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Momofuku Ssäm Bar

A dieci anni tondi dalla creazione del suo impero newyorkese David Chang, uno dei più acclamati e chiacchierati chef di America, continua ad accrescere il suo tesoretto, con nuove aperture in diversi continenti.
La sua formula è stata ed è tutt’ora copiata e riproposta, senza troppi imbarazzi e vergogne, in migliaia di esercizi in tutto il mondo.
Parliamo della catena (si fa per dire) Momofuku, in giapponese “pesca fortunata”.
Un perfetto mix tra fast food americano, cucina d’autore e sperimentazione che ha subìto, nel tempo, un’impressionante evoluzione in termini di ricerca e obiettivi.
Da un semplice noodle shop, David Chang è arrivato a conquistare apprezzamenti di critica (il suo ristorante di alta cucina -il Momofuku KO- vanta due stelle Michelin e c’è chi azzarda a sostenere che sarà il prossimo tristellato della città) e pubblico (tutti i ristoranti sono sempre pieni e non accettano prenotazioni), attuando una diversificazione nel più tradizionale stile imprenditoriale giapponese, focalizzandosi principalmente su mono prodotti studiati per essere le specialità della casa: prima le zuppe con noodles, poi i ssäm, ovvero wrap o ancor meglio rotolini koreani, poi i dolci -al Milk Bar- e finanche la “pasta” proposta in chiave creativa, al Momofuku Nishi.
Un blend di culture orientali e occidentali, racchiuse in uno stile con una peculiare identità concettualmente calzante a pennello con la frenesia di una eclettica città che, come cantava Sinatra, non dorme mai.
Eppure Chang non ha inventato nulla di nuovo: ha solo riproposto, secondo una sua ottica, delle pietanze retaggio di tradizioni e cultura popolare, dandogli lo spazio adeguato per poter essere apprezzati.

Come il “cha siu bao“, un paninetto al vapore farcito con pancia di maiale, che prima della comparsa nell’East Village dello “steamed pork buns with ssäm sauce” era per lo più ignoto agli occidentali.
Così, a piccoli passi, da una minuscola tavola di quartiere, il ristoratore americano di origini koreane ha tirato fuori dal cilindro uno dei brand di ristorazione più influenti dell’ultimo decennio, almeno, in America.
Al Momofuku Ssäm Bar, la cui cucina è molto vicina a quelle da bistronomia di livello, tutto è “cool”, dall’ambiente informale e di tendenza, al servizio di sala, che si confonde con i clienti e dialoga alla perfezione con la cucina. Ma il pezzo forte, cosa che ci interessa maggiormente, è la cucina con i suoi piatti di classe, coraggiosi ed estrosi ad un prezzo relativamente competitivo (vista la città).
Si parla di preparazioni con ottimi ingredienti e sapori ricercati, con risvolti gustativi inaspettati, in quanto ogni boccone può riservare sorprese rispetto al precedente. Ci sembra cool persino la connessione wi-fi dell’inquilino del primo piano che, probabilmente esausto dal costante viavai di gente al piano terreno, ha pensato di battezzare con il nome “momofuckyou” la propria rete.
E, dulcis in fundo, si può bere anche bene grazie ad ottimi cocktail ed una carta dei vini molto ampia, che spazia tra nuovo e vecchio continente; attenzione solamente ai ricarichi un po’ eccessivi, come da usanza nei ristoranti della Grande Mela.
Questa è solo una piccola parte del microcosmo culinario di Chang che, con il suo stile tramandato in ben quindici diverse attività aperte tra New York, Washington, Sidney e Toronto, ha semplicemente contribuito a cambiare le abitudini del mangiare fuori per i newyorkesi.

Fuori dal locale si intravede uno scorcio della cucina in azione.
Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
Inizio a bomba: Steamed Buns. Pancia di maiale, salsa hoisin, cetriolo, cipollotto.
steamed buns, Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
La mise en place molto informale.
mis en place, Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
Sardine on Toast: cuore di palma, sake, ceci. Preparazione eccellente in termini di freschezza e contrasti.
sardine, Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
Tataki di Capesante di Dover: shisho, pesche, acqua di nocciole. Complesso e gustoso.
tatami di capesante, Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
Procediamo con la consigliata Grilled Octopus Salad: aglio nero, jalapeño, radici di loto fritte. Se non fossimo italiani sarebbe molto interessante. Ma di variazioni di insalate di polpo ne abbiamo viste in abbondanza in ogni dove. Ottime comunque le cotture e le salse.
grilled octopus salad, Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
Dettaglio.
grilled octopus salad, Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
Uno dei cult di David Chang: Heirloom Tomatoes & Plums, ovvero variazione di pomodori, susine, buttermilk, rucola, e shiro dashi. Piacevole ma niente di sconvolgente.
Heirloom Tomatoes & Plums, Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
Il piatto principale è eccellente e molto gourmand. X.O. Roasted Skate: razza alla plancha, pannocchie sottaceto, fagiolini e taccole, lime. Piatto che racchiude al meglio il pensiero di questa cucina.
roasted skate, Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
Chiusura in perfetto stile americano: Fried Bun. Gelato di miele, lavanda, menta. Impegnativo ma anch’esso equilibrato.
fried bun, Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
La cucina.
Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
La sala.
Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York
Entrata. Con vista dell’appartamento dell’inquilino del primo piano.
Momofuku Ssam Bar, Chef David Chang, Matthew Rudofker, New York

Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone

I soba sono delle sottili tagliatelle di grano saraceno popolarissime in Giappone, grazie al fatto che si possono gustare sia in ristoranti di ottimo livello a essi dedicati, sia in più popolari banchetti come, per esempio, nei mercati.
Per quanto anche la seconda tipologia possa essere molto soddisfacente, nel corso di un viaggio in Giappone è senz’altro consigliata la visita a un ristorante a tema soba, nel quale sono serviti anche piatti tradizionali accanto alle diverse versioni di questi noodles.
La nostra scelta è caduta sul Ryuheisoba, ospitato in una piccola, fascinosa casa tradizionale in un quartiere periferico di Kyoto vicino alla Katsura imperial villa e noto anche per la presenza di una bella pasticceria tradizionale (dista un centinaio di metri dal ristorante, non mancatela).
Lo spazio è minimo: seduti sul tatami, ci ospita un piccolo banco di legno chiaro, affacciato sul giardinetto esterno, dove saremo accuditi con la solita grazia da una giovane donna che se la cava anche con l’inglese (segno di un ristorante che ha già una certa visibilità oltre i confini regionali, anche se oltre a noi c’è solo una tavolata di kyotoiti).
La sequenza dei piatti è a scelta dello chef (esiste un menù, solo in giapponese, ma la decisione di farsi condurre nella degustazione completa è privilegiata da tutti i clienti) ed è davvero notevole: la soba, fredda o calda è molto presente (anche in un ottimo budino, in una sorta di tè e come bevanda dall’acqua di cottura) ma è affiancata ad altri piatti tradizionali.
Gli assaggi di soba sono davvero memorabili e molto distanti dalle sbiadite versioni occidentali, con noodles spesso scotti e insapori quando dovrebbero invece essere tenaci e saporiti. Caldi sono sicuramente eccellenti, ma li gusterete appieno nelle versioni fredde, in cui la qualità dell’impasto viene esaltata.
Tutto il resto del menù, non breve, è all’insegna di una grande leggerezza, pulizia di sapori, stagionalità: non è un kaiseki, ma ne condivide l’equilibrio nella successione dei piatti, nella cura nelle presentazioni e nella nettezza dei gusti.
Cotture misurate, brodi di limpida incisività, ingredienti freschissimi: tutto conferma che la cucina qui è una cosa seria, nelle diverse forme che può assumere.
Anche il reparto dolci si fa notare, alternando un budino di soba (interessantissimo per gioco di consistenze e dolcezza contenuta in contrasto con la deliziosa pera in accompagnamento) con un wagashi alla castagna, omaggio alla stagione.
Una bella sosta e un altro tassello nella conoscenza di un’offerta gastronomica varia come poche al mondo.

Prugna e miele. Benvenuto molto gradito.
prugna e miele, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Accompagnato da un ottimo goccio di saké.
sake, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Cosa ci sarà nella scatola?
scatola, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
La prima portata di soba: freddi, con patata giapponese e pesce.
Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Sashimi con salsa di soia e aceto di soia. Buonissimo, qui si va oltre i soba…
sashimi, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
E infatti, brodo di grano saraceno con funghi e salmone: delizioso.
brodo con funghi, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Maccarello alla griglia: cottura millimetrica.
maccarello alla griglia, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Una specie di gnocco di patata e pasta di pesce, boccone interessante ma non memorabile.
gnocco di patata e pasta di pesce, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Ancora soba freddi, in questo caso accompagnati dalla soia e dal wasabi fresco. L’acqua di cottura, allungata con la soia diventa un gradevolissimo accompagnamento.
soba, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Brodo di funghi e kabu (una sorta di ravanello giapponese).
brodo di funghi e kabu, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Riso e castagne con immancabili pickles (superiori alla media).
riso e castagne, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Soba calda in brodo di pesce, deliziosa.
soba calda, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Notevolissimo budino di soba e pera. I dolci non stucchevoli qui sono di tradizione.
Budino di Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Ma un dolce di pasta di azuki e castagna non può mancare.
dessert, pasta azuki, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Tè matcha (il più buono di sempre).
tè macha, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Tè di soba, per chiudere in leggerezza.
tè di soba, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone

In Giappone si mangia benissimo a tutte le cifre.
Al di là dei luoghi comuni e dei pallidi echi che arrivano dalle nostre parti sotto forma, nel migliore dei casi, di sushi bar e, nel peggiore, di all-you-can-eat gestiti da cinesi dove gustare (si fa per dire) confusi mix asiatici, recandosi in quello splendido paese si trova una varietà d’offerta straordinaria.
Quando si parla di “noodles”, questi possono assumere (con mille varianti regionali) la forma di soba (tagliatelle di grano saraceno), ramen (di frumento e di origine cinese) e udon (anch’essi di frumento, normalmente a sezione quadrata molto spessi).
Pur da cultori della materia, mancava nella nostra esperienza la conoscenza degli Inaniwa Udon, una tipologia antichissima (il primo libro di ricette che ne parla è del diciassettesimo secolo), originaria della prefettura di Akita, nel nord ovest del Giappone.
Si tratta di udon più sottili rispetto ai classici, dall’aspetto particolarmente traslucido e dalla consistenza morbida e setosa, che vengono gustati sia affogati in brodi caldi sia accompagnati, a parte, da salse fredde o calde in cui intingerli.
Il modo migliore di testare questa specialità è quello di visitare uno stabilimento classico in cui la preparazione sia eseguita in modo rispettoso della tradizione e la nostra scelta è andata alla sede in Ginza della Sato Yousuke Shoten.
Si tratta del branch nella capitale di uno storico produttore alla settima generazione familiare, presso il quale è possibile, anche a Tokyo come nella sede madre, acquistare i preziosi “spaghi” o mangiarli in loco. La particolare qualità dello stabilimento è certificato dal premio di “Skilled Artisan” ricevuto nel 2004 dall’attuale capo azienda, un patrocinio diretto da parte della casa reale che è cosa non trascurabile nel paese del sol levante.
La location è molto curata ed elegante, se si pensa che si tratta di un mangiare povero, ma non lasciatevi intimorire: al momento del conto non avrete nessuna lacrimuccia da versare.
L’offerta è davvero basic: meno di dieci possibili scelte tra udon freddi e caldi, accompagnati da tè verde o birra, da scegliersi da un menù plastificato che un po’ stride con arredi e illuminazioni semplici ma di ottimo gusto.
Quel poco che c’è, però è davvero buono: gli udon con funghi nameko e daikon grattato sono l’opzione più tradizionale, davvero ottima se accompagnata con la salsa al sesamo che ne aumenta lo spettro gustativo senza comprometterne la grande freschezza e leggerezza. Altrettanto interessante la variante al curry, concessione al “fusion” più impegnativa della versione originale e davvero ben riuscita, con un curry forse meno intenso che a Brick Lane ma molto efficace nell’accompagnare gli udon.
Nel vassoio che vi sarà servito, a complemento dei noodles, una ciotola di riso e “pickles” d’ordinanza, particolarmente graditi al pubblico locale.
Se gradite un rinforzino di udon perché vi è avanzata della salsa, non esitate a chiederlo, è già previsto che vi sia fornito, con un piccolo supplemento.
La vostra tazza di tè non resterà mai vuota grazie alla solerzia delle gentili cameriere, ma nessun rabbocco avrà effetti sul conto finale.
L’addizione suddetta, anche per il più affamato, non potrà superare i 15 euro per una scoperta gastronomica molto interessante, un fast food per gourmet che conferma, se ce ne fosse bisogno, che il buon gusto non si misura in soldi spesi.

Uno scorcio del locale.

Lo spartanissimo menù, in versione inglese. Per rendere l’idea: 1000 yen sono poco meno di 8 euro al cambio attuale.

Una vista da vicino degli udon. La lucentezza viene ottenuta raffreddandoli col ghiaccio dopo la cottura.

Il servizio degli udon al curry. Come tutti gli udon freddi, vanno presi con le bacchette (hashi) e intinti nella ciotola contenente la salsa, in questo caso il curry.