“Raviello è una terrazza affacciata sul mare,
vive racchiusa dentro a due occhi azzurri
nei quali è impossibile non precipitare.
Raviello è un’ape Regina elegante
posata sui suoi cento altari di fiori,
opera d’arte dal sorriso cangiante.
Raviello è sambuco e castagno,
anima gotica, polmone barocco,
bacchetta magica della Campania.
Raviello è ripida quanto un’emozione,
Festival del vento, torrente Dragone,
Villa Rufolo, Villa Cimbrone.”
Lasciamo alle parole del poeta Luca Gamberini la narrazione di questo luogo magico e straordinario. Villa Cimbrone è una perla che basterebbe di per sè. Ma la proprietà, la famiglia Vuilleumier, giustamente non si accontenta e non si siede sugli allori. E quest’anno avvia un progetto di rilancio del settore ristorazione, e non solo, che vuole portare questa struttura al livello che le compete.
Assume un giovane ma già affermato cuoco, Crescenzo Scotti, di origini campane ma a lungo emigrato in Trinacria, e porta un Restaurant Manager di nome Pino Savoia ed una sommelier di nome Giusy Romano, due veri e riconosciuti fuoriclasse, per questo ambizioso progetto di crescita.
Alla prima stagione i risultati sono decisamente più che incoraggianti. Tanto lavoro ancor da fare, ma già qui l’eccellenza si intravede. Con un servizio che una volta tanto, e sappiamo quanto sia raro questo, è a livello della cucina. Riesce ad incalzarla, stimolarla, in un gioco di rincorsa virtuoso che può portare certamente ad alti livelli.
Abbiamo riflettuto parecchio su che votazione dare a questo ristorante. E questa cucina, nelle giuste mani, siamo convinti saprà presto mantenere quanto promesso e anzi, superare agevolmente questo valore. Oggi ancora non pieno, ma non ci sentivamo di penalizzarlo per una serie molto lunga di motivi: una materia prima impiegata di estrema qualità, un senso del gusto davvero interessante, una raffinatezza d’insieme già di livello. Con qualche ruvidezza e scompostezza ancora da limare, certo. Che però non potrà che migliorare, con l’apporto ed il dialogo continuo con una accoglienza di sala, ci ripetiamo, di prim’ordine.
Facciamo ora parlare i piatti, la cucina, e vi invitiamo ad organizzare al più presto un una visita in questo luogo baciato da Dio, che vi saprà regalare piacevoli emozioni.
Amuse bouche, migliorabili.
Ottimi pane e burro.
Cappuccino di patate e astice… omaggio ad Alajmo. Una splendida spuma di patate sifonata su brunoise di astice e polvere liofilizzata di nero di seppia. Un inizio davvero concentrato, lucido, vivido e intenso. Spuma lievemente acidulata.
Pizza fritta con crudo di scampi, gelatina di lime, burrata e pomodoro in due consistenze.
Interessante utilizzo del disco di montanara fritta ad accompagnare un piatto crudo con degli scampi di qualità eccelsa, un buon caviale, pomodorini appassiti e in salsa davvero intensi, e burrata a terminare il giro della grassezza. Piccoli cubetti di gelatina di lime (perchè non di Sfusato?) a chiudere il cerchio gustativo.
Calamaro all’amatriciana con cremoso di pecorino di grotta dei monti lattari e mollica di tarallo napoletano. Evidente errore di proporzioni in merito alle briciole del tarallo. Troppe. Ma troppe anche per il piatto alla carta, che avrebbe avuto sei anelli invece di 2. E poi nota croccante fin anche pleonastica. Qui la salsa di pecorino e l’intingolo di amatriciana con un calamaro che faceva ancora il latte (cotto magistralmente e fresco come una rosa) erano già più che sufficienti.
Linguine di gragnano con ragu di seppia, maionese al pistacchio di bronte e “pane conza” allo sfusato amalfitano. Piatto ottimo, non fosse per quel pane cunzato che, nuovamente, con l’aggiunta della nota croccante e acida “sporca” un po’ la sua finezza. Richiamo certo alle paste siciliane, dove lo chef si è formato, ma lavorare sulla finezza e sull’elementarità non guasta affatto.
La pasta alla sorrentina secondo lo chef. Paccheri di gragnano farciti con ricotta di bufala, mou di pomodoro di Furore, fusilloni con cremoso di reggiano e spuma di provola affumicata. Grande piatto, goloso ma al contempo fine e contrastato.
Cappelletti alla genovese di bufalo farciti con burro e salvia, spuma di verdure e cremoso di pecorino di Tramonti. A parte la seconda sifonata del giorno, e non l’ultima, una concentrazione nella salsa alla genovese davvero pazzesca! Il titolo del piatto trae in inganno perché la salsa alla genovese è nel piatto e i cappelletti sono ripieni solo di burro e salvia. Piatto spaventosamente preciso, goloso, ma anche aromatico. E il giro del pomodoro che si vede in foto tutt’altro che pleonastico.
Risotto acquerello come una bruschetta con crudo di pomodoro corbarino, frisella e origano. In questo piatto è stata sbagliata sia la stoviglia (piatto da impattare in un piano disteso) sia la cottura, lievemente oltre. La frisella sbriciolata sotto il riso, poca ma necessaria, aromatizzata all’origano e quella fantastica e concentrata spuma di sugo di pomodoro, fanno comunque svettare questa preparazione.
Ottimo pane in accompagnamento.
Astice blu del mediterraneo in due servizi: zuppetta tiepida di tenerumi di zucchine e chele di astice. Astice alla griglia con stinco di vitello croccante su patate schiacciate al lime, midollo di bue caramellato e il suo jus. Asticello davvero notevole, iodato e sapido come non ne sentivamo da tempo. La zuppa e il secondo servizio sono lì a parlare nelle foto. Bello, goloso, tecnico e finemente bilanciato.
Cambio nuovamente del pane di servizio.
Carrè di agnello di laticauda, appareil alla bacca di vaniglia e pistacchi di bronte. Unico piatto davvero difficile. Materia prima ineccepibile, cotture perfette, ma troppo virante sul dolce con vaniglia e pistacchi. Manca un elemento contrastante, o per lo meno una chiusura più neutra.
Un intermezzo divertente…
I dessert… buoni ma su cui lavorare, in finezza e modernizzazione.
Donato Episcopo, Peppe Stanzione, Eduardo Estatico, Gionata Rossi: sono solo alcuni dei giovani bravi cuochi che negli ultimi dieci anni hanno guidato la cucina di questo ormai affermato angolo di gusto in quel di Mercato San Severino, pochi chilometri fuori Salerno.
Cambiano i cuochi resta immutabile il prestigio del ristorante ed i riconoscimenti delle guide, merito indubitabilmente della vera anima di Casa del Nonno 13. Il patron, Raffaele Vitale, architetto, grande conoscitore della cucina del territorio e infaticabile ricercatore di prodotti di qualità che, peraltro, da qualche anno ha affiancato alla casa madre una Salumeria con cucina al centro di Salerno che sta avendo un grande e meritato successo.
La location è bella, molto suggestiva: si mangia nella spettacolare cantina della casa del nonno di Vitale. Bellissima certo, ma sempre cantina è. Occorre quindi mettere in conto una certa scarsezza di luce e il fatto che per raggiungere i servizi bisogna armarsi di pazienza e risalire le ripide scale che riportano in superficie.
Il servizio, composto da una sola unità -ma i tavoli occupati erano soltanto due- si conferma non essere un punto di forza del ristorante anche se non abbiamo riscontrato gli “incidenti” descritti nella nostra precedente esperienza e anche per quanto riguarda la carta di vini rileviamo che un po’ di profondità in più, almeno per quanto riguarda le etichette della regione, non guasterebbe.
Il benvenuto della cucina celebra due glorie dell’agricoltura campana, il peperoncino verde piccolo e dolce e i pomodorini del Vesuvio.
E d’altra parte l’esaltazione dei prodotti dell’agro sarnese-nocerino è da sempre la stella polare del locale.
La cucina si conferma buona, rassicurante, certamente semplificata rispetto a quanto rilevato in precedenti esperienze.
Più leggera ma anche, a tratti, un po’ più banale. Lontana da qualche ridondanza del passato, ma anche lontana dal regalare quelle emozioni che ogni gourmet rincorre.
Certo, è un posto in cui è difficile mangiare male o trovare piatti male eseguiti. Ma a nostro giudizio mancano quegli elementi che facciano intravedere quel talento, quella ricerca dell’eccellenza che a certi livelli ci si aspetterebbe.
Nel contesto di una cucina campana in continua, costante crescita, anche grazie a giovani chef di talento che vanno ad aggiungersi alle grandi tavole ormai consacrate, Casa del Nonno 13 ci sembra rischi di perdere qualche colpo.
Va bene la cucina del territorio, i prodotti del territorio e la bravura del patron nel raccontarli e l’accortezza della cucina di non commettere errori ed assicurare un buon livello esecutivo; ma il campionato dell’eccellenza forse richiede qualche sforzo in più. E in questo momento, secondo noi, Casa del Nonno 13 ha bisogno di una iniezione di maggior talento in cucina. Ma siamo fiduciosi.
E’ notizia di questi giorni che Raffaele Vitale ha lasciato Casa del Nonno 13, per intraprendere un nuovo percorso professionale al di fuori della ristorazione.
Omaggio della cucina: Peperoncino verde di fiume, pomodoro del Vesuvio. Grande semplicità ma grande nettezza di sapore.
Mozzarella in carrozza, pomodori dell’Agro e maionese di alici.
Tubetto con fagiolini “corno di signore”, aglio dell’Ufita e pescatrice. Spicca l’accento sui prodotti del territorio, ma il piatto nel complesso non lascia grande traccia di sè.
Spaghetti Vicidomini, cipollotto nocerino e basilico su pomodoro San Marzano e guanciale di Nero.
Filetto di vitello al rosa, caponata profumata alla menta e crema di melanzane al fumo. Ortaggi non proprio al meglio e cucina che davvero pare accontentarsi di eseguire il compitino.
Baccalà arrostito sulla pelle con scarola ripassata, capperi e olive.
Sorbetto al melone.
Gli immancabili Conetti di sfogliatella, ricotta di fuscella e purea di patate alla liquirizia, il dessert feticcio del ristorante, in carta da sempre (o quasi).
Esiste la ristorazione d’avanguardia, quella classica, quella d’albergo e quella moderna, fatta di locali polifunzionali, con un’offerta che spazia dalla colazione alla cena, finanche al dopocena.
E poi c’è la ristorazione eroica. Quella fatta da uomini e donne che decidono di rimanere nel proprio territorio, nei propri luoghi di origine, anche se tutte le condizioni ed il contorno suggerirebbero il contrario. La famiglia Torsiello ha fatto questa scelta, regalandosi una piccola bomboniera nella casa di famiglia spersa nel nulla più profondo. E cercando di fare qualità e una cucina d’autore, in un luogo che certo difficilmente può apprezzare e sostenere questa scelta.
Siamo in piena val di Sele, in frazione Deserte (nome omen) a Valva. Vicino a Contursi Terme, i cui effluvi sulfurei certo non aiutano il gourmet ad avvicinarsi a questo delizioso ristorante, e probabilmente neppure il resto della clientela.
Cristian, il cuoco, ha esperienze importanti alle spalle. E’ stato per anni alla corte di Niko Romito e le sue influenze in cucina sono nette ed evidenti.
Una proposta a prezzi da encomio: qui difficilmente spenderete più di 50 euro, anche se vi impegnerete. Ed una serie di pietanze, che forse non avranno una completa aderenza territoriale, vi faranno certamente apprezzare lo sforzo e la tecnica messa ben in evidenza.
Cotture centrate, preparazioni armoniose, gusti evidenti. Forse l’unica pecca che ci sentiamo di rilevare, ma su questo il suo maestro ha forse lasciato l’impronta, è la scarsa variabilità della proposta nonché, come già detto, una scarsa impronta territoriale: nonostante questo però, la bravura e la precisione sono sicuramente da encomio.
E qualche piccola sbavatura, per un baccalà un filo fibroso ed una cottura leggermente lunga degli spaghetti, è comprensibile anche per le scarse risorse a disposizione in cucina.
Se ristorazione eroica dev’essere, allora che lo sia fino in fondo. Magari inserendo piatti nuovi a raffica, spingendo le proposte più nella direzione della creatività e, magari, rileggendo e rivisitando maggiormente questo territorio, la valle del Sele, ricco di proposte intriganti e originali che aspettano solo di essere rinvigorite ed attualizzate da un cuoco che possiede padronanza, tecnica ed inventiva.
Un plauso nuovamente al rapporto prezzo-felicità, con attenzioni fino dal benvenuto e finendo con la piccola pasticceria, passando attraverso gli ottimi pani, tutto di qualità più che buona e cura millimetrica.
Anche la carta dei vini, spesso segnalata come minus, non ci pare sia da riportare tra le mancanze del locale. Certo, non è affatto estesa. Ma comunque la presenza di qualche etichetta interessante, a prezzi anche qui da encomio, potrà rasserenare ed allietare la vostra cena.
Il locale, caldo e accogliente, e il servizio, puntuale e preciso, faranno il resto.
Il benvenuto, intrigante.
Il pane, ottimo, e una cialda di castagne, buona ma forse troppo salata.
Trota marinata e affumicata, cavolforiore e arancia candita.
Ottimo intingolo di mandorle, bagna caoda leggera e alici. Davvero divertente.
Baccalà, un filo fibroso, crema al latte e sfoglia di pomodoro.
Spaghetti alle cime di rapa e aringa affumicata. Una cottura un pò avanti pregiudica il piatto, comunque interessante e gustativamente appagante, anche per la punta piccante che esprime.
Agnello, ottimo, con purea di melanzana e salsa tartara.
Pollo di cascina, cipollotto stufato e salsa alla salvia, un pò troppo ossidata.
Dolce al mandarino, crema di latte, panna acida, liquerizia.
La piccola pasticceria, notevole anche considerando i mezzi a disposizione.
La Costiera è un’area ad alta densità stellata. Pare che al di fuori di Nerano, Amalfi e Sant’Agata, ci sia poco o nulla.
Ebbene, sappiatelo, non è così.
Il viaggiatore goloso che si spinge verso l’interno è sovente ripagato da autentiche scoperte eno-gastronomiche, oltre che paesaggistiche. L’Osteria Arbustico ne è la prova.
Il locale, gestito dalla famiglia Torsiello, propone una cucina del territorio solida e ben presentata. Cristian, lo chef, ha i piedi ben piantati nella sua terra e lo sguardo rivolto al futuro.
È uno chef ambizioso e determinato. Vuole crescere nel suo paese per quanto sia faticoso e difficile. Ha scelto una strada in salita e lo si comprende facilmente arrivando all’Arbustico attraverso i borghi della valle del Sele.
Ovunque la vita scorre placida, immersa nella silente campagna che è tutta un susseguirsi di muretti in pietra, ulivi, viti e galline razzolanti. Gli unici fermenti provengono dalla pasta acida impiegata per la lievitazione del pane.
Cristian è giovane, è un dato di fatto, ma impiega le tecniche moderne di preparazione con navigata maestria. Ha la capacità di piegarle alle proprie esigenze culinarie. Niko Romito, suo mentore, deve avergli insegnato alla perfezione l’arte e la disciplina della cucina. Tutti i piatti, ricchi di colori e spesso minimalisti nella presentazione, raccontano i paesaggi e la vita di Valva. Come tante cartoline catturano, emozionano e fanno sognare.
I profumi delle portate sono esaltati dai bouquet aromatici dei vini di accompagnamento. Tomas, il fratello minore, segue la sala e la cantina. I vini sono per lo più campani e tendono a favorire le piccole realtà locali. Del resto, il mare è composto da tante piccole gocce d’acqua… In questo caso però, più che di mare, si può parlare di laghetto. La cantina, a cui è riservato un piccolo angolo prima della cucina, deve crescere ancora un po’, ma l’entusiasmo non manca. Tomas è sulla buona strada ed è sempre meglio costruire una carta dei vini ragionata e testata di persona, bottiglia dopo bottiglia, piuttosto che acquistare in blocco tante anonime etichette come si fa con le enciclopedie.
A coronamento della gaudente esperienza valvese, l’impagabile vista sui monti Picentini che si gode direttamente dai tavoli attraverso una larga finestra che è più di una cornice.
Cucina D.O.C. a prezzi POP…
Si parte con un bicchierino di crema di verza, guanciale croccante e un piccolo rotolo di castagne farcito con spuma di pecorino. Una versione shot del classico piatto della verza con il maiale. Si accompagna con un calice di Anteo Cuvee. Raffinato.
Trota marinata leggermente affumicata e cavolfiore. Un antipasto. Incredibile la polposità della trota. La carne rassoda con la marinatura. Una scoperta. Il piatto è stato accompagnato da un calice di Fiano cilentano, tenuta San Salvatore.
Baccalà, patate, pomodoro e sedano. Un altro antipasto. Un piatto delizioso. Perfetto il baccalà nella consistenza. Per nulla salato, è servito immerso nel suo brodo di cottura con le patate, il sedano, che dà colore, e i pomodorini canditi.
Spaghetti “Gentile”, cime di rapa, aringa e peperoncino. Lo spaghettone appaga di per sé, punto. Se poi è servito, come in questo caso, mantecato in una verde clorofilla a cui l’aringa a cubettini dà carattere, il piatto sta in piedi. Il knock out del peperoncino sorprende. Rotondo.
Tortelli di agnello, crema di cipollotto novello, olive nere e scarola. Qui l’oliva nera prevarica troppo a nostro parere. Si sente la crema di cipollotto che l’agnello brucava ma poi tutto svanisce nell’uliveto. Ottimo l’Aglianico di Luigi Maffini.
Agnello e carciofi. Ecco che torna l’agnello e questa volta è divino. Cotto a bassa temperatura e con una maillard perfetta è ingolosito da tre salse: carciofi, capperi e aglio bruciato. I carciofi locali fanno la differenza.
Ricotta e pere. Ecco un dessert all’apparenza banale e che invece regala forti emozioni. Saranno le pere cotte nel vino dolce, la spuma di ricotta delicata o la sorpresa di una marmellata di limoni sotto il crumble di frolla, ma se ne rimane conquistati. “…per forza di levare…”.
Issue de table composto da mini “Biancorì” con mandorle, arancia e fichi secchi, tartufini al cioccolato, cialdine con sopra spuma di ricotta e amarene candite.
Il tavolo con la grande finestra cornice. Il paesaggio oltre il vetro è da immaginare: montagne, neve e l’eremo della Madonna della Neve di Calabritto sulla destra. Scendendo boschi, case e più in basso ancora ulivi e mimose fiorite.
Il San Pietro è un’istituzione, un simbolo della Costiera Amalfitana, la cui fama si estende ben oltre i confini nazionali.
Basti pensare che, nonostante il costo non propriamente popolare delle camere (in alta stagione dai 620 euro/notte a salire vertiginosamente), c’è il tutto esaurito da maggio ad ottobre.
Un luogo amato da chi vi soggiorna, un angolo di paradiso, eremo di lusso e tranquillità alle porte di Positano.
Tutto iniziò con Carlino Cinque, maestro del bien vivre, il cui culto per l’ospitalità è rimasto immutato nei decenni ed egregiamente ereditato dai suoi discendenti Carlo e Vito.
Ovviamente cotanto albergo, da cui si godono panorami di bellezza struggente, non poteva non puntare sulla ristorazione di qualità per offrire ai facoltosi clienti un giusto premio dopo le “fatiche” della giornata trascorsa a bordo piscina o in riva al mare.
La cucina è affidata da un decennio al belga Alois Vanlangenaeker che le ha saputo dare una chiara impronta mediterranea a dispetto delle sue origini.
Ogni ingrediente parla di questa terra baciata dal sole (salvo, ovviamente, qualche piccola eccezione), ed i profumi sono quelli dell’orto del San Pietro, un autentico gioiello incastonato nella scogliera, che regala prodotti splendidi, dai pomodori alla menta, dal basilico alla verbena.
La proposta ristorativa si divide tra lo Zass, aperto al pubblico esterno, ed il Carlino, giù, vicino al mare e buen retiro per i soli ospiti dell’albergo.
Lo chef fiammingo, approdato in Costa d’Amalfi dopo importanti esperienze professionali alla corte di Ducasse a Monaco e Parigi, al Jean Georges’s di New York, al Don Alfonso 1890 e al Mikuni di Tokyo, ha le doti necessarie per soddisfare i palati più esigenti.
Le basi per far bene ci sono, quindi, e la proposta non delude, sebbene in alcune preparazioni si abbia la netta sensazione che non si affondi sull’acceleratore. Chiaro segnale ai naviganti gourmet: è pur sempre il ristorante di un albergo di lusso, accontentare tutti i palati è d’obbligo.
Nello specifico, i secondi di pesce segnano il passo, preparazioni non convincenti, con abbinamenti a volte poco riusciti e salse non perfette.
Più interessanti gli antipasti con un buon astice al vapore perfettamente accompagnato da una notevole maionese d’uovo, ed il polpo arrosto con melanzane, capperi e piacevole sentore di verbena.
Molto buone le paste, home made. Particolare menzione per i ravioli di polpo e i maccheroncelli all’uovo con noci, acciughe ed astice marinato.
Dolci sottotono, con l’unica eccezione per il morbido tortino alla crema di limoni.
Servizio accorto e gentile, carta dei vini interessante, specie in regione, con ricarichi a 5 stelle.
Nota decisamente negativa, infine, per l’odioso balzello del 15% di servizio, applicato unicamente al conto degli ospiti che non soggiornano in albergo. Trattamento non condivisibile, che divide in due nette categorie chi si siede ai tavoli del ristorante, tanto più se, al momento della prenotazione, nulla viene riferito in proposito.
Appetizer: spigola in pasta fillo spadellata, con salsa tartara.
Carpaccio di gamberi alle erbe aromatiche e verdure croccanti. Delicato.
Insalata di mare con verdure, spuma di patate e vongole, piuttosto scolastica.
Astice al vapore con maionese al bianco d’uovo, senape in grani ed avocado. Buona la qualità dell’astice, interessante la maionese, leggera ma dal sapore intenso.
Polpo arrosto con caviale di melanzana, capperi e verbena. Molto interessante la freschezza conferita dalla verbena che abbonda sui terrazzamenti dell’albergo.
Gnocchi di patate ai fiori di zucchina con burrata e tartufo estivo. Piatto naturalmente goloso, ma ben bilanciato nelle sue componenti grasse.
Ravioli al polpo con olive di Gaeta e limone candito. Davvero ben fatti, sfoglia callosa ma sottile, limone essenziale per la riuscita del piatto.
Maccheroncelli all’uovo, noci, acciughe e astice marinato allo yogurth e lime. Anche in questo caso notiamo l’intelligente utilizzo del sentore agrumato per dare una spinta di freschezza al piatto.
Tortelli farciti di ricotta di bufala e maggiorana, pappa al pomodoro. Sfoglia ben tirata, al palato leggermente monocorde.
San Pietro spadellato, cetrioli profumati all’anice stellato, salsa al rhum agricole. Preparazione che ci ha fatto storcere il naso. I cetrioli declinati in duplice versione sottraggono carica gustativa senza aggiungere finezza. Salsa sottotono, non percettibile il sentore di rhum.
Filetto di spigola alle olive nere, insalata di fagioli bianchi e scampi. Il flebile sapore di questa spigola è stato fortunatamente compensato dalle olive. Scampo ad impreziosire il piatto, ma interagisce poco con gli altri ingredienti.
Triglie spadellate, riduzione di zuppa di pesce, finocchi e burrata.
Tortino di fichi con lamponi e gelato allo yogurt. Se non avessimo visto il fico fresco a far bella mostra di sé in cima al tortino difficilmente ne avremmo inteso il gusto…
Babà al rum, gelato alla vaniglia, riso al latte. Buona versione del celebre classico napoletano.
Crema bruciata con mirtilli, sfoglia croccante e gelato al pistacchio. Pistacchio non pervenuto, creme brulée ordinaria.
Tortino alla crema di limoni del San Pietro. Il migliore del lotto, davvero ben fatto.
Petit fours
Tavolo con vista
Il terrazzo
Vista sulla piattaforma a mare
L’orto
Il mare ed il prato