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Povero Diavolo

Come si diventa un classico?
Sembra impossibile associare il concetto alla cucina di Piergiorgio Parini, tanto è libera, originale, sorprendente.
Eppure sempre più spesso, girando per gola, non solo in Italia, ci s’imbatte in richiami, suggestioni, echi che hanno un’origine chiara nel lavoro di questo chef prezioso per la cucina italiana.
In questi quasi dieci anni passati al Povero Diavolo si sono prodotte, senza esagerare, migliaia di piatti, talvolta rimasti in carta lo spazio di un cenone di capodanno quando altrove avrebbero fatto la fortuna per lustri dello chef che li avesse proposti.
Una cucina sempre stimolante e mai prevedibile, bella a vedersi, buona e sana, realizzata senza sforzi da quello che gli americani direbbero un “natural”, un cuoco per cui inventare è come respirare.
Il fatto poi che sia offerta in un luogo semplice, poco incline alle lusinghe e allo sfoggio come il suo patron, Fausto, burbero buono, equilibrato dal tocco gentile di sua moglie Stefania, ne fa una di quelle singolarità italiane che andrebbero esaltate ovunque.
Ogni portata è una festa per il gourmet, perché ci sarà sempre almeno un passaggio impensato, un ingrediente da scoprire, una pista aperta da percorrere; e qualche fugace accostamento meno riuscito, rovescio della medaglia inevitabile di tanta originalità, si dimentica volentieri perché qui non richiederete certezze ma lo stupore che vi strapperà più di un sorriso.
La nostra prima visita dell’anno è in primavera, e il menù lasciato alla libera mano dello chef ha contato, su quindici piatti, non meno di quattro passaggi da fondo scala.
A un avvio un po’ in sordina, con gli amuse-bouche che, a parte il cipollotto, non lasciano traccia, è seguita una brusca impennata con un succedersi di primi (un “tris”, per richiamare una pratica criminosa dell’offerta gastronomica nostrana, anzi un poker) che non sarà facile dimenticare e che spazia dalla pasta secca, al riso, alla pasta ripiena, al grano, sempre dando sfogo a un estro magico. Solo il gusto personale ci può far preferire i tortelli di faraona, a cui abbiamo dato l’onore della copertina, perché coniugare golosità con giochi di consistenze, contrasti che ti farebbero tornare a gustare mille e mille volte è impresa da segnalare.
E i secondi sono rimasti sullo stesso livello, con un solo passaggio a vuoto, la salsiccia di capra con lumache, in cui l’incontro tra i due elementi principali non è riuscito, controbilanciata da un piccione ancora nuovo rispetto ai tanti provati da queste parti e ancora da applauso.
Dolci non di scuola, mai ruffiani e mai gratuitamente provocatori, che non inseguono tendenze: il dolce non dolce qui si è proposto prima e meglio che quasi ovunque, insieme al dolce-dolce se serve. E se non ci sono interpretazioni dei classici per mostrare la sapienza della mano, non è detto che non vi siano domani, ma per scelta e non per moda.
Per la proposta enoica, senza lamentarvi di una carta che ha di sicuro delle rivali più corpose in giro, il consiglio è di lasciarvi suggerire dal patron: se la cucina è di quelle che sembrerebbe dare ragione a Marchesi e invitare a pasteggiare ad acqua per non essere distratti, Fausto Fratti saprà invece sorprendervi con bicchieri di grande originalità, spesso sul versante “naturale”, ma anche qui per scelta consapevole e ragionata, in quanto ottimi partner delle proposte di Parini. Nel nostro caso il Fricandò, Albana dell’azienda Al di là dal Fiume e l’ottimo Bianco dell’Armonia della Tenuta l’Armonia hanno svolto egregiamente il loro mestiere.
Un luogo del cuore, del quale vi racconteremo spesso nel corso dell’anno.

Mozzarella doppio latte, mandorla, finocchietto, erbe. L’avvio un po’ in sordina, la mandorla vince sulla mozzarella e il tutto non appassiona
Mozzarella, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Mazzancolle alla griglia, asparagi, limone, dragoncello, spinacio. L’asparago se non è il migliore mai provato ci manca poco; mazzancolla buonissima ma, ancora, non siamo sui livelli stratosferici cui questa tavola ci ha abituato.
Mazzancolle, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Grongo alla brace, crema di piselli, piselli, rapa bianca marinata al Martini, foglia di acetosa. Un primo scatto in avanti, con un pesce difficile. E la rapa marinata al Martini urla “Parini”…
Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Cipollotto, fegato di merluzzo, ginepro fermentato, foglia di cappero sotto sale. Eccolo il fuoriclasse: contrasti inusitati (ci aspettiamo capperi e fegato in giro per lo stivale…) e risultato finale da applauso.
Cipollotto, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Linguine, brodo di paganelli, polvere di tiglio. Un saggio sul concetto di persistenza e la dimostrazione di quanto la grande cucina può, anche, essere gradevole in prima lettura, perché sfidiamo a trovare una forchetta che non mangi volentieri un piatto così.
Linguine, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Riso (vialone nano), stridoli, semi di cumino, polvere di luppolo, di felce, di sumak. Un tassello ulteriore a una storia di risotti lunga e felice, al Povero Diavolo. Mille sapori e sensazioni che si abbracciano e si respingono in successione, un piatto dinamico come un Amoureuses di un grande autore, con cui giocare per un paio di minuti felici.
Riso, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Tortelli (la pasta è fatta con farina d’orzo) di faraona, ristretto al melograno e riso. 20/20, potrebbe essere un classico della cucina italiana degli anni ’10 del secolo e magari tra un mese sparirà…
Tortelli, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Grano spezzato mantecato con burro affumicato, Squacquerone, cialda di stridoli e borragine, fiori di borragine, polvere di erbe e orzo. Bello, buono, ludico. Cosa chiedere alla cucina contemporanea oltre questo?
Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Spiedo di lumache, salsiccia di capra, rapa rossa, polvere di pioppo. Sì, si può scivolare, anche da queste parti. Di sicuro la salsiccia è troppo secca perché funzioni, nonostante l’intingolo da leccarsi i baffi.
spiedo di lumache, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Animella con “polenta alla saba” (Parmigiano, pane e saba). Piatto da grande table con tocco di italica gourmandise, la “polenta” è da gaudenti padani.
animella, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Kiwi e nervetti (anche soffiati a popcorn). Peccato esserci arrivati solo a fine cena a un piatto così, perché rendere questa materia gradevole a uno stomaco già un po’ saturo è impresa ardua. Bel lavoro del popcorn nel dare consistenza che contrasta e alleggerisce il boccone.
kiwi e neretti, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Piccione, rafano, ciliegie (candite e poi sotto aceto), capolini di piantaggine (“Plantago lanceolata”), crema di fegatini. Qui c’è tutto lo chef: il piatto da tristellato, riplasmato per farlo nuovo, non stucchevole, ricco di slancio.
Piccione, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Ricotta (a base di latte di mucca e capra; viene sifonata e appena montata), sesamo nero e mandarino (anche scorza in polvere). Per chi scrive, portentoso: ricotta trattata al meglio, il sesamo è un tocco di genio che porta il piatto, apparentemente visto mille volte, su strade non battute.
ricotta, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Nespole, alloro, polline fresco. Mano inconfondibile e combinazione “pariniana” quanto altre mai.
Nespole, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Cioccolato di sorgo, kiwi candito e cipresso. Sfoggio di tecnica stravolgente che pare abbia stregato anche Genin. I più golosi tra voi continueranno a pensare che il cacao sia più adatto a farne cioccolato, ma se c’era bisogno di ribadire quante idee ci sono da queste parti ecco il dolce ideale.
Cioccolato, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana

FUSILLI CON PECORA E EUCALIPTO

“Siamo diventati poveri”, scriveva Walter Benjamin nel 1933. Poveri di un’esperienza smentita ieri dalla guerra, nel XXI secolo dalla recessione. “A cosa mai è indotto il barbaro dalla povertà di esperienza? È indotto a ricominciare da capo; a iniziare dal nuovo; a farcela con il poco; a costruire dal poco e inoltre a non guardare né a destra né a sinistra”. Si parla molto di semplicità, nella cucina contemporanea, e questa parsimonia di mezzi e di effetti, questo primitivismo che talvolta assume lineamenti esotici, di indigeni maori o di indios amazzonici, ha pochi lasciti da spendere in tasca. Siamo tornati poveri, ancora una volta: e chi povero lo è sempre stato, potrebbe partire in vantaggio.

Per esempio la Romagna, terra di una ristorazione naturalmente in sintonia con la contemporaneità. Il cui ristorante più avanzato, in quel di Torriana, dalla povertà ha tratto una rivendicazione da appendere fin sopra il portone. Quella con bacche ed erbe spontanee, da incarnierare in un foraging ante litteram, è una consuetudine diffusa persino nelle trattorie, dove non sono mai appassiti fiori di sambuco, rosole, stridoli ed erbe dialettali, da abbinare magari a una saraghina. In cerca di una cucina “in cui le persone possano far risaltare la propria povertà, quella esteriore e in definitiva anche quella interiore, in modo così netto e chiaro che ne venga fuori qualcosa di decente”.

Nessuno come Piergiorgio Parini, nato a San Mauro Pascoli, figlio di contadini, sa elevare questa povertà al rango di estetica contemporanea. Dove la brevitas, come uso accorto dei mezzi espressivi da parte dei classici, sfuma nell’espressività graffiante dell’inopia. Gli ingredienti sono generalmente tre o quattro, e poco solenni. In questo caso fusilli, pecora, eucalipto e alloro, a comporre un ragù a crudo dall’integrità esemplare, che riscatta la vituperata insalata di pasta. Dove la carne di spalla è battuta al coltello, le foglie di eucalipto sono ridotte a julienne e l’alloro per una volta non è centrifugato alla Greenstar, che ne estrarrebbe un altro profilo, ma pestato e liquefatto, con un esito di maggiore soavità. Praticamente un latte di alloro che rinuncia alle lusinghe tecnologiche.

Intensa, fondente al palato e quasi cremosa, la carne è dinamizzata non per via di acidità ma attraverso la freschezza degli aromi balsamici, che a loro volta dialogano con la nota leggermente selvatica dell’ovino e quella silvestre dell’alloro, evocativa di una cottura in absentia, quasi un sapore della memoria in chiave subliminale. “Questo piatto è nato una sera dei primi caldi di stagione, per un cliente che non mangiava la pecora, su cui grava un certo pregiudizio. Invece io sono attratto dalla sua dolcezza, che mi ha ispirato un secondo in stile tataki, con il carré e il cosciotto appena scottati. Restavano le parti meno nobili, che ho elaborato in una pasta fredda, senza dirgli cosa fosse. Ho scelto i fusilli del Pastificio dei Campi perché si prestano alla preparazione in ‘insalata’, a causa dello spessore, e la carne può infilarsi fra le spire; sono conditi da tiepidi, in modo da creare un’emulsione con la battuta e un goccio d’olio, favorita anch’essa dalla spirale. Mentre l’eucalipto è quello che ho piantato in giardino tre anni fa, in cerca della nota verde perfetta”.

Fusilli con pecora e eucalipto, Chef Piergiorgio Parini,

Una semplice porta sormontata da un’insegna amichevole e familiare: sono questi i candidi vessilli del “Povero Diavolo”, vestiboli minimalisti di una delle più interessanti, stupefacenti e vibranti cucine contemporanee d’Italia.

E c’è da chiedersi se ancora qualcuno arrivi qua per caso, non spinto da un ardente desiderio di emozioni e ignaro della fama di questo luogo. E’ una tirannica curiosità quella che ti spinge a divorare i chilometri per arrivare al cospetto del folletto di Torriana e a decidere ogni volta di dare in pasto a un genio culinario assoluto i più reconditi e verginali frammenti del proprio animo gourmet, la cui tenacia critica è messa costantemente alla prova da un ambito sorprendente, in continua evoluzione. La cucina di Pier Giorgio Parini è il prodotto di un talento incomparabile, che di giorno in giorno (o forse di ora in ora), si trasfigura in forme cangianti, in nuovi lineamenti e in espressioni inaspettate, ma che rimane fondamentalmente ancorata alle salde certezze della sua essenza più profonda e immutabile.

Piergiorgio Parini, a dispetto della giovane età, è uno tra i più grandi conoscitori a 360° delle materie, sia che provengano dal mare, dalla terra o soprattutto da… sottoterra. La continua sperimentazione relativa alle nuove tecniche applicate non è da leggere come una implicita adesione alla moda del momento, ma come un’opportunità per ampliare il ventaglio di possibilità delle sue innumerevoli creazioni, mantenendo in questa maniera aggiornato, attuale e realmente avanguardistico, il suo stile. Uno stile che non verrà mai snaturato, rimanendo sempre puro e riconoscibile: a tal proposito calza a pennello l’ultimo, recente grande lavoro, ovvero l’introduzione di numerosi elementi fermentati a beneficio delle relative inflessioni di acidità apportate.

Le critiche mosse negli anni a Piergiorgio Parini sono forse figlie di incomprensioni proprio verso il suo stile e le principali si sono concentrate sul modus operandi dello chef: creando di continuo una mole impressionante di piatti, si rimproverava il fatto che non ce ne fosse uno immediatamente riconoscibile. Alcune preparazioni, soprattutto le più essenziali e minimaliste, arrivavano a esser definite “semplici”, quasi incompiute e leggermente monocorde, cavalcando ripetutamente modulazioni di note vegetali.
Se oggi qualcuno ha ancora qualche dubbio che Parini non possa avere il diritto di sedersi accanto ai grandissimi, le scarse motivazioni contrarie a questa tesi si sciolgono come neve al sole.

Tabula rasa, senza troppi panegirici: porro, nocciola, umeboshi, amarena sott’aceto. Creare un piatto come questo sulla semplice base di un “porro”, è indiscutibilmente dimostrazione di classe cristallina: la struttura del porro, croccante e filamentosa, è ammorbidita da una balsamica e concentratissima salsa di nocciole, mentre i pezzi della stessa impegnano la masticazione. Nel frattempo l’amarena, con la sua lievissima dolcezza mitiga e al contempo fa da ponte verso l’umeboshi, che invece, dal canto suo, rende una sensazione acida altissima. Game over.
Basata sulle stesse note la Zuppa di canocchie, radici di tarassaco, lampascioni sottaceto, fiori di senape selvatica che, accanto alla sapidità marina dei mitili e del brodo (un vero distillato tanto è concentrato), pone la progressione amara dei lampascioni e del tarassaco, mitigate dalla freschezza dei fiori di senape. Altro colpo da KO.
Ultimo allegato alla motivazione di grandezza: spaghetti alla chitarra, rapa rossa, battuto di prezzemolo, yogurt bianco. Piatto sensuale già nell’aspetto, con lo spaghetto terroso e lievemente dolce che fa il paio con il piacevolmente invadente peperoncino che, smorzato dallo yogurt, mantiene soltanto la nota calda e anestetizzante e una lieve piccantezza: il concetto di equilibrio estremizzato a livelli impensabili.

Potremmo continuare a lungo con la commovente qualità del rombo, o del brodo di sandalo profumato e persistente al limite del credibile, o alla maniera in cui è gestita e modulata l’amarezza degli asparagi nel risotto, dei finissimi dessert… ma risulterebbe quasi inutile, perché, come al solito, mentre leggete queste righe tutti questi piatti sono già storia.

Tutto semplice? Tutto semplicissimo. Qui non c’è nessun segreto, basta macinare qualche chilometro per rendersene conto.
Oggi, in Italia, chef con tale sensibilità e livello di inventiva se ne possono contare davvero pochi, utilizzando le dita di una mano. E magari ne manteniamo chiuse un paio, sperando di aprirle in futuro…

Pane, grissini, focaccia.
Grissini, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Ceci e rose fermentate.
ceci e rose, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Tortino di sedano rapa. Non solo del maiale …non si butta via niente, in questo caso anche del sedano rapa, con il quale viene fatta la spuma, la “tagliatella” che avvolge il tutto e i cubetti all’interno. Un biscotto dolce di avena sul fondo rende dolce e croccante l’insieme, per una partenza fresca, divertente e golosa.
tortino di sedano rapa, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Sgombro e cavolo nero.
La marcata affumicatura dello sgombro, unita alla polpa incredibilmente carnosa, amplia la balsamicità del succo di finocchio selvatico e le note verdi del cavolo nero e dell’orecchio di lepre. Leggero e fresco, ma al contempo intenso e complesso.
sgombro e cavolo nero, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Zuppa di canocchie, radici di tarassaco, lampascioni sottaceto, fiori di senape selvatica. Primo colpo basso.
zuppa di canocchie, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Brodo di sandalo, triglia, carciofi.
Un assestato uno-due. La (favolosa) triglia e i carciofi sono solo struttura e texture, il vero protagonista del piatto (non a caso elencato per primo) è il brodo, dalla concentrazione quasi masticabile, dal profumo avvolgente e dalla persistenza infinita, aiutata dalla componente tannica del carciofo. La classe non è acqua. E’ brodo.
brodo di sandalo, triglia e carciofi, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Riso al brodo di tiglio, asparago selvatico, pepe fermentato, polvere di tiglio.
L’evoluzione degli ormai famigerati risotti di Piergiorgio. La nota lievemente amaricante dell’asparago, dosata alla perfezione, s’incastra tra la freschezza del tiglio e la lieve speziatura del pepe. Speziato, amaro, vegetale e fresco: la rappresentazione grafica del nuovo passo avanti fatto da Parini.
riso al brodo di tiglio, asparagi, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Cappelletto del Povero Diavolo.
Un cappelletto “tradizionale” (per così dire …) con una fresca e decisa nota citrica e un colloso fondo di Parmigiano Reggiano 40mesi.
cappelletto del povero diavolo, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Spaghetto alla chitarra, rapa rossa, battuto di prezzemolo, yogurt bianco.
Piatto dall’aspetto davvero sensuale, nel concetto più semplice (anche se sicuramente altrettanto tecnico) dei precedenti ma non per questo meno interessante. La rapa è inserita nell’impasto degli spaghetti, rendendoli di un concentrato rosso porpora, lievemente dolci, terrosi ma ben al dente. Lo yogurt bianco sul fondo sfuma la marcata presenza del peperoncino, mantenendone calore e sapore: l’aglio olio e peperoncino del quarto millennio. Una sola segnalazione, occhio alla camicia.
spaghetto alla chitarra, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Animella, camomilla, salvia.
La freschezza della salvia e il profumo della camomilla sorreggono la grassezza golosa dell’animella.
animella, camomilla e salvia, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Porro, nocciola, umeboshi, amarena sottaceto.
L’uppercut del ko, la chiusura del cerchio, i 19,75/20 fatti piatto. Con un food cost risibile.
porro, nocciola, umeboshi, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Pecora, asparagi, rose.
Una carne non di facile approccio, resa mite dalla cottura ma comunque sublime nel gusto.
Pecora, asparagi e rose, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Piccione, rosa canina, pastinaca fermentata.
Un piccione da grande table, davvero tra i migliori mai incontrati, cotto alla perfezione, con il plus della componente estremamente acida della pastinaca fermentata.
piccione, rosa canina, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Gelato alle viole selvatiche, polvere di biscotto, miele rifermentato.
E’ uscito un po’ di sole, quindi per quattro-cinque giorni ci sono le violette selvatiche, sono andata io a raccoglierle perché Piergiorgio non poteva…” racconta Stefania.
Un grande dessert, per non più di una settimana all’anno. Questo è il Povero Diavolo.
gelato alle viole selvatiche, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Cicoria, biscotto integrale, massa di cacao, polvere di radice di felce.
La barretta Mars del futuro, ennesimo dessert strepitoso a cui ci ha abituato questa cucina. La degna chiusura di un pranzo travolgente.
cicoria, biscotto integrale, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Il vino della casa di Fausto…
vino, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana

Friday Five, Speciale Giappone

Kinkakuji, il tempio del padiglione d’oro

Capita che un lettore curioso ci faccia un mare di domande sulle nostre recensioni giapponesi.
Capita che la voglia di partire vinca ogni cosa.
Capita anche che questo lettore decida di mettere in parole le emozioni provate nel paese del Sol Levante, emozioni poi non troppo diverse dalle nostre.
Ecco il Friday Five di oggi, con un vestito diverso ma la stessa anima libera.
E il lettore-scrittore chi è?
Lasciamo a lui descriversi in poche righe:
“Nikolai Di Placido nasce a Popoli, in Abruzzo nel 1990.
Senza dubbi studia cucina e si diploma presso l’istituto alberghiero di Villa Santa Maria.
Cresce nei luoghi in cui lavora, ma non solo.
Gli piace il bello in tutte le sue forme, che si tratti di musica, scarpe o libri.
Ha sempre lavorato nei posti dove gli sarebbe piaciuto mangiare.”

Buona lettura!

Dopo aver affrontato un viaggio in Giappone, quello che continua a scavarti dentro è il confronto con tutto ciò che hai visto e vissuto nel Sol Levante.
Credo che fare paragoni in cucina sia una delle cose più errate da fare, perché ci sono microclimi interni che mi faranno provare un’esperienza diversa a seconda di innumerevoli fattori.
Qui le diversità sono molteplici: la cosa più bella è andarci e viversi il proprio tempo e poi al ritorno provare a dimenticare tutto e decidere quando tornare.

La foresta di bambù di Arashiyama

Friday Five, Speciale Giappone

I giapponesi sono persone dal forte senso del rispetto, che ti aiutano con tutti i loro mezzi e sono felici e fieri di fare bene.
Visitare questa nazione è viaggio nel senso più ampio del termine. E’ lontano geograficamente e anche culturalmente nonostante la presenza dei pilastri del capitalismo.
Non dobbiamo immaginare di trovare samurai dietro l’angolo a Osaka o la cerimonia del Tè in centro a Tokyo, anche se curiosità, intraprendenza e, non ultime, conoscenze sul posto, potranno aiutarci a provare sensazioni antiche.
La cosa straordinaria del Giappone è che si può fare un’esperienza frastornante nella stessa giornata: nei pasti ci si può rifugiare in un’essenziale stanza in legno per stare in silenzio e osservare i gesti di un professionista mangiando il suo Omakase oppure in un stanza privata e sentire i ritmi vivendo l’esperienza Kaiseki, osservando un giardino e il suo fiume.
Nelle altre ore del giorno ci sono innumerevoli templi, musei incredibili, paesaggi oppure botteghe di artigiani dove poter acquistare oggetti, in primis piatti e coltelli, da noi inesistenti.

Il Fuji San visto dallo shinkansen per Tokyo

Friday Five, Speciale Giappone

Non basta un solo viaggio per vedere tutto il paese, ma sicuramente partire dalla regione del Kansai è un ottimo modo per iniziare.
Osaka è la “capitale” di questa zona situata a sud dell’isola ed è collegata perfettamente a tutti i principali centri che consiglio di raggiungere con lo Shinkansen, il treno veloce.
Una piccola parentesi su quest’ultimo va assolutamente fatta: i treni veloci giapponesi sono belli, funzionali ed estremamente precisi e sono un’ottima scusa per mangiare un bento che ci farà ulteriormente capire quanto il metodo e la precisione di queste persone si ritrovino anche su un pasto in treno.
Osaka è una città di origine portuale, ma solo in alcune zone si possono leggere le sue radici.
Una di queste è il quartiere di Naganoshima con il grande canale, l’immenso roseto e il bellissimo museo delle ceramiche orientali.

Quartiere di Naganoshima e il canale di Osaka

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E’ qui che dopo tre anni incontro il mio amico Tatsuhiko, con cui ho avuto modo di lavorare a Torriana, al “Povero Diavolo”.

Friday Five, Speciale Giappone

E’ ulteriormente cresciuto, ha aperto un posto suo e, omaggiando il luogo nel quale si è maggiormente formato, l’ha chiamato come la casa madre.
Lo spirito è lo stesso, seppur con mezzi differenti; è troppo presto per dire come evolverà il suo percorso, ma di certo, quando avrà trovato stabilità, farà parlare di se e non deluderà le aspettative di chi affronta un viaggio più o meno lungo per andare da lui.
C’è il bancone dove poter osservare il lavoro in diretta oppure tre tavoli.
Ho avuto la fortuna di mangiare da lui la sera del primo servizio: forte tensione, fuochi nuovi, personale da formare e clienti curiosi.
Il menù è uno solo, ha circa dodici portate e prevede, per ora, solo pesce.
Si parte con qualche crudo per passare a preparazioni “cotte” con una portata di pasta secca.
Un predessert precede il dolce e un cioccolatino.

Tatsuhiko Hada, proprietario e cuoco de “Il Povero Diavolo” di Osaka

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Non avevo mai mangiato il sushi in vita mia e ho aspettato di andare in Giappone per poterlo fare.
E’ la preparazione più inflazionata di tutta la cucina nipponica e se fatta bene non è seconda a pasti più “complessi”.
Quando mangi sushi e non parli la lingua del luogo (in alcuni posti in Giappone credo sia un vantaggio) ho riflettuto su ciò che noi crediamo semplicità; un pomodoro tagliato e condito, o in alcuni casi scondito, con olio e basilico è il parallelo di pesce con riso, aceto e wasabi.
Entrambi possono avere una materia prima da lacrima, tagliata in un certo modo ed esaltata con la sensibilità di ciascuna persona.
Sakamoto Yoshihiko, cuoco di Ibuki, è un uomo sulla cinquantina che forse il prossimo anno prenderà la stella michelin.
Nel ristorante lavorano lui e la moglie, che mi ha preparato tutte le traduzioni di ciò che avrei mangiato: è stato l’antipasto che mi ha fatto capire il forte senso di ospitalità che c’è da queste parti.
La mia cena è durata circa trenta assaggi, difficili da spiegare: sarebbe come spiegare un colore.
Dalle interiora innalzate al loro massimo splendore, a pesce da noi inesistente l’esperienza è garantita.

Le munizioni di Sakamoto Yoshihiko presso “Sushi Ibuki”

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Orata con il suo fegato

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Sake di accompagnamento

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Carrellata finale….

Verdure e manzo bolliti con Asahi ghiacciata presso un izakaya di Osaka

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Fegato di pescatrice e daikon

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e poi alcune istantanee …

Un pasto notturno a 5 euro

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L’ingresso di un ristorante che prepara unagi

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Ristorante di yakitori a pieno regime

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Note
Location: In Giappone si potranno trovare alcuni tra i migliori ristoranti in luoghi dove noi non penseremmo di aprire neanche uno sgabuzzino.
Istantaneità: il katsuobushi viene tagliato al momento ogni volta che serve, così come il wasabi ripetutamente “grattugiato” durante il corso della serata.
Temperature: mai come nel sushi sono fondamentali per percepire, se si ha la fortuna di poterlo fare, le innumerevoli sfumature di questo percorso e in questo ristorante il riso è stato gettato almeno sei volte per garantire la giusta temperatura.
Noia: rifletti su di essa perchè non c’è, ogni singolo passaggio puoi vederlo, ma soprattutto non rifarlo.

Continua…?

(Riso al latte di capra con semi di sedano, polvere di caffè e crema di vongole: un piatto di Piergiorgio Parini – Osteria del Povero Diavolo – Torriana)

Dodicesimo appuntamento con il Friday Five! Continuate a mandarci le vostre segnalazioni: brevi, incisive, precise, nel puro stile Friday Five!
Scrivete all’indirizzo fridayfive@passionegourmet.it, vi invieremo le specifiche per la compilazione e il vostro pezzo sarà pubblicato nel Friday Five!

Osteria del Povero Diavolo

Attraversando acqua fermentata, cicoria, noci, semi, camomilla, radicchio, pompelmo – “Gelosia”: polemizziamo? – e cardamomo, patate, bergamotto – prolessi: Pan Pepato! – e ginepro, rosa canina, mandorle e nocciole (sì, nocciole), si vien quasi a rintracciare l'”etere” logico di uno spazio gastronomico in cui baccalà, rombo, piccione e beccaccia – ma anche il topinambur – si decentrano quanto più sembrerebbero occupare il “campo di battaglia”, a riprova della natura intrinsecamente non essenzialistica e non identitaria della grande cucina d’autore: è il gourmand che vuole “il(lo)” prodotto e goderselo, laddove il gourmet è goloso di relazioni, declinazioni, centri decentrati e allegre capriole dell’intelligenza. Quella di Parini è una cucina che sa parlare al gourmet, che certamente potrebbe essere più spinta e “astratta”, ma che è espressione di un talento unico – nella composizione e nell’esecuzione – che “gira” a una velocità che ha pochissimi eguali in tutto il mondo. Il vero Mozart dei fornelli? Potenzialmente sì. Certo, se prendesse qualche rischio in più, se in qualche curva spingesse un po’ più l’acceleratore osando qualche chilometro all’ora in più (senza aver paura delle derapate), probabilmente salirebbe alla ribalta mondiale e non esisterebbero più problemi di conti o di confronto con una sorda realtà provinciale d’ignoranza e d’indifferenza. Per dirla più concretamente: secondo noi, un Parini con un pizzico di follia in più potrebbe occupare una delle primissime posizioni della classifica dell’acqua minerale, ma solo il coraggio di rischiare la “morte” (Hegel docet) può condurlo a tale traguardo. Per il momento, ci limitiamo a fruire di una cucina sartoriale, quasi su misura, e forse delle più raffinate cadenze armonico-olfattive che si possano incontrare in giro per il mondo. Parini trova la sua poesia non in una spiritualità “severa” à la Lopriore, né tantomeno in un’ironia surreale à la Adrià, ma nelle piccole cose, nelle piccole meraviglie che solo uno spirito candido e sereno sa scovare. Certo, quel petto di piccione “in bianco” era proprio buono…
(Giovanni Lagnese e Valentina Nappi)

Via Roma 30, Torriana (RN)
Tel: +39.0541.675060
www.ristorantepoverodiavolo.com

FrankRizzuti – Cucina del Sud

Non Frank Rizzuti ma Frankrizzuti, un neologismo da leggersi tutto d’un fiato e che, da pochi giorni, è sinonimo di prima stella Michelin della Basilicata.
Dopo vent’anni di duro lavoro, in una zona che fino al suo arrivo non pareva particolarmente vocata all’alta gastronomia, il quarantacinquenne Francesco sta finalmente raccogliendo i frutti di tanti sacrifici.
A metà anni Novanta con L’Osteria Marconi diede il primo scossone alla cucina lucana rinnovando, senza stravolgere, i piatti della tradizione locale. Con l’arrivo del nuovo millenio, varcato il confine con la Calabria, si accasò alla corte dell’Azienda Agricola Ceraudo per gestire il ristorante Dattilo (sulla sua scia lascerà una Stella Michelin). Dal 2012 il figliol prodigo è rientrato nella natia Potenza con la volontà di ridare il meritato lustro all’arte culinaria locale.
La Cucina del Sud è la premessa ma i luoghi comuni e le banalità sono banditi, Frank ha smesso di specchiarsi nel passato e di rimpiangerlo già da tempo ed oggi fa sfoggio di una proposta gastronomica tra le più moderne e suggestive del Sud Italia.
I riferimenti sono da trovarsi in maestri come Ferran Adrià, Gennaro Esposito ed Alfonso Iaccarino.
Le materie prime del territorio, dalle carni alle verdure passando per una buona materia ittica e sorprendenti vini lucani, trovano rinnovata nobilitazione in questo locale moderno e di prospettiva.
Doppio thumbs up e semaforo più che verde.
(Kid & Fancy)

www.rockersgotorestaurant.com

Largo Pasquale Uva / Via Potito Petrone, 42 85100 Potenza
Tel: +39.0971.45506
www.frankrizzuti.com

Giuda Ballerino

In zona Cinecittà, fuori dai tradizionali circuiti turistici della Capitale, Andrea Fusco propone il suo locale multitasking: wine bar, osteria e ristorante in una manciata di metri quadrati. L’ambiente è colorato ed informale, il personale preparato e cortese ma il dover in cucina seguire con un occhio la saletta gourmet e con l’altro quella dell’osteria si traduce in tempi d’attesa un po’ lunghi. A tavola optando per “I Classici” vengono proposti i 5 piatti più rappresentativi del locale. Il filo conduttore è una nota dolce, fin troppo a essere sinceri, che accompagna la degustazione dall’antipasto al dessert. La sensazione alla fine è che ai piatti manchi sempre qualcosa: un po’ di sapidità ad uno, un po’ di acidità all’altro, un po’ di speziatura all’altro ancora. Sopra la media gli spiedini di gamberone in pasta fillo con spuma di mortadella ed i ravioli di burrata, scampi e zucchine. Nel baccalà in oliocottura, invece, la polvere di olive nere non ce la fa a bilanciare l’abbondante crema di cavolfiore e vaniglia per un risultato complessivo che lo fa assomigliare più ad un pre-dessert che ad un secondo. Le materie prime ci sono, la tecnica non manca, da mettere a fuoco la scelta ed il dosaggio di alcuni ingredienti per raggiungere una maggior piacevolezza gustativa.
(Giuseppe Malvetani)

Largo Appio Claudio, 346 – 00174 Roma
Tel. +39.06.71584807
www.giudaballerino.com

Ristorante Patelli

Trento è piena di osterie dal menù sempre uguale: si distingue questo famoso locale del centro storico, che ci ha attratto per la fila chilometrica all’ingresso, costituita per lo più da abitanti del luogo. Se siete in cerca di un locale semplice e genuino, di un’alternativa alla cucina di casa, il Patelli non delude: piatti sinceri, nulla di trascendentale per carità, ma comunque buoni. Impressiona il servizio di una celerità incredibile, la cortesia e soprattutto i prezzi nettamente al di sotto della media, senza sacrificare la qualità. Una buona fettuccina ai finferli e un filetto di puledro alla griglia cotto correttamente consentono un piacevole pranzo domenicale. Ecco la dimostrazione che con professionalità e impegno è possibile avere successo anche in tempi di crisi. Complimenti.
(Bruno Petronilli)

Via Dietro le Mura A 1/5 38100 Trento
Tel.: +39.0461.235236
http://www.ristorantepatelli.it/

Ristorante Manna

Mente sottile e mano tecnicamente capace quelle di Matteo Fronduti, cuoco il cui physique du rôle è fuori discussione. Il suo Manna, defilato da ogni tendenza modaiola milanese, è un ristorante che unisce la sana concretezza di uno stile di cucina moderno e semplice ma mai banale ai divertenti giochi di parole che danno il nome ai singoli piatti in menu. Allora ecco la freschezza di “ma è un aspic?” a base di gamberi rossi serviti con verdure e coriandolo nel loro brodo rappreso. Bello l’impatto di “incendio nel porcile” dove la pancia di maiale affumicato bilancia la sua grassezza con un’incisiva crema di rafano e qualche foglia di cicoria. Da non perdere “Aldo Fabbbbbrizi”: bucatini cacio e pepe con il ghiotto tocco del fegato d’abbacchio. Spazio anche per i non carnivori con “Veggie”, il burger di zucca con nocciola e senape. Si termina in dolcezza con “Ficata”, una fragrante tartelletta di mandorle con fichi e gelato alla cannella. Si spendono in media 45 euro, divertendosi.
(Marco Colognese)

Piazzale Governo Provvisorio 6 Milano
Tel: +39.02.2680915
www.mannamilano.it


(Osteria del Povero Diavolo – Torriana)