di tavole come quella di Accursio, in un luogo incantevole come la città di Modica.

I sapori siciliani esaltati nell’alta cucina

L’arancino si chiude a riccio è un piatto che ci ha estasiato con i sapori e profumi del mare, a richiamare la battigia, e che ci ha colpito per l’intensità, lievemente maggiore rispetto all’interessante variazione di Carciofo. Ottimi, golosi e moderatamente raffinati entrambi i primi, mentre dei secondi, molto intriganti, abbiamo apprezzato in particolar modo la Stigghiola, decisamente di livello superiore rispetto al pur corretto Baco da seta. Molto buona La Brioche, una versione gourmet del celebre dolce, con tocchi di classe – vedi la zucca – in accompagnamento al misto di gelato, mentre è risultato discreto il passaggio sulle castagne.

Vi invitiamo, nella vostra prossima visita di questo meraviglioso tempio del barocco siciliano, a prenotare da Accursio, certamente una delle migliori tavole della zona.

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La prima insegna italiana di una catena tricolore

Andare alla ricerca dei migliori capperi, per una potente catena di pizzerie che delizia i palati anglosassoni, può provocare un’inversione di marcia, a volte brusca ma anche positiva, della propria quotidianità. Era il 2007 quando Giuseppe Mascoli, brillante imprenditore campano, decise di esportare la pizza napoletana a Brixton con la prima pizzeria del brand Franco Manca. Ora la catena conta oltre 40 punti di vendita nel Regno Unito e l’imprenditore ha deciso di fare ritorno in Italia, in quell’isola la cui meravigliosa natura lo stregò: Salina. Tra le più affascinanti delle Eolie, è stata scelta nel giugno 2017 come primo avamposto tricolore dell’impero Franco Manca.

Un’ottima proposta dall’antipasto fino al dolce, caffè compreso

La pizza è la classica napoletana, di assoluta qualità e proposta, come nelle altre sedi, a un prezzo davvero concorrenziale. Da Franco Manca Salina si possono gustare anche una selezione giornaliera di piatti della tradizione italiana ed eoliana, salumi locali di qualità, specialità marinare come il Tortino di alici, oltre all’ottimo pane cunzato di Alfredo. Ci sono piaciute le pizze, di ottima digeribilità – sette in menu, con l’aggiunta di una pizza del giorno fuori carta – la piccola Parmigiana di zucchine e un’equilibratissima Panzanella con capperi, cetrioli, olive e cipolla rossa. Buonissima.
Interessanti anche le poche etichette a disposizione (vini locali e biodinamici), l’eccellente Granita di Alfredo direttamente al tavolo della pizzeria e un rinomato caffè di qualità, quello di Gianni Frasi.

I tavoli sono allestiti fuori dal locale, nel piccolo lungomare di Lingua, e con il mal tempo, purtroppo, ci sono poche soluzioni, vista l’impossibilità di accomodarsi all’interno.

Ammettiamo di non averle visitate tutte, ma siamo pronti a scommettere che qui a Salina si trova la migliore pizzeria dell’insegna Franco Manca.

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