Se fino a pochi anni fa la vicenda di uno chef russo in Italia, impegnato a proporre una cucina legata non al territorio d’origine quanto a quello d’adozione, sarebbe suonata grossomodo come una barzelletta, oggi in fondo la cosa non finisce per risultare più sorprendente di tanto. Un tempo abituati ad incontrare, ed assai sporadicamente, qualche cuoco francese trapiantato in Italia, abbiamo infatti preso rapidamente confidenza, prima grazie alla piccola calata germanica degli anni ’90 e 2000 e poi con la comparsa lungo lo Stivale di chef delle più varie nascite, con l’idea che la Cucina Italiana abbia più bisogno di buone mani che di vessilli sventolati.
Diplomato all’Alma, Nikita Sergeev, un quarto di secolo portato con invidia (la nostra), ha aperto da poco più di un anno, insieme alla madre, questo piccolo ristorante nel centro della turistica Porto San Giorgio. Nikita alza talvolta il tiro creativo e non senza un certo coraggio, diremmo, dato che questo tratto di riviera, una volta esauriti i mesi estivi, lascia al ristoratore una delle clientele fra le più conservatrici d’Italia, assai poco disposta a scostarsi dal rituale “insalata di mare-vongole in guazzetto-riso alla pescatora-campofiloni rosso scampi-frittura-arrosto-sorbetto-caffè-mistrà, e che non costi più di 30 euro”. Ci troveremo perciò, in una sera di inizio gennaio, a condividere la sala, eccessivamente riempita da tavoli troppo grandi rispetto alla metratura, solo con una coppia. Una punizione eccessiva per il livello di una cucina che, pur nei limiti della giovane età dello chef e dei conseguenti peccati d’inesperienza, riesce a produrre piatti apprezzabili. Persino originali, talvolta, come ci dimostra un risotto cacio e pepe con salmone e le sue uova (in apertura), apparentemente ai limiti del probabile ed invece, pur con qualche aderenza colonnesca, ben riuscito e personale, oltre che eseguito in maniera superiore alla media dei risotti sub-rubiconiani.
Fra dettagli già ben assestati, come un ottimo set di pani o una ghiotta piccola pasticceria e accostamenti già funzionanti, si inseriscono qualche cottura eccessiva e alcune ingenuità davvero evitabili, come la bizzarra trovata di versare un bouillon caldo sopra una granita di ostrica, causando la totale perdita in pochi secondi di qualunque contrasto termico.
I 50 euro del menu degustazione, o i 60 per un pasto completo alla carta, collocano l’Arcade in una fascia di prezzo già molto alta per le Marche meridionali. Se, al di là dei limiti attuali, la cucina ci sembra dover maturare e sfrondare qualche orpello, ci pare, viceversa, che il servizio debba essere più decisamente registrato. Solo per citare una delle non poche pecche riscontrate, un tavolo da quattro coperti, in un ristorante di questo tipo e forse ovunque, non dovrebbe mai vedere trascorrere, quali che siano le difficoltà imposte dalla comanda, sempre più di un minuto fra il servizio dei primi e degli ultimi commensali. Ad ogni modo se la proprietà riuscirà a sistemare questi problemi e a dare maggiore continuità alla cucina siamo certi che questo ristorante abbia le carte in regola per diventare, almeno a livello regionale, una tavola di un certo rilievo.
Per il momento la valutazione è perciò fiduciosa ma generosa.
Mare e terra in insalata: ostrica e porcino, lumache di terra e alghe, coda di gambero e tartufo, polipo e patate, spada affumicato e gelatina all’arancia, riccia,tuorlo e caviale di storione. Condimento alle noci. Niente male, ma tutto agglomerato in questo modo (e con un’insalata troppo banale) finisce per esprimere meno di quanto potrebbe.
Insalata di capesante, barbabietole rosse, arance e emulsione allo zenzero.
Sgombro marinato all’anice, crema e semi di zucca tostati, cicoria croccante e nero di seppia. Interessante.
Pennone di Verrigni, burro di Normandia alle cime di rapa, peperoncino e alici di Cantabrico.
Tagliolino fatto in casa agli scampetti, pomodorini secchi, porro in crema, erba cipollina e schiuma di limone. Qui proprio non ci siamo: dolcezza stucchevole e nobile materia prima mortificata.
Rana pescatrice cotta confit in aqua pazza, julienne di verdure e granita di ostriche e rosmarino. Come detto nel testo un piatto deludente.
Astice (pulito) in due tempure, quinoa, lampone e rucola. Piatto intelligente e riuscito.
Sapori di terra: Namelaka alla carota, streusel al tartufo e cumino e yogurt all’aneto. Ottimo dessert.
Particolare.
Zuppetta tiepida di cioccolato fondente, perle di yogurt al zenzero e sorbetto al mandarino.
La ricca piccola pasticceria.
Il pane maison, fra i migliori segnali.