Passione Gourmet Ristorante Archivi - Pagina 4 di 196 - Passione Gourmet

Gaudio

Nel paese dei casoncelli, Gaudio è lo scrigno del gusto dei fratelli Papa

Difficile trovare uno stacco così netto come quello che troverete arrivando da Gaudio, il ristorante dei fratelli Papa.

Fuori, un anonimo e trafficato stradone di una zona industriale del bresciano, dentro, eleganza, buon gusto, tutto è estremamente curato. Ad accogliervi sarà uno dei due titolari, Giambattista Papa, eccellente padrone di casa, uomo di sala che sa il fatto suo e ha la naturale capacità di mettere immediatamente ogni cliente a proprio agio. Ai suoi ordini uno staff giovane e dinamico che non sbaglia un colpo e fa sì che il servizio nel complesso si riveli uno dei punti di forza del ristorante.

In cucina Diego, il fratello minore, autodidatta di buon talento che ogni tanto fa capolino in sala per ricevere in diretta feedback dei clienti sulla cucina. Qui, un plus è certamente la ricchezza della proposta. Oltre alla carta, sono numerosi i percorsi degustazione tra i quali uno vegetariano, uno dedicato alla selvaggina e uno dedicato al pesce, vera passione dello chef. La carta dei vini è importante e consente di divertirsi a tutti i livelli.

La cucina di Diego Papa è semplice e appagante, estremamente diretta; lo chef ricerca la piacevolezza e la golosità senza perdersi in inutili orpelli. La proposta è relativamente ispirata dal territorio, con preparazioni e ingredienti che pescano un po’ da tutta Italia andando decisamente oltre la cucina classico-lombarda: a dettare la rotta è il rispetto della stagionalità che, qui, non ammette deroghe.

Una cucina semplice e diretta con tanto gusto e qualche imperfezione

Peccato che alcune portate non convincono appieno a causa di qualche imprecisione nell’esecuzione di alcuni passaggi come la tempura di scampi e mazzancolle, che difetta della croccantezza necessaria, e le linguine con i ricci, a causa di una salsa un po’ troppo lenta, liquida. Ma la cura nella selezione della materia prima è lapalissiana e si avverte nella triglia di scoglio, cime di rapa e mandorla grigliata, piatto decisamente di categoria superiore, goloso e di grande equilibrio.

Un po’ impersonali i secondi, sia di mare (abbiamo provato il calamaro) che di terra (con la foglia di manzo) seppure ben eseguiti. Ottimo il dessert con un bellissimo contrasto tra croccantezza esterna e scioglievole ripieno.

In buona sintesi, Gaudio è senz’altro una buona tavola in grado di regalare soddisfazioni a un pubblico di affezionati clienti molto ampio. Un posto in cui si sta bene, si viene coccolati e si beve benissimo.

A nostro giudizio, una maggiore precisione nell’esecuzione di qualche piatto unita a una proposta un po’ più ambiziosa potrebbero traghettare la cucina verso quel balzo in avanti che già ora si merita.

La Galleria Fotografica:

Il Tiglio è rinato dalle sue ceneri

Si autodefinisce “cuoco di montagna” e ne ha ben donde, Enrico Mazzaroni. Abbarbicato su pendii scoscesi alle falde del Monte Sibilla, dopo una parentesi di un paio di anni in quel di Porto Recanati, dall’estate 2019 il ristorante ha ripreso a respirare a pieni polmoni aria di casa. Un ritorno a Isola di San Biagio (piccola frazione dell’altrettanto piccolo borgo di Montemonaco) tanto atteso, tanto agognato e forse arrivato nel momento migliore, quando il dolore causato dagli eventi sismici del 2016, lungi dall’essere dimenticato, è stato metabolizzato e stigmatizzato iniettando nelle vene dello chef nuova linfa creativa.

Una transumanza (così è, tra l’altro, chiamato il menù degustazione) dal mare ai monti che porta con sé la consapevolezza che ogni esperienza, anche se nata da eventi sciagurati, può essere foriera di novità e miglioramenti prima di allora neanche lontanamente immaginati.

Il “cuoco di montagna” sempre più “di mare”

Ecco, quindi, che la cucina del nostro “cuoco di montagna“, comunque baricentrata sulla cacciagione, viene arricchita da un uso più frequente rispetto al passato di prodotti ittici; commistioni terra-mare che, rispetto al biennio rivierasco, sono parse più bilanciate e caratterizzate da un’encomiabile distinguibilità dei sapori di tutte le componenti del piatto, ciò che è senza dubbio alcuno evidente riflesso di una ritrovata tranquillità e serenità tra le radure che lo hanno fatto crescere come uomo e come professionista, commistioni particolarmente apprezzate nelle seppie, foie gras e castagne e nel latte fermentato, rognone marinato nella brace, canestrelli e crema del loro corallo.

Nel menù degustazione, che si presenta variegato e mai monocorde, non mancano omaggi a ingredienti tanto cari allo chef, nella specie le cervella di agnello e l’ostrica. Il primo ingrediente, già utilizzato negli anni scorsi in un tanto azzardato quanto apprezzato dessert, viene accostato al tonno per creare un’inusuale sushi marchigiano; il mollusco bivalvo, invece, viene inserito all’interno di un saccottino di pasta friabile che dona al boccone quella croccantezza che, in uno con la freschezza dell’ostrica, sprigiona con veemenza l’energia iodata del mare.

Due chicche del percorso degustativo meritano una menzione particolare ossia burro nocciola, foie gras, limone e caviale e fondo di tordo e cioccolato amaro, cialda fatta con interiora del tordo e frutti rossi, nati come intermezzi defatiganti tra le varie fasi del menù ma caratterizzati da quella nettezza e incisività di gusto che rappresentano la cifra stilistica dello chef.

Infine, non si può parlare compiutamente de Il Tiglio se non si spendono parole di elogio anche per Gianluigi Silvestri, partner in crime in sala di Enrico. Coadiuvato da un giovane e altamente professionale Nicola Coccia, si muove con il savoir-faire tipico di chi conosce perfettamente tutti i segreti del suo lavoro, capace di adattare il proprio atteggiamento agli umori di ciascun tavolo. Perfetto anfitrione.

Il Tiglio si piega ma non si spezza e, anche questa volta come l’Araba Fenice, è rinato dalle sue macerie in un modo tanto convincente che gli appassionati gourmet non potranno che rallegrarsene.

La galleria fotografica:

Dall’osteria alle stelle (Michelin)

Quanto tempo ci vuole per comprendere una cucina? Quante volte bisogna tornare in un ristorante, prima di inserirlo tra i “favoriti”? Beh, quando i piatti racchiudono la storia e i gusti delle migliori materie prime, selezionate da amici, prima ancora che da fornitori, si entra dentro una stanza annebbiata da un incenso che crea due effetti: riportarti indietro nel tempo – accade a chi i gusti tipici, quelli veri, li conosce – o inebriarti, sino a spingerti a viverne il “momento zero”, quello della scoperta. In entrambi i casi si deve aspettare una pacca sulla spalla di Piercarlo Ferrero, patron del ristorante San Marco e noto trifulau piemontese, prima di esser riportati al mondo, ovvero in sala.

Il San Marco di Canelli, culla del vino Moscato, nel 1969 è osteria, diventerà ristorante dopo l’incontro tra Piercarlo, appena ventiduenne, e la diciottenne Mariuccia Roggero. Che si appassiona alla cucina, la studierà, sviluppando i gusti delle materie prime piemontesi che scoprirà giorno dopo giorno. Così facendo inventa nuove ricette e gusti che ammalieranno anche Gualtiero Marchesi di cui ne ricorda ancora oggi insegnamenti e consigli. 

Nel 1989 arriva l’ottenimento della prima Stella Michelin, un riconoscimento che accende i riflettori sulla coppia che diventa così una tappa indiscussa per i turisti stranieri, e non, che da lontano sognano la battuta, i cardi di Nizza, la fonduta, i plin, il bollito, la bagna cauda. Piatti, tutti, che nella stagione autunno – inverno sono innevati da una tempesta di tartufo.

Divisionismo (storico) gustativo

Per intenderci: trent’anni fa il cannellone ripieno di baccalà o il cardo proposto come tartare assieme all’uovo poché erano “innovazione”.

Michelin assegnava l’ambito riconoscimento valutando parametri che, nel tempo, sono mutati. Forse. Fatto sta che, arrivati a quella cucina poi definita  “contemporanea” è subentrata (anche) la ricerca, sia in termini di cotture che di materie prime. Il San Marco non si è mai allontanato dalle sue origini – è rimasto un ristorante classico – continuando a proporre i piatti che lo hanno reso celebre per trent’anni, quelli consecutivi di stella Michelin, affiancando a poco a poco nuove proposte che comunque non lo hanno mai reso catalogabile come “ristorante con cucina moderna”. La spaccatura in termini di percezione è piuttosto netta ma, alla base, ci deve comunque essere la qualità, in termini di sapori e cotture, al netto della creatività. 

Ordunque il San Marco è un ristorante che è riuscito a creare una propria e solida identità, e che non lascia dubbi circa la qualità. È rovente la passione che coinvolge tutti, dagli addetti in sala alla cucina, quando si presentano i piatti simbolici che definiamo come “per sempre in carta” ossia gli agnolotti “plin” al tovagliolo, cremosi e gustosi in cui la sottile velina di pasta raccoglie la carne magnificamente accompagnata dal brodo; ma anche i mitici tajarin ai 40 tuorli che si palesano come fili lunghissimi, disomogenei tra loro e per questo ancora più divertenti, da scoprire in un gusto che appare come una nuvola, il cui sapore rimane come sospeso. Indimenticabile: ecco il valore della ricetta.

La stessa sensazione arriva con il bollito misto di bue grasso accompagnato da verdure e bagnetti della tradizione in cui la carne non solo è come un mantello di sapori, ma è anche un esempio per chi consuma con una sola mano: la carne si sfalda, come il burro. E cosa dire dell’assaggio fatto di finanziera nobile astigiana? Delicata, pura, e fin leggera grazie a quella goccia di Marsala aggiunta, che regala una sorta di accelerazione acetica.  La conferma della luce tradizionale arriva con la bagna cauda piemontese, saporita e un poco troppo oleosa, ma certo emozionante e ossequiosa nei confronti della tradizione.

Ciò detto, lo scorso anno il ristorante ha perso la stella. Dal canto nostro, ci limitiamo a qualche piccola esortazione: puntare più sui piatti tipici, impreziosire la carta dei vini e inserire, pacatamente e senza troppe misture, nuovi piatti, così che, dopo il gelo causato dalla pandemia, sul ristorante possa tornare a splendere il sole e, chissà, anche la luce di una nuova stella.

La Galleria Fotografica:

A Lido di Camaiore la cucina classica rinasce

Il ristorante Merlo è a Lido di Camaiore, sul lungomare, anzi proprio sulla spiaggia, negli ex locali dell’Ariston Mare. L’ambiente è luminoso grazie a un’ampia vetrata con vista panoramica sulla spiaggia. C’è anche uno spazio esterno in cui, con il bel tempo, si può mangiare sia a pranzo che a cena. Angelo Torcigliani, chef e patron del locale, dal 2017 propone una cucina fatta degli ingredienti tipici della Versilia, incontro e unione tra i sapori del mare e dell’entroterra, la pasta fresca emiliana, tirata a mano dalla mamma, sfoglina, e salse di origine transalpina: la sua grande passione.

I piatti di pesce variano in base al pescato del giorno. Tra gli antipasti spiccano le ostriche gratinate, lardo di Colonnata e peperoncino, erotico insieme alle crudità di mare, basate su una materia prima freschissima e di grande qualità, oltre a un paté in crosta di oca e il suo fegato grasso, strepitoso. I primi sono caratterizzati dall’impronta emiliana della madre di Angelo, ecco dunque i ravioli di astice in salsa all’americana o i cappelletti di stracotto e burro con nocciole piemontesi tostate grattugiate. La qualità della sfoglia è perfetta: sottile, leggera ma al contempo elastica e lievemente consistente. La bisque di crostacei, base della salsa all’Americana, è eseguita alla perfezione: le paste ripiene esigono il bis!

E per secondo, oltre al pescato del giorno, si può scegliere tra caciucco, mazzancolle croccanti e insalata ai ricci di mare, aragosta intera, e testina e piedini di maialino cotti nella rete di maiale, con salsa di tartufi neri. Ogni giorno viene preparata la millefoglie, dolce simbolo del locale, assolutamente da non perdere.

Scuola classica francese, in salsa versiliese

La passione di Angelo per la cucina è davvero lapalissiana: la sua indole e la sua storia lo portano, decreti permettendo, a girovagare presso le tavole dei grandi ristoranti, soprattutto d’Oltralpe, per assaggiare le prelibatezze della grande scuola classica francese. Inoltre, è da sempre affascinato e quasi rapito da terrine, pâté en croûte e aspic, che al Merlo troverete, a rotazione, sempre impeccabili, variegate e golosissime.

D’altronde il ricordo delle esperienze di alta gastronomia di paese che Angelo ha vissuto e fatto sue lo hanno indelebilmente segnato. Ecco quindi che qui, al Merlo, troverete una cucina dicotomica quasi a tratti disorientante: grande materia prima ittica nel piatto, come ormai un buon gruppo di colleghi riesce a fare in zona, ma anche l’originalità di proposte, prevalentemente di terra ma non solo, che donano un’impronta personale, ancorché di grande valore storico e filologico. Interessante, davvero, anche la riscoperta di salse antiche, quasi dimenticate, che qui ritrovano forza, vigore e dignità.

In sala, una menzione speciale va al giovane sommelier Nicola Busetti, che propone etichette biodinamiche e biologiche, oltre a un’attenta selezione di rossi piemontesi e vini francesi. Da visitare!

La Galleria Fotografica:

Il nuovo corso di Romano, a Viareggio

Siamo a Viareggio, in viale Mazzini, da Romano, locale storico, aperto nel ‘66 da Romano Franceschini insieme alla futura moglie Franca Checchi, che quest’anno festeggerà ben 55 anni di onorato servizio. Si tratta di uno di quei ristoranti che rappresenta al meglio la migliore tradizione culinaria italiana e che, negli anni, ha mietuto ambiti riconoscimenti tra cui la stella Michelin, le Tre Forchette del Gambero Rosso e il Cappello d’Oro della guida de L’Espresso.

In sala, insieme a Romano, c’è il figlio Roberto, una combo che si dimostra capace di creare sintonia col commensale, proiettandolo in un’atmosfera magica. In cucina, da meno di un anno, officia Nicola Gronchi, fresco della stella Michelin conquistata dopo solo un anno al Villa Grey di Forte dei Marmi, a lavorare la straordinaria materia prima che, ogni mattina, dopo aver fatto il giro delle barche Romano porta al ristorante. Qui, le proposte del giorno convivono con quelle, senza tempo, della signora Franca, come i mitici calamaretti ripieni di verdure e crostacei.

Nelle proposte più attuali, Nicola porta in tavola un po’ della sua personalità, che emerge in piatti dove la qualità della materia prima è esaltata da una mano capace di grande equilibrio, come la seppia alla brace, cime di rapa e ricci di mare, le trippe di baccalà, funghi cardoncelli e zenzero, lo spaghetto aglio, olio e peperoncino con gamberi biondi, polvere di olive e bottarga di Cabras, il risotto con ricci di mare, rafano e sgombro, o il rombo chiodato alla griglia, rape marinate e cremoso ai pinoli.

Noi che li conosciamo da anni crediamo che Nicola rappresenti davvero la scelta più azzeccata che i Franceschini potessero fare per continuare la tradizione e il lustro di mamma Franca, ora in pensione, ma tutelata da questo giovane ragazzo che decisamente sa il fatto suo. E va elogiato innanzi tutto per non averne stravolto i piatti, splendidi quelli che hanno fatto la storia di Romano, aggiungendo qua e là solo qualche piccolo accorgimento tecnico, una variazione di cottura, un alleggerimento, che hanno reso immortali piatti già magici. Oltre a ciò, Nicola non disdegna di mettersi al servizio del cliente e delle sue richieste, proponendo anche piatti fuori carta, apparentemente semplici, ma realizzati con amore e dedizione. Con mano felice e la rara dote di dosare e combinare ingredienti spesso ostici, Nicola dimostra di avere il dono dell’equilibrio: come nel persistente brodo di funghi con le trippette, un sorta di dashi di riviera, così come nella cottura millimetrica di uno straordinario piccione e dell’animella, impreziosita dalla salsa champagne. E qui, ultimo punto ma non per importanza, un plauso a tutte le salse, i brodi e i fondi. La valutazione, arrotondata per difetto, prelude a una crescita che noi diamo, in tutta franchezza, per certa.

Una menzione speciale, infine, alla carta dei vini, profonda e con ricarichi molto corretti, da dove emergono la passione e la competenza di chi l’ha creata, in gran parte Roberto. Non abbiate remore, a questo proposito, a farvi consigliare da lui anche per l’abbinamento perfetto.

La Galleria Fotografica: