Passione Gourmet Parigi Archivi - Pagina 9 di 14 - Passione Gourmet

Blend

Il miglior hamburger gourmet al mondo?
Non siamo particolarmente amanti degli estremismi e, non avendoli -per ovvi motivi- provati tutti, non ci è possibile dare una risposta certa, ma con buone probabilità, se non il migliore in assoluto, quello di Blend va molto, molto, molto vicino ad esserlo. E tra l’altro, con sommo sdegno dei puristi, non parliamo di un filologico panino a stelle e strisce, ma di un prodotto dei “cugini” francesi, nato a qualche centinaio di metri dal Louvre, e che potete trovare ogni giorno nel centro di Parigi.

Victor Garnier, proprietario e mente del locale, racconta di esser rimasto folgorato da un hamburger a Santa Monica, ove si trovava per studio, e da questa illuminazione ha deciso di trarre la sua ragione di vita, di voler a sua volta lavorare per proporre l’hamburger “totale”.
Ma qual è il percorso che ha portato questo locale, grande non più di un box doppio, a diventare noto in tutto il mondo?

Innanzitutto, come è lecito aspettarsi, tutte le componenti del panino sono all’insegna della massima qualità possibile e prodotti in totale autonomia. Pane preparato giornalmente, così come le salse e tutti i topping. Ma quello che fa la differenza è una sensazionale patty, studiata ed eseguita con un mix (pardon, un blend…) di carni di Yves-Marie Le Bourdonnec, il “Boucher-Boheme” star in tutta la Francia per i suoi prodotti e le relative frollature, nonché per essere uno dei fornitori di monsieur Ducasse.
Il risultato è davvero notevole e si stacca parecchio dalla media: capita spesso di trovare del buon pane con farciture modeste, o dell’ottima carne all’interno di un discreto pane, o ancora delle salse degne di nota su prodotti solo sufficienti. Molto più raro trovare, come in questo caso, tutti i tasselli di livello altissimo: il pane, dolce e morbido ma dalla consistenza comunque tenace, base correttamente “neutra” ma dalla resistenza al morso più affine al pane che non al pan-brioche. La carne, in assoluto la protagonista, valorizzata da ingredienti di contorno di qualità, inseriti nel panino con un senso logico e non “tanto per far spessore”. Infine salse concentrate ed eseguite con rispetto, vere e proprie componenti nell’insieme, non i soliti “veicoli grassi” e poco più.

Ma c’è altro, oltre la notevole qualità: indiscutibile il grande lavoro di marketing dietro questo progetto, che ha permesso di far divenire un best-sellers gastronomico (anche in Italia) il libro “Hamburger Gourmet”, pubblicazione interessantissima per gli amanti del genere, e che ha permesso nel giro di pochi anni di diffondere il brand in città al punto da rendere necessaria l’apertura di ulteriori tre sedi in tre strategici angoli di Parigi, tutti costantemente assediati da una discreta coda, dalle dimensioni ragguardevoli soprattutto negli orari di punta.
Un risultato davvero degno di nota, per un progetto che unisce la qualità del prodotto a quella della comunicazione, e riesce ad ottenerne un… blend davvero convincente.

L’invitante pane. Tutti i burger vengono serviti tagliati a metà, per facilitarne il consumo (e la condivisione).
Blend, Hamburger Gourmet, Paris, Francia
Cheesy: manzo, Cheddar, bacon, Ketchup, cipolla fritta, sottaceti e iceberg.
Cheesy, Blend, Hamburger Gourmet, Paris, Francia
Signature: Manzo, composta di cipolle caramellate all’aceto balsamico, Bacon, Bleu d’Auvergne DOP,Emmental de Savoie e spinaci.
signature, Blend, Hamburger Gourmet, Paris, Francia
Cheesy Fries!: French fries ricoperte da Cheddar. Buonissime, occhio solamente a non farle raffreddare.
Chessy fries, Blend, Hamburger Gourmet, Paris, Francia
Dettagli del minuscolo locale.
locale, Blend, Hamburger Gourmet, Paris, Francia
Blend, Hamburger Gourmet, Paris, Francia
Blend, Hamburger Gourmet, Paris, Francia
La coda, per fortuna formatasi dopo la nostra uscita, verso le 20.00. Grazie all’apertura continuata è possibile evitare gli orari “classici”, quindi la ressa. Non si accettano prenotazioni, quindi preparatevi…
Blend, Hamburger Gourmet, Paris, Francia

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Il perfezionismo del minimalismo.
Questa è, a nostro parere, la sintesi della filosofia kaiseki e di questo grande ristorante. Abbiamo già trattato l’argomento nella recensione di Kitcho, ma qui vorremmo dare un ulteriore punto di vista, che vada oltre la maniacale attenzione per la materia prima, per la stagionalità e per il rito.
Perché al ristorante Koju ci troviamo di fronte ad un’interpretazione, se volete estrema, del modernismo stilistico kaiseki targato Giappone. Un rito che rimane tale e che al contempo viene spogliato di numerosi orpelli, reso metropolitano e contemporaneo, per certi versi anche antiteticamente veloce, ma che preserva tutti i contenuti veri e profondi di quest’arte.
Punto di partenza è la cura nelle preparazioni, apparentemente semplici, ma frutto di elaborazioni lunghe e molto puntigliose. In cucina, anche se non si vedono, ci sono 2 addetti alla cottura del riso, 3 addetti alla preparazione dei brodi, altri 4 alla cesellatura di verdure e pesce. Un esercito concentrato su partite a prima vista elementari, in realtà coordinate e capitanate da veri e propri maestri dotati di esperienza pluriennale.
Il “Maestro” rifinisce e cesella il sashimi, assaggia e ritocca il già quasi perfetto brodo per lo shabu-shabu, osserva e dirige con una attenzione da vero e proprio direttore d’orchestra. Comprendiamo ora sino in fondo l’assonanza con un altro Maestro come Marchesi con questa filosofia, ed anche il suo costante accostamento alla simbologia e alla stilistica, nonché al rigore della grande opera musicale d’orchestra. Mai come in questo caso metafora fu azzeccata.
Il giorno della nostra visita lo chef Toro Okuda si trovava a Parigi per l’apertura del suo primo locale fuori dal Giappone (Okuda Paris, già segnato col pennarello rosso tra le prossime visite da fare nella Ville Lumière).
Il suo sostituto, giovane ma con una sicurezza da chef navigato, non ha fatto rimpiangere il Maestro.
Koju è l’esperienza, con la E maiuscola, di una contemporaneità Kaiseki portata all’apice.
Dove ogni ingrediente primario, un pesce o una verdura, viene preservato nella sua essenza più profonda. Non troverete sale aggiunto da nessuna parte. Tutto puro, se è dolce sarà dolce, se è sapido sarà sapido. Così come, se l’ingrediente lo è, lievemente piccante. Presentato nella sua purezza maestosa e intonsa.
Il ruolo di protagonista di ogni preparazione è demandato spesso ai brodi, di concentrazione, finezza e persistenza, nonché sapidità, notevoli e dagli apparenti comprimari. Una volta un frutto secco, l’altra volta un’erba piuttosto che una laccatura in cottura.
Una affascinante esperienza che dovrete, se vorrete avere un quadro completo ed esaustivo, affiancare ad un grande esempio di tradizione kaiseki in quel di Kyoto. Ed il vostro cerchio gustativo in Sol Levante sarà completo.

La table du chef.

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Mise en place.

mise en place, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Il giovane chef all’opera.

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Granchio reale, gelatina di aceto di riso e soia, agrumi: un concentrato di rara eleganza.

granchio reale, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Abalone, purea di melanzana e fagioli di soia: consistenza fantastica dell’abalone e della melanzana profumata al gelsomino.

Abalone, pure di manzo, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

La preparazione del nostro sashimi.

sashimi, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Il primo brodo.

brodo, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Aragosta, fagiolini di soia, funghi, polpetta ai crostacei e radice di loto.

aragosta, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Sashimi di tonno, seppia, orata, daikon, insalata di alghe, rapanelli. Di consistenza e purezza fantastici.

sashimi di tonno, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

La preparazione dello shabu-shabu.

shabu-shabu, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Barracuda al vapore con funghi, anguilla arrosto e laccata con bianchetti. Immersi in un giardino d’autunno. Patate dolci, noci gingo, polpette di daikon, radici di zenzero, peperoni, lime, pepe e shiso. La foglia di pepe sull’anguilla un tocco da vero maestro.

barracuda al vapore, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

barracuda, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

La preparazione della radice di Wasabi.

wasabi, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Shabu-Shabu di pesce (simil merluzzo) e funghi pregiatissimi Matsutake. Il brodo intenso e pervasivo, con il fungo che emana sentori di fiori d’autunno e sottobosco. Fantastico.

shabu shabu, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

shabu shabu, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Riso, brodo di miso e funghi, cipollotto e sottaceti.

riso, brodo, miso, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

La rilettura del tradizionale mochi. Gelato al caramello e castagna, liquore di castagna, castagna bollita e palline di riso dolce. Strepitoso.

pochi, gelato al caramello, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Il classico finale con il the Matcha.

the matcha, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Aspettativa canaglia.
Quella che inizia a circuirti settimane prima della partenza, e che per tutto il tempo che separa la prenotazione dal “fatidico giorno” ti perseguita e ti fa pregustare e sognare luoghi, sapori, odori, emozioni. Quella lieve ansia da attesa, legata con un doppio filo all’anima stessa del viaggiare, che è il motore della nostra passione. E che quando viene soddisfatta permette di vivere, se inizialmente non è particolarmente alta, esperienze stupefacenti, inaspettate e sorprendenti; ma quando l’aspettativa è parecchio alta, ed essa viene totalmente appagata ecco, quello è il momento in cui si raggiunge la piena sublimazione, l’orgasmo sensoriale, la pura essenza di una passione.
Chiaramente, come ogni cosa bella, sfortunatamente c’è un rovescio della medaglia, e ognuno di noi appassionati purtroppo lo sa bene: cocenti sono quelle delusioni che, a fronte di un’aspettativa molto alta, non vengono ripagate da un’adeguata risposta. Settimane di attesa e di sogni ad occhi aperti, svanite nella nebbia.

Akrame le carte in tavola per un’esperienza memorabile le ha tutte: 20 coperti, uno dei ristoranti parigini più chiacchierati dell’ultimo anno, lodi più o meno unanimi sul web, riconoscimenti a destra e a manca, una vera e propria ascesa verticale che ha condotto lo chef franco-algerino Akrame Benallal dall’apertura ai pari macarons pneumatici in soli tre anni.
A un mese e mezzo dalla data desiderata, un mercoledì, per pura fortuna riusciamo a trovare un tavolo libero a cena ma per il lunedì, l’unico tavolo disponibile in tutta la settimana.
E invece?
Aspettativa canaglia.

Il locale, sito in una viuzza parallela alla direttrice tra l’Arc de Triomphe e Trocadero, è incastrato tra due anonime vetrine ove ci si aspetterebbe di trovare un fruttivendolo o un macellaio, più che un ristorante di questo tono. Una ristrutturazione imponente, arredi molto moderni, smalti, metalli e toni minimalisti, con quella punta di trendy che smorza i toni, rinvigorisce l’ambiente ma non infastidisce. Un’accoglienza capace, distesa e professionale, accomodante, con il sorriso e in grado di metterti a tuo agio in una manciata di secondi.

E poi c’è la cucina. Corretta, piacevole, adeguata. Tre aggettivi che no, difficilmente contestualizzeresti in una premessa come quella poco sopra. Una cucina che è lecito aspettarsi frizzante, cristallina, in grado di stupire, di coinvolgere, di colpire… e non capace solo di lasciarti sopito, a pensare “…ok, bene, tutto qui?
Piatti senz’altro corretti, ben fatti e solo blandamente stimolanti, certo scevri da grossolani errori ma purtroppo privi di particolari spunti o chiavi di lettura, fatti di ingredienti ed accostamenti potenzialmente interessanti, ma vanificati da assenza di concentrazione e da elementi prevaricanti sul resto, con una carenza generale di armonia e di equilibrio.

Uno stile forse più adatto alla cucina di un rapido, economico ed informale bistrot, non certo ad uno tra quelli giudicati centravanti della ristorazione parigina di oggi. Quindi viene da chiedersi: al netto dell’aspettativa, dei rumors e delle liste d’attesa di settimane, sarebbe stata questa una cena in egual misura inappagante? Chissà, quel che è certo è che una cucina un po’ banale, anche se corretta, lo è a prescindere, soprattutto quando proposta a certi prezzi non propriamente “a buon mercato”.

La minimale, spartana (e buia) mise en place.
mise en place, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
Uno dei quadri alle pareti, tutti curiosamente rappresentanti donne tatuate.
quadri, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
Scorcio della piccola sala
sala, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
La prima e la più sfiziosa delle entratine: Oreo al Parmigiano…
Oreo al Parmigiano, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
…e le altre.
amuse bouche, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
amuse bouche, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
Il servizio del burro.
burro, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
Con il pane, di un solo tipo, ben fatto.
pane, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
Il primo piatto, dal menù di quattro portate “Coup de Coeur”, tutte a discrezione della cucina (come nel caso del menù da 6 portate, “Gourmand”).
“Verdure: Zucca/Riccio di mare/Formaggio Mimolette”. Piatto potenzialmente interessante, all’atto pratico si rivelerà una vellutata di zucca, che incredibilmente riesce a coprire quasi totalmente sia la Mimolette che i ricci di mare.
verdure, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
“Molluschi: Vino/Molluschi”. Semplicemente, nulla più che la descrizione: vino e molluschi, che non riescono a trovare un punto d’incontro armonico, tra l’acidità del vino, scissa tra l’aria e il brodo, e la gommosità dei molluschi.
molluschi, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
“Marinaio: Triglia/Lardo di Colonnata/Indivia/Riso Rosa” Una buona triglia, con un sottile strato di lardo a donare un po’ di grassezza all’insieme, con una concentrata e sapida salsa. In accompagnamento (?) una scodellina di riso e indivia dalle note dai ricordi nordafricani, agrodolce e molto speziata. Buona la triglia, buono il riso… ma insieme?
triglia, lardo, indivia, riso rosa, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
“Rinfrescante: Sorbetto di mora/Aceto di mele”, servito in maniera… rinfrescante in un bicchierino in ghiaccio. Acido, fresco e dolce. Un bello stop tra una portata e l’altra.
sorbetto, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
“Carne: Piccione/Mais/Curry”. Idem come i piatti precedenti. Un piccione di buon livello, adagiato su del mais e coperto da una polvere di popcorn, con una salsa… nettamente al curry. Simpatica la declinazione mais/popcorn, solo troppo dolci per esaltare il piccione. Ma una volta giunti al curry, tutto il resto un po’ soccombe.
piccione, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
In stile Gagnairano (dove Akrame ha lavorato), tre i piccoli dolci, serviti tutti insieme.
“Avocado/Banana/Cioccolato bianco”: Avocado e banana pungenti ed astringenti (forse un po’ troppo), con il cioccolato bianco che smorza i toni.
Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
“Dolcezza: Cioccolato, Carbone di Bambù” Ottimo equilibrio tra dolce e croccante. Dessert molto buono e goloso.
cioccolato, carbone, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
“Raviolo pera & noci/Sorbetto alla birra”.
raviolo, pera e noci,  Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
Caramellina alla liquirizia finale, rinfrescante.
liquirizia, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France
Dolcetto finale, con tavoletta di cioccolato… “à emporter”
piccola pasticceria, Akrame, Chef Akrame Benallal, Paris, France

No, non è una mera questione di campanilismo. Per quanto ci riguarda, di Simone Tondo ne avremmo scritto con gli stessi toni fosse stato anche francese, spagnolo, cinese o proveniente da qualsiasi altro angolo del mondo. E’ semplicemente bravissimo, a prescindere da quanto riportato sulla Carta d’Identità.
Che poi sia italiano, e che sia riuscito ad emergere su una piazza di altissimo livello come quella parigina, non può che farci piacere ed inorgoglirci, ma il suo valore resta il medesimo anche posto in scala assoluta.

Solamente ad un paio d’anni dalla creazione di Roseval, in società con l’inglese Michael Greenwold, è riuscito a riscuotere enorme successo, un massivo riscontro positivo da parte di critica e clientela, lodi praticamente all’unisono e tavoli costantemente pieni.
Poi il colpo di scena: dalla riapertura a settembre di quest’anno, Michael ha scelto di intraprendere altre strade, e Simone è rimasto da solo al comando del ristorante.
Delicati equilibri quindi, che rischiano di diventare instabili, a causa della rimozione di una delle due colonne portanti?
Assolutamente no, anzi. Con piacere abbiamo scoperto che in rue d’Eupatoria, attualmente, si sta ancora meglio che in passato. Si respira un’aria serena e si percepisce distintamente un sacco di voglia di fare bene, probabilmente anche grazie all’individualità di tutte le scelte e le idee.

Nonostante gli stravolgimenti ai vertici, quella che è sempre stata la caratteristica primaria, l’essenzialità, resta la chiave di Roseval. Tutto è ridotto all’indispensabile: godimento al netto degli orpelli.
L’ambiente è ristretto, spartano e con spazi ridotti all’osso. Tavoli e sedie sono piccoli, decisamente ravvicinati e apparecchiati in maniera spoglia ed essenziale. Il menù è uno solo ed uguale non per tutto il tavolo, bensì per tutto il ristorante: 50€ 6 portate, 75€ abbinandovi i vini.
Menù nuovo ogni settimana, nuovi dessert ogni quindici giorni.
Se il dizionario definisce un contrario di “grandeur” ecco, quello è il termine che meglio riesce a raccontare Roseval.

Lo stesso aspetto spartano è riportato sui piatti, apparentemente semplici, che in realtà si rivelano dei veri e propri piccoli capolavori. Essenziali nell’idea, ma complessi nell’esecuzione; spogli nella forma ma assolutamente completi, centrati ed intelligibili; scarni nella descrizione in carta, ma articolati e sfaccettati da richiedere un’attenzione oltre la media. Dalla costante e ricorrente nota vegetale, ma mai troppo in mostra, mai ridondante.
Totalmente mediterranei nel cuore, ma valorizzati da ingredienti, idee e tecniche “worldwide”, grazie all’influenza e le esperienze dell’eterogenea brigata, composta da tre persone in cucina e tre in sala, di sei nazionalità differenti, che lavorano in piena armonia.
Globalizzazione nell’aspetto più positivo del termine ed il tutto, coerentemente, nel cuore del Menilmontant, il quartiere più meticcio della città.

Funzionerebbe ugualmente Roseval, in qualsiasi altro angolo di mondo? Chi può dirlo, commistioni forti come questa sono rare e delicate. Di certo riuscire a distinguersi per essenzialità e per un inarrivabile rapporto qualità/prezzo qui, a Parigi, non è propriamente cosa da tutti i giorni, e sicuramente ha maggior valore che altrove.
Lo scotto da pagare però, sempre dovuto alla Ville Lumière, è il rischio di fare il vaso di coccio tra vasi di ferro, che il vero valore di Simone e di Roseval passi in secondo piano senza che ne venga colta l’essenza, principalmente a causa della concentrazione e del livello dei grandissimi che li circondano.

Una sorta di contemporanea trasposizione del brutto anatroccolo dove, al pari della fiaba, se riuscirete a guardare oltre le apparenze ed andare dritti alla sostanza, ecco che potrete scorgere uno splendido cigno che no, nulla ha da invidiare al resto dello stagno…

L’ingresso del locale.
ingresso del locale, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
L’essenziale mise en place.
 mise en place, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
Il pane.
pane, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
“Saint Jacques”: capasanta, lamponi, burro nocciola, aceto. Eccellente partenza, con un piatto che lavora molto bene sui contrasti, tra le morbidezze dell’eccellente capasanta e del burro, contrapposte alle acidità del lampone e dell’aceto, che spicca sul resto.
Capasanta, lamponi e burro alla nocciola, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
“Langoustine”: zuppa di patate, scampi, polvere di scampi, combava. Al contrario del piatto precedente, dove prevalgono le acidità, qui si viaggia sul velluto con la zuppa di patate molto lenta, la decisa impronta degli scampi, e la nota citrica della combava che vivacizza il tutto.
zuppa, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
“Maquereau”: sgombro tataki, ricotta di pecora affumicata al fieno, moromi. Terzo gran piatto, un gemellaggio tra la Sardegna ed il Giappone: protagonista del piatto la ricotta, dal carattere deciso anche grazie alle note legnose dell’affumicatura, con lo sgombro lavorato tataki, ridotto a texture e a lieve apporto acido, così come il moromi, la soia fermentata, che grazie alla sua profondità fa da trait d’union tra i due ingredienti principali.
sgombro, tataki, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
Il primo vino in accompagnamento. Sia in carta che per quanto riguarda gli abbinamenti al calice, si percorre la via del naturale e del bio, rivolgendosi comunque sempre al piccolo vigneron.
vino, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
“Cabillaud”: baccalà, midollo, purée di ortica, dashi. Perfetta la cottura del baccalà, anch’esso reso poco più che texture, in favore della sapida concentrazione del dashi e della profonda nota vegetale del purée di ortica.
Cabillaud, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
Secondo vino abbinato.
vino, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
“Rouget”: triglia, fiori di carote viola, cavolfiore, kale, colatura di alici. Piatto che percorre le medesime note del precedente, marcandole ulteriormente. Un uno-due marino/vegetale.
rouget, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
Terzo vino abbinato.
Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
“Agneau”: sella d’agnello, sedano rapa, mela, bietole bianche. Si vira verso il dolce nel piatto di carne: spiccano la cottura esemplare e l’intelligente utilizzo di una parte vegetale più “bianca” e terrosa, che a meraviglia si accorda all’agnello.
agneau, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
Il quarto vino in accompagnamento.
vino, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
“Chaource”: formaggio Chaource, mostarda, acetosella.
chaurce, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
…con il quinto vino abbinato.
vino, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
Predessert: Crema di latte e arancio.
predessert, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
“Poire”: cioccolato, pera confit al pepe, olio, crumble. Eccellente dessert, goloso sebbene non eccessivamente dolce, con la pera resa croccante e masticabile, ed il pepe a donare una bella aromaticità. Degna chiusura di una cena sorprendente.
Pere, Cioccolato, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
Con il sesto ed ultimo vino abbinato.
vino, abbinato, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
Mascarpone, pompelmo e vaniglia.
mascarpone, Roseval, Chef Simone Tondo, Paris
Se serve un riferimento, proprio di fronte a Roseval…
Roseval, Chef Simone Tondo, Paris

Là, tout n’est qu’ordre et beauté, Luxe, calme et volupté.
Pare quasi scritto apposta per il Bristol, il famoso passaggio di Baudelaire.
Un luogo straniante questo, nel suo essere totalmente scollato dalla realtà. A non più di 100 metri della residenza presidenziale in rue de Faubourg Saint Honoré, una delle vie più fastose al mondo, con una concentrazione di boutique di alta moda che forse solo Montenapoleone può provare a tenerle testa.

Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris

Un posto fatto di lusso vero, esclusivo ma non sfacciato, e non per questo meno incisivo di altri caratterizzati da uno stile sfarzoso, anzi, moderato nello stesso modo di chi parla con tono calmo, conscio d’aver l’autorità e il piglio di farsi ascoltare, senza mai dover andare oltre le righe.

E infatti no, non si esce mai dalle righe da Epicure, proprio perché le stesse sono tracciate in maniera indelebile, sicura e decisa e quindi, semplicemente, nessuno sente la necessità di farlo.

Alcuni numeri, giusto per definire meglio gli ordini di grandezza: 500mq la cucina, unica per il ristorante, un bistrot, un café e il servizio in camera per le 188 stanze, di cui 92 suites.
115 persone lavorano ai comandi dello chef, di cui nove solamente nel reparto pasticceria.
A giudicare dai colletti tricolore e dai riconoscimenti sparsi sulle pareti della cucina, ci sono più MOF a lavorar qui dentro contemporaneamente, che dipendenti in molti ristoranti.
La sensazione, durante un giro tra i fornelli, non è quella di esser di fronte a una grande brigata, ma piuttosto ad una vera e propria azienda.

Nonostante lo chef Eric Frechon sia un eccezionale professionista (d’altronde, non molti sono gli chef insigniti della Légion d’Honneur), non ha più alcun senso parlare di “chef e brigata”, ma di una mastodontica macchina, che si mette in moto per una sola ragione: produrre eccellenza.
A partire dal servizio, tremendamente efficiente, puntuale e sempre giustamente formale, se non altro per mantenersi a tono con l’ambiente, ma in grado di mantenersi chirurgicamente distaccato o ben più coinvolgente a seconda delle volontà del tavolo, di interfacciarsi più o meno a seconda del grado di malleabilità del cliente. E per un ristorante dove ogni mail in risposta alla prenotazione termina con “…e ricordiamo l’obbligo dell’abito per l’uomo, anche a pranzo” questa ricerca di un punto d’incontro è un plus non indifferente.
Ma, paradossalmente, quello che più colpisce è la cucina. Date le premesse, sarebbe lecito aspettarsi opulenza, ricchezza, ingredienti lussuosi fini a se stessi e questo, in un luogo così, potrebbe anche essere giustificato. Ed invece, nonostante l’impostazione certo classicheggiante, i piatti sono mirabilmente alleggeriti e attualizzati, senza inutili orpelli; anzi, con un gran lavoro di ricerca fatta in direzione dell’equilibrio e dell’armonia e un’attenzione ai dettagli a tratti imbarazzante.
Ecco che anche un piatto come l’anatra, di deriva nettamente dolce, si mantiene saldamente sui binari grazie ad un sapido, concentrato e davvero accademico fondo di cottura e alla lieve balsamicità apportata dalla legna in cottura, creando un contrasto equilibrato senza l’apporto di ulteriori ingredienti.

Una menzione la meritano senza dubbio i dessert del fenomenale pasticciere Laurent Jeannin che, pur nella forma apparentemente semplice, si riveleranno delle piccole opere d’arte, esteticamente ma soprattutto nel profilo gustativo, oltre a essere realizzati con una cura sorprendentemente maniacale.

Certo il giro sulla giostra è tutto fuorché economico, questo è fuori discussione… ma è altrettanto innegabile che un’esperienza di questo tipo sia totalizzante, riuscendo ad inebriare contemporaneamente tutti i cinque sensi: davvero difficile uscire da questo luogo senza sentirsi dieci centimetri sopra la terra.

Mise en place e dettagli in sala.
mise en place, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Per la consultazione della carta viene servito una sorta di “casatiello, oltremodo goloso.
Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Stuzzichini iniziali.
stuzzichini, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Du pain (!!!)…
pane, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
…et du beurre.
beurre, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Amuse bouche.
Amuse bouche, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Noci di capesante tagliate al coltello, succo di ostriche, chantilly al limone e curry.
Capesante di qualità indescrivibile, supportate dalle lievi acidità della crema e dal succo di ostrica. Partenza di mirabile equilibrio.
noci di capesante, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Cavolfiore di Bretagna al curry di Madras, parmigiano grattugiato, beignets di cipolla fritti.
Portata più golosa ma di fattura altrettanto pregevole: decisa e marcata la nota speziata del curry, contrastata con la dolcezza delle piccole cipolle fritte e dal parmigiano, non particolarmente stagionato quindi abbastanza dolce e pastoso.
cavolfiore di bretagna, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Sogliola di sabbia farcita con duxelle di finferli, salsa al fumetto di sogliola e Vin Jaune. Nuovamente, l’equilibrio dei contrasti: piatto assolutamente classico, ma con una leggera, concentrata, sapida e acida salsa in accompagnamento.
sogliola di sabbia, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
…da farne incetta, della salsa e dei finferli saltati, serviti a parte. A fine portata la salsa restante viene versata nel piatto, con un invito verbale alla scarpetta.
salsa ai finferli, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Anatra selvatica cotta su legna di ginepro, polenta morbida alla frutta secca, mele cotogne all’ibisco.
anatra selvatica, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Servita con a parte l’insalatina con finferli, mais e la coscia dell’anatra…
insalatina di fingerli e coscia d'anatra, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
…e il fondo dell’anatra, strepitoso. Idem con scarpetta.
fondo d'anatra, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Nel frattempo il tavolo affianco al nostro ci permette di osservare il servizio della poularde en vessie, con il maître impegnato allo (splendido) guéridon.
poulard en vessie, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Il carrello dei formaggi, dal quale estrapoliamo…
carrello die formaggi, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
…una selezione di formaggi molli…
formaggi molli, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
…ed una a pasta più dura.
formaggi pasta dura, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Predessert.
predessert, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
“Chocolat Manjari”: cioccolato ghiacciato e cremoso, infuso al tè, nettare di mora del Monte Velay. Al netto delle architetture un dessert semplice nell’aspetto, ma dal gusto ben più complesso, con acidità e dolcezza del cioccolato e delle more che trovano l’amalgama delle note più calde del tè. Difficile definire dove iniziano e terminano il dolce, l’amaro, l’acido. Gran dessert.
chocolat , Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
“Noisettes du Piemont”: Nocciole del Piemonte pralinate e tostate da noi, sorbetto al lampone e scorza di limone.
Dessert più dolce e tradizionale ma non per questo meno buono, anzi.
nocciole del piemonte, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Gelatine liquide al frutto della passione, acidissime e dolci.
gelatine liquide, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Il carrello della pasticceria finale, strepitoso, ove scegliere tra 8 varietà di macarons, tra marshmallows, caramels varie, praline e biscotti, tutto maison.
carrello di pasticceria, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Svettano i macarons, di fattura sublime. Straordinari quello alla violetta e quello alla nocciola.
macarons, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
macarons, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
I clienti interessati vengono poi invitati a visitare le impressionanti cucine. In foto l’area relativa alle finiture/pass, una frazione dell’area totale.
Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Dopo due chiacchiere e i doverosi complimenti, monsieur Jeannin in persona ci delizia con la preparazione di uno dei suoi signature dessert.
Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
Citron de menton, Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris
“Citron de Menton”: spuma di limoni di Mentone ghiacciata, glassato al limoncello, ricordi di pera e limone confit.
All’interno di uno stampo in argento, fatto costruire appositamente, una spuma composta in gran parte da limoni viene cotta in negativo in azoto, acquisendo esternamente la consistenza di una meringa ma mantenendo il centro morbido. Viene infine glassata al limone: sublime…
citron de menton ,Epicure au Bristol, Chef Eric Frechon, Paris