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Retrobottega

La ricerca spasmodica del format più adatto alle proprie aspirazioni e alle proprie necessità lavorative appare sempre di più un lavoro in sé, potenzialmente frustrante e niente affatto privo di complessità.
Avere un’idea sensata, conforme alle potenzialità che si vogliono esprimere (nonchè economicamente redditizia) e perseguirla non è infatti cosa semplice né scontata.
Talvolta capita però che un lampo di brillante ingegnosità riesca in modo originale a colpire nel segno dando una svolta, facendo vedere le cose da un punto di vista differente e sorprendendo piacevolmente allo stesso modo sia l’abituale frequentatore di tavole che il saltuario avventore.
E’ questo il caso di Retrobottega, locale capitolino che rivede e reinterpreta l’idea del ristorante occidentalmente inteso.

La formula messa a punto mette sullo stesso piano, evitando qualsiasi genere di compromesso, la convivialità e la qualità espressa dalla cucina.
Non ci sono camerieri, sommelier o commis di sala che si affannano a sostituire i calici al momento giusto, né maitre impettiti pronti a illustrare i menù degustazione.
Non fosse per una sola, abilissima ed efficiente coordinatrice avente il compito di coordinare e dare spiegazioni la filosofia del fai da te la farebbe da padrona.
Come a casa propria ognuno si apparecchia da sé (con tanto di tovagliette all’americana e bicchieri di plastica) e si approvvigiona autonomamente di acqua e vino dalla sparuta cantinetta situata all’ingresso favorendo un approccio ancora più diretto col locale.
Per il resto i piatti o vengono passati direttamente dagli chef per chi è seduto al bancone o portati al tavolo con tanto di spiegazioni dai loro aiuti mutuando modalità già adottate in celeberrimi ristoranti come il Noma.
Parimenti la modalità di degustazione adottata dal ristorante è alternativa ed originale.
Chi vuole assaggiare solo qualche piatto attende pazientemente che si liberi un posto al bancone o a uno dei tavolini all’ingresso.
Per chi invece vuole provare il più articolato menù degustazione (due antipasti, un primo e un secondo a 38€) è invece contemplata la prenotazione al bancone sociale situato nella saletta in fondo al ristorante.
Questi ragionati cambiamenti sortiscono il risultato di favorire l’avvicinamento di un’ampia fascia di pubblico alla ristorazione fugando con intelligenza e sensibilità le titubanze che molti potrebbero avere di fronte ad essa.

La cucina? Come detto è buona, davvero buona, non per niente i due chef proprietari, Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice, vantano apprendistati fatti in cucine prestigiose e blasonate e questo lo si può facilmente riscontrare dalle solide pietanze proposte, formulate senza salpare verso mete esotiche e senza infondere immotivate aspettative, ma al tempo stesso decisamente accattivanti e per nulla scontate.
Piatti come gli squisiti agnolotti del plin al fagiano con salsa al macis e zenzero, il pollo alla diaviola, piastrato a dovere, con peperoni cruschi e gel al limone o un risotto mantecato comme il faut con mirtilli e piccione sono sintomatici di abilità, mano sicura e profonda perizia.
Altri come i totani con crema di patate o la guancia di manzo vanno poco oltre una irreprensibile scolasticità rappresentando comunque dei dettagli rispetto alla tipologia del luogo in cui ci si trova.

Retrobottega, irriverentemente, vuole essere un locale che funge da diga tra la trattoria comunemente intesa e la deriva glamour cui la ristorazione sta andando incontro negli ultimi anni.
Forse una provocazione, fatta con un passo indietro in termini di sofisticatezza e uno in avanti in termini di convivialità e divertimento.
Di certo il risultato è apprezzabile e decisamente non banale.

”Mise en place”.
mise en place, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Amuse-bouche: Panino al vapore al pollo, salmone e tzatziki, tuile alle cipolle con crema di finocchi, sfoglie di riso, zafferano e carbone vegetale.
amuse-bouche, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Pane.
pane, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Totani, porcini, crema di patate.
totani, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Pollo alla diavola con peperoni cruschi e gel al limone.
pollo, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Risotto, piccione e mirtilli.
risotto, piccione, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Agnolotti del plin ripieni di fagiano con salsa al macis (mallo della noce moscata) e zenzero.
agnolotti del pin, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Guancia di manzo, purè di cicerchie, lenticchie, ceci soffiati e puntarelle.
guancia di manzo, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Gelato alla nocciola, ganache al cioccolato, polvere di liquirizia e scorzonera.
gelato, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Crema al grano saraceno, cachi sciroppati e noci macadamia.
crema, cachi, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
In accompagnamento….
champagne, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
chardonnay, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
In occasione di un’altra visita: carpaccio di vitello, salsa tonnata, capperi e paprika.
carpaccio, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Dumpling di pollo alla cacciatora con salsa all’aglione.
dumpling, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Risotto burro e parmigiano con pepe, pastinaca e tetragonia.
Risotto, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Lampuga con con crema di patate, cipolla, semi di zucca e papavero.
lampuga, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Salmone, tzatziki e rape.
Salmone, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Mascarpone, pan di Spagna, caffè e gelatina di cicorietta.
mascarpone, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Ricotta, pera marinata e anacardi.
ricotta, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Particolare del bancone sociale…
bancone, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma
Lavagna….didattica
lavagna, Retrobottega, chef Alessandro Miocchi, Giuseppe Lo Iudice, Roma

Manfred’s & Vin è un posto che, sinceramente, non conoscevamo. Eravamo a cena al Relæ quando il giovane sommelier italiano, chiedendoci con le cortesi domande di rito come stesse andando la nostra permanenza in terra danese, ci consigliò un indirizzo, a suo avviso, “molto particolare” in cui pranzare l’indomani.
Come in molte capitali europee, la domenica è il giorno di chiusura dei ristoranti gourmet. “Siete andati al Manfred’s vero? Se non siete ancora andati ci dovete andare! È uno dei ristoranti più alternativi della città“. “Chi è lo chef?” chiediamo noi. “Nessuno chef, solo una decina di pazzi che si cimentano in accostamenti strani e innovativi e sperimentano ingredienti nuovi. Il cliente è una sorta di cavia“, ribadisce il ragazzo. Solo un istante dopo, capiremo che il posto in questione, ubicato proprio di fronte a noi, è “l’altro” ristorante del gruppo di imprenditori che sta dietro al Relæ di Christian Puglisi. Un luogo dal concept simile a quello del suo gemello, ma in chiave decisamente più informale (si, ancora di più).
Considerato il primo natural wine bar in città, Manfred’s offre una cucina incentrata su preparazioni rustiche che acquistano valore grazie a tecniche di preparazione più evolute. Le radici del cibo nordico non vengono certo imbastardite, sebbene non manchi una contaminazione di stili più moderni che contribuiscono ad affinarle.
Fornelli a vista con bancone e qualche posto a sedere, due piccole salette arredate in uno stile finto vintage, un bancone di vini sfusi con tanto di sommelier a cimentarsi nella degustazione olfattiva e non di diverse miscele di vini biologici. Bastano pochi dettagli per fare di un locale piccolo e sobriamente arredato, uno dei posti più trendy della città.
Ci si fa un’idea, neanche eccessivamente approssimativa, sull’autentica cucina scandinava e su quelli che sono alcuni prodotti alimentari della zona: si dà spazio ad ortaggi biodinamici di Kiselgården, radici di Lammefjorden, maiali di Grambogaard, agnello di Havregaard e tante erbe delle foreste locali.
La cantina, rigorosamente anch’essa a vista, fa mostra di etichette di vini naturali (ça va sans dire) tra i quali riconosciamo qualche rinomato produttore di casa nostra.
Interessante la scelta di creare una società di importazione fai da te chiamata Hvirvelvin (i pallet se li vanno a prendere direttamente dal produttore), gestita dal sommelier Anders Frederik Steen, il cui manifesto elogia e supporta i vignaioli eroici che lottano con passione per ottenere vini naturali.
Il menù cambia giornalmente (davvero!) e prevede due piatti di verdura, un uovo e, a scelta, un piatto di carne o di pesce. Noi, ovviamente, abbiamo assaggiato tutto per farci un’idea d’insieme, constatando, ancora una volta, un’ottima qualità degli ingredienti, verdure in primis, una cottura perfetta del piatto principale (il maiale) e un uso accentuato di erbe aromatiche. Il tutto ad un prezzo decisamente ragionevole per la città.


Pane, sempre di un tipo, sempre ottimo da queste parti.

Carote marinate ai fiori di sambuco.

Cetriolo con bergamotto e noci. Unica concessione extraterritoriale con l’utilizzo dell’agrume, tipico delle nostre terre.

Tartare di merluzzo, crème fraiche, mostarda, limone, finocchietto e pane essiccato. Segnali evidenti di territorio.

Uovo in camicia con erbette aromatiche.

Cavolo cappuccio, crema di birra e burro, finocchietto fresco. Anche qui, perfetta espressione del territorio.

Asparagi bianchi, cipolle in agrodolce e funghi.

Maiale con mostarda e pelle di maiale fritta. Eccellente la cottura della carne.

Torta di carota, crema di latte di pecora, caramello chips di carote, assolutamente di alto livello.

Tavolo

Cantina

Ingresso

Christian Puglisi è un giovane chef che ha già grandi trascorsi alle spalle: stagista a El Bulli, significativa esperienza al Taillevent di Parigi e, soprattutto, sous chef di Rene Redzepi al Noma per qualche anno.
Danese d’adozione, Puglisi, oltre a essere un bravo cuoco, è anche e soprattutto un deciso e brillante imprenditore. Insieme al socio Kim Rossen (anch’egli ex Noma) ha aperto i battenti del Relæ circa tre anni fa a rischio di rimanere nell’ombra del suo mentore. E invece la scommessa è stata vinta alla grande.
L’esperienza precedentemente maturata insieme al concept particolarmente innovativo e trendy in una città vivace ma molto cara, non potevano che concretizzarsi in un grande successo.
Ci troviamo in un quartiere giovanile e modaiolo di Copenaghen chiamato Nørrebro, dove, come capita spesso da queste parti, sembra che ci siano più biciclette che persone.
Il locale è affollato, c’è una cucina a vista, un bancone stile sushi bar e una schiera di tavolini in cui siede una clientela molto eterogenea. C’è anche l’ispettore di una guida gastronomica (almeno così sembra) che si gusta la cena in solitaria. Il ristorante è sulla bocca di tutti in città. Cenando capiremo, effettivamente, che dietro questo progetto c’è davvero pochissimo fumo e tanto arrosto.
Quasi certi di trovare lo stile Redzepi, veniamo prontamente smentiti, sbattendo contro tutt’altra filosofia. Pochissimi ingredienti, non rigorosamente locali. Qui, a differenza del Noma, non c’è un interesse particolare per il chilometro zero. Troviamo ingredienti a noi più familiari come l’olio di oliva e i pistacchi, che Puglisi, consapevole dell’incredibile varietà e qualità delle materie prime del “suo” Bel Paese – aveva sette anni quando da Messina è emigrato con la famiglia nella fredda Danimarca – usa spessissimo così come pomodori, limoni e altri prodotti della nostra terra. L’impronta vegetale è certamente prevalente, ma è la sapiente modulazione dell’acidità a rendere ancor più interessante la cucina del Relæ, fatta di tre ingredienti a piatto, ognuno con un suo grado di importanza e caratteristiche ben definite e tutti cucinati in diverse consistenze.
Ci si diverte dall’inizio alla fine, sebbene si senta la mancanza di quell’emozione in più che consenta il grande salto di qualità. Si tratta comunque di un’esperienza che consigliamo di fare se ci si trova da queste parti.

Pochi fronzoli, a partire dalla mise en place: le posate si trovano già nel cassettino del tavolo e i tovaglioli sono di carta. Tutto è pensato per non rubare la scena a ciò che sta nel piatto.
Il servizio è giovanissimo e rispetta le giuste tempistiche. I piatti vengono spiegati dai cuochi di diverse nazionalità.
Mirata anche la scelta di etichette biologiche e biodinamiche da tutto il mondo, in perfetta sintonia con l’offerta gastronomica proposta, ma con qualche ricarico di troppo. Abbiamo trovato interessante e deciso l’abbinamento con il maiale del Préty 2010, uno chardonnay ruvido e minerale di Alexandre Jouveaux, novello produttore di vini della zona di Mâcon la cui microscopica produzione sta facendo il giro del mondo.

Il menù si trova nel cassettino del tavolo, insieme alle posate.

Olio – una grandissima trovata per questi luoghi =) – siciliano, come le origini dello chef in accompagnamento ad un eccellente pane a lievito madre.

Il primo piatto del menù fisso: Uova di lompo, daikon e mandorle. Gusto molto delicato ma con le tonalità dolci domate con grande maestria dall’amaro della mandorla. Le uova di lompo fungono da elemento salato. Un’apertura intelligente che lascia presagire i passaggi successivi del nostro percorso.

Cipolle al forno, crescione e pistacchio. Piatto tecnico, dall’intrigante impatto estetico e notevole nell’equilibrio tra elemento vegetale e contorni grassi.

Purea di patate, olive e latticello. Rustico e accattivante. Nessuna monotonia al palato grazie al lavoro svolto dalle olive. Puglisi è un vero maestro delle acidità naturali.

Carote, fiori di sambuco e sesamo. Fresco, aromatico e alle giuste temperature.

Il piatto principale è il Carré di maiale (provenienza locale, da Hindsholm, penisola danese) con carpaccio di topinambur. Grande qualità della carne e ottima concentrazione del fondo.

Dettaglio.

Ma il colpo d’ala arriva col dessert: Latte, alga kelp (anche conosciuta come kombu) e caramello. Minimalista nella presentazione; una giostra di sapori in bocca. Neutro, dolce, iodato, ancora dolce. Chapeau.

L’abbinamento: Préty ’10 – Alexandre Jouveaux, Uchizy, Mâconnaise.

Interni.


Ingresso.

“Nel tentativo di plasmare il nostro modo di cucinare, guardiamo al nostro paesaggio e approfondiamo i nostri ingredienti e la nostra cultura, nella speranza di riscoprire la nostra storia e il nostro futuro”.
Mangiare al Noma oggi significa fare un’esperienza fuori dal comune. È riduttivo parlare soltanto di cibo. Cosi come riduttivo è limitarsi alla valutazione gustativa ed emozionale del singolo piatto senza contemplarlo – probabilmente a mente fredda – soffermandosi sulla filosofia e la costante ricerca che c’è dietro ogni preparazione. E’ solo prendendo un aereo per la Danimarca che si riesce a concepire l’incredibile successo di questo cuoco e del suo luogo. René Redzepi, fenomeno classe ’77, ha (re)inventato la cucina dei paesi del Nord, un po’ come hanno fatto i fratelli Adrià con la cucina moderna, ed il pensiero della sua NOrdisk MAd ha avuto una tangibile influenza su moltissimi cuochi e ristoranti, non solo nordici. (altro…)

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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Esiste una cucina d’autore Danese pre e post Renè Redzepi. Prima dell’avvento di questo gentile e cordiale folletto l’alta cucina Danese era totalmente appiattita nello scimmiottare, malamente, lo stile franco-italiano. Poi arriva lui, dopo importanti esperienze al French Laundry, a el Bulli e al al Jardin de Sens, e sconvolge, rivoluziona, definisce un nuovo paradigma in maniera così profonda tanto da meritarsi l’appellativo di precursore della “New Nordic Cuisine”. Una cucina fatta di ingredienti locali, bacche, muschi, licheni, funghi, erbe spontanee e tutto il sensazionale pescato del mare del nord. Un trionfo di buoi muschiati, granchi degli abissi marini, aragoste delle Far Oer, tartufi del Gotland, germogli di felce o trifogli acetosi dei boschi danesi sino allo skyr, formaggio da latte fermentato di cui già i Vichinghi si nutrivano dopo aver riposto le loro spade a doppia impugnatura. (altro…)