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Il Ritrovo

Torniamo con piacere a visitare Roberto Pirelli e Paola Tosi all’Osteria del Ritrovo. Il locale, piccolo e rassicurante, è senz’altro uno dei migliori indirizzi nel raggio di molti chilometri dove andare a “pescare” prodotti ittici grande qualità. Qui sulla materia prima non si scherza. Si ripudia ovviamente il congelato ma anche l’allevato. Si cucina quello che si è trovato al mercato.
Per fortuna il mercato in questione è quello, su cui non finiranno mai le discussioni, di Milano. Una piazza cioè, dove è possibile reperire più o meno tutto, a patto di esser disposti a pagare profumatamente la varietà e la qualità dell’offerta. Questi costi , è bene dirlo, si riflettono in modo piuttosto palese sui prezzi dell’Osteria, decisamente sopra la media. Ma raramente la fiducia verrà tradita, in particolare quando ci si affida all’innegabile talento di Pirelli nella rielaborazione in chiave “alta” delle ricette della sua Sicilia. Splendida ad esempio l’arancina ripiena di ragù di cernia su fonduta di Ragusano, varia, interessante e golosa. Ben eseguito anche se leggermente monocorde il totanetto farcito di crostacei e mandorle con tortino di patate al nero (foto di apertura).
Spiace osservare invece come tanto negli spaghettoni ai ricci di Terrasini quanto nella non asciuttissima tempura di gamberoni, calamari e verdure, rispettivamente 22 e 28 euro, ci aspetteremmo una maggiore generosità nell’utilizzo della materia prima, con i ricci che sono solo un’ombra proiettata sugli ottimi Vicedomini e le verdure che nel fritto sono in netta prevalenza su pochi brani di materia ittica.
Pesce che invece abbonda, oltre ad essere di consueto ottimo, nella zuppa con couscous al pistacchio. Al capitolo dessert, eccellente il cannolo, uno sprazzo di vera Sicilia che ci riconcilia con i troppi cannoli mediocri da cui ci facciamo sovente tentare quando la golosità prende il sopravvento sulla ragione. Ottima anche la granita al caffè affiancata però da una brioche inopinatamente riscaldata e che risulta davvero difficile da deglutire. Restano le solite, in larga prevalenze positive, opinioni su questo ristorante, un luogo accogliente dove buttarsi soprattutto quando sale la nostalgia per il mare. Una menzione di merito per l’offerta dei pani e per il servizio premuroso gestito da Paola Tosi.
Arancino di riso farcito con ragù di cernia alla ghiotta e salsa al caciocavallo ragusano.

Spaghettone Vicedomini ai ricci di Terrasini.

Il fritto in tempura.

Zuppa di pesci di scoglio, gamberi e totanetti con granelli di cous cous al pistacchio.

Il fantastico mini cannolo.

Granita al caffè con brioche.

Pani.

L’amuse bouche gentilmente offerto.


Lo strano andamento del mondo vuole che Monza, nonostante sia la terza città della Lombardia, sia incomprensibilmente non avara, peggio, di tavole frequentabili. Qualche locale prova a darsi un tono sfoderando un po’ di apparenza, in verità nemmeno tanta , ma pochissima sostanza. Non possiamo quindi che accogliere con piacere l’arrivo in città di Luca Mauri e del suo A di Alice, che ci pare seriamente candidato a colmare questa lacuna ormai storica. Forte di esperienze presso due colonne della ristorazione brianzola come Giancarlo Morelli e Claudio Prandi, Mauri propone una linea di cucina eclettica che contempla tanto piatti tradizionali come l’ossobuco con risotto alla milanese quanto, in maggioranza, declinazioni talora conservatrici e talvolta ardite di elementi eterogenei. Le verdure sono tenute in considerazione in modo tanto notevole che a loro è dedicato uno dei due menù guidati, mentre il resto delle preparazioni risulta equamente diviso fra terra e mare. La cucina ci accoglie con un moscardino al sangiovese che ci fornisce qualche indicazione sul seguito del pranzo. Notiamo fin da subito tanto la precisione dei fondamentali quanto l’ottima qualità della materia ittica, ma il superfluo giro d’olio ritornerà, pur in un contesto di gradita leggerezza generale. Densa ma non stucchevole nonostante l’abbondante porzione è la pappa al pomodoro con degli ottimi calamari, e gradevole e concentrata risulta la terrina di verdure (in apertura). Il piatto migliore giunge inatteso in forma di un innocuo risotto al pomodoro con limone e basilico. Un piatto “senza rete” che rivela mano e sicurezza e che ci fa sperare benissimo per il futuro. Acidità e aromaticità spinte ma controllatissime e “mantecatura” all’olio, ovviamente aiutata dal pomodoro, di consistenza perfetta. La cotoletta alla milanese è filologicamente corretta, anche se impercettibilmente bruciata sotto, mentre risulta un po’ invadente la salsa alle arance amare su un comunque discreto petto d’anatra accompagnato da una crema catalana di fegato dove tutto il carattere pungente del fegato d’anatra viene preservato senza compromessi. Perfino troppo francescana nella paura di essere troppo carica è la sfoglia croccante con crema e lamponi, realizzata comunque con sicurezza tecnica a testimonianza di una bella mano anche sui dolci. Tante note positive insomma da questo nuovo locale, che speriamo possa progredire sulla strada tracciata, magari rendendo un po’più personale una carta dei vini piuttosto standardizzata.

Pappa al pomodoro con calamari.

Risotto pomodoro, limone e basilico.

Cotoletta alla milanese.

Petto d’anatra con salsa alle arance amare…

…e crema catalana di fegato d’anatra.

Sfoglia croccante con crema e lamponi.

Col caffè.

Entrata.

Charles Ludwidge Dodgson..