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I Tigli

Il riferimento assoluto per la pizza gourmet in Italia: Simone Padoan, I Tigli a San Bonifacio

Tutto quello che è avvenuto intorno al mondo della “pizzeria italiana” negli ultimi 15 anni è qualcosa di stupefacente.
Una crescita esplosiva: di qualità, di attenzione mediatica e, conseguentemente, di successo di pubblico. Forse uno dei settori in cui è stato più tangibile l’effetto positivo della critica gastronomica.
Impossibile non ricordare le prime “feste della pizza” di Stefano Bonilli e Maurizio Cortese e la conseguente attenzione mediatica creatasi sul mondo della pizza napoletana: un circuito virtuoso di confronto tra stampa e pizzaioli dei quali meravigliosi frutti oggi possiamo godere.
O, a seguire, gli spazi sempre più ampi dedicati da Paolo Marchi nel suo “Identità Golose” al mondo della pizza nel suo complesso, senza distinzione di tipologia o bandiere.
La pizza piace, fa discutere, appassiona nel suo bonario “scontro” tra tradizionalisti e innovatori e raggiunge, come nel suo DNA, una grande fetta della popolazione, magari anche quella allergica all’alta cucina.

Noi di Passione Gourmet abbiamo sempre seguito questo fenomeno con attenzione, segnalandovi da nord a sud, i locali in cui, a nostro parere, si produceva “eccellenza”. Senza percorrere inutili paragoni tra la “napoletana” e “il resto del mondo”, ma raccontandovi i luoghi in cui si stava facendo qualcosa di importante.
Tra questi luoghi, non è mai mancato il racconto dei Tigli e del suo Deus ex machina Simone Padoan.
La pizza gourmet, con tutto quello che può raccontare questo termine, è nata qui, nella provincia veronese.

E se oggi tutto questo può sembrare normalità, dobbiamo pensare a quale vision imprenditoriale abbia avuto Padoan nel 1999, proponendo il suo nuovo concetto di pizza.
Lo ripetiamo nuovamente se mai dovesse servire: siamo lontani anni luce da Napoli, da quella pizza sottile e che si scioglie in bocca in un tutt’uno tra pasta e condimento, in un godimento unico e indescrivibile. E ne siamo convinti: non puoi dire di avere vissuto a pieno se non hai mai assaggiato una vera pizza napoletana.
Qui parliamo di altro: la base assume un ruolo da protagonista, si sente in bocca e sotto i denti e si distingue nettamente dagli ingredienti posti sopra. Deve avere una buona consistenza perché deve poter sostenere un topping che va guardato dal cliente, non coperto dalla chiusura “a libretto”: proprio come nel piatto di alta cucina, il lato estetico assume un ruolo sostanziale e non secondario. E quindi via di gamberi, piccioni, foie gras e chi più ne ha più ne metta. La pizza diventa un libro su cui scrivere racconti e il confine tra pizzaiolo e cuoco diventa sempre più sottile.

Questo è quello che fa giornalmente Simone Padoan: un viaggio unico nell’eccellenza degli ingredienti (principalmente) italiani. Questo è I Tigli.
Un locale confortevole, in cui è possibile prenotare e in cui venire serviti con attenzione pari a quella di un ottimo ristorante.
Una carta dei vini e delle birre ampia, ben studiata e aperta alle diverse voglie di spesa: dallo champagne alla birra, dai 4 euro della pils alla spina fino ai 150 del Rosè di Prèvost.
Ingredienti solo di primissima qualità.

Ci ripetiamo: 15 anni fa tutto questo sembrava utopia. Qui a San Bonifacio si lavora instancabilmente giorno per giorno per migliorare quello che sembrerebbe già perfetto: così si spiega il nuovo lavoro su panificazione e pasticceria o il servizio de “I Tigli a casa”. O ancora il lento processo di miglioramento degli impasti, oggi ancora più evoluti e più mirati in relazione al tipo di ingrediente posto sopra. Padoan utilizza 4 tipologie diverse di forno: elettrico tradizionale, a legna, a vapore, con piano rotante.
Così escono meraviglie come la focaccia al mais con il baccalà, in cui la croccantezza dell’impasto è parte fondamentale del risultato gustativo. O ancora l’effetto gustativo del parmigiano in cottura in abbinamento al carciofo a al culatello di Spigaroli.
Piccole perle, una diversa dall’altra.

Non è pizza? Ma è davvero importante il nome?
Chiamatela come volete, ma venite a godere a San Bonifacio.

A Milano è in corso, fra le storiche insegne partenopee e ormai da quasi un lustro, un’autentica corsa all’oro per l’apertura della sede meneghina. Tra imprese malriuscite e promesse mantenute, con una lieve predominanza degli indirizzi inferiori alle attese, negli ultimi anni il capoluogo lombardo si è quindi ritrovato con un livello medio notevolmente cresciuto, anche solo rispetto all’inizio degli anni Dieci. Accanto ai volti noti della pizza napoletana, però, la scena milanese si è arricchita anche e soprattutto grazie a insegne inedite e volti nuovi: un manipolo di giovani leoni della maturazione dell’impasto che ha lavorato per sciogliere la dicotomia pizza napoletana/pizza gourmet giocando su impasti più complessi, aromatici e leggeri.

Marghe, Lievità e Dry sono gli indirizzi che hanno beneficiato maggiormente dell’hype, abbinando un’eccellente qualità della pizza ad ambienti perfettamente tarati sul target milanese. I protagonisti di questa nouvelle vague, però, sono stati e sono in numero ben maggiore ma non è un caso che, fra i molti nomi in circolazione, i più attenti fra gli osservatori abbiano costantemente tenuto quello del cavese Daniele Ferrara nel novero dei talenti in attesa dell’esplosione decisiva.

Trasferitosi a Milano nel 2014, Ferrara ha sperimentato e trovato una prima notorietà lontano dalle luci del centro, presso la Taverna di Via Ripamonti, pub-pizzeria ai margini Sud della città. Ormai abituato alla distanza dal centro, Daniele ha scelto per la sua nuova e più ambiziosa avventura Lissone, città di appeal non memorabile che però, per qualche coincidenza, ospita altre tre pizzerie di discreto valore e ottimo successo, una delle quali si fregia anche del marchio AVPN. A pochi passi dall’area pedonale che, in assenza di un’estetica ragionevole, delimita il centro cittadino, Ferrara è ora protagonista di quest’avventura avviata insieme a Giulia e Daniele Pozzi, rampolli di una locale dinastia di panificatori.
P è un locale piacevolmente confusionario, social addicted, tatuato quanto basta di questi tempi e interamente incentrato sulla pizza. Qualche divagazione è concessa per un pugno di fritture e, se necessario, i dolci di rito. Poche birre e qualche (non azzeccatissima) scelta enologica completano l’offerta ma il messaggio è chiaro: qui la protagonista è la pizza.

E protagonista, la pizza, lo è davvero. La tipologia di impasto non è scelta dal cliente ma, nelle nostre numerose visite (in meno di un mese dall’apertura, con quindi ancora un rodaggio in corso) abbiamo assistito a una frequente rotazione delle tecniche con biga, poolish, impasto diretto e differenti mix di farine, riscontrando diversi ma sempre ampi spettri aromatici nelle basi e, con uguale costanza, una leggerezza e una digeribilità con pochi pari.
Ferrara, stilisticamente, dà grande risalto al cornicione e la sua pizza si può, tranquillamente e senza offendere la sensibilità di nessuno, definire a canotto in stile casertano; ma il fattore di crescita maggiore rispetto all’esperienza milanese risiede non tanto nella capacità di realizzare impasti fenomenali, perché tali erano già alla Taverna, ma nell’utilizzo di soli prodotti di altissima qualità, i quali rendono la pizza di P davvero imperdibile per gli appassionati.

Montanare e crocchè, eseguiti a regola d’arte.
Pizzeria P: montanare
Pizzeria P: crocchè
Dieci sono le pizze presenti in carta mentre, dalla lavagna, strizzano l’occhio due ulteriori proposte di farcitura, una a rotazione settimanale e una cambiata mensilmente. Ed è con la prima pizza mensile, la valtellinese a guisa di pizzoccheri, che la pizzeria ha voluto ricordare Matteo Mevio, giovanissimo pizzaiolo di Marghe, deceduto a fine 2016 in seguito a un incidente stradale.
Pizzeria P: pizza valtellinese, dedicata a Matteo Mevio
Pomodoro San Marzano, parmigiano di montagna, Fior d’Agerola, olio e basilico.
Pizzeria P: pizza pomodoro San Marzano, parmigiano di montagna, Fior d’Agerola, olio e basilico
Pomodoro lampadina, parmigiano di montagna, mozzarella di bufala a crudo.
Pizzeria P: pizza pomodoro lampadina, parmigiano di montagna, mozzarella di bufala a crudo
Pomodoro lampadina, aglio di nubia e origano di montagna.
Pizzeria P: pizza pomodoro lampadina, aglio di nubia e origano di montagna
Dettagli.
Pizzeria P: dettaglio pizza
Pizzeria P: dettaglio pizza
Pizzeria P: la sala
Pizzeria P: il tavolo della pizzeria

Quello di Stefano Callegari è uno dei più importanti nomi per il mondo della pizza a Roma. E’ quello di chi ha cambiato faccia alla pizza al piatto capitolina.
E’ con lui che anche a Roma si inizia a porre in primo piano l’importanza di una lievitazione lenta, della scelta di ingredienti di qualità, a cominciare dalle farine. Con lui si inizia anche ad immaginare qualche accostamento non proprio usuale: come non pensare alla lussuriosa Greenwich, pizza che è ormai un classico, condita con mozzarella, blue Stilton e riduzione di Porto.
A Stefano Callegari si deve poi anche la creazione di quel fenomeno dello street food romano che si chiama Trapizzino, una sorta di tasca a forma di triangolo fatta con la pasta della tradizionale pizza bianca romana e riempita in mille modi diversi, ma soprattutto con i grandi classici della cucina romana.

Dal 2005 -anno di apertura di Sforno- ad oggi, Callegari ne ha fatta di strada: è arrivato fino a New York a far conoscere il suo Trapizzino, ma ha anche aperto altri locali nella Capitale. L’ultimo è Sbanco, insieme a Marco Pucciotti della Trattoria Epiro e Giovanni Campari del Birrificio del Ducato.
Noi siamo tornati dove tutto iniziò, fuori dai circuiti turistici, a Cinecittà, periferia sud di Roma, da Sforno. L’atmosfera è sempre quella, da pizzeria di quartiere, popolare.
Il locale è spartano, il servizio essenziale, fin troppo ci verrebbe da dire. Alla nostra richiesta di ricevere le pizze al tavolo una alla volta e tagliate a spicchi in modalità degustazione, in sala ci sono sembrati straniti e solo dopo un veloce conciliabolo con il pizzaiolo ci hanno risposto che la nostra richiesta poteva essere accolta.

Su una parete una grande lavagna illustra i supplì e le pizze del giorno.
I supplì sono proprio come li ricordavamo: fantastici. Se non sono i migliori in città, poco ci manca. Sono preparati in numerose versioni, da quelle più classiche a quelle più creative.
Noi in questa occasione abbiamo assaggiato quello alla carbonara, il cacio e pepe e quello con radicchio, speck e caprino. Fritti benissimo, leggeri, una vera goduria per il palato.
Poi le pizze, in puro stile Callegari, che ha creato l’ibrido perfetto tra la pizza di scuola napoletana e quella “scrocchiarella” della tradizione romana. Quindi cornicione alto e morbido, ma non troppo.
Cottura a regola d’arte, lievitazione impeccabile ottenuta con pasta madre e lievito di birra, farine macinate a pietra e ingredienti di qualità eccellente, sempre perfettamente bilanciati per un risultato finale di grande livello.
Due i “cavalli di battaglia” di Callegari: la fantastica Greenwich, di cui si diceva prima, e la cacio e pepe, omaggio del pizzaiolo alla cucina laziale. Noi stavolta ci siamo dedicati a qualcosa di più ortodosso come la “Fumo”, con provola affumicata e speck dell’Alto Adige, o la “Lasagna” con pomodoro, mozzarella di bufala, ricotta, prosciutto cotto e basilico. Ma il risultato è quello di sempre: pizze ottime per consistenza, digeribilità e gusto.
Da bere non mancano buone birre artigianali e per finire qualche discreto dessert, per una pizzeria che si conferma senza dubbio tra le migliori della città.

La scioglievolezza del ripieno nel supplì alla carbonara.
supplì, Pizzeria Sforno, Stefano Callegari, Roma
Cacio e pepe.
cacio e pepe, Pizzeria Sforno, Stefano Callegari, Roma
Radicchio, speck e caprino.
radicchio, speck, caprino, Pizzeria Sforno, Stefano Callegari, Roma
Mozzarella, fiori di zucchine e alici: profumo intenso, gusto armonico, sapidità in equilibrio.
fiori di zucca, Pizzeria Sforno, Stefano Callegari, Roma
Provola affumicata e speck dell’Alto Adige.
provola, speck, pizza, Pizzeria Sforno, Stefano Callegari, Roma
pizza, Pizzeria Sforno, Stefano Callegari, Roma
Lasagna: pomodoro, mozzarella di bufala, ricotta, prosciutto cotto e basilico, in cui è possibile apprezzare i preziosi condimenti e gli ingredienti (ricotta davvero eccellente) selezionati con grande cura.
pizza, lasagna, Pizzeria Sforno, Stefano Callegari, Roma
pizza, Pizzeria Sforno, Stefano Callegari, Roma

Enzo Coccia? A Napoli, in via Caravaggio. Ecco, se normalmente con la strada si indica l’indirizzo dei locali che ospitano la pizzeria, per Enzo Coccia -il maestro, come recita il cotone blu sulla giacca- la toponomastica coincide con la persona in carne ed ossa.
E’ qui, infatti, sul lungo tratto di marciapiede prospiciente le sue insegne, che ogni sera lo si trova -cappellino con visiera, penna e blocchetto tra le mani- ad allietare l’attesa, a smistare clienti, a coccolarli con qualche assaggio, a chiamarli a gran voce quando l’attesa è terminata.

Precursore del nuovo corso della pizza napoletana, classica nelle intenzioni ma con grande attenzione all’impasto ed agli ingredienti di farcitura, da qualche mese si misura con le pizze fritte, in passato mai in carta nelle sue sedi. In più, in una carta già affollata di suggerimenti (5 montanare e 18 ripieni) ha affiancato, dopo averle debitamente elaborate con lunghi approfondimenti, ben 22 versioni di ‘mpustarelle (spuntino in napoletano, qualcosa che puntelli l’appetito), la sua versione di merenda tra panuozzo e saltimbocca, nonché una bella selezione di bollicine.
Non contento della base di partenza del suo collaudatissimo impasto, per le pizze fritte ha voluto concentrare l’attenzione sull’hardware e, grazie alla proficua collaborazione con il fuoriclasse dei forni Stefano Ferrara, è nato per l’occasione il prototipo di una friggitrice a controllo della temperatura dell’olio finanche di grande impatto estetico. Raffreddamenti repentini o progressivi e un eventuale avvicinamento al punto di fumo sono tenuti a bada non più da manovre manuali sulla fiamma, ma gestiti da termostati.

Ma la vera sorpresa sono la fragranza e la leggerezza delle ‘mpustarelle, questa sorta di panuozzo gragnanese. Arte bianca pura dunque, e qui Coccia si è voluto affidare alla concertazione, quella di grande livello: Eduardo Ore, suo storico e collaudato compagno di avventure, ed il panificio gragnanese Massimiliano Malafronte. Da tutto ciò è nata la base, una “tasca” di farina integrale tipo 1, cinque cereali, semi di lino e 48 ore di lievitazione con biga. Che arriva in sede precotta all’80% a 220°, poi farcita all’uopo e nuovamente infornata per arrivare direttamente al tavolo. Il risultato sono le innumerevoli variazioni con cui sbizzarirsi, dalle più classiche a quelle pretenziose ed innovative, con costi, per qualsiasi cosa si scelga, comunque compresi tra i 5 e i 10 euro. Ai quali aggiungere, secondo gusto, il bicchiere preferito.

Ambiente accogliente, luminoso, rustico chic, con un bel tavolo conviviale proprio al centro del locale, a rimarcare la scelta di offrire un prodotto di qualità con un servizio rapido ed informale.
Ora si dovrà attendere solo la prossima idea del maestro Coccia.

La vetrina sulla strada.
vetrina, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
La sala con il grande tavolo colloquiale.
sala, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
Scorcio della sala.
sala, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
Il forno per le ‘mpustarelle. Opera di Stefano Ferrara.
forno, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
La rivoluzionaria friggitrice. Appositamente studiata da Coccia e poi costruita in collaborazione con Stefano Ferrara.
friggitrice, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
La pizza fritta: scarola, provola, olive nere, acciughe e capperi. Una classica nella quale ogni cosa è come dovrebbe.
pizza fritta, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
L’interno della pizza.
pizza fritta, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
La base della ‘mpustarella. Così arriva ogni giorno per poi essere completata.
'mpustarella, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
La fase di farcitura della ‘mpustarella.
'mpustarella, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
La ‘mpustarella: mortadella, fiordilatte, crema di pistacchi.
'mpustarella, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
Particolare. Anche la foto rende la particolarità del pane. Frialbile ed etereo.
'mpustarella, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli

Se Bushwick, il quartiere hipster di Brooklyn, è diventato una meta di pellegrinaggio di arditi foodies, è soprattutto merito di Carlo Mirarchi, cuoco bistellato che da queste parti circa dieci anni fa aprì, in partnership con Brandon Hoy e Chris Parachini, quella che tutt’ora, secondo molti esperti e appassionati del genere, è un tempio della pizza.
Parliamo di Roberta’s, insegna ormai famosa quasi quanto Katz’s per le giovani generazioni newyorkesi.

Roberta's Bakery, Brooklyn, New York

Bene, è ormai facile scorgere quella scritta rossa in carattere corsivo in diversi punti della città: dall’Urban Space nei paraggi del Grand Central Station, dove c’è una mini succursale che sforna centinaia di pizze al giorno, ai supermercati, dove è addirittura possibile comprare la pizza surgelata, fino all’imponente catena Whole Foods, che in qualche stabilimento di Brooklyn vende prodotti da forno provenienti dalla bakery della scuderia Roberta’s. Un marchio insomma che imperversa un po’ ovunque da quelle parti.

Un marchio dietro il quale c’è un’idea che è molto di più di una semplice operazione di marketing. Il successo di Roberta’s è arrivato a furor di popolo, partendo proprio da questo quartiere, fino a pochi anni fa malfamato.
Approdare a Bushwick, al di là del ponte di Williamsburg, è spaesante sebbene comodo e facile da raggiungere (da Union Square ci sono poche fermate di metro “L”). Usciti dalla metro, da un lato ci si ritrova in un quartiere ancora in fase di espansione, diversamente da altri centri d’interesse più di tendenza, quali Williamsburg o Dumbo, dall’altro ci si imbatte in un flusso di gente volto verso un’unica direzione, ossia verso quello che negli States è considerato uno dei più straordinari ristoranti del Paese. Un complimentino affibbiato nientepopodimeno che dal New York Times. E capiamo il perché ci sia tanto entusiasmo dietro questo progetto.

Parliamo, in primis, di in uno di quegli esempi lungimiranti e pragmatici della florida industria della ristorazione americana. Un luogo che suscita di per sé curiosità. Non è un caso se, dagli Obama alla coppia Jay Z-Beyoncé, in tanti hanno varcato la porta rossa del Roberta’s. Parliamo di un capannone trasandato, un ambiente caotico in cui il personale di sala si confonde con e tra i clienti, uno studio radio “on air” che trasmette musica sul broadcast che va in onda sul sito web del ristorante, illuminazione da pub di provincia, quadri che raffigurano arcimboldeschi volti di pizza dei cowboy di Brokeback Mountain, e tanta gente, dentro e fuori il locale.

Affascinanti elementi che passano impietosamente in secondo piano rispetto al cibo servito. Semplicissimo e disarmante: affettati, insalate, pasta, pizza e poco altro. Non c’è trucco e non c’è inganno. Praticamente l’abc della cucina nostrana fatto, preparato e servito come Dio comanda.
Qui si viene per le pizze… e che pizze! Dall’impasto -farina 00, farina integrale, sale, olio e lievito secco, 24 ore di lievitazione e riposo in frigorifero fino a una settimana- agli ingredienti, dalla cottura alla digeribilità. Tutto sopra le righe. Davvero un prodotto che inorgoglirebbe il più scettico dei patriottici.
Ma è quando assaggiamo quel poco d’altro che comprendiamo il perché di tale acclamazione. A pranzo e per il brunch la proposta è semplificata, con insalate e qualche piatto di pasta oltre le pizze. A cena la faccenda diventa invece più complessa, con piatti come il carpaccio di wagyu frollato o la porchetta alla brace con peperoni, chimichurri e romesco.
Il nostro pranzo ci ha regalato due insalate dal sorprendente impatto, e due pizze che sembrano sfornate da un grande pizzaiolo napoletano: la margherita è semplicemente buonissima, con una salsa dolce e la cottura centrata. Una pizza in stile napoletano, con cornicione pronunciato e disco soffice ma con una consistenza poco molle. La white&greens, con mozzarella, parmigiano, verdura di campo e limone, mette in risalto le capacità dello chef di creare una pizza gourmet con pochi e semplici ingredienti ben valorizzati, emblema di una filiera di prodotti controllata dalla semina al raccolto. E’ interessante a tal proposito una visita al miracoloso giardino pensile, creato sul tetto del capannone, dal quale vengono raccolte alcune delle verdure utilizzate nelle preparazioni.

Oltre alle birre e agli immancabili cocktails, c’è una vasta carta di vini internazionali, impressionante per una pizzeria, che si focalizza soprattutto sul biologico.
Insomma, stentiamo a credere che Mirarchi & soci, nonostante questo clamoroso e continuo successo, abbiano intenzione di cullarsi sugli allori, qui c’è sempre una novità dietro l’angolo, così come ce n’è davvero per tutti i gusti e per tutte le esigenze.
Quanta voglia di tornare…

Roberta's Bakery, Brooklyn, New York
I modestissimi interni.
Roberta's Bakery, Brooklyn, New York
Una birretta.

birra, Roberta's Bakery, Brooklyn, New York

Lattuga, noci caramellate, menta e pecorino.
lattuga, Roberta's Bakery, Brooklyn, New York
Notevole insalata di anguria avocado, black lime, pepe nero, basilico e chili.
insalata, Roberta's Bakery, Brooklyn, New York
L’eccellente margherita.
pizza, margherita, Roberta's Bakery, Brooklyn, New York
pizza, margherita, Roberta's Bakery, Brooklyn, New York
White and Greens.
White and Greens, Roberta's Bakery, Brooklyn, New York
La cui cottura è pressappoco perfetta.
white and greens, Roberta's Bakery, Brooklyn, New York
È buonissimo anche il “dolcino”: una burrosissima brioche calda con gelato allo zenzero. Calorie? Sarà per la prossima volta…
dessert, Roberta's Bakery, Brooklyn, New York
Uno dei banconi bar.
bancone, Roberta's Bakery, Brooklyn, New York
Qualche vino riconoscibile.
wine, Roberta's Bakery, Brooklyn, New York
Un consiglio: bisogna armarsi di pazienza, specie il weekend. Se si vuole evitare l’attesa, dietro la pizzeria c’è il panificio che sforna anche pizze take away. Gli avventori demoralizzati dalla coda acquistano qui la pizza e poi la mangiano nei tavoli all’esterno del locale, un gigante tendone all’aperto, con tavoli in legno da condividere.
Roberta's Bakery, Brooklyn, New York
La porta rossa.
Roberta's Bakery, Brooklyn, New York