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Rosario all’Albos Club

La ristorazione nei luoghi deputati alla balneazione, specie se tarata su grandi numeri, è spesso considerata un doveroso complemento, un orpello -dalla qualità spesso approssimativa- all’offerta generale fatta a chi viene per trascorrere una giornata in spiaggia.
Non sfugge a questo quadro il litorale di Fregene, frazione di Fiumicino, dove lidi e mangiatoie si dispongono senza soluzione di continuità su una costa gettonatissima dai romani in cerca di sollazzo e refrigerio.
Non tutti però hanno questa equivoca concezione del concetto di ristorante e qualcuno cerca di proporre qualcosa di diverso sia nella forma che nella sostanza.
Rosario Malapena, all’interno del rinomato lido Albos club, da alcuni anni ormai, ha intrapreso un percorso che lo porta a distinguersi dall’uniforme piattezza che lo circonda.
Al primo piano della costruzione anni cinquanta, a pranzo, e ancor più la sera al tramonto nel periodo estivo, è infatti possibile godere, in primis, di un bel ristorante, dominato dalla luce, tutto nei toni di un elegante bianco, dalle doghe del pavimento, alle pareti, fino alle ampie finestre che proiettando la vista sul mare regalano grande appagamento per gli occhi.
Poi, per quanto riguarda la cucina, ci si trova davanti a ottima conoscenza e capacità di approvvigionamento del materiale ittico che lo chef offre ai suoi clienti preservandone rispettosamente le caratteristiche.
Nei piatti, pienamente al servizio di ottima materia prima, sono presenti pochi fronzoli, affidati per lo più al menù scritto vezzosamente a mano.
Le pietanze elencate sono limitate essendo legate alla mutevole disponibilità del mercato e non sarà, quindi, una cattiva idea quella di affidarsi a uno dei tre menù degustazione presenti in carta.
Arriveranno antipasti crudi di livello e ben eseguite preparazioni come il padellotto di cozze o le gustose alicette fritte che sono di buon auspicio per il prosieguo della cena.
Quando però le pietanze necessitano di una più approfondita conoscenza della tecnica i risultati lasciano più a desiderare, vedi la salsa non concentratissima che accompagna la semplice insalata del pescatore, la panatura poco accurata del merluzzo, l’eccessiva semplicità, quasi naif, di alcuni contorni o la fattura della crema che guarnisce la millefoglie.
Il pasto resta comunque piacevole e soddisfacente, allietato da un servizio cordiale e attento e dalla possibilità di scegliere da una carta dei vini molto ricca su cui spicca un elenco di champagne davvero encomiabile.

Carpaccio di baccalà e cipolla caramellata.
carpaccio di baccalà, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Tartufi di mare e ostriche Gillardeau.
tartufi di mare e ostriche, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Gambero gobbetto, gambero viola e scampo.
gambero gobetto, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Insalata del pescatore con salsa alle carote.
insalata del pescatore, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Alicette fritte.
alicette, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Padellotto di cozze.
cozze, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Caprese scomposta al Samaroli e triglia fritta.
caprese scomposta, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Merluzzo su panatura aromatica all’aceto di riso e sakè su crema di melanzane.
merluzzo, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Spaghetto con cernia, olive e mandorle tostate
spaghetto con cernia, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Leone di mare alla griglia con battuto di pomodori.
leone di mare, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Millefoglie.
millefoglie, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Semifreddo al pistacchio su salsa di caffè e mandorle tostate.
semifreddo, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Ricotta e pere.
ricotta e pere, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Frutta.
frutta, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Petit fours.
petit fours, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Una grande bottiglia.
grande bottiglia, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Interno.
interno, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Ingresso.
ingresso, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma
Vessilli.
Vessilli, Rosario all'Albos Club, Chef Rosario Malapena, Fregene, Roma

L’Osteria Fernanda appare ora, dopo aver lasciato gli angusti spazi che l’hanno ospitata fino ad aprile, come un moderno e luminoso bistrot, del tutto adeguato all’offerta gastronomica che una grande città come Roma dovrebbe avere.
Quattro ampie vetrate fronte strada danno ampiamente conto della spaziosa e piacevole sala che ospita il locale, cui si aggiunge un soppalco dai cui tavoli è possibile osservare il laborioso affanno della brigata che finalmente opera in una cucina degna di questo nome.
Lo chef Davide Del Duca e soci hanno fatto le cose per bene, e quello che si respira è davvero l’atmosfera di una macchina i cui ingranaggi girano tutti nel verso giusto.
Ogni cosa sembra già abbastanza registrata, come il servizio garbato ed efficiente, anche in serata di pienone, la puntualità nella tempistica dei piatti e una lista dei vini piena di piccole chicche, che offre l’opportunità di scelte interessanti.
Le idee chiare proseguono anche in cucina: una dozzina di piatti salati più i dolci tanto per sottolineare il saggio concetto, ormai diffuso e accettato, che è deleterio disperdere inutili energie nella quantità delle scelte possibili.
Accanto a qualche piatto ultra tradizionale come l’amatriciana, giusto per non rendere la denominazione di Osteria un puro vezzo, si trovano in carta pietanze che utilizzano diversi ingredienti base interpretati ricorrendo ad accompagnamenti dalle tonalità di volta in volta acide, speziate, o persino dolci a seconda dell’estro dello chef.
L’andamento oscilla fra la riuscita di alcuni piatti e l’incompiutezza di altri, quasi che in questi ultimi si sia tentata una quadratura del cerchio non ancora pienamente raggiunta.
Ecco allora che il petto d’anatra guarnito da un’ottima salsa alle nocciole e i cappelletti ripieni di birra su rassicurante spuma di parmigiano, funghi e zenzero sono sintomatici di un’abilità non da poco, tanto nella fattura dei cappelletti quanto nella finitura della salsa, nonché nella cottura delle carni.
Allo stesso modo i dolci, pur cercando una strada originale e non eccessivamente elaborata, non riescono a elevarsi da un onesto livello medio piuttosto interlocutorio. C’è della brace che cova sotto la cenere ed è lecito sperare, dalla passione e dalle capacità manifestate, che questo locale possa evolvere e inserirsi stabilmente nel gotha del panorama gastronomico di una città non facile per chiunque voglia proporre una cucina originale e che tende ad allontanarsi dai percorsi tradizionali.

Mise en place.
Mise en place, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
I pani. Particolarmente interessanti i grissini e il pane con uvetta, noci e cumino.
Pane, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
Amuse bouche: alici marinate, burrata e cipolla, fegatini di pollo con visciole e nocciole, ostriche con nuvola di rapa rossa, mandorla e zenzero. Poco incisivi.
amuse bouche, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
Carpaccio di manzo ripieno della sua tartare (in pratica un saltimbocca), terra di foie e visciole, spugna di salvia.
Carpaccio di manzo, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
Petto d’anatra, salsa di nocciole, cipollotto e nespole fermentate.
Petto d'anatra, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
Spaghetto Cavalieri con salsa di melanzane bruciate, coriandolo, scampi e pistacchi.
spaghetto con salsa di melanzane, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
Cappelletti ripieni di birra, spuma di parmigiano, funghi, zenzero, foie marinato.
Cappelletti  ripieni di birra, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
Pluma di maiale, salsa di pastinaca, ‘nduja ghiacciata, passion fruit.
pluma di maiale, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
Piccione, petto scottato e coscia in oliocottura, topinambour, salsa al caffè, arachidi e polpetta di fegatini.
piccione, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
Predessert: Gelato di nocciola, spugna di caffè, panna e nocciole tostate.
Predessert, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
Salsa di ricotta, gelato di salvia, spugna di salvia, meringa al karkadè e frutti rossi. Dolce fresco, pur se non particolarmente significativo.
Salsa di ricotta, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
Spuma all’aglio nero, gelato di birra rossa, bucce di tubero fritto e crumble di cioccolato. Poco marcata la concentrazione del gelato e poco convincente il gioco di consistenze col tubero.
aglio nero, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
Petit fours: Tarte citron, cioccolato bianco con ripieno di pinha colada, millefoglie con ganache al caramello.
petit fours, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma
Un gran bel vino da una interessante cantina.
vino, verdicchio, Osteria Fernanda, Chef Davide Del Duca, Roma

Non esiste appassionato, almeno in Italia, che non debba ad Andrea Petrini almeno un paio di segnalazioni gastronomiche che gli hanno cambiato la vita.
Chi, tra noi, sarebbe mai finito a dormire su una piccola barca ormeggiata in un’isoletta svedese, leggi Oaxen Krog, o sarebbe andato in cerca della sogliola della vita in una torrida Vichy agostana o avrebbe lasciato il cuore in un mini bistrot della rue Legendre, senza leggere un suo pezzo?

Ci troviamo quest’anno a commentare un’altra delle trovate di questo agent provocateur, inscritta nel più generale progetto Gelinaz!, un collettivo di chef da tutte le latitudini messi insieme dal nostro per realizzare cose letteralmente mai viste intorno al cibo.
In una scena gastronomica sonnecchiante come quella della Roma di questi tempi il Gelinaz Shuffle ha portato tre ore di divertimento “scambistico” (no, non parliamo di DSK…) ospitando nelle cucine del Jardin De Russie il bravissimo Bertrand Grébaut di Septime, a Parigi.

Un passo indietro: cos’è il Gelinaz Shuffle (o cos’era, visto che Gelinaz non è un semplice collettivo che replica per pigrizia formule di successo)?

Un’idea nemmeno così folle: prendere 37 cuochi di culto provenienti da ogni angolo del mondo e fargli scambiare, “vita, identità e ristorante”, per dirla alla Gelinaz.
In ogni locale, da Melbourne a Roma, Tokyo, San Paolo, lo chef, rimasto ignoto ai commensali sino alla lettura del menu, aveva il compito di preparare una cena di otto portate in linea con la cucina dello chef e del territorio ospitante, il tutto secondo la visione e la creatività dello chef ospite.
Una sfida, insomma, ai cuochi in primis, ma anche alla curiosità del pubblico.
Nella performance romana la cornice era quella del dehors dell’Hotel De Russie, una location ricca di fascino dove gli interrogativi erano tanti: cucinerà Ducasse o Aduriz, o magari sarà Atala o Desramaults?
E se poi ci capita un australiano alla prima vacanza romana?
La scelta (o la fortuna? Perché il meccanismo dello scambio resta misterioso e insondabile, ed è giusto così) ci ha portato a provare la cucina di Bertrand Grébaut, tutto sommato un vicino.
Ed è stato un successo, perché questo giovane e sensibile chef ha saputo dare una bella rilettura dell’idea di cucina di un maestro come Fulvio Pierangelini che in questo splendido hotel lavora da qualche anno come consulente.
Grébaut non è un novellino, nonostante l’età: prima di aprire con straordinario successo (provate a trovare posto…) Septime e i suoi due annessi Clamato e La Cave in un angolo super gourmand dell’11e arrondissement, ha passato anni al fianco di Robuchon e Passard, arrivando a maturare una cucina con un ancoraggio forte alla grande scuola transalpina ma una sana apertura alla modernità e soprattutto alla leggerezza.
Il tutto con una maniacale attenzione alla materia prima.

Capire lo spirito della cucina di Pierangelini e saperne restituire lampi e sfumature era impresa non scontata ma innegabilmente riuscita, nei calchi apparentemente più fedeli (il tortello al pomodoro, con la sferzata craquante della mozzarella di Barlotti) o nelle tappe più personali come le verdure infuse nel fieno e yogurt, la riuscitissima melanzana con nocciola e ovuli o la ricciola dal taglio spesso ma affinata da un’acqua di pomodoro al dragoncello di grande eleganza.
La “fusion” fra cucine di chef che hanno diverse matrici assume qui significati e connotati ideali.
Il termine, inflazionato come pochi e impoverito da derive ambigue e superficiali, spesso specchio di idee approssimative e confuse, rivendica qui la propria massima dignità.
I concetti e le idee di persone che con le loro esperienze e personalità hanno arricchito il panorama gastronomico mondiale raggiungono la massima sintesi possibile, la vera fusione.
L’interesse che suscita un esperimento del genere, chissà se unico e irripetibile, riesce ad andare oltre la singola, pur notevolissima, performance.
I brividi e l’eccitazione provocati dall’attesa dei piatti preparati in maniera quasi estemporanea da questi professionisti che in un paio di giorni si calano in realtà diverse dalla loro utilizzando materie prime che conoscono poco sono davvero intensi e riescono ad avvicinare come poche cose al vero concetto di globale, di qualcosa che oltrepassa davvero, abbattendole, le barriere.

La cena è stato un unicum, come detto, ma il fermento alla base di questo progetto ci auguriamo possa produrre altri eventi interessanti e significativi come questo Gelinaz Shuffle.

Testo di Norbert e Roberto Bellomo, foto per gentile concessione di Lorenza Fumelli (www.agrodolce.it)

Amuse bouche.
Gelinaz! shuffle, Andrea Petrini
Ricciola, acqua di pomodoro al dragoncello.
Ricciola, Gelinaz! shuffle, Andrea Petrini
Verdure infuse nel fieno e yogurth.
Verdure infuse nel fieno, Gelinaz! shuffle, Andrea Petrini
Melanzane, nocciole e ovuli.
Melanzane nocciole e ovoli, Gelinaz! shuffle, Andrea Petrini
Ravioli di pomodoro e mozzarella di bufala.
Ravioli di pomodoro e mozzarella, Gelinaz! shuffle, Andrea Petrini
Gambero, pancetta e cipolle dolci.
Gambero Pancetta, Gelinaz! shuffle, Andrea Petrini
Pesche tabacchiere e citronella.
Pesche tabacchiere, Gelinaz! shuffle, Andrea Petrini
Fico e gelato alle foglie di fico.
fico gelato e foglie di fico, Gelinaz! shuffle, Andrea Petrini

In un paese come l’Italia, campanilista per eccellenza, la territorialità gastronomica non è certo un elemento accessorio cui approcciarsi superficialmente, piuttosto una parte imprescindibile del lavoro di molti chef, un vero e proprio prisma capace di emanare riverberi di colore dalle mille sfumature diverse.
Lucio Sforza ne cattura alcune di esse e le offre con sapiente abilità a Roma dove, da tempo, ha spostato la sua piccola ambasciata orvietana, prima alle spalle della Nomentana e poi, dal 2011, in due salette nei pressi di via nazionale, in pieno centro cittadino.
Il riferimento all’orvietano e a quella zona a cavallo tra le provincie di Viterbo e Terni è utile a definire ulteriormente il suo presidio romano; la vigoria, spesso a base di pepe e generoso uso dell’olio, tipiche della regione umbra, viene qui decisamente temperata e accompagnata da una maggiore attenzione alla composizione del piatto.
L’elenco delle vivande è manifesto di una rassicurante aderenza a ricette familiari e conosciute, un solido baluardo della tradizione circoscritta a un ben definito territorio; il tocco applicato alla caratterizzazione delle stesse è alquanto gentile e non indulge nei pesanti rilievi di cui sopra che facilmente potrebbero alterare il godimento delle stesse soprattutto a livello postprandiale.
E allora ecco che, oltre a cotture come si deve, soprattutto delle carni, l’attenzione non può non cadere su accompagnamenti molto appropriati come una salsa al lampone che guarnisce molto felicemente il fuso d’oca o la suprema di peperoni che rifinisce e completa in modo delicato l’ottimo baccalà, piccoli particolari che delineano molto bene la validità della cucina.
Certo, non tutto segue la medesima falsariga, vedi l’emulsione di rucola e acciughe che riveste lo stinco o la salsa speziata che viene servita con le lumache, entrambe non proprio dotate della stessa eleganza, anche se altrettanto capaci di non far venire meno la golosità dei due piatti.
Buoni anche i dolci che permettono una chiusura adeguata al pasto e denotano una non trascurabile diligenza nella loro preparazione, specie nel tiramisù, dove il pane sostituisce in modo molto convincente i savoiardi arricchendo una ricetta classica altrimenti ritenuta rigorosamente blindata.
Interessante la carta dei vini, non ricchissima ma coerentemente concentrata sulle regioni dell’Italia centrale, dove scegliere una buona bottiglia a prezzi ragionevoli non rappresenta certo un’impresa.

Mise en place
mise en place, Asino d'Oro, Chef Lucio Sforza, Roma
Amuse bouche: crema di fave e pecorino con zuppa di cavolfiore
amuse bouche, Asino d'Oro, Chef Lucio Sforza, Roma
Lumache in salsa piccante e finocchietto
Lumache in salsa, Asino d'Oro, Chef Lucio Sforza, Roma
Pappardelle con ragù bianco di fegatini d’anatra al vin santo
pappardelle, Asino d'Oro, Chef Lucio Sforza, Roma
Fettuccine con pesto di asparagi, carciofi al cartoccio, noci e fichi secchi.
fettuccine con pesto e asparagi, Asino d'Oro, Chef Lucio Sforza, Roma
Baccalà con cipolle e uvetta su crema di peperoni
Baccalà con cipolle e peperoni, Asino d'Oro, Chef Lucio Sforza, Roma
Fuso di oca stufato ai lamponi con friggitelli
Fuso di oca stufato, Asino d'Oro, Chef Lucio Sforza, Roma
Stinco di maialino brasato con emulsione di rucola e acciughe e cipolla al cartoccio
Stinco di maialino, Asino d'Oro, Chef Lucio Sforza, Roma
Tris di dolci ( serviti contemporaneamente): tiramisù di pane, riuscita versione del classico tiramisù con il pane che sostituisce i savoiardi, bavarese di ricotta e bacche di gelso con lampone e meringhe e buon budino di salvia e zabaione.
tris di dolci, Asino d'Oro, Chef Lucio Sforza, Roma
A proposito di territorio…
vino, sergio cottura, Asino d'Oro, Chef Lucio Sforza, Roma
Interno
Asino d'Oro, Chef Lucio Sforza, Roma

Nella cittadina di Ostia, che insindacabili e ineffabili regole amministrative considerano parte integrante del comune di Roma, la coppia Daniele Usai e Claudio Bronzi, da una decina d’anni a questa parte, ha spostato sensibilmente verso il mare il baricentro della ristorazione di livello della capitale.
Due lustri non sono pochi nel mondo della ristorazione, specie in questi tempi di svariati e frenetici avvicendamenti, e, soprattutto da queste parti, sono una rarità assoluta e inedita oltre che testimonianza della solidità dell’impresa.
Questi lidi conosciuti, in realtà, più per le antiche vestigia e per le spiagge molto popolari fra i romani che, a dir poco numerosi, si riversano qui nella bella stagione, non annoveravano fra le risorse degne d’interesse anche una signora tavola.
In una delle stradine del centro, non lontanissimo dal mare, una piccola bomboniera di tre raccolte salette è divenuta meta, a ragione, dell’attenzione di un pubblico eterogeneo e costante.
Qui trova ampia soddisfazione, infatti, sia chi è alla ricerca di un indirizzo tranquillo dove passare una lieta serata seguito, con inappuntabile savoir faire, da un servizio informale e garbato, sia chi è un impenitente goloso e si è diretto qui per godere di una cucina eseguita a regola d’arte.
Quanto verrà proposto è espressione di uno stile che prevede materie prime, cotture, accostamenti essenziali e precisi, e dove chiaramente emerge la capacità di chi conosce bene le basi e le applica con rigore e diligenza.
Un tortello confezionato come si deve, un risotto mantecato alla perfezione, una spatola cotta e farcita in modo encomiabile ne sono inequivocabile dimostrazione.
Alcuni particolari, quelli che alla fine potrebbero permettere il salto di qualità a una cucina, denotano però la necessità di una maggiore attenzione alla concezione del piatto piuttosto che alla sua esecuzione.
Così il brodo e il crudo di scampi non riescono a essere degni antagonisti dell’amaro della cicoria che farcisce i tortelli, allo stesso modo la gelatina al nero di seppia, nascosta nel risotto, resta insalutata ospite, non partecipando affatto al piatto; o ancora, la salsa alla menta che accompagna la spatola è di una concentrazione eccessiva e assolutamente sproporzionata all’eventuale funzione cui sarebbe destinata.
Avendo già detto del servizio, non si può non menzionare Claudio Bronzi anche per l’appassionata e notevole selezione di vini caratterizzata dalla presenza di molte etichette meno note ma di valore, che consente a prezzi accessibili scelte interessanti di singole bottiglie o la possibilità di ricercati accompagnamenti studiati con attenzione.

Mise en place.
Mise en place, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Pani.
pani,  Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Ostrica.
Ostrica,  Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Gamberi di Mazara, maionese con melissa e citronella, caviale all’arancia rossa.
Gamberi, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Ricciola affumicata, cipolla rossa, amaranto e dragoncello.
Ricciola affumicata, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Tortello ripieno di cicoria di campo, crudo di scampi e brodo al prosciutto crudo.
Tortello,  Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Spaghettone Cavalieri ripassato in ajo, olio e peperoncino, vongole e chips di aglio.
spaghettone,  Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Risotto al cedro, seppia arrosto, lattuga di mare, cuore di gelatina al nero di seppia.
Risotto al cedro, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Particolare del cuore di gelatina, elemento discretamente avulso dal piatto.
risotto,  Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Filetto di spatola con cuore di carciofo, invadente salsa alla menta.
filetto di pesce spatola,  Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Predessert: mousse al cioccolato bianco e fragole.
Predessert, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Crema al limone, liquirizia, yogurth all’anice liofilizzato, sambuca (accompagnato dalla Sambuca).
Crema al limone, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Soufflèe alla nocciola, fondo di gianduia (accompagnato dal Passonero di Occhipinti).
soufflé, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Spugna al cacao, mousse e gelato alla banana, il meno significativo di quelli assaggiati (accompagnato dal muffato di Antinori).
Spugna, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Panna cotta al latte di capra, limone e tè matcha, il più riuscito dei dessert (accompagnato dall’acquavite di pere).
Panna cotta, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Petit four.
Petit Four, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Dalla degustazione vini selezionata dall’ottimo Bronzi…
vino, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
bourgogne, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
chenin, Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Parterre de rois per l’accompagnamento dolci.
Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma
Interni.
Il Tino, Chef Daniele Usai, Lido di Ostia, Roma