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Pasta d’Elite

Laboratorio di pasta “gourmet” nel cuore del Salento: il progetto artigianale dello Chef Alessio Gubello

Malgrado il Salento sia quasi totalmente delimitato dal mare, quando si parla di tradizioni culinarie l’entroterra sembra pesare in misura maggiore rispetto ai molti chilometri di splendide coste. Ne consegue che, dal punto di vista gastronomico, Lecce e dintorni siano, malgrado i ricettari idruntini e gallipolini non siano certo collezioni di pagine bianche, più affini a Foggia e alle zone più settentrionali della regione che non agli altri capoluoghi.

Per ricette che profumano di terra scura e pietre la pasta fresca di semola, con il suo spessore, la sua pronunciata callosità e i suoi aromi quasi primari, è la compagna ideale ed ha, nella gastronomia salentina, un rilievo non facilmente rintracciabile nel resto dello Stivale. Alessio Gubello, cuoco con passaggi in cucine importanti in valigia, ha scelto alcuni anni fa di affiancare l’attività di personal chef con quella di pastaio. Ha aperto perciò, con la moglie Emanuela Bruno, Pasta d’Elite, laboratorio in cui la pasta fresca, grazie all’accurata selezione delle farine, alla proposta di declinazioni meno scontate ma filologicamente inappuntabili e ad alcune creazioni più fantasiose, diventa meritevole di una menzione.

Protagonista assoluta è la combinata classica salentina, con orecchiette e maccheroni, proposti con farina Senatore Cappelli, con combinazioni di orzo, grano e con grano arso. Le Sagne ‘ncannulate e le Signorine, entrambe al ferretto, completano il cast, insieme a preparazioni meno tradizionali come gli scialatielli alle erbe e formaggio e ad altre varianti a rotazione. A corollario, una gastronomia pronta, una scelta vinicola locale piccola ma centrata e qualche prodotto completano l’offerta del locale. Una piccola bottega da visitare per i turisti in cerca di un souvenir masticabile. Ma anche per una clientela locale cui l’inesorabile scorrere del tempo sta, ahinoi, sottraendo molte mani capaci di preparare una grande pasta casalinga.

La galleria fotografica:

La tradizione, un po’ come la mano del “Principe” di Mario Brega, a volte può essere piuma e a volte ferro e, se nel primo caso si può usare per spiccare il volo, nel secondo rischia di mandare a picco anche le più alte aspirazioni. Nel Salento, territorio baciato da un successo turistico e di popolarità che, inizialmente ritenuto un fuoco di paglia, dura ormai da un decennio, giocare con la tradizione è camminare su un terreno minato. Ciò è in primo luogo dovuto al legame fra il successo della regione e aspetti strettamente connessi con il folklore locale (come il successo della Notte della Taranta e della moltitudine di eventi musicali e non ad essa collegati) e, in secondo luogo e al contempo come effetto di quanto sopra, a una certa retorica ormai localmente consolidata che non vede di buon occhio qualunque tentativo di discostarsi dalle solide matrici culturali di questa terra, fino a pochi lustri fa così isolata dal resto dello stivale.

Mantenersi in equilibrio non già fra i frusti concetti di tradizione e innovazione ma, ancor più radicalmente, fra qui e ora, è impresa titanica a Lecce e lo è ancor più in un borgo come Ruffano, aggrappato su una delle poche e basse alture dello spicchio più meridionale del Tacco, ma è ciò che i fratelli Rizzo sono riusciti a realizzare in quel piccolo scrigno che è la Farmacia dei Sani. Valentina, la bimba di casa, tatuaggi esibiti, mani che sembrano trattenere l’energia e sguardo che quasi si scusa per l’inconveniente di essere assai brava ai fornelli, governa da dietro le quinte la cucina che in principio fu di mamma Ada, scomparsa due anni fa. In sala, i fratelli Roberto e Fabio si occupano con premurosa leggerezza di una clientela che, anche se in turno infrasettimanale, troviamo numerosa in una serata d’inverno.

In carta, fra un aperitivo fortemente geolocalizzato, una crema di fave e cicorie e uno gnumareddo che fa capolino fra i secondi, ecco la cacio e pepe con bottarga e alga nori o un prezioso baccalà confit con salsa di pomodori d’inverno scoppiati e salsa pilpil a ritarare la bussola di questa tavola. Niente che possa stravolgere la vita del gourmet ma tanto, tantissimo per un luogo che si presenta come poco più che una trattoria di paese.

Fra qualche ridondanza di note lattiche e un paio di passeggiate in bilico su sapidità ai limiti del lecito, riscontriamo molti più alti che bassi. In un locale che presenta solo la carta, l’abbozzo di menu degustazione richiesto per provare più piatti ha complessivamente retto il colpo e mantenuto alto l’interesse fino al termine, con la sorpresa finale di una mano assai felice in pasticceria. Tu chiamalo, se vuoi, picco glicemico.
Carta dei vini condensata in una pagina con troppo o troppo poco Salento, a seconda dei punti di vista: non esaustiva ma complessivamente monotona, ha però il merito di ricarichi di dolcezza estrema, a far pendant con molte delle etichette in carta e in linea con un rapporto qualità prezzo generale a forte rischio di abbonamento.

L’antipasto salentino: pittula con patata dolce, polpetta di melanzana su ricotta di pecora, caciocavallo podolico in crosta di sesamo (quasi impercettibile) e capocollo di Martina Franca.
antipasto, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
L’eccellente focaccia al rosmarino e il cestino del pane.
focaccia, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
L’ottimo olio Muraglia.
olio, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
Cipolla gratinata e crema di parmigiano 36 mesi. Inevitabilmente oldaniana nell’effetto, ha in realtà la sua forza nell’equilibrio fra parte bruciata e parte dolce. Il Parmigiano, va da sé, dona a tale equilibrio una lunghezza gustativa di proporzioni wagneriane.
cipolla, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
Baccalà confit salsa di pomodori d’inverno scoppiati e pilpil.
baccalà, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
Spaghettoni con colatura di alici limone e pistacchi, con qualche mania di protagonismo della colatura.
spaghettoni, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
Mezzemaniche cacio & pepe, bottarga di muggine e alga nori. Qui, sorprendentemente, non si riscontrano i problemi di sapidità del piatto precedente. Ottimo piatto, con sorprendente equilibrio fra iodio e animalità. La scelta del pepe di Sichuan toglie forse un po’ di “kick”.
mezzemaniche, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
Ravioli di manzo, scamorza fondente e ristretto. Piatto eccessivamente primario, grossolano nella concezione rispetto al resto delle preparazioni provate.
ravioli, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
Ramen di spaghettini con verdure selvatiche e costina di maiale. Divertente interpretazione salentina di uno dei piatti più in voga. Forse con queste varietà vegetali il miso lavorerebbe meglio dell’abbondante salsa di soia qui presente, ma il piatto “lavora” bene anche così.
ramen, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
Gnunmareddi affumicati, carciofi arrostiti e zabaione alla senape. Qui l’accostamento originale permette il superamento del mero piatto tradizionale: chapeau.
gnunmareddi, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
Frolla, lemon curd e meringa italiana. Molto bene.
meringa, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
Anarchia di cioccolato: scenografica presentazione a cura di Valentina Rizzo. Certo l’originalità della forma non abita qui ma il risultato è, francamente, un dolce al cioccolato vario, interessante e terribilmente buono.
cioccolato, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano
Il vino della serata.
vino, Farmacia dei sani, chef Valentina Rizzo, Ruffano

L’estensione della Puglia la misuri quando ti capita di arrivare fin qui, così a sud, così ad est. Tricase è pietra ed argilla a comporre strade, abitazioni e monumenti. Poi c’è anche la propaggine sull’acqua, quel piccolo porto senza spazi tra i pescherecci. Privo di aiuti, fatichi a trovarlo il ristorante anche per quelle quattro lettere, poco visibili, dipinte ed incorniciate sulla ceramica ora poggiate su una sedia all’ingresso, come a riposare. La prima sala ha il respiro della volta in pietra e il candore delle pareti bianche, poi per raggiungere il cortile, si dovrà curiosamente passare per la cucina, ad agosto particolarmente ingombra ed indaffarata.

Lemì e il suo chef-proprietario Ippazio Turco, fanno parte di quel Salento che tenta l’impegno per offrire qualcosa in più di quel minimo che spesso a queste latitudini appare come l’unica scelta. Qualcosa forse ora qui si è dovuto ridisegnare rispetto ai furori iniziali, però resta un posto da venire a cercare, specialmente se lo si riesce a fare in quegli altri undici mesi all’anno in cui tutto scorre a ritmi non più dannati.
L’inizio, inganno dell’attesa, è quello che ti aspetti e che ricordi con piacere. I due micropanini ad esempio. Di terra e di mare parlano entrambi di questi luoghi. C’è la cicoria con il peperoncino verde e il profumatissimo capicollo di Martinafranca, e c’è anche il polpo con la stracciatella e le olive nere. Dopo sarà un sandwich, ma sono due filetti di sardina a farsi pane per contenere la ricotta al finocchietto. Infine una mattonella in pietra su cui appaiono il sauro bianco e quello scuro. Il primo, quasi assoluto, con la necessità dei soli profumi del timo e della nepitella, l’altro con un robusto pesto cetarese come a cucinarlo.

Non convincono gli antipasti, intriganti alla lettura ma eseguiti con poca precisione. Le triglie soffrono nella corazza della pastella pugliese e scontano una frittura un po’ greve, che le fave e la cipolla di Tropea non riescono a farti dimenticare. E le seppioline ripiene promesse in carta si palesano in un’unica seppia, di dimensione generosa, con all’interno un fondente di formaggio con la cicoria, che avremmo preferito meno addensato ed ingombrante.
Primi piatti ben eseguiti, con bei fondi sapidi e decisi. Prima uno spaghettone pallido di pomodorino, dove i coralli del riccio sono mantecati con una maionese di calamaro di una corretta fluida densità, e poi una versione pop con sarde e mollica di pane, in una salsa di finocchietto selvatico che si annuncia con il suo profumo.
Dessert semplificati da pasticceria comune, come la macedonia di frutta sulla quale alloggia un anonimo gelato alla camomilla o la torta salentina con mandorle e ricotta in forma di muffin.
Qualche distrazione -rispetto ai ricordi- amplificata inevitabilmente dagli affanni agostani. Tempi di attesa perfettibili, servizio in sala migliorabile come presenza ed attenzione al cliente, oltre una maggiore cura necessaria per alcuni dettagli (la presentazione della carta, l’accoglienza all’ingresso…).

La sala esterna, un cortile con accesso dalla cucina.
Lemì, Chef Ippazio Turco, Tricase, Lecce, Puglia
Piccoli panini: stracciatella, polpo, olive nere e pomodorino; cicoria, peperoncino verde e capocollo di Martina Franca.
panini, Lemì, Chef Ippazio Turco, Tricase, Lecce, Puglia
Sulla pietra un sandwich di sardina con ricotta e finocchietto selvatico.
sandwich, Lemì, Chef Ippazio Turco, Tricase, Lecce, Puglia
Sauro bianco con timo e nepitella. Sauro scuro ripieno di pesto cetarese.
Sparo bianco, Lemì, Chef Ippazio Turco, Tricase, Lecce, Puglia
La busta del pane caldo.
pane, Lemì, Chef Ippazio Turco, Tricase, Lecce, Puglia
Seppioline ripiene di cicoria e fondente di formaggio locale, il suo nero e maionese di alici (senza uova).
seppioline, Lemì, Chef Ippazio Turco, Tricase, Lecce, Puglia
Pettole di triglie, fave ed emulsione di cipolla di Tropea.
Pentole di Triglie, Lemì, Chef Ippazio Turco, Tricase, Lecce, Puglia
Spaghettone con corallo di ricci, peperone verde e acqua di calamaro.
Soaghettone, Lemì, Chef Ippazio Turco, Tricase, Lecce, Puglia
Pasta con le sarde alla salentina e succo di finocchietto selvatico.
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Emulsione di cocco, insalata di frutta e gelato alla camomilla.
emulsione,frutta, Lemì, Chef Ippazio Turco, Tricase, Lecce, Puglia
Torta salentina, mandorle e ricotta.
torta, Lemì, Chef Ippazio Turco, Tricase, Lecce, Puglia

Quando si inseriscono le parole “dolce” e “Salento” nella stessa frase è difficile che non si stia parlando del Pasticciotto, dolce adatto a ogni ora del giorno e sovrano incontrastato della pasticceria della Puglia meridionale. Malgrado non ci sia unanimità circa l’origine di questo dolce, tutte le storie e leggende ne fanno risalire la creazione alla prima metà del XVIII secolo ed una di esse ne attribuisce la paternità a Nicola Ascalone, che avrebbe realizzato il primo pasticciotto nel 1745. Quel che è certo è che in tale data la famiglia “Te lu Scalune” era il riferimento locale per l’arte bianca e, di conseguenza, anche per produzione di questo dolce, che già nel corso del ‘700 diventerà il prodotto di pasticceria tipico della zona.

Quasi tre secoli più tardi la famiglia Ascalone è arrivata all’undicesima generazione con Davide e Vincenzo, figli di Andrea (purtroppo mancato da pochissimo) che ha portato avanti il locale negli ultimi anni. Poche le alternative in esposizione: pasticciotto, fruttone (variante con glassa al cioccolato e farcitura di pasta di mandorla e amarene), torta pasticciotto e plumcake (che è in realtà realizzato con la medesima farcitura del fruttone). Il laboratorio sforna in continuazione e la freschezza dei prodotti è assicurata, anche perché tutte queste preparazioni danno il meglio di sé quando consumate ancora con qualche grado di forno addosso. Il resto lo fa il fascino di un luogo tanto piccolo quanto carico di storia, di fascino e di profumi straordinari.

Gli interni.
Pasticceria Ascalone, Galatina, Puglia

Un pezzo di storia del locale.
Pasticceria Ascalone, Galatina, Puglia

Il pasticciotto. Qui non si rinuncia alla bruciatura superficiale, che viene periodicamente criticata ma a nostro modo di vedere è fondamentale per l’equilibrio gustativo della preparazione.
pasticciotto, Pasticceria Ascalone, Galatina, Puglia

Fruttone.
Fruttone, Pasticceria Ascalone, Galatina, Puglia

Torta pasticciotto.
Torta Pasticciato, Pasticceria Ascalone, Galatina, Puglia

Complementi d’arredo.
Pasticceria Ascalone, Galatina, Puglia
Pasticceria Ascalone, Galatina, Puglia

La Chiesa Madre di Galatina, città che annovera numerosi edifici civili e religiosi di notevole importanza storica fra i quali non possiamo non citare la Basilica di Santa Caterina.
Pasticceria Ascalone, Galatina, Puglia

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Lecce, la Firenze del Sud, è senza dubbio una delle città più belle d’Italia, e tanto gli Italiani quanto i turisti stranieri sembrano, nell’ultimo decennio, averlo finalmente scoperto. L’improvviso successo del Salento, anche come “marchio”, ha riattivato, nonostante la crisi dilagante nello Stivale, il motore dell’imprenditoria turistica, e così gli anni recenti hanno visto il sorgere, anche al di fuori del centro e del capoluogo, di numerose strutture ricettive. L’Arthotel&Park, quattro stelle di interessante concezione architettonica, si trova a Sud Est di Lecce, assai più prossimo alla tangenziale che all’antico tracciato della cinta muraria. L’accesso dall’esterno lascia perplessi: la zona è davvero di poco significato. Eppure, una volta entrati, un’atmosfera completamente diversa accoglie il visitatore: tanto verde, grandi spazi, una bella piscina ed un’accogliente spa e ci si dimentica di tutto, precipitati in una totale pace.
Artecrazia è il ristorante principale dell’Arthotel&Park; al timone del locale troviamo Antonio Raffaele, appassionato chef con tastevin al collo, e la sua cucina, fatta di slanci di spiccata creatività più che di moderate rivisitazioni dei punti di riferimento della gastronomia salentina. Il diffuso utilizzo di erbe, spezie e condimenti poco usuali consente allo chef di percorrere sentieri poco battuti e fotografare da angolature insolite gli ingredienti utllizzati, con tante idee originali soprattutto in abbinamento ai crudi, come il tonno accostato a polvere di olive o le seppie alle rape rosse.
Nel corso della nostra cena i risultati, dobbiamo dirlo, sono stati alquanto altalenanti: accanto a qualche idea vivace e stimolante ben oltre la lettura in carta abbiamo trovato, in una buona parte delle molte preparazioni assaggiate, una generale deriva dolce, davvero dolce, ed una tendenza a coprire i sapori più che ad esaltarli, ad amalgamare eccessivamente più che a lasciare ben distinti gli elementi, per un effetto finale che a tratti ha sfiorato la stucchevolezza. Esemplare, in tal senso, il piatto degli scampi, spenti dall’intensità delle uova di salmone e sommersi dalla dolcezza del cioccolato bianco e di una crema di zucchine cui la menta partecipa ben poco. Sul fronte opposto ci troviamo a lodare preparazioni meno azzardate ma riuscite come la zuppa di piselli nani di Zollino con burratina al basilico, polvere di peperoni con sorbetto di sedano e menta ed una millefoglie golosa e ben eseguita. Piccola delusione invece per il pluripremiato gelato alla nocciola, dolce oltre ogni possibile aspettativa.
Nota finale per un servizio che, non avaro di errori di gioventù, trarrebbe giovamento dalla presenza di un elemento di maggiore esperienza e per una carta dei vini che lascia un po’ a desiderare sui bianchi italiani, con scelte eccessivamente convenzionali rispetto a quelle della cucina. Poche ma buone alternative, invece, sui rossi e sui bianchi esteri.

In apertura: tonno in tempura su crema di carote e arance con polvere di olive. Gustoso, anche se lo spessore della panatura in una crocchetta così piccola finisce per farsi sentire.
Piccola entrata: crema di rape rosse con ricotta alle erbe e pane croccante.
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Scampi con vellutata fredda di zucchine e menta, uova di salmone e cioccolato bianco.
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Seppie di Porto Santo Spirito al profumo di timo con cetriolo e rape rosse.
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Zuppetta di piselli nani di Zollino con burratina al basilico, polvere di peperoni…
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…e sorbetto di sedano e menta
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Suscimi (?) del Salento new style.
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Ravioli di fave e cicorie con crema di cipollotto e riduzione di aceto tradizionale di Modena e liquerizia. L’effetto complessivo è discreto, ma è migliorabile il rapporto fra la spessa sfoglia e l’eccessiva delicatezza di un ripieno che, derivato dal classico salentino, dovrebbe a maggior ragione essere intenso in un raviolo. Dei due contrappunti dolciastri, inoltre, uno è decisamente di troppo.
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Molto problematico il risotto Carnaroli di Sibari con acciughe del Cantabrico, limone di Amalfi, purea di Pere, caffè Barocco e capperi di Salina: tante buone materie prime per un effetto complessivo francamente sconcertante almeno quanto il fatto che nessuno si sia preoccupato di un piatto tornato in cucina praticamente intonso.
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Notevole materia prima per la ricciola scottata con crema fresca alle erbe fresche e fiore di zucca. Il pesce è un poco troppo cotto per gli standard gourmet, ma bisogna anche considerare che da queste parti, diversamente da altre zone della Puglia, un’enorme percentuale della popolazione non toccherebbe neppure con i rebbi della forchetta un trancio di pescato non perfettamente cotto al centro.
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Il gelato alla nocciola Igp campione del mondo.
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Bavarese alla pesca, riduzione di Malvasia del Salento, spuma di menta e cardamomo.
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Millefoglie con chantilly alla vaniglia e variazioni di lamponi.
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