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New York New York – Parte Prima

New York.
Chi non vorrebbe, una volta nella vita, svegliarsi nella città delle mille luci e sentirsi al centro del mondo?
Quanta energia, quanta autostima ti pervade in quei momenti, forse anche troppa.
Difficile restare indifferenti al cospetto di tanta esagerazione, di tanta offerta, di tanta frenesia.
Ci abbiamo anche vissuto per qualche tempo, ma ogni volta che ci rimettiamo piede, ci sentiamo piacevolmente prigionieri di un’aurea ricca di strati e substrati, una cipolla di situazioni, etnie, opportunità.
Ecco, New York per noi rappresenta questo, e la scena gastronomica ha la stessa potenza, trasmette la stessa energia, un sacco pieno che contiene e mescola strade, luci, gente, cibo. Tanto cibo. Senza restrizioni, filtri, problemi di sorta. Perché quando ci si trova di passaggio in questo ombelico urbano, nessuno si farà mai problemi di cosa il proprio organismo possa ingerire. Se sia giusto o sbagliato, morale o meno.
Qui si prova tutto, per un viaggio andata e ritorno dal pianeta del “junk food”, ovvero del cibo spazzatura nella più ampia accezione, fino ad approdare in lussuose tavole coccolati dalle mani di cuochi sopraffini.
Perché se è vero che a New York il meglio lo riservano hamburger, hotdog, bagel, pastrami, cheesecake o pancakes (sebbene questi siano imprescindibili), è altrettanto vero che in queste strade, che sia un attico o uno scantinato, possiamo trovare tra i migliori sushi al mondo, una grandissima pizza, un magnifico piatto di spaghetti.
Perché New York è un vero e proprio crocevia di mondi che coinvolge anche e soprattutto il cibo, un luogo senza confini tra culture gastronomiche.
Quella che segue è una piccola lista stilata dopo aver filtrato e ripassato al setaccio consigli di amici, gente e guide locali, guide internazionali, esperienze pregresse e istinto.
Un piccolo assaggio di quello che vi aspetta se deciderete di addentrarvi nella variegata e poliedrica offerta gastronomica -rigorosamente di qualità- di questa città.

new york

Cominciamo con un buon consiglio per una mattinata alternativa. Avete voglia di una colazione dei campioni? Mai provato un nutriente bagel? Il migliore dell’Upper East Side, secondo i newyorkesi è quello di Tal Bagels.

Tal Bagels, New York

In verità una piccola catena (ma di qualità) che serve un ciambellone caldo e croccante con un companatico per tutti i gusti. Aperto dalle 5:30 alle 20.30, ne trovate ben quattro dislocati tra nord e sud in Manhattan.
Tal Bagels, New York

Tal Bagels, New York

Le cream cheese sono fatte rigorosamente in casa.
Tal Bagels, New York
Così come le affumicature del salmone e dello storione.
storione, Tal Bagels, New York
Ecco la nostra scelta: salmone e cream cheese all’erba cipollina. Abbastanza classico. Buonissimo.
Tal Bagels, New York
L’insegna di uno degli shop, nel nostro caso al civico 977 della 1st Avenue, a due passi da Gramercy Park.
Tal Bagels, New York
Scendendo un po’ più a sud, in pieno East Village trovate Crift Dogs.
crif dogs, New York
In questo scantinato fanno dei rinomati hot dogs che sono ormai un must della città.
crif dogs, New York
Non temete di impregnarvi in questo piccolo e affollatissimo “junky spot”,
crif dogs, New York
perché i sistemi di areazione funzionano abbastanza bene. Vi bastano pochi dollari per assaporare questa bomba di gusto: “tsunami”: wurstel fatto in casa, avvolto nel bacon con salsa teryaki, ananas e cipollotto.
crif dogs, New York
Se invece volete restare sul classico, agitate le bottigliette del ketchup perché il New Yorker va condito come si deve.
crif dogs, New York, hot dog
Un prodotto notevole.
crif dogs, New York, hot dog
Sempre nel cuore dell’East Village, nel riqualificato quartiere di Alphabet City, direttamente da Bangkok, c’è la splendida cucina Thai di Somtum Der.
somtum der, thai, New York
somtum der, thai, New York
Con una trentina di dollari si può provare un grandissimo il Moo Ping Kati Sod: costine di maiale marinate e grigliate nel latte di cocco.
Moo Ping, somtum der, thai, New York
O un meraviglioso Pad Thai, come lo Chef’s Signature Wok-fried Seafood Suki, con vermicelli di riso saltati con frutti di mare, verdure e la salsa segreta della casa “suki”. Un paio di assaggi e vi ritrovate in Thailandia.
pad thai, somtum der, thai, New York
Restando in tema, un’altra grandissima cucina asiatica fortemente radicata a New York è quella giapponese. In un piccolo ristorante del Lower East Side Ivan Orkin, che presto vedremo nella quarta serie di Chef’s Table in onda su Netflix, ha pensato di rivisitare uno dei piatti simboli del Sol Levante (in verità importato dalla Cina): il ramen.
ivan Ramen, New york
Interessantissima la storia di questo dinamico ristoratore americano. Dopo essersi recato in Giappone negli anni ottanta per insegnare inglese, si è innamorato profondamente della cultura locale ed in particolare della gastronomia nipponica, tanto da far ritorno a New York dieci anni dopo per studiare le basi della cucina al Culinary Institute of America. Dopo alcune esperienze in città fece nuovamente ritorno a Tokyo per approfondire maggiormente le radici della cultura gastronomica e, proprio a Tokyo, nel quartiere di Setagaya, ha osato aprire il suo primo ramen shop nel 2007, riscuotendo un grandissimo successo grazie ad un imperdibile ed originale prodotto della tradizione rivisitato da un “gaijin”, ossia uno straniero. Nel 2012 ritornò a New York e un anno dopo aprì le succursali casalinghe del suo apprezzato e fortunato progetto.
ivan Ramen, New york
C’è grande attenzione per il prodotto, ancor prima della trasformazione. Il crudo del giorno viene servito con salsa ponzu aromatizzata allo scalogno, shiso fermentato e wakame.
crudo, ivan Ramen, New york
Ma lasciate spazio per le ciotole con il ramen in brodo. Il “Vegetarian Ramen” presenta un brodo fatto con salsa di soia, brodo vegetale, funghi enoki, pomodoro arrosto, koji tofu e noodles di farina di segale.
Vegetarian Ramen, ivan Ramen, New york
Il ramen imperdibile è il Tokyo Shio, con corroborante brodo di pollo e dashi, pancia di maiale, uovo morbido, enoki e noodles di farina di segale, al prezzo di 16 dollari.
Ramen, ivan Ramen, New york

Continua.

L’attesa è stata lunga perché, per prenotare da queste parti, bisogna davvero mettercisi d’impegno.
Colpevoli qualche riga trovata in rete qui e là, e qualche foto ammiccante di takoyaki (a Roma? ma davvero?), ogni volta che avevamo telefonato cercando un tavolo eravamo stati cortesemente rimbalzati.
Poi, un fortunato giovedì, abbiamo avuto più fortuna e siamo arrivati in questa strada stranamente poco modaiola del Pigneto, davanti alla porta di una palestra dall’aspetto tutt’altro che glamorous. Suonato il campanello, varcata la soglia, con quella semplicità con cui accade in Giappone ci siamo ritrovati in un piccolo angolo di pace.

Niente di sfarzoso, in fondo a un’anonima palestra di periferia, eppure con una sensazione di vero, di visto solo negli izakaya o nei ramen bar nipponici, che faceva sperare bene.
Nella cucina a vista una sola persona, italiana, e in sala un solo cameriere, italiano anche lui, anche se con dei modi timidi e cortesi non così frequenti qui da noi.
Il cuoco, Maurizio, esperto di cultura giapponese (dottore di ricerca in lingua, traduttore di manga, istruttore di karate), ha imparato sul campo, dallo zio di sua moglie Miwako -cuoca a sua volta- e ha deciso di creare a Roma un posto dove mettersi a proprio agio, e sperimentare quello che si mangia mediamente nella versione nipponica di una nostrana osteria.
Niente sushi, sashimi e altri piatti ormai “nobili” e spazio a ramen e udon, okonomiyaki e, appunto (ma solo a pranzo e il sabato sera) takoyaki, da accompagnare a una piccola ma curata selezione di sake o di tè.

L’anomalia, rispetto all’offerta tipica dalle nostre parti, è che qui si bada molto al sodo; apparecchiatura semplice, musica rock occidentale (come normalissimo nei locali giapponesi dello stesso tipo), poca scelta in carta, ma tutto saporito, cucinato con precisione e rispetto, senza scorciatoie e strizzatine d’occhio al palato occidentale.
Carta breve, abbiamo detto, in cui abbiamo potuto spaziare per bene: dai gyoza, al classico ramen, ai curry udon, tutto impeccabile, con i noodle gustosi e freschi, i brodi saporiti e mai pesanti.
Menzione d’onore per l’okonomiyaki, golosissimo ma non greve, che dà la misura della mano sapiente nella semplicità.

Alla parte dolce, riletture dei classici occidentali come frequente nei ramen bar autentici: particolarmente ben riuscita quella del tiramisù con azuki e tè verde. Tutt’altro che stucchevole, con un bel contrasto di consistenze, si sposa benissimo con un onesto umeshu, il liquore di prugne che chiude con delicata dolcezza una cena davvero gradevole.

Inutile dire che una serata così va chiusa alla maniera giapponese: prenotando la prossima visita subito dopo aver pagato il conto.

Gyoza impeccabili.
Gyoza, Waraku, Roma
Ottimo saké, da una piccola ma curata selezione.
sakè, Waraku, Roma
Melanzane.
Melanzane, Waraku, Roma
Pancia di maiale.
Pancia Maiale, Waraku, Roma
Takoyaki, buonissimi. Per provarli, passare a pranzo o il sabato a cena.
Takoyaki, Waraku, Roma
Classico ramen.
Ramen, Waraku, Roma
Okonomiyaki.
okonomiyaki, Waraku, Roma
Curry Udon.
Udon, Waraku, Roma
Tiramisu al té matcha.
tiramisù, Waraku, Roma
Cheese cake al té matcha.
cheese cake, Waraku, Roma
Delicato liquore alle prugne.
liquore alle prugne, Waraku, Roma
L’ingresso, che cela abilmente questo piccolo tesoro.
Waraku, Roma

Dopo Eugenio Boer, Brendan Becht: l’onda olandese sembra aver rotto dighe e indugi per abbattersi golosamente sulla Milano da mangiare. Se il primo, in realtà per metà italiano, è tornato di recente a far parlare di sé con il neonato Essenza, Becht è invece il volto dietro il bancone di Zazà Ramen. E’ questo un progetto che dimostra come, lavorando con intelligenza, si possa mantenere alta l’asticella della qualità (nella intenzioni e, quasi sempre, nel piat… pardon nella ciotola) pur strizzando non uno, ma ambo gli occhi, a mandorla o meno, alla modaiola clientela milanese. Da un lato l’insegna rimanda infatti al variopinto mondo dei cartoon, dall’altro la proprietà di Zazà si è dimostrata ben consapevole di come il Ramen, piatto che rappresenta come pochi altri la tradizione culinaria popolare nipponica, sia uno dei trend topic gastronomici odierni della social-metropoli meneghina.
Il locale dà modo di sedersi al bancone, anche solo per un cocktail o una birra, oppure a uno dei grandi tavoli in condivisione del piano terra o ancora a uno di quelli, più piccoli, del livello inferiore, anch’essi a forte rischio condivisione nelle frequenti e tourbillanti serate di pienone. Circa la proposta, l’insegna è chiara: questo non è un locale da cui attendersi una panoramica a 360° della gastronomia giapponese. Ramen, quindi, in due varianti di pasta (“00” o integrale), tre di brodo in crescendo di intensità e sette varianti di condimento, per un totale di quarantadue combinazioni possibili ad ogni cambio menu stagionale: una decina di piccoli antipasti e sei alternative per il dessert esauriscono le opportunità masticabili.
Non delude il Ramen, soprattutto nella folgorante versione con polpette di maiale e manzo alle sette foglie giapponesi: consistenza perfetta della pasta, ingredienti di qualità e brodo di gran gusto, concentrato e “gastronomico” (e come potrebbe essere diversamente con nomi come Marchesi, Senderens e Hermé a far capolino nel curriculum formativo di Becht?) che non risulta però eccessivo neppure nella versione più hardcore, lo Shoyu, che prevede l’aggiunta di katsuobushi e salsa di soia. Il resto delle portate fa riscontrare risultati meno continui, con discreti Yakitori gomito a gomito con Gyoza gommosi e insapori, davvero disastrosi. Segno positivo generale, invece, per il comparto dessert e per la proposta beverage, stringata ma anch’essa intelligentemente compilata.
Il servizio, giovane e assai volenteroso, si barcamena infine in modo più che accettabile malgrado l’imponente affluenza che qui rappresenta la norma.

In apertura: ramen pesce e frutti di mare con finocchio, finocchietto, pomodorini semi-essiccati e zeste d’arancia. Di seguito: l’ottima zucca “Uchiri Kuri” in carpione.
zucca, Zazà Ramen, Chef Brendan Becht, Milano
Edamame.
edamame, Zazà Ramen, Chef Brendan Becht, Milano
Yaki-Gyoza: qui davvero non ci siamo.
yak gyoza, Zazà Ramen, Chef Brendan Becht, Milano
Yakitori, invece, di buon impatto gustativo.
yakitori, Zazà Ramen, Chef Brendan Becht, Milano
Kakuni, senape giapponese e daikon.
kakuni, Zazà Ramen, Chef Brendan Becht, Milano
Davvero eccellente il ramen con sette ortaggi a foglia giapponesi e polpette di manzo e maiale. In questo caso brodo Shoyu
ramen, Zazà Ramen, Chef Brendan Becht, Milano
Buone ma più ordinarie le altre versioni provate: pollo, uova, friggitelli, taccole, fagiolini e brodo di carne aromatizzato all’alga kombu con pasta integrale;
ramen, Zazà Ramen, Chef Brendan Becht, Milano
Manzo, funghi, cipolla caramellata e menma con brodo di carne al miso.
ramen, manzo, Zazà Ramen, Chef Brendan Becht, Milano
Di discreto livello il simpatico “Monte Fuji-Monte Bianco”, ovviamente giocato sulla castagna.
monte fuji, Zazà Ramen, Chef Brendan Becht, Milano
Davvero ottimo il tiramisù al tè Matcha.
tiramisù al tè matcha, Zazà Ramen, Chef Brendan Becht, Milano
Pregevole lo spritz della casa, con Prosecco non meglio specificato, Umeshu, menta e arancia.
spritz della casa, Zazà Ramen, Chef Brendan Becht, Milano
Oltre a birre di fama più consolidata ecco spuntare dal menu le birre del birrificio artigianale Coedo. Questa è la Ruri, la loro Pils.
birre, coedo, Zazà Ramen, Chef Brendan Becht, Milano

E’ un dato di fatto che la cucina giapponese, come quella cinese e italiana, sia tra le più scopiazzate e stereotipate che si possano trovare al di fuori dei confini del paese d’origine. Ciò può essere imputabile alla difficoltà nel reperire, in luoghi remoti, le materie prime necessarie, o ad una questione prettamente nazional-culturale dei cuochi che la reinterpretano, o ancora al successo di espressioni fusion che meglio entrano nelle corde dei paesi di destinazione.
Fatto sta che più passa il tempo più fantomatici ibridi vengono via via maggiormente percepiti come “tradizionali” all’estero. A titolo d’esempio come dimenticare gli Spaghetti alla Bolognese, vero e proprio “must” della cucina italiana in giro per il mondo, ma inesistente in madrepatria.

Buona parte degli avventori occasionali arriva, paradossalmente, a inquadrare come “tradizionale” o “vera” una cucina che di tale ha solo il nome o addirittura a sentirsi presi in giro quando entrano in quei pochi locali che cercano di proporre piatti realizzati con criterio e aderenza alle origini.
La poliedrica Milano è senza dubbio la città italiana più sensibile alle mode: è infatti il luogo dove ormai da anni la moda del sushi è esplosa con più fragore e l’alta domanda ha certamente aiutato la diffusione di una proposta di bassa qualità. Cercando con il lanternino, però, anche a Milano è possibile scovare alcune espressioni davvero tradizionali di cucina giapponese, e quella di Fukurou è senza dubbio la migliore.

E’ sufficiente dare uno sguardo alla pagina Facebook del ristorante per comprendere che tutto quanto, qui, non è di vaga ispirazione nipponica ma bensì realmente del Sol Levante: a partire dallo Chef Ninomiya Yoshikazu (uno dei pochi in Italia, tra l’altro, ad ispirarsi ai principi Kaiseki), passando per tutto il personale di sala, fino ad arrivare alla proprietà, ovvero l’ex pilota di motociclismo Noriyuki Haga e sua la moglie Yurie. Da Fukurou non troverete folcloristiche riproduzioni italo-cinesi, ma un “vero” ristorante giapponese ed è facile rendersene conto appena varcata la tendina dell’ingresso.
C’è solo, onestamente, il Giappone: a cominciare dal tavolo e da tutto ciò che, in successione, vi arriva sopra, come l’estremo shiokara, calamari fermentatio o i gustosi yakitori, non solamente di pollo ma proposti in innumerevoli varianti, siano essi di carne, di pesce o di verdure, grigliati o fritti. Svariate le opportunità di scelta sulle zuppe, con Udon, Soba o Ramen, proposte sia tradizionalmente in brodo che nella versione più estiva asciutta (e fredda), tutte con pasta fatta rigorosamente a mano. Splendidi infine i Nigiri, dalle proporzioni pressoché perfette con in più, a cena, la possibilità di scegliere singolarmente la varietà dei pezzi desiderati.

Dopo ripetute visite la sensazione costante è che il tutto sia preparato con assoluto rigore e rara sensibilità, in maniera rispettosa e mai dozzinale: se Fukurou è, ad oggi, il miglior giapponese tradizionale di Milano, probabilmente è anche la massima espressione presente oggi in Italia. L’unico difetto tangibile è un servizio che, per quanto cordiale e volenteroso, va presto in affanno, dilatando non di poco i tempi di attesa.
Il voto è arrotondato per eccesso, ma vuol essere un encomio per la volontà di prendere completamente le distanze da quella diffusa realtà, da quel deprimente caledoscopio di locali finti giapponesi, che, con profonda tristezza, si arroga il diritto di rappresentare una delle più mirabili cucine del mondo.

Minimale la mise en Place, con tanto di oshibori confezionato.
m ise en place, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Il benvenuto dalla cucina…
benvenuto, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
…e il benvenuto dalla sala.
benvenuto, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Disponibile una carta dei vini con qualche referenza, una bella carta di Sake, alcune birre e del Tè. Noi optiamo per quest’ultimo, Tè secha.
Tè secha, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Partenza nella maniera più radicale possibile, con gli shiokara, i calamari fermentati.
calamari fermentati, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Eseguiti in maniera impeccabile i gyoza, con la pasta spessa e callosa al punto giusto, e dal ripieno deciso e ben presente.
gyoza, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Sfiziosissimi gli yakitori alla piastra, sia nella versione più tradizionale con pollo…
yakitori, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
…sia in quella con asparagi o con calamari. Innumerevoli altre varianti disponibili in carta.
yakitori, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Davvero di alto livello i nigiri: pesce di grande qualità che abbraccia interamente il riso, cotto al punto giusto (forse leggermente freddo), e con la giusta quantità di wasabi, che dovrete far presente qualora non lo vogliate, e non il contrario.
nigiri, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Udon Yamakake: Udon freddo, con igname yamaimo grattugiato e tuorlo d’uovo crudo.
udon yamakake, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Hiyashi Chiuka: Ramen freddo, con salsa di pesto di sesamo e bergamotto.
ramen freddo, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Ramen miso: Ramen in brodo di ossa di maiale, miso e macinato di maiale.
ramen miso, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Ramen shoyu: Ramen in brodo di ossa di maiale, polvere di pesce e salsa di soia.
ramen in brodo di ossa, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Dessert anch’essi tradizionali, un po’ semplici ma sicuramente molto buoni.
Daifuku. Mochi ben eseguito.
dessert, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Matcha pudding. Notevole la concentrazione, in pratica un budino di tannino.
matcha pudding, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
A pranzo disponibili diversi menù, sia Teishoku che Jubako, a prezzi clamorosamente convenienti.
Teishoku Sushi (a 16€, con caffé), stessa notevole qualità del sushi, pezzi lievemente più piccoli che a cena, e con l’unico vincolo di non poter scegliere le varietà. Zuppa di miso, contorno e oshinko (verdure salate) in accompagnamento.
nigiri, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Teishoku Sashimi (sempre a 16€, sempre con caffé). Spicca l’impiatto di rara grazia. Stessi accompagnamenti del sushi, con riso al vapore in aggiunta.
sashimi, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Teishoku Tempura. Stesso prezzo dei precedenti, sempre in menù. Tempura dalla pastellatura un po’ spessa ma perfettamente fritta, asciuttissima e croccante, che ingloba l’ingrediente fritto e ne mantiene gli umori. Notevoli il peperone, il gambero e la consistenza del fungo.
tempura, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano

Non potrò mai dimenticare quel piatto di spaghetti alla carbonara che mi trovai di fronte, nell’ottobre 1996, a Boston. Era l’era dei Chicago Bulls e seduto nel parterre della Boston Arena vidi schiaffeggiare gli eterni (per me) rivali dei Celtics, terribili “nemici” già dei 76’ers di Julius Erving e in quegli anni del mitico quintetto in cui giocavano Rodman, Pippen e Jordan.

Era anche l’anno della mia prima visita negli Stati Uniti, vissuta in un delirio di Mo’u can eat Burger e Butter Lobster. I miei amici americani, con lodevole innocenza, mi portarono in un anonimo ristorante italiano per farmi gustare una carbonara “come si deve”: peperoni, uovo crudo con panna, bacon e una montagna di cheddar arancione vulcanizzato in salamandra. Che esperienza terrificante. Probabilmente assai simile a quella che le pletore di giapponesi in visita nella nostra terra subiscono nel momento in cui, colti dalla nostalgia di casa, varcano la soglia della miriade di sushi bar gestiti da cinesi che ha invaso l’Italia.

Nozomi è forse una piacevole eccezione a questo quadro desolante. Una trattoria giapponese, aperta da poco tempo, che propone la vera (ci auguriamo…) ed autentica cucina giapponese. Qui sono banditi sushi e sashimi vari, per esaltare altri aspetti della complessa tradizione culinaria giapponese. L’inarrivabile sushi, che è un’arte tutt’altro che banale, è meglio lasciarlo ai maestri di questa scuola, piuttosto che proporlo ottusamente in versioni insignificanti e mai conformi all’originale.

Il Nozomi propone invece l’Osozai, una sorta di tapas in stile nipponico, con assaggi di diversi tipi di piatti tradizionali in formato mignon e a 4 euro l’uno. E poi Ramen, Udon, Shabu Shabu di carne e pesce o misti. Un tripudio di alghe, germogli, riso e grano saraceno.

Con un servizio gentile e cortese si cena ad un prezzo non proprio economico, più da ristorante che da trattoria.

Il giro di Osozai


Calamaro, rapa, miso

Sugarello, puntarelle, aceto di riso

Spinaci, funghi e brodo d’alga

Alghe e pollo saltato

Zucca e miso

Kushiage
fritto di gambero, polpo, carne e daikon, zucca, capasanta con salsa tartara e al chinotto

Shake Chazuke
Riso in brodo d’alga e miso con salmone alla piastra

Soba Tempura