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Prima della Prima: Massimo Bottura

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CAESAR SALAD

Noli respicere, non voltarsi mai indietro. Per quanto Massimo Bottura abbia oltrepassato in scioltezza il codice binario che definisce l’avanguardia, la violazione della consegna di Orfeo punteggia il suo nuovo menu con un’insistenza martellante, che non può essere derubricata a casualità. Perché i piatti di nuovo conio si alternano a numerose riprese di spunti già svolti nel passato, talvolta vere e proprie icone: i ravioli con gamberi, gelatina di cotechino e lenticchie fritte, metempsicosi degli storici ravioli di cotechino, ormai traslocati nell’Eurasia vagheggiata da Beuys; la profondissima triglia alla livornese, intarsiata da una rimembranza di picassiano camouflage; e rubo la parte croccante della lasagna, d’après la parte croccante di una lasagna. Soprattutto un’irriconoscibile Caesar Salad che gira upside down, anzi outside in il modello di qualche anno fa. Composto, si ricorderà, di 22 elementi aromatici. Ieri in absentia, data l’assenza di lattuga; oggi più che mai in praesentia.
La frequenza del ricorso all’autoremake, in questo caso di un piatto già codificato, in una sorta di fuga dei remake, non stupisce in un cuoco che ha saputo centrifugare i suoi riferimenti pittorici in termini filosofici e di prassi creativa; cosicché il pittorialismo spiccio della citazione artistica ne rappresenta solo l’emergenza. Specie se si considera che “uno dei tratti salienti delle pratiche artistiche contemporanee consiste appunto nel tematizzare l’enigma della dissimmetria originaria insita nella coppia originale/rivisitazione, pari a quello tra rottura/continuità. E consiste nel cercare di mostrare (anche se non potendo veramente dimostrare) che l’opposizione fra originale e rivisitazione è essa stessa non originale”, si legge in Cover Theory, L’arte contemporanea come reinterpretazione di Marco Senaldi, dopo una disamina della boîte en valise, archetipo del genere a firma di Marcel Duchamp.
L’originalità, quindi, tema princeps della cucina degli ultimi decenni; ma anche fattore di destabilizzazione che instaura un’obsolescenza accelerata del piatto. “Abbiamo tolto alcune ricette, come Thelonious Monk, perché la loro ripetizione generava stanchezza”, è la versione di Massimo Bottura. “Rivoluzionare un piatto certe volte è il solo modo per tenerlo in carta”. Nel caso della Caesar Salad, a intervenire è stato un concetto rivoluzionario: il condimento dell’insalata dall’interno, fra foglia e foglia. Cosicché la lattuga “frigida” di Antonio Corrado fa esplodere in bocca con la sua acquosità una bomba crudista e antitecnica, potente e complessa, lubrificata da due diverse salse, micidiale grazie al grappolo degli ingredienti aromatici, dalle erbe alla pancetta. In accompagnamento un cocktail preparato al tavolo da Giuseppe Palmieri a base di Vodka, Ginepro, acqua tonica, gazzosa e pepe del Madagascar, con le sue note resinose e fiorite, quasi di lavanda, messe in circolo acceleratamente dall’alcol. Quando il cocktail è servito spaiato, anche un cuore di lattuga tuffato all’interno per l’acidità e la nota lattica, leggermente terrosa.
Gli autoremake: riflessività in senso stretto. La spia della maturità raggiunta da Massimo Bottura, capace di chiudere il cerchio dell’autosufficienza stilistica, fondare e fare evolvere il proprio lessico culinario, cannibalizzando materiali francesizzanti e popolari, emiliani o extraculinari. Ma anche un elemento di “anamorfosi ideologica”, per citare sempre Senaldi. “Ossia il collocare un artefatto culturale sullo sfondo delle proprie mancanze intrinseche”, al fine di confrontare l’originale con ciò che avrebbe potuto essere e invece non è stato”.
Dove la negatività finisce per propiziare un’espressione bianca. Perché “una poesia deve perdere ad una ad una tutte le corde che la legano a ciò che la motiva. Ogni volta che il poeta ne spezza una, il suo cuore batte. Appena spezza l’ultima, la poesia si stacca, sale come un pallone, bello in se stesso e senza altro aggancio con la terra” (Jean Cocteau).
E la cucina di Massimo Bottura vola.

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CAROTE, ALGHE E SESAMO

Carota lunare, carota atomica rossa, carota viola cosmica, carota arcobaleno, carota Amsterdam, carota gialla sole, carota dolce tenera, carota corta marché de Paris. Tutte provenienti dall’orto in biodinamica del ristorante Piazza Duomo, tutte estratte delicatamente ogni mattina, intorno alle 8, dalla mano più sensibile della cucina italiana. Quella di Enrico Crippa, che al contadino Walter, il quale le verdure non le annaffia neanche più, ma le nutre con la legna macerata, lascia maneggiare solo gli ortaggi più robusti.

Non è la prima volta che Enrico Crippa si cimenta in quella che Umberto Eco ha definito “la vertigine della lista”, ovvero quella “poetica dell’eccetera” contrapposta alla poetica del “tutto è qui” che aveva già sospinto verso l’infinito la sua insalata 21 o 31 forse 41, miscellanea di erbe e fiori eduli i cui ingredienti si dispongono ordinatamente in fila, trasmettendo una vertigine vegetale che sublima e poetizza la terrosità dell’orto.
Poiché come scrive sempre Eco, da Omero in avanti sono due le modalità della rappresentazione artistica. La prima risale allo scudo di Achille scolpito da Efesto, ritratto esaustivo della civiltà agricola e guerriera che offre “l’epifania della forma, del modo in cui l’arte riesce a costruire rappresentazioni armoniche in cui viene istituito un ordine, una gerarchia, un rapporto figura-sfondo tra le cose rappresentate”. Mentre la seconda trova il suo paradigma nei 350 versi che sempre nell’Iliade occupa il celebre catalogo delle navi achee ed è poi ripresa per esempio nella lista degli oggetti dentro il cassetto di Leopold Bloom. Utile soprattutto “quando non si sa quante siano le cose di cui si parla e se ne presuppone un numero, se non infinito, astronomicamente grande; o quando ancora di qualcosa non si riesce a dare una definizione per essenza e quindi, per parlarne, per renderlo comprensibile, in qualche modo percepibile, se ne elencano le proprietà – e come vedremo le proprietà accidentali di un qualcosa, dai Greci ai giorni nostri, sono ritenute infinite”.

L’infinito attuale di una radice di carota e dei suoi eccetera gustativi, oltre il sigillo della forma. Di qui anche il particolare stile dell’impiattato, vera cifra dello chef, che evita di instaurare rapporti gerarchici fra gli ingredienti affastellati sul candore della porcellana, ma la riempie come una tela senza delineare centri, limiti o periferie.
Diverse per età, sapore e consistenza, le carote baby fresche di giornata, integre poiché complete di buccia, particolarmente intense e complesse grazie alla coltivazione biodinamica (“è come assaggiare un pane al lievito madre conoscendo solo il lievito di birra”) sono cotte per riduzione alla francese con acqua, burro di alpeggio e sale. Compongono un mare e monti inedito insieme alle alghe nori spennellate di olio ed essiccate e all’alga kombu a julienne candita con soia e mirin, dove la terrosità delle radici sposa le note ircine, umide e quasi fangose sviluppate dagli organismi acquatici. Più una spolverata di sesamo, esaltatore di sapidità naturale, e polvere di nocciola di Langa; foglie di shiso verde e rosso per le note fresche di basilico, menta e limone. Ne risulta un romanzo di formazione gastronomico, dove le esperienze compiute da Crippa in Francia affiancano i corposi capitoli del Giappone e del magistero di Michel Bras. Esperienze che sono andate a fecondare la scena langarola con la stessa vitalità degli sciami d’api sui fiori e dei lombrichi che ora rivoltano le zolle, visto che la cucina del mercato ha ormai ceduto il passo all’orto; le comande di carne e pesce seguono le disponibilità vegetali, che dettano legge sul menu.

Ci sarà anche questo piatto, quando Piazza Duomo alzerà il sipario sui locali rinnovati il 7 febbraio. L’acquisto dell’appartamento adiacente, della superficie di 300 metri quadrati, ha consentito di ampliare i bagni e il pass della cucina; allestire un salone di accoglienza, una saletta supplementare da 14-16 coperti con seminato veneziano e boiserie, uno spazio canapé, una nuova plonge e soprattutto 4 camere che verranno messe a disposizione come chambre d’hôtes.