Passione Gourmet Napoli Archivi - Pagina 9 di 12 - Passione Gourmet

Da Attilio

Ogni giorno, da quasi ottant’anni, un numero non indifferente di persone passa dalla pittoresca “Pignasecca”, cuore pulsante di Napoli, per provare una delle più rinomate pizze della città.
Da Attilio, neanche il tempo di terminare l’ultimo spicchio del soffice disco, molti clienti, soprattutto stranieri, sentono la nostalgia di voler tornare, tanto che alcuni lasciano il proprio ricordo cimentandosi a disegnare o scrivere una dedica sui tovaglioli di carta. I più significativi sono appesi lì, alle pareti di una delle due minuscole e caratteristiche salette che si sviluppano in lunghezza tra il forno, all’ingresso, e la cucina, all’estremità.

Oltre a questi cimeli, si scorgono ritagli di giornali in tutte le lingue del mondo, foto di personaggi importanti, premi e tanto altro. Basta tutto ciò a rendere suggestivo questo pezzo di storia partenopea.
Ma c’è anche una grande pizza che attende l’avventore. Una tra le più importanti in città, in termini di evoluzione tecnica ed alleggerimento della tradizione.
Attilio Bachetti, nipote del fondatore, ha apportato grandi novità e proseguito con estrema dedizione e passione la creatura del nonno.
Lavorando sugli impasti -che lievitano naturalmente riposando per almeno 24 ore- ha reso più digeribile la pizza della casa, pur non abbandonando il gusto tradizionale della verace napoletana. Una pizza soffice al centro e con cornicione ben lievitato sono la base di ingredienti che non lasciano spazio ad improvvisazione e indifferenza.
La pizza Carnevale, che nasce dalla rivisitazione della lasagna di carnevale napoletana, è un must.
A forma di stella con le punte farcite di una notevole ricotta a creare un’alternanza di grassa dolcezza e delicata acidità con la dolce salsa di pomodoro, e poi l’equilibrata sapidità della salsiccia, del formaggio e del fiordilatte. Considerata la pietra filosofale della ormai arcinota pizza a stella preparata in tutto il mondo.
Nella Natalina, con baccalà fritto (eccellente la qualità del pesce, sebbene sia un peccato che sia sfuggita qualche spina di troppo), scarola, olive, pomodorini del piennolo, aglio e capperi -il cui nome prende spunto dal baccalà fritto che si mangia a Natale nelle case dei napoletani-, in cui si sente il profondo gusto della tradizione.
Eccellente anche la (o “il”?) crocchè di patate e provola affumicata. Compatta e croccantissima la panatura, armonioso e ben distribuito il ripieno. Nel caso siate particolarmente famelici, non perdete il “crocchettone” con provola salsiccia e friarielli!

Servizio accogliente e di estrema cortesia, ovviamente a conduzione familiare per proseguire una tradizione nata nel 1938, che macina coperti come se fosse un chiosco di street food. In effetti Da Attilio è anche una rinomata friggitoria nonché uno dei punti di riferimento per le pizze a portafoglio, per le frittatine di pasta e per i famosi “bacetti”, preparati da Attilio, ovvero rotolini di pasta di pizza con ricotta, pepe,noce moscata, rucola e provola.
Una piccola lista di vini campani e qualche birra (anche artigianale) accompagna il pasto.

Il forno e il pizzaiolo.
Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli
In preparazione la famosa Carnevale.
pizza, carnevale, Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli

Crocchè di patate e provola.
crocchi, Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli
All’interno la provola filante.
crocchè, Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli
Dal menu scorgiamo la famosa…
menù, Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli
Pizza Carnevale: “otto punte ripiene di ricotta, fior di latte, pomodoro, salsiccia e formaggio”.
Pizza Carnevale, Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli
L’impasto è davvero ben lievitato e la cottura al forno a legna pressappoco perfetta.
pizza carnevale, Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli

pizza carnevale, Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli
Meno umida e più consistente la pizza Natalina che, come detto, pecca soltanto nel diliscamento del baccalà.
Pizza natalina, Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli
Uno dei quadretti appesi ai muri.
Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli
Gli interni.
interno, Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli
Ingresso su via Pignasecca.
Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli
Da Attilio, Attilio Bachetti, Napoli

Capri, l’isola e la sua magia, sembrano già cominciare all’interno dell’aliscafo che in 40 minuti -disegnando una linea retta di schiuma nel golfo- unisce Napoli al suo piccolo porto affollato di yacht.
Mille idiomi si mescolano tra le poltrone, mille valigie si affollano nel pozzetto di poppa, duemila occhi si spalancano alla meraviglia della roccia che si avvicina dagli oblò. Poi basteranno pochi passi sull’asfalto, che si inerpica alla destra del molo, che una struttura elegante nel suo bianco apparirà come poggiata sulla verticale di pietra. A piombo sui granelli della spiaggia.

Qui, al JK Place, il lusso delle 5 stelle è nella perfezione dei dettagli. Prima una terrazza dove il legno induce ad una eleganza semplice, con i divani bianchi dinanzi allo schermo gigante del mare, poi con la ricercatezza degli interni, sofisticati, ricchi, con le boiserie e i gessi ad incorniciare i colori dei pastelli.

Giù, nelle cucine al piano interrato, opera da tre stagioni Edoardo Estatico da Napoli. La cosa sorprendente è il peso delle sue 30 candeline a ricordarci che talvolta gli anni non vanno semplicemente contati. Serio, misurato, studioso. Dopo qualche piatto e qualche scambio di parole sarà naturale sospettare che i capelli sulla sua testa abbiano cominciato a diradarsi come per allinearsi alla profonda maturità che esprime. La sua grande scuola sembra essere stata quella di famiglia, con le donne della casa, nonna e mamma, inconsapevoli ispiratrici della passione di una vita poi divenuta mestiere. Oltre, la gavetta, la fatica, i grandi incontri professionali, l’applicazione, il gioco. I piatti si raccontano in questa cornice. Pur avendo perso totalmente l’approssimazione della cucina casalinga e i suoi eccessi, non ne rinnega i legami, i grandi insegnamenti, le basi.
Profumi innanzitutto. Abbinamenti poi. Una memoria attenta, tra il popolare e l’alta scuola, la ragione e il sentimento, l’accademia e l’avanguardia.

Così si comprende appieno il lungo menu degustazione, che spazia dalla classica perfezione della royale di foie gras, di scuola francese, al divertissement del babà caprese, sfrontato ed indigeno. Dai dovuti abbinamenti mediterranei della spigola con le mandorle, gli spinaci e le olive nere alle sofisticate alchimie della pesca, bergamotto e noci macadamia che firmano gli scampi.
Dessert non all’altezza del viaggio, forse da ingentilire e rendere più eleganti.
Di contorno, intanto una menzione ai pani, di grande fattura e infinita scelta, poi una completa carta delle acque e le attenzioni, nell’attesa, con il burro e l’olio. Bella la scelta dei vini, con le obbligatorie etichette classiche importanti, ma anche con una attenzione al territorio con cantine più nascoste, penalizzate solo da ricarichi eccessivi. Servizio purtroppo non ambizioso come il contesto.

L’ingresso. Quello di una villa, classico ed austero.
JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Una sala interna. Decori, stucchi, colori. Il discreto lusso mediterraneo.
sala, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
La carta. C’è il light lunch da bordo piscina, un piccolo menù tradizionale ed anche la pizza. Poi la carta della cena con 3 degustazioni e una ampia proposta gourmet. Ancora carta delle acque e una bella scelta di bottiglie.
carta, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
L’aperitivo. In terrazza sembra d’obbligo. E allora Bellini sia…
aperitivo, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Si comincia a riempire la tavola: burro di Agerola. Voluttuoso, delicatamente acidulo. Base rinforzata con semi di papavero. Accompagnamento di provolone del monaco essiccato. Monti Lattari. Nomen omen.
burro, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Taralli, grissini, focaccine, pani. Integrale, al carbone vegetale o con peperoni, salumi, zafferano ed anche cipolla. Qui si rende inequivocabile l’idea che la ristorazione la si vuole fare bene. Straordinaria varietà, ottima qualità. Tentazioni da controllare.
taralli, grissini, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Cozza cotta al vapore, parmigiano e nero di seppia per ricostruire la valva, centrifugato di pomodoro ed olio evo a crudo. Tecnica, invenzione e gusto. Sapori netti, restituiti integri al palato dopo tanta elaborazione.
cozza, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Alice arrosto, indivia, senape. Sotto, una fetta di pane tostato. Ovvero l’interpretazione internazionale di un classico inizio.
alice arrosto, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Rapa, caprino, arancia e gelatina di Campari. O dell’interazione degli elementi. Intermezzo papillare da potersi giocare ad ogni momento del pranzo. A compendio la scala di consisitenze.
rapa, caprino, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Bon-bon di gambero rosso, pesca bianca, bergamotto e noce macadamia. Intanto grande materia prima. Anche qui la costruzione del piatto è pura dinamica degli equilibri: prologo dolce amplificato dagli zuccheri della frutta, chiusura pulita con l’amaro dell’agrume e della noce che caratterizzano la bisque.
bon-bon di gambero rosso, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Royale di fegato grasso di anatra, scampi e ciliegia. L’epopea dell’alta cucina. Un omaggio alla cucina francese con un piatto che non consente rivisitazioni ma una perfetta esecuzione. Vale sul curriculum di uno chef. Impiattamento accademico di grande eleganza con la chips di crostacei ad anello.
Royal di foie gras, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Babà Caprese. La memoria come spunto per la creazione. Una versione rustica del dolce napoletano in bagna di centrifugato di pomodoro a rimpiazzare il rhum. Aria di basilico, olio e fondo di crema di mozzarella a ricostruire la caprese.
babà, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Battuta di vitellone con pistacchi, capperi e zabaione all’arancia. Deviazione sulla carne, sebbene cruda, che però non sembra aggiungere valore al percorso.
battuta di vitellone, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
“Ruote” ai ricci di mare, friggitelli e nocciola di Giffoni. Equilibri matematici. Qui ad accompagnare la deriva dolce del riccio ed a contrastarne la arrendevolezza intervengono i peperoncini verdi e la nocciola, in salsa e crudi. Pasta di Benedetto Cavalieri nel suo formato “cult”.
ruote di ricci di mare, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Geometrie di ravioli ripieni alla parmigiana di melenzane. Ancora gioco e memoria, ancora un piatto di disegno contemporaneo ma con echi di ricordi familiari. Le differenti farciture dei quattro ravioli (provola, basilico, pomodoro e parmigiano in crema) ricompongono il piatto tradizionalmente inteso con la protagonista -la melanzana- lasciata come guarnizione a completare. Sfoglia di pasta sottile per la sola funzione di contenere.
ravioli, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Spigola, crema di mandorle bianche pugliesi, spinaci e olive “ammaccate”. Come una onda del Mediterraneo. Servita sulla terrazza poi, la brezza marina che veicola i profumi è un valore aggiunto che completa ed accompagna il piatto come un calice di buon vino. Un piatto che molti stranieri passati da qui porteranno nell’album dei ricordi.
spigola, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Dentice in crosta di pane al carbone vegetale, scapece di zucchine e fior di zucca. L’idea è di ricostruire il pacchero nel quale annidare il pesce, quasi uno scoglio della sue tane in mare. Scioglie il boccone, altrimenti secco, la fluidità e la spinta della zucchina marinata nell’aceto.
dentice in crosta, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Crema catalana, salsa di passion fruit e siringa ai lamponi. Forse, tra tanta natura, stona l’uso della fialetta in plastica.
crema catalana, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Cucciolone di pastiera. Il famoso gelato è qui reinventato con un classico della pasticceria campana. Il risultato è divertente, pratico e molto gradevole.
pastiera, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri
Carota interrata. Mousse allo yogurt, terra di cacao, spugna alla carota, salsa arancia e zafferano. Dolce molto pretenzioso, l’aspetto troppo disegnato, con la riproposizione della carota appena estirpata dalla terra, intimorisce. Da rivedere lo spessore della glassa e il formato troppo generoso.
carota, JKitchen, JK Place, Chef Edoardo Estatico, Capri

Ristorazione Eroica.
L’abbiamo citata anche in altre occasioni, ma in questo caso è un’affermazione quantomai centrata. Trovare una somma di talenti così nitidi ed evidenti, non solo in cucina, che vogliono fare ristorazione di qualità in una situazione a dir poco sfavorevole è raro. Gli Sposito sono da premiare, già solo per questo. E da incoraggiare, in continuazione, inondando la loro tavola di appassionati.

Ma ciò non basterebbe, e non sarebbe bastato anche a tutti gli avventori, professionisti del settore e non, che hanno tessuto le lodi di questo ristorante, a ragione veduta. Perchè è innegabile che Francesco Sposito è uno dei più chiari e limpidi talenti che la nostra cucina ha sfornato negli ultimi anni. Ed ha al suo fianco un fratello, Mario, ed uno staff, gentile e cortese, che non hanno nulla da invidiare al talento del giovane cuoco di Brusciano.

Un team perfetto, affabile, preparato. Che esprime una cultura culinaria ed un’arte dell’accoglienza davvero rare.

E poi c’è la cucina di Francesco. Tecnica, colta, raffinata ed elegante. Sempre sussurrata, mai troppo esasperata, ma costantemente golosa e persistente.
Come un grande vino, sicuramente francese.
Forse l’unica nota che ci sentiamo di muovere è proprio questa: la connotazione di una cucina che è molto internazionale, e di stampo filo-francese.
Nel nostro percorso a mano libera, il più importante presente nella carta e quindi il più indicativo, abbiamo trovato in questo caso pochi riferimenti alla terra di origine rispetto a quanti ce ne saremmo aspettati.
Ma ciononostante siamo rimasti inebriati e piacevolmente cullati dalle rotondità e dall’armonia di queste preparazioni, tutte giocate sul filo millimetrico di tecnica e gusto.
Il punto più alto raggiunto è stato certamente il duo astice-spaghetti e anguilla. Uno sfoggio di tecnica estrema, da grade table francese, con una centralità gustativa ed una persistenza davvero notevoli.
Due piatti che rimarranno a lungo nella nostra memoria come esempio di grande cucina.

Senza poi contare tutti gli altri passaggi del percorso, senza mai una sbavatura o una ridondanza, senza mai una cottura fuori posto o una ossidazione eccessiva. Tecnica sopraffina e gusto in primo piano, con eleganza da vendere.

Da tempi non sospetti parliamo degli Sposito e del loro ristorante come uno dei luoghi più interessanti, innovativi ed effervescenti del nostro benamato Sud. E ci sentiamo di confermarlo ancora una volta, con forza e decisione.

Il benvenuto: forse l’unico appunto che si sentiamo di fare è relativo alla staticità della proposta. In ogni caso, nulla meno che ottimo!
benvenuto, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Fragrante cialda di riso e alghe.
cialda di riso, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Foie Gras, cacao, purea di fichi d’india e pepe di Sichuan. Ottimo l’equilibrio, anche se per il periodo (l’estate) e il luogo non ci è parsa una partenza indovinata.
Foie Gras, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Il babà grigliato in accompagnamento. Qui invece un ottimo tocco, contestualizzato al luogo.
babà, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Spaghetti di seppia al nero: un’esplosione!
spaghetti di seppia, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Bigne al nero ripieno di burrata, sfoglia di seppia, gambero, pesca, erba cipollina, dragoncello. Un piatto ottimo e persistente. Per necessità di servizio e per integrità della materia, immaginiamo, la temperatura di servizio del bignè ci è parsa invero un po troppo bassa. Inezie, s’intende.
bignè al nero ripieno di barrato, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Imperioso, fantastico, magnifico astice (dalla cottura per niente sfibrata, ma tenace, di scuola francese) con royale di birra doppio malto, foglie di senape e purea di friarielli. La nota elegantemente amara di alcuni elementi si sposa alla perfezione e si fonde in un connubio fenomenale con l’astice.

Astice, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Altro colpo da ko tecnico alla prima ripresa. Spaghetti all’acqua di pomodoro e semi di lino, anguilla ai frutti rossi. Un piatto di tecnica spaventosa e di risultato gustativo altrettanto importante. Il concentrato di acqua di pomodoro, acidulo-dolce, nappa alla perfezione gli spaghetti serviti ad una temperatura lievemente inferiore (ma qui centrata e a nostro avviso perfetta) che donano intensità e lunghezza ad una anguilla al sugo di fragola e altri frutti rossi (immaginiamo lamponi), che sgrassano e fortificano la preparazione. Un piatto veramente di alta scuola.
Spaghetti all'acqua di pomodoro, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Fettuccine ai pistacchi, mortadella, polvere di porro bruciato. Altro gran bel piatto, anche qui tecnica da vendere, forse troppo armonico al palato, senza il giusto e a nostro avviso importante contrasto.
fettuccine ai pistacchi, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Rana pescatrice alla parmigiana. Ottimo secondo, molto connotato.
Rana pescatrice, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Piccione, salsa di zafferano e pannocchie, bon bon al cioccolato bianco, cannella e ciliegia. Un piatto armonico, di altissima scuola. Perfetto nella cottura della carne e negli abbinamenti. Davvero notevole.
piccione, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Pasta di mais, ricotta, pomodoro infornato e polvere di olive. Il territorio reso dessert, anzi pre-dessert.
pasta di mais, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

L’immensa e fantastica millefoglie… nulla da aggiungere.
millefoglie, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Cioccolato, caffè, barbabietola. Un dolce interessante.
dessert, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Gli interessanti vini che Mario ha servito durante la nostra degustazione.
vini, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

vino, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

vino, Taverna Estia, Chef Francesco Sposito, Brusciano

Chiude il Golfo di Napoli. Spalanca quello di Salerno. Verticale di roccia emersa con imperio dalle acque, vegetazione arrampicata, una sola linea incerta disegnata con l’asfalto che precipita nella spuma del mare, giù, duecento metri sotto le ruote, con le curve ad entrare nelle case. La Penisola Sorrentina è una cosa così e Vico Equense è come un suo ingresso, ne anticipa le architetture mantenute con una certa cura, respira gli umori di vacanza intorno ai tavolini sui marciapiedi, conserva come una misura che ancora leggi in tutte le cose. Poi pero’, converrà scalare qualche tornante nel suo presto divenire collina, tra i silenzi delle pietre, l’abbaglio dei suoi orti e dei suoi frutti, quegli alberi in equilibrio con le radici a trattenere terra un sorta di geografia completa ed essenziale che forse spiega questa vocazione alla gastronomia di qualità degli indigeni, quasi genetica, inevitabile.

Qui, precisamente da venti anni, Peppe Guida – e sua moglie Lella – hanno scelto di vivere e di ricevere gli ospiti della loro cucina. Qui, da venti anni, attualizzano e reinventano quelle eredità di sapori e tradizioni di questi paesaggi. Quelle di Nonna Rosa, appunto.
Il menù degustazione “Peppe fai tu” è come una pagina ritagliata dall’atlante: una serie di improvvisi che tratteggiano con precisione i luoghi e le suggestioni, lo chef e la sua filosofia. Intanto la scelta accurata delle materie prime con abbinamenti -pochi- declinati con grande mestiere ed impiattati col gusto dell’essenzialità. Poi, grande controllo di cotture e temperature, sapori primitivi riconoscibili, profumi intensi, infine tecnica mai esibita ma nascosta. Funzionale. A servizio. Una cucina tesa a donare eleganza a piatti robusti, che alterna temi consolidati a nuovi raffinati equilibrismi, una cantina spiegata nelle pagine della carta -o quasi libro- che ad alcune belle profondità di rossi e di bianchi affianca proposte in continua evoluzione di piccole cantine con buoni rapporti qualità/prezzo. Servizio in sala che coniuga il sorriso con la professionalità che occorre. Come una casa dove si mangia bene. Molto bene.

Polpettina di manzo con parmigiano. La storia del locale. Tutto è nato da qui, tutto parte, ogni sera, da qui. Un bell’esercizio di memoria.
Polpettina di manzo, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Crostatina con olive ammaccate. Semolino con basilico. Acciuga sale pepe e lime. Zeppolina di alghe. La costiera che si presenta: profumi tra orto e mare.
Crostatina, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Semolino con basilico, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Pane con lievito madre bianco e al finocchietto, grissini, sfoglia di mais. Semplici, E molto buoni.
pane con lievito madre, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
La carta dei vini. Robusta. In via di snellimento e svecchiamento con cantine da scoprire.
carta dei vini, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Gambero crudo, mandorle, lime e gelsomore. Ancora un omaggio alla doppia natura di questi luoghi. Gambero strepitoso, dolce al naturale, fulminato dall’amaro e dall’acido della terra, tema molto caro allo chef.
Gambero crudo, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Sauro su schiacciata di patate, insalata, limone e camomilla. Il signature dish dello chef. Un classico da rifare a casa. La perfezione della semplicità.
Sauro, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Fettuccine di seppia, olio al mandarino, crema di piselli e chips di seppia. Consistenze, contrasti dolce-acido-iodato e poi quel piccolo capolavoro croccante a fornire l’anima della seppia. Qui si comincia a comprendere il mestiere.
Fettuccine di seppia, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Crema di piselli e chips chips, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Lardo, carciofo, spuma di prezzemolo, briciole di pane e crema di aglio dolce. L’aspetto non molto curato inganna. Piatto di grandissima tecnica con un carciofo grigliato e poi finemente e lungamente lavorato per renderlo mousse senza filamenti. Lardo a salare, aglio dolce a chiudere.
lardo, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
5 consistenze di Provolone del Monaco. Una illuminazione arrivata già al secondo cucchiaio delle originali 5 stagionature di Parmigiano di Bottura in una recente visita a Modena dello chef. Un omaggio divertente e divertito. Un grande formaggio locale nelle sue trasformazioni di forma, temperatura e densità. Sconta l’originalità ma il risultato è notevole. Da perfezionare con le differenti stagionature.
Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Fedelini aglio e olio con succo di tordo e gamberi. Riduzione di mare. Assoluta. Il tordo è pesce che non abita le cucine degli chef. Qui, una sorta di bisque –intensa e primitiva- gli rende giustizia. Piatto minimale ma di grande intensità.
Fedelini aglio, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Candele spezzate con genovese di pollo e cacioricotta. Un altro classico, terragno, che sorprende per il carattere del pollo reso ancor piu’ aggressivo dal formaggio fresco grattugiato in uscita.
candele spezzate con genovese, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Calle dei Campi cipollotto, cacio e nduja. Sullo stesso registro un altro primo di carattere. Qui forse manca il guizzo e, alla fine, ci si affatica. La pasta necessitava di qualche secondo di cottura oltre.
Calle dei campi, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Ricciola scottata, caldofreddo di fave alla scapece e pane all’origano. Si ritorna in cattedra con questo trancio di ricciola di millimetrica cottura con pelle glassata e il motivo delle fave alla scapece -in gelato e intere- a rendere dinamico ogni boccone.
Ricciola scottata, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Cannolo di soufflè di pastiera e gelato di caffè amaro. Dessert di buona fattura con la nota tostata del caffè a rendere meno stucchevole la pastiera che riempie un perfetto cannolo fragrante.
Cannolo, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Crostata di limone e timo limonato. Pasta frolla superba per un dolce sostenibile dopo una così lunga ed intensa carrellata di sapori.
crostata di timo e basilico, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Zeppole zucchero e cannella. Tradizionale ed irrinunciabile chiusura golosa con le graffe calde. Pasta di patate di morbidezza estrema.
Zeppole, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense
Uno scorcio della cantina, piccola ma con qualche gemma.
cantina, Antica Osteria Nonna Rosa, Chef Peppe Guida, Vico Equense

Burro, Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia

Un’isola sempre affascinante quella di Ischia.
Il verde dei boschi, il blu del mare, i vapori delle acque termali, il profumo dei limoni.
Conquista il cuore e ritempra lo spirito.
La cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità che permea il cuore degli ischitani si percepisce allo stesso modo tanto nelle lussuose strutture 5 stelle quanto nei piccoli bed & breakfast, come nei ristoranti più blasonati quanto nelle tipiche trattorie dell’entroterra.
Ma, tra le tante strutture, ce n’è una in cui questa cultura acquista un sapore ed un fascino tutto particolare, consentendo ancora oggi di respirare quell’aria di dolce vita che, dalla metà del secolo scorso, ha reso questo angolo di paradiso una delle mete più ambite dal jet set: L’Albergo della Regina Isabella a Lacco Ameno.
Raffinato e mondano come pochi altri.
A completare la sua già ricca offerta, dal 2009 è arrivato l’Indaco, una proposta gourmet degna dei palati più fini ed esigenti.
In sala cortesia e professionalità, in cucina il timone è affidato allo chef Pasquale Palamaro.
Ischitano doc, giovane e capace, a suo agio sia con i piatti di terra che con quelli di mare, dimostra di avere un buon palato ed una buona mano.
Però, come già segnalato nella nostra precedente visita, potrebbe forse essere un po’ più coraggioso, più ambizioso.
Intendiamoci, si mangia bene. La qualità si avverte sia sotto il profilo della materia prima, sia sotto quello squisitamente tecnico. La sensazione però è che manchi quel quid pluris che rende un’esperienza gastronomica unica e riconoscibile.
Qualche incertezza nella concezione di alcuni piatti (a partire proprio da quello di benvenuto), alcune sensazioni di déjà vu (l’olio in polvere, tanto per fare un esempio) ma soprattutto la riproposizione degli stessi elementi in piatti differenti (la crema di mozzarella, le chips di patate sotto la cenere, persino lo stesso fiore edule riproposto in tre differenti portate) danno l’impressione che la voglia di sperimentare si sia presa una pausa, che si tenda un po’ troppo a restare su sentieri sicuri, già battuti, quasi che la vena creativa fosse in esaurimento (cosa che ci sentiamo assolutamente di escludere).
Un atteggiamento comprensibile per uno stellato che si trova ad operare nella scettica periferia gastronomica italiana, in cui è già difficile far accettare una proposta diversa da quella tradizionale ed in cui, osando troppo, si rischia di bruciarsi perdendo quella clientela che faticosamente si è riusciti a portare a tavola.
Molto meno comprensibile se, oltre al talento, che a Palamaro non difetta di certo, si ha la fortuna di avere una location, una struttura alle spalle ed una clientela evoluta come quelle di cui può godere l’Indaco.
Qui si può e si deve osare di più.
I sapori sono comunque piacevoli, leggermente appiattiti su una nota dolce ma, salvo qualche eccezione, abbastanza equilibrati.
La carta dei vini, ben assortita tra italiani ed internazionali, merita una doppia menzione d’onore.
La prima per i ricarichi che appaiono ben calibrati. La seconda per la cospicua presenza di vini locali, un esempio che molti ristoranti in Italia dovrebbero seguire, stellati e non.
In conclusione, a scanso di equivoci, va ribadito che, nonostante ci sia qualcosa da rivedere, dalla tavola ci si alza comunque con il sorriso, segno inequivocabile che il palato è stato adeguatamente gratificato.
Allo chef un solo consiglio: provare a togliere il freno a mano e spingere sull’acceleratore.
La macchina c’è, il pilota anche, al prossimo passaggio ci piacerebbe assistere ad un “giro” record.

La tavola con cestino del pane, grissini, crackers e spugne di alici con burro.
cestino del pane, Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
Il benvenuto della cucina: gambero, uovo, chips di patate sotto la cenere su crema di mozzarella. Un trionfo di tendenza dolce e grassezza. Comunque gradevole ma non l’ideale per aprire il pasto. L’amuse bouche dovrebbe elettrizzare le papille gustative, non anestetizzarle. Un sorso di vino dalla vibrante acidità e tutto torna a posto…
gambero, uovo, patate, Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
Aculei di mare: il riccio secondo lo chef a base di tartare di palamita, capelli d’angelo al nero di seppia fritti, spuma di patate con gocce di olio e limone. Fresco, morbido-croccante ed equilibrato.
riccio, Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
Lingua di vitello, crema di bufala, cicoria e caviale Asetra: ancora la crema di mozzarella, anche qui un predominio delle sensazioni morbide bilanciate a fatica dalla nota salmastra del caviale.
lingua di vitello, Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
Bavette Gerardo di Nola all’acqua pazza di murena, olio all’alloro e spinaci: bella la presentazione, perfetta la cottura della pasta, forse superflua la polvere d’olio, peraltro fin troppo vista negli ultimi tempi.
Bavette Gerardo di nola, Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
Tortello di coniglio agroaffumicato di melanzane e vongole: bello da vedere, gusto pieno ed intenso con nota fumé ben presente. Peccato per la pasta, leggermente troppo erta.
Tortello di coniglio, Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
Nasello in acquacottura di citronella, emulsione delle sue proteine e terra di patate: cottura del pesce perfetta, gusto equilibrato, come guarnizione si poteva evitare di ripetere fiore e chips di patate (qui anche in polvere) già visti in altri piatti.
nasello in acquacottura, Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
Scacco matto al manzo stracotto: presentazione scenografica, scacchiera a base di mozzarella e fondo bruno. Gusto decisamente intenso e complesso, leggermente virato su toni dolciastri.
manzo stracotto, Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
Il predessert: perla di cioccolato bianco con ananas liquido. Un fresco preludio al dolce.
predessert, Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
La natura, salsedine, vaniglia e porcini: gelato alla vaniglia, cioccolato fior di sale, crema ai porcini, cioccolato bianco. Un piccolo quadro. Sulla tela di cioccolato bianco è raffigurato il famoso “fungo”, lo scoglio simbolo di Lacco Ameno. Il gusto è pieno, complesso, per certi versi quasi ruffiano ma sicuramente lascia il segno.
natura salasedine, porcini, Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
E per finire, la piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
Ad accompagnare il pasto un’interessante selezione di vini locali, abbinamento “di territorio” in questa occasione.
 Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
 Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
 Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
 Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia
 Indaco, Chef Pasquale Palamaro, Lacco Ameno, Napoli, Ischia