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Asador Etxebarri

La cucina primitivista ed erudita di Victor Arguinzoniz

Tra Pirenei e Golfo di Biscaglia si trova un territorio, definito da molti come la naciòn culinaria, che offre esperienze ineludibili per il gastrofilo contemporaneo. Nel remoto paesino di Atxondo, tra vette metaforiche e letterali, si trova l’asador Victor Arguinzoniz e il suo Etxebarri. 

Guardando indietro ai primi anni di scuola, riesumando lezioni sulla preistoria, ci è sempre stato insegnato che tra i primi segni di emancipazione per l’uomo ci fosse la conquista – e soprattutto la padronanza – del fuoco. E mai ciò accade con più perizia che nella cucina di Arguinzoniz, dove la fiamma diretta incontra l’ingrediente in un rapporto estemporaneo, si direbbe quasi violento. L’abilità tecnica dell’asador si gioca proprio su poche manciate di minuti, a volte secondi, nei quali deve dimostrare di saper domare la vibrante relazione tra cottura – qui calibrata al millimetro – e consistenza materica. Il tutto, in un palcoscenico costruito su pochi metri di griglie e carrucole poggiate su schiere di braci ardenti.

La conquista del fuoco

Il menù è una sequenza ritmica di portate tra mare e montagna in cui l’arrostito e l’affumicato fanno da trait d’union alla succulenza e alla carnosità degli ingredienti. 

Primo fra tutti, e non ce ne saremmo mai stancati, se solo ce ne avessero portati di più, i gambas de palamito a la brasa. Due gamberi arrostiti, il tanto per mantenere il turgore delle carni, il giusto per far sì che la dolcezza del crostaceo e la forza della brace finissero per fondersi, soprattutto nella testa del gambero con tutti i suoi umori. Divina! 

Ma visto che intorno all’Etxebarri, nell’incontaminato scenario, è tutto un pullulare di bufale al pascolo, Arguinzoniz non poteva esimersi dal produrre un’inaspettata mozzarella, servita con una marmellata di pomodoro affumicata. Combinazione che solletica, e insieme provoca, si capirà,  il nostro palato di italiani in trasferta.   

Arrivano poi ricci, granchi, chorizo stagionato e in tartare e percebes, in una girandola da far girare la testa ai suoi commensali, catapultati in un’ebbrezza gustativa davvero rapinosa, tutta settata sul glossario dell’empireumatico. 

Ma il colpo del ko è assestato dalla costata, relevé finale tanto antonomastica di questo grande cuoco, che la propone al tavolo già porzionata, con una crosta bruna, croccantissima, a fare da preludio alla scioglievole tessitura data dalla pregiata marezzatura della polpa. 

Lasciamo questo luogo, questo tempio della brace strabiliati, finanche cambiati. Diciamo che l’esperienza è qualcosa che scorderemo difficilmente, proprio come quella famosa lezione di storia sul fuoco, alle elementari… 

La Galleria Fotografica:

 

“Ciò che i piatti esprimono non riguarda solo ciò che presentano, ma anche quello che avremmo voluto che fossero. Paesaggi e momenti suggestivi, nuove tecniche, immaginazione e ingredienti”.

Questa l’introduzione del menù di Mugaritz, regno dello chef Andoni Luis Aduriz.

Nessun compromesso, nessuna possibilità di scelta.

Richiede fiducia una gita in quel di San Sebastian, tra il saliscendi emozionale tinto di cento e oltre sfumature di verde che si lasciano alle spalle la percezione dell’oceano e della sua violenza. L’incontro cerebrale con la cucina del Mugaritz comincia da qui. Dal luogo scelto, forse non a caso, dove operare, esprimersi e provocare.

La provocazione infatti è una delle chiavi di lettura di una cucina mai spavalda eppure così decisa, così diretta e così saggia. La placida calma verde che avvolge le pareti a vetro del ristorante sembra essere messa lì apposta per bilanciare il dinamismo del menù degustazione pensato ad hoc per ogni tavolo. Venticinque portate che si esplicitano attraverso venticinque bocconi, che rappresentano ognuno un concetto, un pensiero, un’idea sulla vita. Non è un banale pranzo quello da Andoni, non certamente adatto per essere affrontato a cuor leggero. Una cucina che non si relaziona solo con il mondo della gastronomia, ma che va ben oltre. I riferimenti e le suggestioni che ne scaturiscono si possono allacciare alle più svariate sfaccettature della vita comune, del vivere quotidiano, accarezzando e colpendo emozioni comuni a tutti.

Venticinque bocconi dicevamo, articolati e predisposti come a voler dar vita ad una conversazione. Lo chef si pone come l’interlocutore atto ad intavolare gli argomenti attraverso la degustazione, mentre il commensale recita il ruolo di sparring partner pronto a ricevere il colpo, incassarlo e rielaborarlo.

L’evoluzione gustativa non segue apparentemente una linea retta, giocando con l’alternanza di sensazioni dolci, salate, amaricanti e acide in una maniera tanto piacevole quanto illogica. Senza lasciare punti di riferimento Aduriz sceglie e dosa gli ingredienti, con la stessa cura con cui si scelgono le parole più efficaci per formulare un discorso. Bocconi emozionali che spesso trovano la loro identità nel prosieguo del pranzo, quando l’atto gastronomico proposto bilancia le consistenze con le acidità, accosta due ingredienti identici facendoli diventare uno la nemesi dell’altro, stuzzica con passaggi enigmatici che si rivelano illuminanti ore ed ore dopo la fine dell’esperienza e si carica di profondità attraverso l’utilizzo verde delle erbe aromatiche.

Non è possibile rendere il tutto razionale. Non si può sapere cosa aspettarsi. Ci si lascia irretire dai sussurrii e dall’enfasi che si alternano a tavola, trovandosi di colpo a pensare, immersi in una situazione di cui si conoscono perfettamente i tratti, ma che fino ad allora non si era riusciti a contestualizzare all’interno di un ristorante.

Tutto questo va oltre la tecnica, la scelta delle materie prime e la professionalità dei quarantaquattro cuochi che officiano nelle tre cucine di casa Aduriz. È una rappresentazione gustativa della vita, raccontata da un uomo saggio e sensibile, che attraverso le sue sovrastrutture mentali lancia provocazioni, messaggi profondi e rassicurazioni.

Nell’arco di un paio d’ore, facendo del paradosso una forma confidenziale, Andoni e il suo staff riescono a sciogliere il nodo gordiano che divide in compartimenti stagni i comportamenti umani. Lo fa attraverso la sua personalissima idea di cucina, elevando l’arte culinaria e spogliandola della sua materialità, riuscendo così ad esprimersi senza limiti convenzionali andando ad offrire un’esperienza che una volta conclusa si porterà con sé nel ricordo per lungo tempo.

Pane e emulsione di alici. Panino cotto al vapore tiepido con una straordinaria consistenza, morbido ma allo stesso tempo consistente e tenace.

pane, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Comincia l’abbinamento vini.

vino, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Ostrica candita e aceto. Piatto da mangiare con le mani (ne seguiranno tanti altri). Primo passagio cerebrale. Note dolci e iodate si confondono e si alternano in bocca mentre ci si domanda il perché si sia mangiata un’ostrica nuda con le mani.

ostrica, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Budino di riso e caviale. Il caviale come veicolo per rendere gradevole una preparazione (il budino di riso) altrimenti volutamente poco piacevole. Il calore del budino e la sua consistenza “appiccicosa” vengono smorzati e armonizzati dal caviale. Il risultato è netto e pulito. Grandissimo passaggio.

budino, caviale, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Nuvola cotta, olio di nocciola e uova di trota con alice fritta e crescione. Anche qui le consistenze sono le protagoniste incontrastate. Croccante la frittura, gommosa la nuvola cotta al vapore in perfetto contrasto con le uova di trota al suo interno. Risultato eccellente.

nuvola, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Humus di piselli, foglia di spinaci e accenti marini. Un dichiarato omaggio al paesaggio circostante. Passaggio che si concentra interamente sul gusto, dalla nota verde all’acidità, passando per la dolcezza e chiudendo con un sentore amaricante. Smettiamo definitavamente di avere un approccio razionale a quanto sta accadendo e ci lasciamo andare.

humus, piselli, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Cestino di funghi, Palo Cortado e trifoglio. Anche qui stupisce come l’essere etereo del cestino possa contrapporsi alla profondità gustativa dei funghi. Un boccone di leggerissimo umami.

funghi, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Blini fritto e salsa di corallo. Potenza ed eleganza. Stratosferico.

blini, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Insalata di granchio ghiacciata e uovo. Passaggio complessissimo. In bocca cambiano sia le consistenze che le temperature che da fredde e dure divengono piano piano tiepide e morbide. Incomprensibile e geniale.

granchio, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Vongole glassate con limone. Passaggio estremo. Le vongole glassate con l’acqua di mare trovano nell’acidità un’ulteriore spinta verticale.

vongole, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Un altro vino.

vino, chenin, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Ventresca di tonno con olio di noce e foglia di patata dolce. Passaggio defaticante.

ventresca, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

La triglia. Compatta e scioglievole, carica di sapore eppure così delicata. Semplicemente la triglia più buona mai mangiata in assoluto.

triglia, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Maiale in due preparazioni: da una parte il pane imbevuto nel grasso del maiale e la cotenna croccante, dall’altra pane croccante e costine. Il maiale e la sua nemesi. Provocazione molto divertente.

maiale, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Seppia, fondo di maiale e salsa speziata. Ennesima dimostrazione di grande maestria. Consistenza, gusto e una nota speziata per nulla scontata.

seppia, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Pane fritto e aglio. Una battuta di spirito.

pane fritto, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Aglio glassato e pane arrostito. Un’altra preparazione che completa la precedente. Stessi ingredienti trattati diversamente per ottenere un risultato completamente diverso. Didattico.

agli glassato, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Il piatto completato, con l’aglio “schiacciato” personalmente sul pane. Un grande piatto che ha ispirato Lorenzo Cogo per la creazione di un grande dessert (già recensito su questi canali).

aglio schiacciato, lorenzo cogo, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Il vino.

vino, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Foglie di aglio e maiale. Il classico biscotto di natale basco regala una piacevole nota speziata ad una preparazione che trova nella grassezza del maiale il contrappunto adeguato per contrastare la pungenza delle foglie d’aglio, resa ancora più percepibile dalla consistenza secca delle stesse.

foglie, aglio, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Buccia d’arancia e concentrato di anatra. Interessante oltre che divertente.

anatra, arancia, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Pane e formaggio di capra.

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Un altro abbinamento.

vino, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

From bitter to sweet. Un ottimo pre dessert che si concentra sulle sfumature gustative dei fiori eduli.

Predessert, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Fragole e crema al latte. Gradevolissima sperimentazione di consistenze diverse su ingredienti conosciuti che in questa maniera richiamano alla memoria l’infanzia in maniera del tutto nuova.

fragole, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Cialda alle erbe aromatiche e mousse alcolica.

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Marshmallow con Cherry ossidato. Divertente omaggio all’omino Michelin… Ironico?

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Per finire I sette peccati capitali. Ormai un classico.

7 peccati capitali, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Orgoglio.

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Invidia.

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Ira.

ira, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Gola.

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Avarizia.

avarizia, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Lussuria.

lussuria, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Pigrizia.

pigrizia, Mugaritz, Chef Andoni Luis Aduriz, Errenteria Gipuzkoa, Spagna

Passeggiare per il lungomare di Bahia de La Concha è un modo per interrogarsi sul ruolo da interpretare nella vita. Da un lato le splendide ville liberty lasciano intravedere il fascino di un secolo fa, che con il passare del tempo è andato accomodandosi in silenzio beandosi della sua stessa bellezza. Dall’altro invece, in contrasto a questo perbenismo borghese, il rumore dell’oceano precede la sua ribellione furente, facendosi sentire attraverso il frastuono delle onde e lasciando ricordi duraturi come la schiuma sulla spiaggia. È naturale fermarsi a pensare, inquadrandosi e immedesimandosi in una delle due realtà, a seconda dell’indole di ognuno.
Questa cartolina di San Sebastian esemplifica e riassume in maniera perfetta il moto gastronomico basco, di cui Martin Berasategui rappresenta uno dei massimi testimoni e protagonisti.

A differenza di molti suoi colleghi, Berasategui sembra aver deciso di guardare l’oceano seduto su una poltrona di fine ‘800, analizzandone il movimento con l’eleganza che conviene ad un uomo della sua fama.
Entrare al ristorante Martin Berasategui è un’esperienza importante. I mobili di fine secolo in legno sono ingentiliti dalle orchidee che guardano dall’alto ogni singolo tavolo mentre la cerimonia di sala, in guanti bianchi, accompagna lo svolgersi del menù dei grandi classici della casa. Una sorta di raccolta delle migliori intuizioni dello chef basco che con grande coraggio affronta il suo passato confrontandolo con il presente, con l’obiettivo di farli sembrare uno la diretta conseguenza dell’altro.
Obiettivo, nel caso specifico, perfettamente raggiunto, in cui l’elegante disegno cominciato nel 1995 continua ancora oggi ad arricchirsi di colori vivi e saturi. La mano del pittore è ferma e sicura, così come le linee di contorno e la nettezza dei suoi tratti. La coerenza evolutiva è sconvolgente, quasi fosse pensata, studiata a tavolino, per accompagnare il concetto di cucina attraverso le varie fasi della vita, vedendolo nascere, crescere e maturare. Questa coerenza però, seppur affascinante, a lungo andare tende a far storcere un po’ il naso, quando ci si trova maliziosamente a dover ammettere a sé stessi che la creatura dello chef è di certo cresciuta, andando incontro oggi però ad una fase di leggera stasi, che aiuta di certo il concetto di coerenza ma scredita quello di evoluzione. Nulla di errato, nulla di imperfetto, nulla di sbilanciato. Semplicemente una cucina un po’ soddisfatta, poco temeraria, priva dello slancio adolescenziale che le si addirebbe.
Le rotondità e la pienezza gustativa sono il filo rosso lungo il quale si sviluppa la degustazione, che riesce però nel mirabile compito di non incappare in eccessive grassezze, in cui la raffinatezza sta nel saper dosare i molti ingredienti presenti nelle preparazione in maniera mirabile, ottenendo sempre un risultato appagante. Il tono della conversazione è formale ma non ingessato mentre tutte le accortezze, degne di una grande casa, non solo non mancano ma si propongono con spigliata attenzione.
L’impressione è che Martin Berasategui non sbagli un piatto da anni. L’altra analisi che va fatta però è che questa sua perfezione raggiunta paghi lo scotto di essere in difetto nei confronti dell’innovazione.
Rimane solo una certezza. Chiunque passeggi per il lungo mare di Bahia de La Concha resta inevitabilmente interdetto al momento di dover decidere quale sia la parte migliore da guardare. Ed effettivamente una parte migliore in assoluto non esiste. Questo perché la conformazione di San Sebastian è come la sua cucina, splendida in ogni forma.

La splendida sala.
Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
Il pane. Ottimo.
pane, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
Quattro tipi di burro aromatizzati in accompagnamento al pane. Buoni oltre che scenografici.
burro, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
Il primo vino in degustazione.
vino, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
1995. Millefoglie di Anguilla affumicata, foie gras, cipollotto e mela verde. Grandissima dimostrazione tecnica. Dolce, affumicato e acido. Ventun’anni e non sentirli.
millefoglie, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
2014. Gambero rosso, lenticchie, aneto e spuma di olio. Le lenticchie rendono questo piatto godibile dal primo all’ultimo boccone, grazie alla loro consistenza. Buon passaggio.
gambero rosso, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
2016. Caviale, limone e gelatina di maiale. Passaggio ineccepibile dal punto di vista tecnico-gustativo. Un po’ ripetitivo rispetto ai due piatti precedenti.
caviale, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi

vino, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
2015. Ostrica tiepida leggermente marinata, cetriolo ghiacciato e mela piccante. Molto coreografico grazie all’azoto liquido versato nel sottopiatto a scaturire una nuvola di fumo (anche se, davvero, una cosa stravista). Ostrica di qualità eccelsa. Passaggio fresco e intenso.
ostrica, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
2016. Variazione di barbabietola e taramosalata di salmone. Barbabietola presentata sotto diverse consistenze: spuma, gelatina, tartare condita come un ceviche e cialda croccante. Un altro esercizio tecnico decisamente ben riuscito. Ci si sente come di fronte ad un fantastico déjà vu.
barbabietola, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
2001. Cuore di verdure in insalata, frutti di mare, crema di lattuga e gelatina di acqua di pomodoro. Un classico all’interno dei classici.
cuore di verdure in insalata, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi

vino, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
2016. Olive nere e verdi, manzo, capperi e mostarda. Il cambio di marcia atteso in precedenza arriva con questo passaggio complesso e verticale. Il gioco di consistenze degli ingredienti stimola la curiosità e rende il piatto moderno. Molto bene.
olive nere, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
2015. “Il tartufo”. Molto stimolante. Nonostante si abbia la netta impressione di mangiare un piatto a base di tartufo in realtà il tartufo non è presente. Funghi, creste di gallo e foie gras si mescolano ingannando i sensi. Risultato notevole.
tartufo, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
2011. “Gorrotxategi” uovo posato su crema di erbe aromatiche e insalata. Passaggio deludente. L’apporto minerale richiesto al “verde” non perviene. Il risultato è un piatto molto goloso ma un po’ stancante.
uovo, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi

vino, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
2016. Triglia, finocchio, zafferano e nero di seppia. Ottima esecuzione. Elegante, coerente e assolutamente centrato.
triglia, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi

vino, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
2016. Piccione, patate e tartufo. Si chiude nell’unica maniera in cui si potrebbe chiudere un pasto di questo genere. Ineccepibile.
piccione, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
2016. Limone con succo di basilico, fagioli verdi e mandorla. Ottimo.
limone, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
2016. Cioccolato, quinoa soffiata, rum e gelato alla nocciola.
dessert, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi
La piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Martin Berasategui, Lasarte-Oria (Gipuzkoa), Paesi Baschi

Bilbao ti inghiottisce. Entrando nella città basca dall’autostrada, si viene avvolti da un vortice circolare dal quale non ci si riesce a liberare. All’ombra dell’energia luccicante delle curve morbide d’acciaio del Guggenheim Museum, la città sembra rivolgersi a questo capolavoro architettonico in una forma ossequiosa, intravvedendo nella sua ammirazione statica una possibile forma di redenzione. L’obiettivo è il miglioramento ed il mantenimento delle vie, dei palazzi, dei parchi, che correndo accanto al fiume si specchiano sui riflessi pallidi del cielo plumbeo.

È inevitabile dunque rimanere attoniti di fronte a tanta potenza, ad una energia contagiosa, da venerare come fosse una religione.
Josean Alija è prima di tutto un uomo sensibile, romantico ed entusiasta. In secondo luogo, un grande chef.
La sua sensibilità e l’attitudine all’arte culinaria non potevano che trovare sfogo proprio all’interno di questo tempio dell’arte.
Buenos dias” è il coro che proviene dalla brigata di cucina all’ingresso di ogni avventore.

Lì, nuda dirimpetto all’entrata del ristorante, introduce il cliente al mondo creato da Alija, in cui il sincronismo e la collettività sono i caratteri necessari per raccontare memorie ed esperienze di vita vissuta in chiave ludica. L’approccio diretto non trova soluzione di continuità durante tutto l’arco del viaggio gastronomico, mentre la sala spoglia, candida, leggermente movimentata dalla disposizione dei tavoli rotondi, scopre il suo alter ego in un servizio total black spigliato ed energico.
L’obiettivo è subito chiaro. Come in un liquido, il cliente viene immerso in una piacevole atmosfera che lo induce a rendersi inerme e disinteressato del mondo che lo circonda, concentrando le sue attenzioni solo su quanto stia accadendo al tavolo. Nulla di particolarmente sofisticato, nessun contorsionismo celebrale, solo una passeggiata all’interno del gusto made in Spain, focalizzato su usi e costumi baschi ma che non disdegna affatto le tradizioni culinarie del sud.

La sublimazione del gusto di ogni singolo ingrediente rende questa cucina inconfondibile nei suoi tratti. In maniera apparentemente semplice, lo chef si propone andando ad approfondire l’essenzialità degli ingredienti. Lo fa attraverso un minuzioso gioco cromatico, seguendo un’evoluzione palatale coerente con quanto proposto, lavorando più per sottrazione che per addizione. La sintesi perfetta della sua filosofia di cucina si riscontra nei brodi, nei fondi e negli estratti straordinariamente e stranamente consistenti, quasi viscosi, in grado di acuire l’essenzialità della preparazione andando a vestirla di un abito semplice ma di immensa eleganza. Emblematico esempio ne è “fagioli bianchi con brodo vegetale”, piatto che accarezza l’espressione massima del fagiolo, della sua consistenza, del rispetto assoluto per le sue tonalità. Il brodo vegetale accoglie e unisce con rispetto tutto ciò che lo chef voleva comunicare, andando però, senza mai rendersi eccessivo, ad allungare e amplificare gli umori del legume.

Nonostante la maniacale ricerca della perfezione, la cucina di Nerua non impegna psicologicamente e non affatica palatalmente. Il ritmo del servizio tiene alta la guardia dei commensali, sulla falsariga di quell’energia percepita passeggiando per la città. La proverbiale leggerezza delle preparazioni educa e prepara all’avvicendarsi delle portate, mentre le pareti del Guggenheim che si scorgono dalla sala accompagnano la nuance delicata e pura della cucina di Alija.

È una cucina sorridente quella di Nerua, che con la semplicità di un bimbo regala tocchi di finissima percezione che però emozionano proprio per la loro natura spontanea.

La mise en place.

mise en place, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna, Guggenheim Museum

Il pane. Ottimo.

pane, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Contemporaneamente all’inizio della degustazione comincia anche l’abbinamento dei vini correlato. Il pairing si rivela particolarmente interessante, anche grazie all’innesto di qualche bevanda analcolica. Davvero un bel lavoro.

vino, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Pomodorini, erbe aromatiche e fondo di capperi. Piatto profondissimo e delicato. Ogni pomodoro presenta un grado di acidità leggermente diverso. Il fondo di capperi è il preludio alla maestria dello chef alle prese con i liquidi.

pomodorini, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Dal rosso al verde. Asparagi, avocado, rucola e clorofilla.

asparagi, avocado, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Tartare di branzino con caviale Asetra Imperial. Grande passaggio. La tartare leggermente tiepida lascia esprimere appieno il saké con cui è condita e i suoi aromi. La spinta iodata del caviale completa il tutto.

tartare di branzino, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Arrivano due tipi di Jerez differenti da abbinare ad una sola preparazione. Gioco didattico per cogliere le differenze tra un abbinamento e l’altro.

jerez, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

jerez, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Rapa bianca, Parmigiano e Jamon Iberico. Il ricordo di una carbonara. Il piatto meno riuscito del pranzo. L’essere italiani in questo caso forse non aiuta.

rapa bianca, parmigiano, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Ecco il primo abbinamento analcolico.

abbinamenti, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Supportato da uno alcolico.

Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Scampo, fiori di zucca, curry e menta. Il mare e l’orto in un sol boccone. Materia prima eccellente.

scampo, fiori di zucca, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Gamberetti, taccole e pesca. Primo omaggio all’Andalusia. I gamberetti cotti sulla brace di quercia si armonizzano con i sentori dolci della pesca. Piatto fresco e ben riuscito.

gamberetti, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Gambero di fiume soffritto e pil-pil. Piatto da ko: goloso, speziato, profondo ed evocativo. Un racconto di un ricordo dell’infanzia dello chef che non ci appartiene, ma che arriva con straordinaria intensità.

gambero di fiume, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Cuore di tonno con olive nere di Aragon. L’aperitivo andaluso riproposto in chiave gourmet.

cuore di tonno, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

vino, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Acciuga fritta, crema d’avena e salvia.

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Astice con fondo di erbe aromatiche. Altro fondo e altra emozione.

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Fagioli bianchi con brodo vegetale. Straordinario.

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Scalogno in salsa nera. Molto divertente. La consistenza dello scalogno ricorda quella di un calamaro.

scalogna, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Calamaretto, cipolla rossa e fondo di piselli. Piatto che completa il precedente, con la presenza del calamaretto prima solo immaginato…

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chablis, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Kokotxa di merluzzo al pil-pil di peperone verde. La storia delle gastronomia basca sintetizzata in un piatto.

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Ventresca di bonito, crema di cipolline e aglio. Piatto totale. Goloso e e finissimo allo stesso tempo.

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vino, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Nasello fritto con fili di peperone “choricero”. Un altro classico della cucina basca. Molto bene.

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vino, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Guancia d’agnello, cavolfiore e manzanilla.

guancia, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Quaglia, purè di patate, mandorla ed estratto di grano.

quaglia, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Fragole, mela e gelato di fieno greco.

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Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna

Fico, menta e latte dell’albero di fico gelato.

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Bollo de Matequilla.

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La piccola pasticceria.

Piccola Pasticceria, Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna, Guggenheim Museum

La cucina a vista in entrata del ristorante.

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Nerua, Chef Josean Alija, Bilbao, Spagna, Guggenheim Museum

Mugaritz Restaurant, Gipuzkoa, Spagna

È ancora capace di dividere, il ristorante Mugaritz, saldamente ai vertici mondiali nella classifica dei 50 Best, eppure baciato dalla controversia che oppone fazioni di pubblico e di critica, forse persino le sfere emozionali dei suoi stessi clienti. Sintomo di uno stato di grazia condiviso da pochi, grandi chef: in questi tempi di abbiocco per prandium, la cucina si divincola più viva che mai fra i rebbi della forchetta e riesce persino a graffiare il palato inviando i suoi messaggi nervosi al cervello.
Andoni non è un cuoco qualunque: mangiare al suo Mugaritz significa sprofondare in un’altra dimensione culinaria, che chiede all’ospite un vigile abbandono, quasi una forma di sonnambulismo che concili veglia e sonno, interrogazione e vaticinio. Da sempre clamorosamente inattuale, artista postumo nell’accezione di Jean Cocteau, ha di certo anticipato il naturalismo che rampica dalla Scandinavia all’Amazzonia, senza tuttavia indulgere al brutismo primitivista e low tech delle espressioni più puntute. Nessuna sbavatura nei suoi piatti, anzi un’attenzione che rasenta la maniacalità per dettagli pressoché insensibili alle papille umane; neppure l’ombra del riduzionismo che accetta la complessità della cucina insieme ai colli dei galli cedroni. La perizia tecnica, tanto avanguardista che classica, dovuta a maestri come Ferran Adrià e Martin Berasategui, è innanzitutto un’istanza di rigore. Anche se ultimamente altre urgenze sembrano avere guadagnato la primazia: caduta la dimostratività degli anni 0, una diversa “semplicità” scolpisce i piatti, incentrati su un’idea sensoriale piuttosto che sulla tecnologia o sul concetto.
Soprattutto Andoni sembra possedere il requisito oggi imprescindibile nel panorama gastronomico internazionale: il possesso di un registro emozionale, cioè gustativo proprio. È l’insapore, da sempre investigato quale estrema provocazione in tempi di concentrazioni muscolari, capace di attrarre nel mulinello del suo vuoto la materia vagante del pensiero. Molte portate sembrano non contenere un solo grano di sale (per esempio il sugo di gamberi rossi delle scaglie di ghiaccio), quasi che ancora una volta la testa e la gola debbano ingaggiare il loro duello gastronomico.
La messinscena del pasto mira a scongiurare qualsiasi tipo di routine, per esempio attraverso titoli-trappola che non corrispondono alla reale composizione del piatto (cipolla carbonizzata al posto del nero di seppia), in modo da attivare la sensibilità del commensale. La prima parte del menu, dal toast affumicato con l’astice e la sua testa, che profuma di prateria e di primavera, allo struggente racemo di amaranto rosso fritto con sesamo in polvere, studio sulle testure sabbiose dove l’Oriente torna categoria dello spirito, va consumata con le mani, per esaltare la tattilità e il rapporto originario col cibo. Ma gli stessi supporti sono qualcosa di più di uno strumento: veicolano piuttosto una forma di sinestesia con l’ingrediente che riesuma gli esperimenti futuristi attraverso la citazione delle tessiture (il legno per la carota, i minuscoli arabeschi del fritto pastellato). Fino al gioco della morra che vivacizza l’impeccabile royale a bassa temperatura, servita con caviale o meno a seconda di chi vince, e alla puntata in cucina per abbattere la quarta parete di qualsiasi ristorante, dove si gustano i mini-rombi fritti. Ennesimo ingrediente aurorale che però lancia il sasso della provocazione sulla definizione di “buono”, suscitando un legittimo shock. Giacché la sacrosanta retorica della sostenibilità partecipa delle nostre sensazioni, così come il pregiudizio verso quanto è bruciato o incenerito (vedi il condimento del tendine fritto e il toast di midollo, dove sembra ancora fumare il terribile incendio del locale nel 2010); cosicché a insinuarsi è una cucina del sospetto che demistifica le certezze precostituite, emancipandocene. Alla fine del menu sopraggiungono poi i 7 vizi capitali, sequenza di piccola pasticceria contenuta in una torre di Babele a cassetti. Cioccolatini vuoti per la superbia, nessun cioccolatino per l’avarizia, consistenze lubriche per la lussuria. Un’allegoria in piena regola, che insinua l’ennesimo dubbio sui livelli di lettura dei piatti che l’hanno preceduta.
Ma anche l’impiattato contribuisce ad instaurare uno straniamento fecondo: scorrere le portate del menu equivale ad una carrellata di UFO (Unidentified Food Objects), mai così alieni rispetto agli enti tridimensionali che popolano i nostri frigoriferi e i banconi dei mercati. Sono spesso esaltati dal tocco vegetale di erbe impossibili: la messicana papaloquelite, twist olfattivo dell’agnello con i suoi aromi di foglia di mandarino e coriandolo, come la tea rock, da cui si estrae un dolcificante naturale immacolato.
L’elemento dominante, però, è la testura, vera ossessione di Andoni. Un po’ per ragioni di terroir (la cucina basca valorizza consistenze gelatinose altrove sgradite, vedi le kokotxas); in parte quale elemento di sovversione del gusto. Il menu si configura quindi come una sequenza di tattilità sottilmente “disturbanti”, sempre perfette nella loro esecuzione: la vischiosità filamentosa del granchio, la cui “mucillagine” deriva dai semi di lino ammollati nel latte delle noci di Macadamia; la spugnosità del riso fermentato, un’esplosione di sakè e di cantina; lo stridio sotto i denti del vetro di cioccolato; l’amido crudo dei dolcichini, che prosciuga il palato dalla succulenza del nasello. Soprattutto l’evanescenza “tiepida” dei trucioli di ghiaccio, sorta di rosa del deserto scarlatta pronta a sciogliersi in bocca senza anestetizzare il palato grazie a una costosa macchina giapponese. Una cucina dell’istante non meno effimera delle pompas del passato, quasi un apologo sull’obsolescenza programmata dell’avanguardia.

Mugaritz Restaurant, Gipuzkoa, Spagna