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‘O Fiore Mio – Pizze di strada

Matteo Tambini e Davide Fiorentini sembrano avere la bacchetta magica: altra apertura, altro grande indirizzo da segnare in agenda.
I due creatori del brand “’O Fiore mio”, dopo l’apertura a Milano Marittima di un locale gemello della casa madre faentina, hanno scelto Bologna per la loro nuova impresa.
Un format diverso però dai due predecessori: questa volta la protagonista è la pizza in teglia (detta anche “alla romana”), quindi il locale è ovviamente molto diverso dai due romagnoli (da cui il nome, “Pizze di strada”).
La pizza si compra a peso e si può portare via o anche mangiare in loco, dato che sono a disposizione dei comodi tavolini e un piccolo dehors nella bella stagione. Apparecchiatura self service, si sceglie una delle buone birre presenti nei frigo e si aspettano i tranci scelti scaldati al momento.
Evidente l’ispirazione al Maestro assoluto della pizza in teglia, quel Gabriele Bonci che a Roma ha riportato in auge questa tipologia di pizza.
Qui all’impasto vengono dedicate dalle 24 alle 48 ore e la farina è una tipo 2 del Molino Mariani, già utilizzata per uno dei tre impasti disponibili a Faenza.
La qualità dell’impasto è assoluta, così come gli ingredienti posti a farcitura, senza lesinare sulle quantità. Il risultato è una pizza ottima, croccante fuori e morbida e ricca di alveoli dentro.
Si potrebbe curare di più l’interno del locale, che risulta un po’ confusionario, e proporre con maggiore convinzione alcune degustazioni di pizza, ma sono piccoli dettagli sfocati in un quadro che regala grandi soddisfazioni.
Certo, la vendita a peso, al posto del trancio pre-formato a prezzo fisso, può creare qualche sorpresa al momento del conto (non si sa mai esattamente quanto si stia spendendo), ma per noi è una scelta corretta, perché consente di assaggiare più pizze facendo tagli di piccole dimensioni.
Una idea potrebbe essere quella di proporre delle degustazioni a prezzo fisso: in questo modo il cliente più curioso avrebbe modo di provare diverse tipologie e verrebbe azzerata “l’ansia” da conto finale.
Da poco è anche disponibile per i clienti bolognesi la consegna a domicilio, una comodità di non poco conto.
A due passi da Piazza Maggiore, difficile pensare a una sosta più gustosa.

Il banco.
'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna
pizza, 'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna
Pizze, 'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna
Pizze, 'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna
pizze, 'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna
La nostra scelta:
Caponata siciliana, ricotta affumicata e Origano di Pantelleria: eccezionale, il nostro miglior assaggio.
Margherita.
Mortadella e crema di ceci.
Bresaola, rucola e grana: in seconda posizione, ma staccata di poco.
Prosciutto crudo e bufala: troppo salato il prosciutto dopo il passaggio in forno.
pizza, 'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna
pizza, 'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna
pizza, 'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna
Una vecchia conoscenza, sempre un grande piacere, ideale nel caldo estivo.
birra, 'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna
birre, 'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna
'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna
'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna
'O Fiore Mio - Pizze di strada, Bologna

Fino a qualche anno fa parlare di pizza era molto più semplice.
C’era quella di Napoli, dai più considerata la più buona e comunque quella originaria. Cornicione soffice, elastica al punto da non spaccarsi una volta piegata a portafoglio, di norma alquanto indigeribile. Ma tutto sommato generalmente buona.
Poi c’era la versione sottile e croccante fatta propria dai romani, generalmente di livello tutt’altro che eccelso soprattutto (ma non solo) per la scarsa qualità degli ingredienti utilizzati nella maggioranza dei casi.
A completare il quadro la pizza nella teglia grande, rotonda, alta, tipica della tradizione toscana (genere Spontini, i milanesi conosceranno) e quella al trancio cotta nel forno elettrico, assai diffusa nella Capitale e soprattutto sempre assai unta, troppo.

Poi, nel giro di qualche anno, anche nel mondo della pizza (come nel food in genere) è cambiato tutto.
Si è iniziato a parlare di lunghe lievitazioni, di ingredienti di alta qualità, di farine, di impasti, insomma di tutto ciò che è necessario per trasformare uno dei piatti poveri per eccellenza in una esperienza in grado di soddisfare anche i palati più esigenti.
Tre i principali artefici di questa vera e propria rivoluzione, i tre Cavalieri dell’Apocalisse della pizza.
Enzo Coccia (pizzeria La Notizia) che ha reso finalmente digeribile la pizza di Napoli, portandola a vette prima mai raggiunte. Grazie a lui, oggi, il livello medio della pizza napoletana si è incredibilmente elevato. Chapeau!
Gabriele Bonci, virtuoso degli impasti che ha sdoganato la pizzetta a taglio romana, facendo della sua piccola bottega uno dei luoghi di culto per i gourmet di ogni dove. Pizza a taglio (e lievitati in genere) di strabiliante bontà.
E, last but not least, il signore de I Tigli, Simone Padoan. L’uomo che in un certo senso ha inventato la pizza gourmet, un modo nuovo di intendere la pizza.
Pizza intesa come base, a volte come contenitore, su cui o dentro cui cucinare o comunque assemblare materie prime di eccelsa qualità.
La base è un grande impasto, che ha pochi eguali. Pizza sofficissima, leggerissima, digeribilissima. Lievito madre e un buon apporto di farina integrale negli impasti.
Grandi le materie prime utilizzate per le farciture, e grande gusto negli abbinamenti.
Ce n’è per tutti. Da quelle più tradizionali, tra cui abbiamo provato un eccellente pomodoro San Marzano e fior di latte, a quelle più spinte come l’eccellente Gambero rosso, fior di latte, rucola, mango e noci di Macadamia. E’ davvero difficile sbagliare.
Una buona selezione di birre artigianali e una discreta carta dei vini, con una bella scelta di bollicine, completano un quadro davvero da non perdere.
L’eccellenza della pizza passa anche da qui.

Pomodoro San Marzano e nodini di fior di latte di Alberobello. Perchè bisogna partire dalle cose semplici, essenziali per il giudizio. Cottura da manuale. Impeccabile.
pizza, pomodoro san marzano, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
pizza, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
Sashimi di Gambero Rosso, fior di latte, rucola, mango e noci di Macadamia. Gambero splendido, pizza che gioca su toni dolci senza esagerare.
Pizza Sashimi di gambero, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
Pizza sashimi di gambero, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
Burrata e Crudo San Daniele. Di una golosità senza limiti.
Pizza burrata e crudo, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
crudo e burrata, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
L’hamburger che non c’è: melanzane, pomodoro al forno, fagiolini, , cipolla agrodolce e senape.
hamburger, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
hamburger, I Tigli, Simone Padoan, San BonifacioIdea di Rocher.
Rocher, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Cioccolando, viaggio nel mondo del Cacao Domori
cioccolando, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio, Verona

Voglia di una buona pizza a Londra?
…e perché ridete? Possibilissimo, invece.

Non è questione di campanilismo, né il voler fare “gli italiani a tutti i costi”, con quella compulsiva e un po’ ingenua ricerca di “un piatto di pasta” all’estero… questo perché la pizza in questione è quella di Franco Manca, una serie di insegne di pizzerie londinesi di qualità, con “…di qualità” da leggere non con accento british ma in chiave nostrana, ovvero un luogo in grado di conciare per le feste il 95% delle pizzerie poste sul suolo italico.
Quindi non un nostalgico surrogato o una libera interpretazione, ma una pizza napoletana fatta come si deve, capace di fare bella figura anche se confrontata non solo con la “pizza” in generale, ma anche con le nostre migliori espressioni.
Tredici locali sparsi per la città, a partire dal locale storico del popolare Brixton Market, ed una carta grossomodo simile per tutti quanti, composta da 6/7 proposte fisse più un paio di pizze settimanali a rotazione sulla lavagna.
Noi abbiamo visitato la sede di Tottenham Court Road, ma il format è pressappoco il medesimo per tutte quante: ingredienti di buona qualità media, un occhio alla stagione, lunghe lievitazioni, forno a legna, giusto manico in cottura.
Tavoli piccoli ed essenziali, una spartana tovaglietta, secchiello delle posate in centro ed acqua microfiltrata gratuita. Nessuna bibita disponibile, ma succhi di frutta autoprodotti, qualche birra, qualche vino.
Preparazione e servizio rapidissimi, i pizzaioli (italiani, così come le cameriere) sono numerosi e anche a locale pieno, non passa più di un quarto d’ora dall’ordinazione alla pizza.
Cornicione ben lievitato, ottima cottura. Nessun affaticamento, appesantimento, e digestione senza preoccupazioni.
Marinara a 4.50£, la pizza più cara a 6.95£, caffè (di Gianni Frasi!) a 1,50£. Difficile spendere più di 10£ a testa, in centro a Londra.

No, non è provincialismo cercare una pizza all’estero, ma lo è indubbiamente credere ottusamente di essere sempre i migliori, a tutti i costi.
Senza dubbio le espressioni più alte in fatto di pizza sono sul nostro territorio, questo è fuori discussione. Deve però certamente far riflettere, non solo a livello meramente qualitativo ma soprattutto a livello imprenditoriale, il successo di un’idea “cut&paste” capace di replicare il format svariate volte, e in grado di mantenere ogni volta prezzi bassi e alta qualità, tutto questo all’estero, quando in Italia le collaborazioni con pizzaioli di grido riescono a mantenere i livelli di qualità giusto il tempo di una (lunga) lievitazione…

…perché non ridete più, ora?

Franco Manca Pizzeria, Fitzrovia, London
“Tomato, mozzarella, basil”: ovvero, la Margherita.
pizza, Franco Manca Pizzeria, Fitzrovia, London
Prosciutto cotto artigianale di Gloucester, mozzarella, ricotta di bufala, funghi (poco pomodoro).
Pizza, prosciutto, Franco Manca Pizzeria, Fitzrovia, London
Lo spartano tavolino.
tavolino, Franco Manca Pizzeria, Fitzrovia, London
Un eccellente espresso, della torrefazione Giamaica caffè.
caffè, Franco Manca Pizzeria, Fitzrovia, London

Per gli appassionati milanesi della pizza il 2014 si era aperto con l’annuncio delle imminenti aperture sulla piazza meneghina tanto di Franco Pepe quanto di Gino Sorbillo: un uno-due il cui solo pensiero aveva scatenato negli adepti della sacra triade lievito/pomodoro/mozzarella un sontuoso tripudio papillare.
Per chi si aspettava, legittimamente, che la Pizza a Milano non sarebbe più stata da subito la stessa, le cose non sono in seguito andate proprio secondo le aspettative, con il progetto del Maestro di Caiazzo arenatosi in questioni di distanza e costanza e quello del paladino di via dei Tribunali in forte ritardo sui rumours, che lo volevano aperto già nei primissimi mesi dell’anno.
L’attesa creatasi nel corso dei mesi è però infine terminata, e a metà ottobre Lievito Madre al Duomo ha aperto ufficialmente i battenti in Largo Corsia dei Servi, alle spalle di Piazza San Babila.
Il progetto promette un livello di qualità assoluto, con materie prime provenienti dai migliori distretti dello Stivale, un impasto realizzato manualmente da un Maestro come Gennaro Salvo e una produzione limitata a 400 esemplari quotidiani, 200 per ogni servizio, che garantisce l’artigianalità del prodotto e al tempo stesso strizza l’occhio alla clientela meneghina, sempre attenta all’”esclusività” di un bene.
E le promesse, dobbiamo dire, sono decisamente mantenute nel piatto, perché il livello della pizza è davvero ottimo: leggera, saporita, pregevole (ma per il momento con qualche saltuaria defaillance) nella cottura. Caratteristiche inattese sono l’olio, qui più ingrediente che condimento (ma non è certo un difetto quando, come in questo caso, è di ottima qualità) e il gusto dell’impasto, dato sorprendente quando si ha a che fare con pizze di scuola napoletana.
Ed è questo il dato più rilevante: quella di lievito madre è la pizza di un pizzaiolo napoletano ma non è una napoletana in senso stretto, e forse neppure leggermente più largo. Per chi abbia infatti provato a Napoli le pizze dell’universo Sorbillo, il riferimento sarà allora non tanto quella di Via dei Tribunali, perlomeno nei procedimenti estremamente ortodossa, quanto quella “rivoluzionaria” che Gino Sorbillo propone in Via Partenope: lievito naturale, quindi (le insegne d’altronde non lasciano adito a dubbi), farine biologiche ed integrali e disco di dimensioni notevoli ma meno strabordanti che nella sede storica.
La carta dovrebbe in teoria contare sette alternative di pizza, come per gli antipasti, i dolci e i vini. La tovaglia monouso che funge da menu in realtà recita quattro referenze in più e pare che a richiesta sia possibile provare la marinara (dettaglio che, ahinoi!, scopriremo solo alla cassa), per cui anche per i più difficili non sarà impossibile scegliere qualcosa di proprio gusto.
Al resto penseranno i tanti camerieri, ben coordinati in un servizio efficiente fin dalla “chiama” dei clienti in attesa fuori dal locale. La scelta della proprietà è stata, infatti, quella di mantenere il sistema, adottato già a Napoli, di non accettare prenotazioni, per cui una volta giunti si entra, si lascia il proprio nome e si spera che le pizze non finiscano prima del proprio turno. Nel nostro caso, arrivando intorno alle 13.30 di un giorno infrasettimanale, l’attesa è stata relativamente breve (circa un quarto d’ora) e resa ancor meno pesante dalla velocità con cui le pizze sono giunte in tavola una volta accomodatici all’interno. Un’importante informazione di servizio per il lettore è invece che, malgrado l’orario del locale preveda l’apertura fino alle 15, i clienti arrivati una mezz’ora prima della chiusura sono stati (molto gentilmente) rifiutati perché il limite dei 200 pezzi era stato raggiunto.

Pizza Calabrese, con Fiordilatte misto bufala, basilico e ‘Nduja di Spilinga.
Pizza Calabrese, Lievito Madre al Duomo, Gino Sorbillo, Milano
Cetara, con pomodorino fresco del Piennolo, olive nere e origano del Matese, capperi Lacrimelle, provola affumicata misto bufala e, ovviamente, alici.

Cetera, Lievito Madre al Duomo, Gino Sorbillo, Milano

Margherita “Libera” con S. Marzano, mozzarella proveniente dall’associazione “Terre Libere dalla Mafie di Don Peppe Diana”, Parmigiano Reggiano, olio bio e basilico.

Margherita, Lievito Madre al Duomo, Gino Sorbillo, Milano

Il babà, al solito di notevoli dimensioni, di Capparelli, storica insegna di Via dei Tribunali.

babà, Lievito Madre al Duomo, Gino Sorbillo, Milano

La pastiera di Scaturchio.

Scaturchio, Lievito Madre al Duomo, Gino Sorbillo, Milano

Lievito Madre al Duomo, Gino Sorbillo, Milano

Lievito Madre al Duomo, Gino Sorbillo, Milano

Amore per i lievitati.
Passione sfrenata per gli impasti, per la pasta madre viva, per nuove cotture e sperimentazioni.
Abbattendo i muri del classicismo e studiando frontiere diverse per quel miscuglio di farina, acqua e lievito.
Ecco Saporè, ecco Renato Bosco.
Se parliamo di pizza classica, i grandi artigiani napoletani e campani hanno in mano il mondo.
Ma se parliamo di lievitati, allora c’è un altro giro di carte da dare e ogni interprete, da nord a sud, ha la possibilità di fornire il suo punto di vista.
Lievitati a 360°: da Saporè si mangia la pizza secondo Renato Bosco, ma anche il pane o il panettone viaggiano ai massimi livelli. Non è un caso che Bosco faccia parte del Club Richemont, l’associazione che riunisce parte dei migliori panificatori d’Italia.
Un solo credo. Anzi, due.
Uno: la pasta madre viva; è come un figlio, da curare e accudire. Per Pasta Madre Viva si intende un impasto di acqua e farina di cereali, che spontaneamente fermenta. Il terzo e fondamentale elemento che svolge un ruolo insostituibile è la Natura, grazie ai lieviti indigeni presenti nell’aria che contribuiscono ai processi di fermentazione dell’impasto.
La Pasta madre viene regolarmente rinfrescata, ovvero nutrita con nuova farina, favorendo lo sviluppo di batteri lattici e saccaromiceti, che rendono la pasta madre viva e attiva.
Due: non c’è limite alla fantasia. Consistenze, sapori, cotture: ogni cosa può essere rivista, ogni cosa ha un lato diverso ancora da esplorare.
Solo da queste premesse può nascere un prodotto come “Mozzarella di pane”.
Al primo morso sembra tutto sbagliato. Ma solo perché si parte da un concetto di fondo errato. Cosa sto per assaggiare? Una pizza? Un pezzo di pane? Con questa forma mentis è evidente che questa “cosa” un po’ bagnata, dalla consistenza elastica, non può che essere bocciata.
Elastica? Bagnata? Dal forte sapore di latte? Già….questo è un lievitato travestito da mozzarella.
Procedimento: prima avviene la lievitazione dell’impasto, poi si immerge la pasta nell’acqua di governo della mozzarella in modo che si imbibisca di liquido. Quindi si cuoce a vapore. Viene infine scaldata al microonde in modo che il calore si trasmetta dall’interno verso l’esterno.
E’ diversa, è interessante, è stimolante. E’ nuova.
Questo fa Renato Bosco: qualcosa di nuovo. O almeno ci prova. E quando ha trovato qualcosa di interessante, lo insegna ai suoi colleghi collegati al virtuoso circuito pizzaUP – Università della Pizza (circuito legato a un famoso marchio di farine).
Un circuito di qualità che genera qualità, da Nord a Sud.
Perché siamo tutti stanchi di lievitati non degni di essere chiamati tali.
C’è sempre più consapevolezza nelle persone su questo argomento e ad accrescerla contribuiscono giorno dopo giorno anche persone come Renato Bosco, un perfetto fornaio 2.0

Aria di pane: pizza dall’intenso sentore di pane.
Con burrata pugliese e crudo di Parma S.Ilario 30 mesi.
Pizza burrata pugliese e crudo di parma, Sapore, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Mozzarella di pane: con pomodoro pugliese, burrata e basilico.
Mozzarella di pane, Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Crunch: La pizza cotta in teglia e servita a trancio, impasto di alta idratazione.
Con pomodoro, bufala e basilico.
Crunch, Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
la pizza cotta in teglia, Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Pizza Classica nell’interpretazione di Renato Bosco.
La mortadella, misticanza e pistacchi: fiordilatte, straccon veronese,Mortadella medaglia d’oro Levoni, misticanza e pistacchio siciliano.
pizza classica, mortadella, misticanza, Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Dessert: diplomatico con uvetta.
Dessert Diplomatico,  Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Per l’accompagnamento, una limitata ma valida selezione di birre.
ISAAC – Blanche Baladin.
Nora, Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Il Pane targato Saporè.
Pane, Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
pane, Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Pane, Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona
Saporè, Renato Bosco, San Martino Buon Albergo, Verona