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Wicky’s Wicuisine Seafood

Se dovessimo fare un classifica dei termini più in grado di raggelare l’appassionato gourmet, vittima dell’inevitabile consiglio dell’ennesimo amico entusiasta, sul podio troveremmo senza dubbio, perlomeno al Nord e nelle grandi città, il termine fusion.
Negli anni 2000 il proliferare di locali, molti dei quali a basso quoziente di probabilità, che facevano della contaminazione di cucine dal mondo la propria bandiera, ha portato il mondo ghiotto a ribattezzare con-fusion, o nei casi più violenti kung-fusion, questo approccio culinario.
Ma al di là delle ironie e delle facezie, le potenzialità dell’inserimento di elementi autenticamente fusion in contesti di cucina, anche molto alta, sono elevatissime. E’ sufficiente pensare alla cucina di Robuchon e alla sua influenza sui grandi chef francesi attualmente nel fiore della carriera, per poterle riconoscere.
Con la sua propria ostentata attitudine per il nuovo e per l’insolito non poteva che essere Milano, in Italia, l’incontrastata capitale della cucina fusion. Ed è proprio nella città della Madonnina che Wicki Priyan, criminologo cingalese appassionato di Giappone e di cucina, ha trovato il successo. Nel suo Wicky’s Wicuisine, Priyan propone una cucina di marcata impronta nipponica, ridisegnata però a partire da ingredienti provenienti da tutto il mondo, con un occhio di riguardo per il Paese ospitante.
Rispetto alle nostre visite precedenti dobbiamo dire di essere stati davvero colpiti dal sushi, che relativamente a questa visita non fatichiamo a definire tra i migliori finora assaggiati sul suolo italico. Chicchi ben separati e percepibili come tali, eppure perfetto supporto a Nigiri a prova di cedimenti strutturali. Materie prime oltre ogni possibile discussione. E soprattutto abbinamenti talora azzardati, ma sempre mirati ad esaltare le caratteristiche specifiche dell’ingrediente principale.
Altri piatti, soprattutto i secondi presenti nel menu degustazione, tengono molto in alto l’asticella, mentre in altre preparazioni la cucina interviene sui prodotti con meno personalità. Ci aspetteremmo, inoltre, visto il rango del locale, qualcosa di più dai dolci. Invece, per la quarta delle “onde” previste dalla carta, bisogna accontentarsi dei dessert prodotti dalla pur ottima pasticceria Besuschio, serviti, come nel caso dei gelidi sorbetti, in modo non sempre ottimale.

L’ottimo carpaccio dei 5 continenti, un classico di Wicky Priyan.
carpaccio, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Meno significativo quest’altro carpaccio, accompagnato da indivia, salsa yuzu, soya e capperi Serragghia.
carpaccio, indivia, yuzu, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Di bella personalità il carpaccio di Angus alla soya, arricchito dalla salsa Wicky e dal sake.
Angus alla soia, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Il notevolissimo sushi.
sushi, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Elegante e molto buono, malgrado l’apparente abbondanza di condimento, il filetto d’orata con salsa al lemongrass e zenzero, accompagnato da friggitelli.
filetto d'orata, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Sullo stesso ottimo livello ecco il Kaneki Kyoto, maiale cotto 16 ore con mela caramellata e senape.
maiale cotto 16 ore, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Anatra alla soya, un poco asciutta.
anatra alla soya, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Non memorabile la tempura, con qualche residuo d’olio di troppo.
tempura, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Fra i dolci è apprezzabile il new tiramisù.
new tiramisù, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Mentre la temperatura gelida rende davvero problematici questi gelatini “il cuore della frutta”.
Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Si beve bene, e con ricarichi tutt’altro che da Milanodabere, sia quando l’etichetta è nota…
krug., Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
…sia quando ci si affida alla casa.
sake, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano

Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano

Entri, ti siedi, apri il menu e inizi a leggere: “Incendio nel porcile”, “Ora o mai più”, “Riassunto di cosce” sono solo alcuni esempi di nomi di piatti…un po’ spiazzato, alzi gli occhi e non puoi non notare una serie di cassetti che sembrano uscire da una parete.
Inizi seriamente a temere di essere finito in un antro di cucina iper-concettuale dove opera il giovane apprendista stregone di turno. E invece…
Siete nella parte migliore di una zona non bellissima della periferia nord di Milano. Lontano dai nani e dalle ballerine che affollano quella che una volta era definita la “Milano da bere”. Il ristorante si chiama Manna ed è, già da qualche anno, il regno di Matteo Fronduti: cuoco che vi colpirà da subito, oltre che per l’imponenza dei baffi, per la grande carica di passione che riesce a trasmettere.
Sarà lui probabilmente già ad aprirvi la porta e certamente prenderà le ordinazioni. Quindi lo vedrete, infaticabile, fare la spola tra sala e cucina per controllare che ogni cosa vada per il verso giusto.
Insomma, il classico cuoco che ci mette la faccia oltre al nome.
Ma, poco sopra, abbiamo lasciato sospeso un invece…
Altro che cucina concettuale. Quello che più colpisce al Manna è proprio il contrasto tra certo surrealismo dell’ambientazione – nomi dei piatti inclusi – e la assoluta concretezza della cucina che è materica come poche.
Ingredienti di qualità molto buona, preparazioni semplici, attenzione maniacale nelle cotture e una grandissima concentrazione di sapori. Cucina, dunque, di assoluta sostanza ma, al contempo, di nessuna pesantezza.
Siamo a inizio dicembre, la stagione dei porcini è ormai agli sgoccioli e così: “Ora o mai più” è Riso mantecato, funghi porcini e bagoss. Un risotto perfettamente eseguito. E che funghi.
“Tentacolare” poi non può che essere polpo alla plancia. E che polpo.
E “Riassunto di cosce”? Semplice: prosciutto di bue, pollo affumicato, coniglio e anatra perché son tutte buone le cosce del mondo.
La carta dei vini è abbastanza ristretta, ma tutto sommato adeguata al tipo di locale che il Manna vuole essere. Asciutto, essenziale, con i piedi ben piantati per terra.
Avrete capito l’antifona, da Manna si sta bene, si mangia bene e trovano soddisfazione tanto il raffinato gourmet quanto il palato più semplice.
Un indirizzo prezioso -che dagli esordi ad oggi ha fatto tanta strada- per una serata a tutta gola in una Milano lontana dagli ormai logori cliché meneghini.
Ad Majora.

Ab Ovo – Uovo affogato, finferli e porri. Estremamente goloso. E che finferli!
uovo, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Giacomo XVI – Ravioli tostati di erbe di campo, ragout crudo di capesante, scorza di limone. I ravioli sono fatti solo con acqua e farina. Il risultato sono una sorta di piccoli panzerotti (non fritti, ovviamente). Non un classico primo piatto, ma tutto sommato niente male.
ravioli tostati, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Ora o mai più – Riso mantecato, funghi porcini e bagoss. Grande concentrazione di gusto.
riso mantecato, funghi porcini, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Tentacolare – Polpo alla plancia, lenticchie e pesto di pomodori secchi.
polpo, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano

D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano

Davide Oldani ci aveva visto giusto in quel lontano 2003. Il primo esponente in Italia del movimento dell’alta cucina pop, tesa a democratizzare un concetto ed un percorso sino a quel momento considerato elitario.
Antesignano di un movimento che è quanto mai attuale e contemporaneo. Un percorso, quello dello chef di Cornaredo, che però non si è arrestato affatto all’atto dell’ideazione. La continua e costante crescita del D’O è lì a provarlo.
Tanto tempo è trascorso e tanta strada è stata fatta nella direzione della pulizia stilistica e gustativa. Oggi i piatti del D’O sono molto più precisi, puliti e gustativamente equilibrati di un tempo. Il dosaggio della nota dolce, connotazione tipica di Oldani, è oggi addomesticata e resa sottilmente elegante, tenuemente presente. Lasciando più spazio a contrasti e ad un caleidoscopio di sapori decisamente più complesso ed articolato. Lo spessore del rigore tecnico, mai mancato o venuto meno, è stato affiancato anche da un percorso di ammodernamento e di avanguardia teso alla leggerezza e pulizia delle preparazioni.
Certo, l’impronta classica di Oldani è ancora marcatamente evidente nelle portate principali, che risentono ancora di un timbro che è connaturato nella storia e nel percorso dello chef. Ma a ben vedere è anche un tratto distintivo intrigante.
Così come intrigante e personale è la timbrica gustativa di questa cucina, adagiata sul sucré-salé ma senza per questo esserne sopraffatta.
Se proprio dobbiamo, quindi, eccepire qualcosa alla cucina di Oldani lo dobbiamo fare sui secondi piatti che rispetto agli antipasti e ai primi risentono più di tutti di quel classicismo appunto in cui i fondi, lo sappiamo, la fanno da padrone e rischiano a tratti di tenerlo un po’ imbrigliato.
Davide Oldani in questi due lustri è riuscito a fare qualcosa di unico e difficilmente replicabile e cosa più importante è riuscito a non rimanere confinato nel suo personaggio e nella sua cucina, che per definizione è appunto pop ma in continua evoluzione.
Sicuramente Davide Oldani è però anche pronto a cimentarsi in qualcosa di diverso e di più complesso, magari in quella Milano che lo ha amato sin dal primo giorno. Ci ha visto bene Re Giorgio (Armani) che ha scelto Oldani per la recente cena di gala in occasione della sua “One night only” di Parigi. E chi sa che un re indiscusso della moda non ne incoroni uno, della cucina.

Mise en place
mise en place, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Cipolla caramellata, Grana Padano riserva D’O caldo e freddo: un classico a cui non ci si può sottrarre.
cipolla caramellata, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Cotto-crudo, morbido-croccante, acido-basico: barbabietola un bel gioco per il palato.
barbabietola, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Insalata amara, carciofo e manioca al profumo di carbone: bei contrasti e bella nota fumé.
insalata amara, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Panettone e riso alla milanese: nella nuova versione rivisitata il panettone è sbriciolato anziché a pezzetti e il risultato è migliore.
panettone e riso alla milanese, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Vellutata di cavolo viola e rosso, pisarei, sardine e fichi secchi: un grande piatto che ci ha lasciato senza parole per impatto e consistenza.
vellutata di cavolo viola, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Pistacchio, bergamotto, matcha e riso in due forme: per noi un po’ troppo dolce.
pistacchio, bergamotto, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Cassoeula D’O: un classico della cucina milanese ben interpretato da Oldani.
cassoeula, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Sfera di oliva nera, mela, cavolfiore setato, buccia di lime e uovo affogato.
sfera di oliva nera, cavolfiore, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Pavé di “Fario” dorato, vino e scorzanera amara: il piatto con meno appeal del nostro pranzo.
fario dorato, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
“Carpione” di sgombro, emulsione di frutta all’olio, alette di pollo e puntarelle amare.
carpione di sgombro, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Babà al cioccolato, succo di zenzero, carota ed arancia: per golosi incalliti.
babà al cioccolato, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Crema bruciata di cardi, “Zephir” bianco, origano e tamarindo.
crema bruciata di cardi, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Barbajada.
barbajada, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano

Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano

Ha aperto da poco più di due anni, il “ristorante con orto” voluto da Alice Delcourt e dal gruppo di ristoratori già artefice delle fortune del Ratanà e si è già conquistato un posto d’onore sulla piazza milanese. Grande visibilità mediatica, buoni riconoscimenti sulle guide e larga eco tra il popolo dei gourmet. Insomma, un successo.
E la cosa non stupisce più di tanto dal momento che questo piccolo locale sul Naviglio Pavese ha con grande intelligenza fatto propri alcuni temi vincenti nel mondo della gastronomia dei nostri giorni.
A partire dal famoso chilometro zero. Che qui è declinato all’ennesima potenza dal momento che alle spalle del ristorante c’è l’orto. Dove Alice Delcourt, sulla scia di Michelle Obama, coltiva molte delle erbe aromatiche e degli ortaggi utilizzati in cucina. Scelta intelligente, biologica, che indubbiamente piace e riscuote consensi.
Ma Erba Brusca si distingue anche per una certa essenzialità, una attitudine spartana che, si sa, in tempi di crisi non fa mai male. Il locale non è bellissimo (soprattutto durante la stagione invernale in cui non si può godere del dehors che dà sull’orto), le tovagliette sono di carta, qualche tavolo è davvero sacrificato, in bagno non abbiamo trovato l’asciugamani e in sala si marcia ma non si dispensano grandi sorrisi.
Insomma, qui si viene essenzialmente per godere della cucina della Delcourt e per spendere il giusto. Ed è inutile sottolineare come a Milano offrire buona cucina a prezzi umani sia una mossa vincente.
E la cucina della Delcourt è buona anche se non ci sembra dare pieno spazio alla concentrazione dei sapori.
Territorialmente non incardinata in binari ben definiti – d’altra parte la chef è francese, di madre inglese e con un vissuto a stelle e strisce – la cucina di Erba Brusca è cucina globale. Accanto ai buoni prodotti dell’orto, infatti, la chef propone con successo preparazioni e ingredienti non proprio a chilometro zero come il buon tonno Bonito che abbiamo gustato in una riuscita versione Tataki.
In linea generale si fa apprezzare la grande attenzione alla stagionalità dei prodotti, e una bella leggerezza di fondo anche quando si affrontano piatti ricchi come il Risotto crema di rucola e lardo. Tecnicamente la cuoca c’è, niente da dire e la cena risulta assolutamente gradevole. Nessun piatto (fatta eccezione per il pre-dessert) denota errori di esecuzione o concezione.
Forse quello che manca è il piatto del KO, quello che non dimentichi, quello che fa la differenza. Ma in fondo poco importa.
Insomma, siamo di fronte ad un ristorante che mantiene quello che promette: una cucina buona e leggera, tecnicamente valida, in un ambiente easy e con un conto umano. A Milano.
Un posto in cui si ritorna.
Ad Majora

Tataki di Bonito con capperi, pompelmo e panna acida all’erba cipollina.
tataki, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano
Molto buona l’Insalata di puntarelle alla romana con uovo poché.
insalata di puntarelle, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano
Vellutata di cavolfiore con saba ed erba brusca.
vellutata di cavolfiore, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano
Risotto con pesto di rucola e lardo.
risotto con pesto di rucola e lardo, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano
Piccione al forno con purea di sedano rapa e mele. Il piatto migliore.
piccione al forno, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano
Crema di crescenza con fichi
520
Tarte tatin di mele con panna acida.
tarte tatin di mele con panna acida, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano
Parfait al cioccolato con olio d’oliva e fleur de sel.
parfait al cioccolato, Erba Brusca, Chef Alice Delcourt, Milano

Se la prima puntata del nostro speciale milanese è stata soprattutto l’ennesimo apologo sul web del panino a stelle e strisce, in questa seconda ed ultima eccoci giunti alla classifica dei dieci migliori hamburger di Milano.
A onor del vero due fra i locali in lista si trovano in realtà abbondantemente fuori dai confini metropolitani, ma abbiamo scelto di inserirli comunque alla luce dell’elevata qualità riscontrata in entrambi, mantenendo comunque buona facilità di accesso per chi arriva dalla città.

Non è stato facile stilare una classifica ed è bene precisare che essa tiene in considerazione, oltre al gusto, numerosi altri aspetti come, ovviamente, la qualità delle materie prime, la bontà e la “tenuta” del pane, la cottura della carne, le salse, la fattura del contorno.
In alcuni casi inoltre abbiamo scelto, a parità di livello, di premiare una maggiore aderenza ai parametri yankee, perché se è vero che l’hamburger ha dimostrato un’eccellente versatilità nel valorizzare alcuni ingredienti tipicamente italiani, ci sembra giusto riconoscere un premio a chi cerca di eseguirlo in maniera assolutamente, o prevalentemente, filologica.

Venimmo, vedemmo, e senza indugio li mangiammo, ecco dunque a voi la top ten!

#10: Polpa
polpa, Hamburger a Milano, Top Ten
A pochi passi da Porta Romana ecco questa “Burger Trattoria” dove tutto, dai font ai particolari d’arredo, è scrupolosamente studiato per ricreare, forse ironicamente, un ambiente senza pretese. Bella scelta di carni e di ingredienti, ma il risultato, comunque più che godibile, è ancora assai migliorabile.
Cosa ci piace: l’alto grado di personalizzabilità e l’ordinazione con consegna di mestolo numerato, che fa tanto gioco della scopa alla festa delle medie e per questo ci piace.
Cosa non ci piace: il pane troppo secco ed una cottura eccessiva rispetto al taglio più grossolano della norma della polpetta.

#9: Ham Holy Burger
Ham Holy Burger, Hamburger a Milano, Top Ten
Fra le prime insegne cittadine a propugnare la declinazione gourmet dell’hamburger, Holy Ham ha raddoppiato il locale di Via Palermo aprendone uno gemello in Via Marghera. E’ senz’altro solo suggestione, ma continuiamo a preferire la sede originaria.
Cosa ci piace: le buone materie prime e il servizio, assai celere e agevolato dall’ordinazione, invero non da tutti apprezzata, tramite iPad.
Cosa non ci piace: il rendimento altalenante, con serate decisamente meritevoli di una miglior posizione ed altre assai meno felici.

#8: Love Eat
Love eat, Hamburger a Milano, Top Ten
L’hamburgermania ha presto varcato i confini della città di Milano, e dobbiamo riconoscere a Love Eat di essere stato fra i primi a presentare un prodotto di qualità fuori dai Bastioni. Apprezzabilissima la proposta, varia (e comprendente la sfiziosa versione “alla Rossini”) e largamente personalizzabile, con quattro tipi di bun ed ingredienti gourmet come il Bettelmatt.
Cosa ci piace: ad un prezzo simile a quello dei concorrenti milanesi (in media 14 euro per burger e buone patate) viene proposta anche una piccola entrata.
Cosa non ci piace: i dolci proposti, di livello decisamente inferiore a quello del burger.

#7: Ristorante Macelleria Motta
ristorante macelleria motta, Hamburger a Milano, Top Ten
L’hamburger è una solo una delle molte proposte della Macelleria Motta, vero e proprio tempio della carne che ci sentiamo di segnalare, pur fuori Milano. Questo burger ruota intorno alla magnifica qualità di una patty di taglia extra large (300g abbondanti), in grado di mettere in difficoltà anche gli stomaci più allenati.
Cosa ci piace: la carne a livelli stellari. Nonostante i 22 euro possano scoraggiare l’ordinazione, ci pare giusto ricordare, oltre alle considerevoli dimensioni della polpetta, che trovandoci in un ristorante vero e proprio sono previsti alcuni extra, come un benvenuto e la piccola pasticceria con il caffè.
Cosa non ci piace: non sono previste customizzazioni oltre alle ottime salse maison. Il pane e gli altri ingredienti finiscono inoltre per risultare un mero accompagnamento alla fantastica carne.

#6: Burbee
Burbee, Hamburger a Milano, Top Ten
Dietro l’aspetto di una pizzeria d’asporto da 6mq, con tanto di mensoloni e sgabelli per chi gradisse consumare il pasto sul posto, si nasconde una delle novità più interessanti dell’ultimo anno: zero spazio all’apparenza, massima sostanza per ottimi burger accompagnati da birre artigianali.
Cosa ci piace: l’offerta no frills, che consente di contenere i costi a fronte di una buona qualità globale, e la “cucina” a vista.
Cosa non ci piace: a causa delle ridotte dimensioni del locale può risultare difficoltoso trovare posto negli orari di punta.

#5: Pisacco
pisacco, Hamburger a Milano, Top Ten
La moderna trattoria milanese, con un’offerta variegata ai limiti dell’eclettismo. Il burger è “soltanto” una delle voci della carta, e pochi vi presterebbero attenzione, se non si trattasse della celebrata versione di Andrea Berton, pioniere dell’hamburger gourmet meneghino.
Cosa ci piace: la finezza quasi paradossale dell’hamburger, con carne di qualità ed un ottimo pane, accompagnato da eccellenti patatine.
Cosa non ci piace: l’unica possibilità di scelta è il grado di cottura della carne. La griffe Berton ha inoltre il suo peso nello scontrino: il panino, oltretutto di taglia piuttosto contenuta, è infatti prezzato 16 euro.

#4: Café Trussardi
Cafè Trussardi, Hamburger a Milano, Top Ten
Residenza originaria dell’hamburger targato Berton, il bistrot del Levriero non si è limitato a conservare la pregevole creazione ma è riuscito addirittura a perfezionarla, accompagnandola con chips di fattura difficilmente migliorabile, in un contesto di grande tono.
Cosa ci piace: le materie prime, l’esecuzione (e la location) giustificano pienamente i 24 euro richiesti, rendendolo sì il burger più caro fra quelli provati, ma anche uno dei più meritevoli.
Cosa non ci piace: la dimensione “primitiva” dell’hamburger finisce per stridere un po’ con l’affettazione del luogo.

#3: Denzel
Denzel, Hamburger a Milano, Top Ten
“Non cuocerai il capretto nel latte di sua madre”, dice la Torah; da Denzel, locale che osserva i dettami Kosher, non troverete pertanto traccia di formaggio nell’hamburger. Nonostante questo limite oggettivo, non c’è però dubbio che quello offerto sia un panino davvero di alto livello.
Cosa ci piace: è il migliore tra i locali in classifica ad offrire un burger di agnello, ed a realizzare tutto in casa. E’ inoltre possibile scegliere la pezzatura della patty (fino a 530g!).
Cosa non ci piace: l’assenza del formaggio priva il panino di quell’amalgama goloso che ha contribuito al successo dell’hamburger nel mondo.

#2: Fatto Bene
fatto bene, Hamburger a Milano, Top Ten
In zona centrale, ma ai margini dell’Area C, ecco spuntare la novità che abbiamo trovato più interessante. La scelta non è in assoluto ampia, ma ogni singolo ingrediente si rivela assai pregevole, merito anche della rotazione della proposta, che varia frequentemente in base al mercato e alla stagionalità (in autunno è passato di qui perfino Sua Maestà il tartufo bianco).
Cosa ci piace: nell’eccellente hamburger spicca per qualità il fantastico pane. Davvero ottime le celebrate (non a caso) chips in accompagnamento.
Cosa non ci piace: sono bravi e lo sanno, facendolo talvolta pesare più del necessario in sala.

#1: Al Mercato
al mercato, Hamburger a Milano, Top Ten
Rimangono saldi in vetta alla nostra graduatoria Beniamino Nespor ed Eugenio Roncoroni, autori dell’hamburger con più personalità fra quelli da noi assaggiati . Da non perdere il tartare burger, una delle migliori declinazioni della carne cruda attualmente rintracciabili in circolazione.
Cosa ci piace: la straordinaria qualità dell’esecuzione e degli ingredienti (il cheddar invecchiato sarebbe da solo in grado di spostare gli equilibri).
Cosa non ci piace: gli spazi davvero ristretti. Non accettando prenotazioni inoltre, l’attesa per il proprio turno spesso si rivela davvero eccessiva.